Il ruolo della Corte dei conti nella valutazione delle politiche fiscali*

Massimo Romano[1]

 

 

 

La Corte dei conti italiana si contraddistingue per la duplicità del suo ruolo istituzionale: la funzione giurisdizionale in materia contabile e la funzione di controllo. Tralasciando in questa sede la funzione giurisdizionale, va ricordato che la funzione di controllo si estrinseca, in primo luogo e anche sul piano storico nel controllo del bilancio dello Stato centrale, attraverso forme di controllo preventivo sugli atti e di controllo sulla gestione. Progressivamente tale funzione si è estesa ai bilanci e alla gestione degli enti locali (comuni e province) e delle regioni, con l’istituzione di uffici regionali (le sezioni regionali di controllo) ubicati nei capoluoghi delle diverse regioni.

Per quanto attiene al controllo del bilancio statale, storicamente l’attenzione della Corte è stata in passato prevalentemente concentrata sulla spesa pubblica. In sostanza la Corte dei conti, sia perché svolgeva un’intensiva attività di controllo preventivo sugli atti, sia perché era storicamente portata al controllo della spesa, ha avuto nei decenni passati una limitata attenzione al settore delle entrate statali e, quindi, anche ai connessi temi della fiscalità.

Negli ultimi decenni l’attenzione si è estesa in modo rilevante anche alle problematiche relative alla gestione delle entrate pubbliche e attualmente può affermarsi che la Corte dedica una parte significativa delle proprie risorse professionali, soprattutto a livello centrale, al tema della gestione delle entrate pubbliche e, in particolare, alla gestione delle entrate tributarie.

Questo ruolo è svolto attraverso vari momenti, alcuni dei quali costituiscono appuntamenti annuali, come quello della Relazione presentata al Parlamento sul Rendiconto generale dello Stato. Si tratta di un documento complesso, approvato e pubblicato nel mese di giugno di ciascun anno, che consegue ad una articolata attività di esame relativa alla gestione dell’esercizio precedente. La Relazione comprende il così detto “giudizio di parifica”, cioè un controllo strettamente contabile dei conti pubblici che il Governo presenta al Parlamento e la Relazione vera e propria, che analizza dettagliatamente sia le entrate che le spese dello Stato. In particolare, per quanto riguarda le entrate, la Relazione affronta i diversi aspetti della materia, attraverso un’analisi generale della gestione della fiscalità, l’esame degli effetti derivati dalla normativa introdotta più recentemente e i risultati derivati dall’attività dell’Amministrazione fiscale.

Da alcuni anni viene predisposto, generalmente nel mese di maggio, un ulteriore documento di finanza pubblica che affronta anch’esso il tema delle entrate, il Rapporto sul coordinamento della finanza pubblica, che si occupa della gestione della finanza pubblica dello Stato centrale e degli enti territoriali e che fornisce un quadro organico dell’evoluzione della finanza pubblica, nell’ambito delle tendenze generali dell’economia internazionale e nazionale.

Si tratta di un documento molto interessante, del quale è destinatario principale il Parlamento, che sviluppa un’analisi complessiva delle modificazioni intervenute nell’esercizio e che offre una attendibile “radiografia” dello stato della finanza pubblica. Anche questo documento contiene specifiche valutazioni sull’effetto delle misure di carattere tributario adottate negli anni precedenti, allo scopo di fornire indicazioni sulla gestione della fiscalità e sulle manovre fiscali adottate in precedenza.

Un’ulteriore importante linea di attività, che ha assunto sempre maggiore rilievo negli ultimi anni, è quella delle audizioni presso le Commissioni parlamentari. Frequentemente, infatti, in particolare le Commissioni che si occupano del bilancio e della finanza pubblica, richiedono il parere della Corte su determinati argomenti di loro interesse. A tal fine le Sezioni centrali della Corte predispongono di volta in volta specifici documenti che vengono poi presentati ed illustrati alle Commissioni parlamentari. Numerose delle audizioni hanno riguardato in questi anni la materia tributaria, tema sul quale si concentra spesso l’attenzione degli organi parlamentari dato il rilievo che esso presenta per la gestione delle finanze pubbliche e le disfunzioni che storicamente contraddistinguono il funzionamento del sistema fiscale in Italia.

Alla Relazione al rendiconto, al Rapporto sul coordinamento della finanza pubblica e ai documenti sulle audizioni parlamentari si aggiungono le indagini sulla gestione e sul funzionamento della fiscalità realizzate annualmente dalla competente Sezione centrale. Esse hanno lo scopo di valutare come le diverse scelte legislative sono state concretamente applicate dall’Amministrazione fiscale. Spesso, tuttavia, queste relazioni si traducono in segnalazioni e proposte rivolte direttamente al legislatore, in quanto riguardano disfunzioni e insuccessi del sistema normativo con l’obiettivo di far sì che il Parlamento ed il Governo (Ministro dell’economia e delle finanze) ne tengano conto ed utilizzino queste osservazioni critiche per introdurre le modificazioni che la Corte suggerisce.

A questo riguardo va rilevato come l’attenzione della Corte sia stata in buona parte rivolta in questi anni al tema dell’evasione, tema che per l’Italia costituisce la principale criticità in ambito tributario. L’Imposta personale sul reddito (Irpef) per il suo cattivo funzionamento, ha determinato nel corso dei decenni una notevole distorsione nel prelievo a sfavore dei lavoratori dipendenti e dei pensionati. Sin dalla sua introduzione (1973 per l’Iva e 1974 per l’Irpef) il nuovo sistema tributario, infatti, ha fatto eccessivo affidamento sull’imposta personale e ha mostrato poca attenzione al funzionamento dell’imposizione indiretta e, in particolare, dell’Iva. Anche recentemente le analisi prodotte dalla Commissione europea e ampiamente confermate da altri studi condotti in ambito Oecd, collocano il rendimento dell’Iva italiana nelle posizioni più basse (a prescindere dagli effetti sul gettito che derivano dell’erosione della base imponibile in ragione di esenzioni e di agevolazioni). Il problema vero è l’evasione, cioè quanta parte di base imponibile che dovrebbe essere dichiarata e che non viene riportata nelle dichiarazioni. A ciò si aggiunga l’ulteriore fenomeno negativo e crescente delle imposte dichiarate e non versate, delle quali buona parte non viene poi più recuperata.

Sul tema dell’evasione la Corte dei conti negli ultimi anni ha dedicato molte analisi, sia in documenti di carattere generale sia in documenti specifici, che vengono tutti resi pubblici attraverso il sito internet istituzionale.

Uno degli obiettivi che la Corte si è data in questi anni è stato quello di fornire il più possibile un’analisi oggettiva della realtà delle cose perché troppo spesso le analisi statistiche e le rappresentazioni di sintesi del sistema non consentono di comprendere quelli che sono i suoi effettivi malfunzionamenti, le storture del sistema. Così, sono state svolte varie analisi e attività conoscitive, con la collaborazione delle amministrazioni interessate, per rappresentare correttamente la realtà.

Una delle analisi effettuata ha cercato di misurare quale fosse l’impatto del controllo fiscale sul comportamento successivo dei contribuenti. È emerso che l’azione di controllo fiscale che l’Amministrazione produce e realizza anno dopo anno si traduce in un certo recupero di imposta, in parte dovuto a meccanismi automatici ed in parte dovuto all’attività di indagine e di effettivo recupero, ma non cambia nella sostanza i comportamenti fiscali dei contribuenti. L’evasione resta sostanzialmente stabile nel tempo con qualche leggero miglioramento dovuto non tanto all’azione di controllo che è stata svolta ma, semmai, a nuovi strumenti e tecniche che hanno portato una riduzione dei comportamenti scorretti. Uno dei problemi fondamentali è, quindi, quello di capire cos’è che non va nella strategia di contrasto dell’evasione fiscale e nella gestione del sistema. Proprio su questo fronte, anche attraverso documenti recenti, si è cercato di segnalare quali siano le contraddizioni esistenti.

Oggi il sistema fiscale sta andando positivamente, anche se troppo lentamente, verso uno sviluppo delle forme di contatto preventivo tra l’Amministrazione e il contribuente, allo scopo di indurre una migliore tax compliance e scoraggiare in forma persuasiva e non soltanto repressiva l’evasione.

La più recente legislazione si propone di mettere a disposizione del contribuente in via preventiva le informazioni necessarie per l’adempimento fiscale (rapporti con clienti e fornitori, redditi immobiliari, altre spese, ecc.). Ad oggi quanto previsto dalla nuova normativa è stato attuato, con finalità di semplificazione, solo per i contribuenti titolari di reddito di lavoro dipendente o di pensione, che peraltro sono i meno interessati dal fenomeno evasivo. È auspicabile che prima possibile il grande patrimonio informativo in possesso dell’Amministrazione fiscale attraverso i vari flussi che alimentano le banche dati venga messo a disposizione di tutti i contribuenti prima della presentazione della dichiarazione a fini persuasivi, e non più solamente utilizzato per la repressione delle violazioni. Si tratta di un mutamento di strategia che appare fondamentale per la riduzione dei comportamenti scorretti.

La strategia di riduzione dell’evasione fiscale è, però, fatta di tante cose. Da un lato occorre lavorare sulla utilizzazione preventiva e tempestiva dei dati, dall’altra occorre approntare sistemi di controllo repressivo più energici per quella parte di evasione che non deriva da errori del contribuente ma da vera e propria deliberata volontà di sottrarsi al pagamento delle imposte dovute.

L’Italia è un Paese nel quale i comportamenti illegali sono frequenti, nel quale dunque soltanto una parte della platea dei contribuenti adempie con correttezza agli obblighi tributari. Alla luce di ciò talune scelte del Governo, poi avallate dal Parlamento, appaiono contraddittorie. Mi riferisco, ad esempio, all’istituto del “ravvedimento operoso”, cioè alla possibilità che ha il contribuente di correggere i propri errori e le proprie omissioni. Originariamente il ravvedimento era possibile fino a quando non fossero iniziate attività di controllo da parte dell’Amministrazione fiscale. Oggi non è più così e il contribuente può modificare la propria posizione anche dopo che sono iniziate le indagini e fino a quando non è stato emanato l’atto finale di accertamento pagando una modesta sanzione pecuniaria (16,66 per cento della maggiore imposta dovuta). Tutto ciò lascia perplessi, perché è facile prevedere che i contribuenti scorretti assumeranno un comportamento “attendista”, pagando tutto il dovuto solo se l’Amministrazione dovesse iniziare un controllo.

In materia penale-tributaria vi sono state nel corso degli anni varie riforme. Nessuna di esse si è rivelata efficace. Le ragioni sono molteplici e riguardano in particolare la scarsa effettività delle sanzioni, a causa della sistematica prescrizione di gran parte dei reati individuati a seguito delle indagini svolte dall’Amministrazione fiscale e dalle procure.

Un altro aspetto gravemente sottovalutato nelle scelte del legislatore tributario è quello della riscossione coattiva dei crediti tributari. Le imposte dichiarate e non versate (Iva, ritenute, imposte proprie) hanno ormai superato i 15,8 miliardi di euro all’anno (dato 2013) e, nonostante la gravità e rilevanza del fenomeno, il legislatore ha indebolito le azioni esecutive esperibili. Oggi abbiamo un ordinamento nel quale l’azione esecutiva dello Stato è meno tutelata rispetto all’azione esecutiva del privato (ad esempio, il credito statale non può portare al pignoramento della prima abitazione, mentre il creditore privato può ordinariamente farlo).

Questi sono i temi che la Corte dei conti ha ripetutamente segnalato negli ultimi anni al legislatore, trovando certamente nel Parlamento attenzione e capacità di ascolto, ma con limitati risultati in termini di traduzione delle analisi e delle proposte in modifiche normative e di sistema.

 

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* Come citare questo articolo: M. Romano, Il ruolo della Corte dei conti nella valutazione delle politiche fiscali, 2016, n. 1, (ste.unibo.it), pp. 54-59, DOI: https://doi.org/10.6092/issn.2036-3583/7827.  

[1] Massimo Romano, consigliere della Corte dei Conti.