Le convenzioni fiscali nell’ordinamento giuridico cinese: efficacia e sviluppi recenti*

 

 

Wuyao Weng[1]

 

 

 

1. Introduzione

La prima convenzione fiscale in Cina è stata conclusa con il Giappone nel 1983 ed ad oggi (Agosto 2015) la Cina ha sviluppato uno dei network più ampi, con 100 convenzioni fiscali stipulate, due accordi per regimi fiscali differenziati (firmati dalla Cina continentale con Hong Kong e Macau)[2] ed un ulteriore accordo di natura fiscale tra la Cina continentale e Taiwan[3][4]. Grazie a questa rete di convenzioni fiscali la Cina è stata in grado di difendere il proprio gettito e di delineare i confini territoriali dell’imposizione. In ogni caso, alla luce della funzione delle convenzioni di definizione dei confini del concetto di base imponibile a livello internazionale, la sovranità tributaria di un Paese sui redditi ivi prodotti deve essere delimitata. Di conseguenza, per gli stati firmatari delle convenzioni con la Cina, la definizione dei confini della base imponibile dipende in larga misura dall’effettività delle convenzioni fiscali nell’ordinamento giuridico cinese. Inoltre, grazie allo sviluppo economico crescente, le convenzioni fiscali cinesi sono in continua evoluzione, con il risultato che anche la definizione della base imponibile è stata a sua volta modificata. D’accordo con questo primo inquadramento generale, l’articolo sarà diviso in due sezioni. La prima riguarderà l’esperienza cinese con riferimento alla relazione tra diritto internazionale e diritto nazionale in materia fiscale. La seconda, invece, tratterà l’impatto del modello OCSE e di quello delle Nazioni Unite sulle convenzioni fiscali che la Cina ha concluso e modificato negli ultimi 32 anni.

 

2. La relazione tra diritto internazionale e diritto nazionale in materia fiscale: l’esperienza cinese

Con riferimento alla relazione tra diritto internazionale e disciplina nazionale in materia fiscale ci sono due importanti teorie: quella dualista e quella monista. In linea di prima approssimazione, la teoria dualista mette in luce le differenze tra la legge nazionale e quella internazionale e le considera come due sistemi legali diversi, che regolano materie diverse. Dall’altro lato, la teoria monista valorizza maggiormente l’unità tra la legge nazionale e quella internazionale, trattando entrambi i sistemi in maniera unitaria[5]. Né la teoria dualista né quella monista sono dominanti in Cina. La maggior parte degli accademici adotta una visione di compromesso, secondo la quale, da un lato, vi sono differenze tra legge nazionale e internazionale in tema di fonti del diritto e lawmaker; dall’altro lato non sono in contrapposizione assoluta ma in una relazione che unisce gli opposti. Sia il diritto nazionale che quello internazionale rappresentano una manifestazione della volontà dello Stato e la loro implementazione richiede una coordinazione reciproca[6]. La ragione per la quale la relazione tra diritto internazionale e diritto nazionale è interpretata in maniera così flessibile è legata alla concezione dialettica della sovranità in Cina: la sovranità nazionale è sacra e inviolabile perciò il diritto internazionale non può prevalere sulla legge nazionale, evitando così interferenze del diritto internazionale sugli affari interni. In ogni caso la sovranità nazionale è un concetto relativo e nessun Paese può invocare la legge nazionale come ragione per non adempiere alle proprie obbligazioni internazionali. Tale principio è finalizzato al mantenimento dell’ordine internazionale. La Cina in questo senso non fa eccezione e questo anche perché ha necessità di essere integrata nella comunità internazionale. È evidente la visione di compromesso della Cina sui problemi appena ricordati (sia in generale, sia nel diritto tributario), ossia su come il diritto internazionale realizzi i suoi effetti nella legge nazionale e su come venga risolto il conflitto tra diritto internazionale e nazionale in Cina.

 

2.1 Realizzazione degli effetti legali dei trattati internazionali nell’ordinamento interno 

In linea con la prassi internazionale, vi sono due modi attraverso i quali i trattati internazionali realizzano i loro effetti legali nell’ordinamento interno di un Paese: trasposizione individuale ed implementazione automatica. Nel caso della trasposizione individuale, un trattato internazionale non può essere direttamente applicato nell’ordinamento interno ma deve essere ratificato tramite legge ordinaria. Nel caso dell’implementazione automatica, invece, una volta che il trattato internazionale è firmato, diventa immediatamente parte dell’ordinamento interno ed è direttamente applicabile senza necessità di trasposizione nella legge nazionale. La scelta tra implementazione automatica e trasposizione è solitamente demandata alla Costituzione nazionale. In Cina non è possibile trovare alcuna previsione rilevante nelle quattro Costituzioni emanate dalla nascita della Repubblica Popolare Cinese nel 1949 o nella legge del 1990 sulla Procedura di Conclusione dei Trattati. Una possibile ragione è l’influenza della Costituzione Sovietica prima del 1977, che non conteneva previsioni riguardanti gli effetti legali dei trattati internazionali nell’ordinamento interno. La ragione preminente appare comunque essere di matrice storica. A seguito della Guerra dell’Oppio del 1840, per oltre 100 anni di storia semi-colonialista, la Cina ha firmato molti trattati iniqui. Con riferimento ai trattati internazionali firmati prima del 1949, la Repubblica Popolare Cinese ha adottato un approccio prudenziale, valutando ogni trattato internazionale nel merito. Di conseguenza l’articolo 55 del Programma Comune della Conferenza Politica Consultiva del Popolo Cinese del 1949, costituzione temporanea, statuisce che: “il governo centrale della Repubblica Popolare Cinese deve esaminare i trattati conclusi tra il Kuomintang e i governi stranieri e deve riconoscerli, abrogarli, modificarli o rinegoziarli secondo il loro contenuto”. Dal momento che la Costituzione cinese non specifica come implementare gli effetti legali dei trattatati firmati dalla Cina, è necessario esaminare la procedura finora utilizzata. Si evince così che il metodo maggiormente utilizzato per assicurare gli effetti dei trattati internazionali nell’ordinamento interno in Cina è l’implementazione automatica[7]. Viceversa la trasposizione individuale è adottata in casi limitati sul presupposto che l’atto legislativo, emanato secondo la procedura legislativa nazionale, non sia in conflitto con il trattato internazionale. Si può dunque dedurre come la Cina sia maggiormente influenzata dalla teoria monista, secondo la quale, appunto, i trattati non necessitano della trasposizione all’interno dell’ordinamento interno e sono automaticamente produttivi di effetti all’interno del sistema nazionale (incorporazione).

Ecco alcuni esempi di implementazione automatica da varie fonti (escludendo la Costituzione): 1) articolo 142 della Previsione Generale Civile del 1986 “se qualsiasi trattato internazionale concluso dalla repubblica Popolare Cinese o al quale la Repubblica Popolare cinese aderisce contiene norme diverse rispetto a quelle del diritto civile della Repubblica Cinese, devono essere applicate le disposizioni del trattato internazionale, salvo il caso che le norme di cui si tratti siano state oggetto di riserva da parte della Repubblica Popolare”[8]; 2) per quel che concerne la regolamentazione amministrativa, l’articolo 12 della Disposizione sull’Amministrazione Marittima Internazionale dei Container prevede che: “I container utilizzati nel trasporto marittimo internazionale devono essere conformi alle previsioni tecniche e agli standard dell’Organizzazione Internazionale per la standardizzazione dei container, e anche alle previsioni nelle convenzioni che riguardano i container”; 3)in termini di interpretazione da parte dell’organo giudiziario, l’articolo 112 dell’Opinione della Corte Suprema cinese del 1991 riguardante diversi problemi di implementazione delle procedure legislative amministrative prevede che: “Quando i documenti necessitano di essere inviati a destinatari non domiciliati in Cina, le Corti possono adottare i metodi previsti dai trattati internazionali conclusi dalla Cina e dai paesi dove i destinatari si trovano”. Ancora, la Cina ha confermato il metodo dell’implementazione automatica dei trattati internazionali in una dichiarazione diplomatica. Il 27 aprile del 1990, esaminando il report di implementazione in Cina della Convenzione contro la tortura ed altre pene o trattamenti crudeli, disumani o degradanti, i rappresentanti cinesi hanno risposto al problema della relazione tra convenzioni e diritto interno in questi termini: “secondo la legge cinese, i trattati conclusi in Cina devono essere approvati dalle autorità legislative o dal consiglio statale; esse diventano effettive in Cina e le previsioni dei trattati possono essere applicate direttamente senza necessità di essere trasposte all’interno dell’ordinamento interno”.

Nei seguenti casi, al fine di applicare i trattati internazionali conclusi dal governo cinese, la Cina ha formulato o modificato disposizioni interne secondo quanto previsto dai trattati: 1) emanazione della Legge riguardante la Convenzione sul mare territoriale e la zona contigua ed il regolamento del 1986 sui privilegi diplomatici e le immunità[9]; 2) nel 2001 è stata modificata la Legge sul diritto dei marchi risalente al 1990 e nel 2000 quella del 1984 in materia di brevetti per invenzioni industriali, e ciò è stato fatto per rendere le disposizioni citate conformi all’accordo sugli aspetti dei diritti di proprietà intellettuale attinenti al commercio.

 

2.2 Conflitto tra diritto internazionale e norma interna: chi prevale?

Con riferimento alla seconda fondamentale questione relativa alle relazioni tra diritto internazionale e norma interna, ancora una volta non è possibile trovare alcun riferimento all’interno della Costituzione cinese. Bisogna tuttavia sottolineare che nel 1977 la Cina ha firmato la Convenzione di Vienna che prevede esplicitamente il divieto per lo stato firmatario di invocare la propria legge nazionale come ragione per non adempiere le proprie obbligazioni internazionali. Di conseguenza, questo principio di diritto internazionale è accettato in Cina, e di fatto la Cina riconosce e conferma la supremazia del diritto internazionale sulla legge interna, nel senso che se una norma nazionale è contraria ad una disposizione internazionale le autorità sono tenute ad applicare la seconda. Questa regola è esplicitata in diverse fonti cinesi, come il codice di procedura penale del 1996 (art. 17), il codice penale del 1997 (art. 9), il codice di procedura civile del 1991 (art. 238), il codice civile del 1986 (art. 142), la Legge in materia di successioni del 1985 (art. 36), la Legge di procedura amministrativa del 1989 (art. 72), la Legge sul copyright del 1990 (art. 2), la Legge sul diritto dei brevetti del 1992 (art. 18, 29 e 62), la Legge sul diritto dei marchi del 1993 (art. 9) e la Legge doganale del 1987 (art. 39).

Con riferimento alla supremazia del diritto internazionale sul diritto interno devono essere considerate le seguenti questioni: 1) la supremazia del diritto internazionale può essere considerata il risultato dell’applicazione del principio lex specialis derogat generali, considerando la legge internazionale come legge speciale; 2) secondo l’art. 7 della legge sulle procedure di conclusione dei trattati, la ratifica di trattati contenenti disposizioni incoerenti con la legge cinese deve essere approvata dal Comitato Permanente dell'Assemblea Nazionale del Popolo. Sulla base di questa previsione, la supremazia dei trattati internazionali può essere considerata il risultato della modifica del diritto nazionale operata dal Comitato attraverso la ratifica dei trattati; 3) considerando la natura della Costituzione, nella gerarchia delle fonti, i Trattati non sono sovraordinati alla Costituzione; 4) secondo la Legge sulla procedura di conclusione dei trattati esistono tre categorie: trattati ratificati dal Comitato Permanente dell'Assemblea Nazionale del Popolo, trattati ratificati dal Consiglio di Stato, e trattati ratificati dai Ministeri. La gerarchia delle fonti in Cina prevede che la Costituzione (emanata dall’Assemblea Popolare Nazionale) sia sovraordinata rispetto alla legislazione ordinaria (emanata dal Comitato permanente dell'Assemblea Nazionale del Popolo), la legge ordinaria sia sovraordinata ai regolamenti (emanati dal Consiglio di Stato) e i regolamenti siano sovraordinati ai regolamenti dipartimentali (emanati dai Ministeri). Alla luce di ciò è ragionevole considerare (salvo non sia diversamente specificato in una legge speciale) che i trattati ratificati dai Ministri siano superiori ai regolamenti dipartimentali, quelli ratificati dal Consiglio di Stato siano sovraordinati rispetto alle regole dipartimentali e ai regolamenti, e i trattati ratificati dal Comitato permanente dell'Assemblea Nazionale del Popolo siano sovraordinati rispetto alle regole dipartimentali, ai regolamenti e alla legislazione ordinaria.

 

2.3 Profili fiscali

Con riferimento alle relazioni tra diritto internazionale e legge interna in materia fiscale la questione è relativamente semplice perché segue l’impostazione generale precedentemente delineata. La Cina adotta l’implementazione automatica per realizzare gli effetti dei trattati internazionali nell’ordinamento interno. Viceversa, la seconda questione è altamente complessa: sebbene in Cina la supremazia dei trattati internazionali sia stata fatta valere nei casi pratici di conflitto tra convenzioni fiscali e legge interna, l’applicabilità di tale principio è discutibile. In altre parole, la supremazia delle convenzioni fiscali è assoluta? È ragionevole sollevare questo interrogativo in Cina.

In primis, le convenzioni fiscali si occupano di problemi di doppia imposizione internazionale e di elusione/evasione in materia di imposte sui redditi. In Cina, al di là della Legge in materia di riscossione del 2001 (art. 91), che è una legge procedimentale generale[10], solo la Legge sul reddito delle imprese del 2008 riconosce la supremazia delle convenzioni fiscali in caso di conflitto, prevedendo esplicitamente all’articolo 58 che “quando vi siano norme nelle convenzioni fiscali firmate dal Governo cinese con altri paesi in contrasto con quelle nazionali, prevalgono le prime”. Invece, la Legge del 1980 sul reddito delle persone fisiche, modificata sei volte, non prevede una regola simile.

Secondariamente, secondo l’attuale Costituzione cinese (1982), il Consiglio di Stato esercita le funzioni relative agli affari esteri e conclude le convenzioni con gli stati esteri (art. 89, paragrafo 9) ed è il Comitato Permanente dell'Assemblea Nazionale del Popolo che ratifica o abroga i trattati e le convenzioni conclusi con gli stati esteri (art. 67, paragrafo 14[11]). In ogni caso, in Cina, secondo l'art. 7 della Legge sulle procedure di conclusione dei trattati, le convenzioni fiscali, non sono espressamente menzionate all'art. 67 par. 14 della Costituzione[12], tra gli accordi riservati alla competenza del Comitato Centrale. In sostanza una convenzione fiscale è firmata dall’Amministrazione Finanziaria (e prima dal Ministro degli Affari Esteri) per conto del Consiglio di Stato, messo a verbale dal Consiglio di Stato[13] e pubblicato nel bollettino ufficiale dell’Amministrazione Finanziaria. Salvo nei casi menzionati nell’art. 67, paragrafo 14 della Costituzione, il Comitato Permanente dell'Assemblea Nazionale del Popolo non determina la ratifica delle convenzioni fiscali e queste ultime non sono pubblicate nel bollettino del Comitato Permanente. Deve essere inoltre sottolineato che nelle convenzioni fiscali cinesi non vi è alcuna norma che preveda la ratifica. Di conseguenza le convenzioni fiscali possono essere considerate convenzioni amministrative (Ministeriali) e hanno il problema relativo al “deficit democratico”. La supremazia assoluta delle convenzioni fiscali sulla legge interna (anche se specificato in una legge speciale) in quanto ratificate dall’Assemblea Nazionale del Popolo non è un argomento convincente.

In tertis, diversamente da ciò che accade nel diritto penale, civile e amministrativo, il diritto tributario deve essere modificato frequentemente e adeguato attraverso successive interpretazioni per adattarsi alle mutate esigenze economiche. In linea generale, prima viene modificata la legge nazionale e poi, in un secondo momento, le convenzioni, per il tramite di protocolli e rinegoziazioni. Ad esempio, dopo la promulgazione della legge sul reddito d’impresa del 2008, con la quale la Cina ha riformato la materia, molte convenzioni fiscali sono state modificate tramite un processo di rinegoziazione.

Nella pratica rinegoziare le convenzioni e aggiungere protocolli non è per nulla semplice: si tratta di un’attività complessa che riguarda due Paesi diversi. In questi casi è necessario implementare la nuova legge interna, perché contenente norme in contrasto con la convenzione non ancora modificata. Questo procedimento è logico e può essere considerato un’applicazione del principio lex posterior derogat lex priori.

La quarta questione riguarda invece la natura debole delle convenzioni fiscali. Dato che non esiste una regola generale di diritto internazionale secondo la quale un Paese debba porre in essere misure per eliminare la doppia imposizione internazionale, la natura obbligatoria delle convenzioni fiscali è debole ed effettivamente una parte contraente può sospendere l’esecuzione della convenzione semplicemente informandone l’altra parte e senza addurre alcun giustificato motivo. Per esempio, l’articolo 29 della Convenzione Italia-Cina prevede che: “Il presente Accordo rimarrà in vigore illimitatamente, ma ciascuno Stato contraente può il, o prima del, trenta giugno di ogni anno solare che inizia successivamente alla scadenza di un periodo di cinque anni dalla data della sua entrata in vigore, notificarne la cessazione per iscritto all'altro Stato contraente per via diplomatica”.

Infine, alcuni paesi, come il Giappone, in caso di conflitto tra norme accettano la teoria della supremazia del diritto internazionale, ma allo stesso tempo prevedono la possibilità che la legge nazionale prevalga in caso sia più favorevole per il contribuente rispetto a quella dei trattati[14]. In Cina, anche se non vi è nessuna norma di diritto positivo, non è vietato. Ad esempio, in generale le convenzioni impongono una ritenuta del 10% sulle royalties, ma la Legge sul reddito d’impresa, modificata nel 2008, prevede, l’esenzione per alcune royalties legate al reddito d’impresa al fine di attrarre investimenti dall’estero nella forma di tecnologie avanzate[15] e nel caso di royalties corrisposte a imprese estere non vi è ritenuta.

Sulla base di questa analisi, è ragionevole arrivare alla conclusione che la supremazia delle convenzioni non dovrebbe essere assoluta, e in casi specifici è la legge nazionale a dover prevalere sulla convenzione[16].  Sulla base di tale conclusione, l’articolo 91 della Legge in tema di riscossione del 2001 e l’art. 58 della Legge sul reddito d’impresa del 2008 possono essere abrogati, queste due norme possono introdurre un sistema più flessibile in caso di conflitto tra convenzioni fiscali e diritto interno.

 

3. L’impatto del modello OCSE e quello delle Nazioni Unite sulle convenzioni in Cina

Il modello OCSE[17] è stato pubblicato nel 1963 (30 luglio) e il modello ONU nel 1980[18] (1 gennaio). Di conseguenza, quando la Cina ha deciso di introdurre la legislazione sull’imposta sui redditi e di concludere una convenzione fiscale con paesi esteri all’inizio degli anni 80, dopo l’inizio delle riforme economiche e l’apertura dell’economia al mercato internazionale, la scelta tra modello OCSE e modello ONU sembrava l’unica opzione valida, data la fretta della Cina di integrarsi all’interno della comunità internazionale fino a quel momento composta prevalentemente da paesi occidentali, e di seguire il regime fiscale internazionale. È noto che il modello OCSE sia preferito dai paesi esportatori, perché enfatizza il criterio della residenza, e che invece il modello ONU sia preferito da paesi importatori, perché predilige il criterio della fonte[19]. In realtà, sotto la pressione di vari interessi, generalmente la scelta non si riduce a uno dei due modelli, ma è un compromesso, nel senso che alcuni articoli vengono presi dal modello OCSE e altri da quello delle Nazioni Unite. La Cina non fa eccezione. In un mondo moderno, considerando la veloce crescita economica cinese, la scelta tra i due modelli è variabile. L’analisi che segue riguarda l’impatto dell’OCSE e del modello delle Nazioni Unite sulle convenzioni fiscali cinesi e sulla politica fiscale cinese.

 

3.1 Cenni sullo sviluppo delle Convenzioni in Cina nell’economia in espansione negli ultimi 30 anni

Da quando la Cina ha iniziato la sua transizione ad un’economia di mercato nel 1979, il paese è cresciuto con un tasso del 9,8%[20], anche se la percentuale di crescita è iniziata a diminuire dal 2010. Anche se il tasso di crescita nel 2014 è stato un relativamente anemico 7,4%[21], come ha sottolineato il Fondo Monetario Internazionale, quest’anno la Cina ha raggiunto gli Stati Uniti come più grande potenza economica al mondo (a parità di potere di acquisto). Indubitabilmente le convenzioni fiscali cinesi si sono sviluppate in questo contesto caratterizzato da un’economia in crescita. Negli ultimi 32 anni, dalla prima ratifica di una convenzione in Cina, lo sviluppo delle convezioni fiscali può essere suddiviso in tre fasi.

La prima fase va dal 1980 al 1990. È noto come all’inizio degli anni 80 la Cina abbia introdotto un sistema impositivo del reddito d’impresa quale parte fodamentale del programma economico di riforme destinato ad aprire l’economia agli investimenti esteri ed alle tecnologie dei Paesi sviluppati. Di conseguenza era necessario eliminare la doppia imposizione che rappresenta un ostacolo alla circolazione cross border dei capitali e delle tecnologie. Questa è stata la principale ragione che ha spinto la Cina a concludere convenzioni fiscali. In questa fase, ovviamente, il flusso di capitali e tecnologie era principalmente costituito da capitale estero proveniente da paesi sviluppati. Le convenzioni fiscali cinesi, infatti, erano concluse esclusivamente con paesi sviluppati. La Cina ha firmato una Convenzione fiscale con il Giappone nel 1983, con Francia e Regno Unito nel 1984, con la Germania nel 1985, con l’Italia nel 1986. La prima convenzione firmata con il Giappone, di fatto, è stata utilizzata come modello per le convenzioni con gli altri paesi membri dell’OCSE: le variazioni rispetto alla convenzione Cina-Giappone sono state minime. La Cina era nella chiara posizione di un paese importatore di capitali che concludeva trattati con paesi membri dell’OCSE. Così la Cina richiedeva da un lato, di utilizzare modelli di tassazione basati sul criterio della fonte, e dell’altro, otteneva sgravi fiscali, dal momento che introduceva condizioni fiscali decisamente favorevoli all’interno del proprio territorio per attrarre investimenti dall’estero. Le convenzioni firmate dalla Cina in qualità di paese in via di sviluppo erano in sostanza basate sul modello delle Nazioni Unite.

La seconda fase va dalla metà degli anni 90 all’inizio del XXI secolo. Dopo quasi venti anni di forte crescita economica, la Cina ha accumulato ingenti somme di capitali e dal 1999 ha iniziato a promuovere i propri investimenti all’estero. Tale operazione è nota come “Go Out Policy” (o “Going Global Strategy”). Nel perseguimento di questa politica, la Cina ha introdotto diversi piani di assistenza per le imprese nazionali, al fine di sviluppare una strategia globale per sfruttare le opportunità offerte dal mercato in espansione, nazionale e internazionale. Così, la Go Out Policy ha imposto alla Cina di firmare diverse convenzioni fiscali per facilitare investimenti verso l’estero delle imprese cinesi. A partire da questo momento gli investimenti esteri diretti della Cina hanno registrato un forte aumento, soprattutto negli altri paesi in via di sviluppo. Nel 2009 l’investimento della Cina in Asia, America Latina e Africa era rispettivamente di 185.5 bilioni di dollari, 30.6 bilioni di dollari e 9.3 bilioni di dollari, rispettivamente il 75.5%, 12.5% e 3.8% dell’investimento totale estero della Cina. Sempre nel 2009 l’investimento della Cina nei paesi sviluppati, pari a solo 7.4% dell’investimento totale, era di 18.7 bilioni di dollari[22]. Le caratteristiche fondamentali del flusso di capitali e tecnologie sono le seguenti: 1) con riferimento ai capitali e alle tecnologie, i capitali provenienti dall’estero provenivano principalmente dai paesi sviluppati; 2) con riferimento ai capitali, gli investimenti verso l’estero della Cina erano fondamentalmente diretti ai paesi in via di sviluppo. Inoltre, le convenzioni firmate dalla Cina erano principalmente con i paesi in via di sviluppo. È da sottolineare, inoltre, che tali convenzioni seguivano principalmente il modello delle Nazioni Unite e che la Cina enfatizzava il diritto dei paesi esportatori di negoziare accordi con gli altri in via di sviluppo. In qualità di paese in via di sviluppo, vicino agli altri paesi in via di sviluppo, la Cina sembrava essere più sensibile ai problemi dei paesi importatori e quindi più disposta a utilizzare un modello incentrato sulla tecnica della fonte, piuttosto che utilizzare il tipico modello OCSE. In ogni caso queste convenzioni rispecchiano interessi leggermente diversi rispetto a quelle concluse dalla Cina con i paesi membri dell’OCSE, dal momento che la Cina sembra detenere il ruolo di esportatore di investimenti diretti verso i paesi firmatari di convenzioni. In tale contesto la Cina ha assunto il ruolo che è normalmente quello dei paesi membri dell’OCSE[23]. In questa fase, infatti, la Cina ha iniziato a enfatizzare i diritti dei paesi esportatori di capitali, adottando anche alcuni articoli del modello OCSE.

La terza fase coincide con gli ultimi sette anni. Nel 2008 è entrata in vigore la Legge sul reddito d’impresa (adottata il 16 marzo 2007). La nuova Legge consolida i due precedenti regimi per le imprese estere e nazionali, rendendone omogenee le condizioni. Essa rappresenta un cambiamento fondamentale nella politica fiscale cinese nei confronti degli investimenti esteri. Inoltre, a partire dalla crisi economica mondiale del 2008, la Cina ha esponenzialmente aumentato i propri investimenti all’estero. Nel 2013, l’ammontare totale degli investimenti all’estero era pari a 108 bilioni di dollari[24], secondo solo a quello degli Stati Uniti. L’innovazione finanziaria (strumenti finanziari ibridi) e le nuove forme di organizzazione economica (fondi di investimento), insieme a nuove teorie circa la conclusione di trattati internazionali e alla prassi relativa alle regole anti-abuso e agli arbitrati, hanno reso necessaria la modifica delle prime convenzioni firmate, in particolare quelle concluse con i paesi in via di sviluppo.

Al fine di comprendere le caratteristiche del flusso di capitali e tecnologie, è necessario esaminare i dati statistici rilevanti. In primis, nonostante gli investimenti verso l’estero siano costantemente cresciuti, la consistenza di tali investimenti è relativamente bassa, rispetto a quella dei paesi sviluppati. Ad esempio, nel 2013, il totale relativo agli investimenti verso l’estero della Cina era pari a 660 bilioni di dollari e la nazione si trovava all’undicesimo posto della classifica globale[25]. Secondariamente, è necessario costatare come la maggior parte degli investimenti all’estero della Cina si trovano nei paesi in via di sviluppo e come il tasso di crescita in questi Paesi sia più alto rispetto a quello delle nazioni sviluppate. Ad esempio, nel 2013 l’investimento della Cina in America Latina ed in Africa è cresciuto rispettivamente del 132,7% e del 33,9%. Sempre nel 2013, la Cina era il partner commerciale più importante dell’Africa per il quinto anno di seguito e la consistenza dell’investimento in Africa è cresciuto per un ammontare pari a 25 bilioni di dollari[26]. Nel 2013, l’investimento cinese in Europa è sceso al 15,4% (5.95 bilioni di dollari)[27], ed è raddoppiato nel 2014[28]. Inoltre, nonostante la Cina rimanga paese esportatore di investimenti diretti nei paesi in via di sviluppo, lo squilibrio con riferimento al flusso di investimenti con i paesi sviluppati sta cambiando. Ad esempio, nel 2014, l’investimento tedesco in Cina era pari a 2.07 bilioni di dollari (in funzione dei fattori produttivi effettivamente legati ai capitali esteri[29]), e l’investimento della Cina in Germania era pari a 1.6 bilioni di dollari[30]. Nel 2014, l’investimento dell’Italia in Cina è stato pari a 0.37 bilioni di dollari (con riferimento ai fattori produttivi effettivamente legati ai capitali esteri[31]), e l’investimento della Cina in Italia è stato pari a 3.5 bilioni di dollari, preceduto in Unione Europea solo dall’investimento della Cina nel Regno Unito (5.1 bilioni di dollari)[32]. Effettivamente, questi paesi europei sono stati la principale destinazione  degli investimenti all’estero della Cina. Infine, deve notarsi che con riferimento alle tecnologie, la Cina non è più esclusivamente un paese importatore di nuove tecnologie dall’estero, ma ha iniziato a esportare le proprie tecnologie avanzate (l’alta velocità ferroviaria ne è un esempio).

In questa fase, sulla base dell’analisi sopra esposta, è chiaro come la Cina non abbia solo la necessità di concludere nuove convenzioni fiscali (tra cui l’ultima, del 25 maggio 2015, tra Cina e Cile), ma anche di modificare le prime convenzioni concluse con i paesi sviluppati, tra cui la Convenzione Belgio-Cina risalente al 1985, che è stata infatti modificata nel 2009. Rilevato che le convenzioni fiscali sono state modificate tramite la promulgazione di una nuova versione della convenzione, è più corretto affermare che la Cina debba rinegoziare completamente le condizioni delle convenzioni concluse con i paesi sviluppati. In quest’opera di rinegoziazione, come già sottolineato, la Cina ha abbandonato la prospettiva di un paese importatore di capitali, e le convenzioni riviste sono largamente influenzate dal modello OCSE, nonostante la Cina adotti ancora il modello delle Nazioni Unite in alcuni articoli. In ogni caso, la posizione della Cina può variare da paese a paese (con riferimento a paesi sviluppati o in via di sviluppo). È inoltre da notare che la Cina sta prendendo parte al dibattito sulla modifica del modello OCSE e dei suoi commentari (soprattutto in tema di norme anti elusione fiscale), partecipa inoltre in maniera attiva al progetto OCSE Base Erosion and Profit Shifting Action Plan (BEPS).   

 

3.2 L’impatto del modello OCSE e del modello Nazioni Unite sulle convenzioni fiscali cinesi

È stato ricordato che negli ultimi anni la Cina e i suoi partner hanno modificato diverse convenzioni già stipulate. Tra le convenzioni con paesi europei modificate recentemente si ricordano: la convenzione Cina-Belgio del 1985 (modificata nel 2009), la convenzione Cina-Finlandia del 1986 (modificata nel 2010), la convenzione Cina Regno Unito (modificata nel 2011), la convenzione Cina-Danimarca del 1986 (modificata nel 2012), la convenzione Cina-Paesi Bassi del 1987 (modificata nel 2013), la convenzione Cina-Svizzera del 1990 (modificata nel 2013), la convenzione Cina Francia del 1984 (modificata nel 2013) e la convenzione Cina-Germania (modificata nel 2014). Inoltre, tra le convenzioni concluse dalla Cina con gli stati dell’America Latina e con l’Africa negli ultimi sei anni si annoverano: la convenzione Cina-Etiopa del 2009, la convenzione Cina-Zambia del 2010, la convenzione Cina-Siria del 2010,la convenzione Cina-Uganda del 2012, la convenzione Cina-Botswana del 2012, la convenzione Cina-Ecuador del 2013 a la convenzione Cina-Cile del 2015. Con riferimento allo sviluppo delle convenzioni fiscali in Cina negli ultimi anni, l’impatto del modello OCSE e del modello Nazioni Unite può essere valutato alla luce dell’analisi di due convenzioni: quella tra la Cina e la Francia e quella tra la Cina e l’Uganda.

 

3.2.1 Gli articoli riguardanti la ripartizione del potere impositivo

La differenza tra il modello OCSE e il modello delle Nazioni Unite risiede negli articoli riguardanti la ripartizione del potere impositivo. Le diverse previsioni dei due modelli rispecchiano le differenze intercorrenti tra il modello di tassazione secondo il criterio della residenza, privilegiato dai paesi esportatori e il modello di tassazione legato al criterio della fonte, preferito dai paesi importatori. Quanto segue riguarda le principali differenze tra i due modelli.

 

3.2.1.1 Stabile organizzazione

Un’impresa residente in uno Stato contraente è tassata nell’altro Stato solo quando svolge attività d’impresa nell’altro stato per il tramite di una stabile organizzazione ivi stabilita.

Innanzitutto il modello OCSE è diverso dal modello delle Nazioni Unite per quel che riguarda la stabile organizzazione e, specificamente, i contratti di engineering e la somministrazione di servizi, come previsto dall’art. 5. Il modello OCSE contiene solo un paragrafo relativo alla stabile organizzazione nei casi di contratti di engineering, che stabilisce: “un cantiere o una costruzione o un progetto di installazione costituisce una stabile organizzazione solo se permane per almeno 12 mesi”. Sul punto il modello delle Nazioni Unite contiene due paragrafi. A differenza del modello OCSE, riduce il periodo da 12 mesi a 6 nel caso di stabile organizzazione relativa a contratti di engineering. Inoltre, il modello delle Nazioni Unite prevede in un secondo paragrafo la stabile organizzazione in caso di somministrazione di servizi: “la prestazione di servizi (ivi compresi i servizi di consulenza) da parte di un'impresa, tramite dipendenti o altro personale assunto dall'impresa a tale scopo, in relazione a un cantiere, un progetto o un progetto collegato, se tali servizi continuano in una Parte Contraente in relazione a detto cantiere, progetto o attività per un periodo o periodi che in totale oltrepassano sei mesi in un periodo di dodici mesi”. Il motivo per cui il modello OCSE non include un paragrafo di questo genere è che la prestazione di servizi e la fornitura di beni hanno la stessa disciplina all’interno del modello convezionale. Il trattato concluso tra la Cina e la Francia nel 1984 (da qui in avanti il vecchio trattato Francia-Cina[33]) seguiva il modello delle Nazioni Unite. Considerando che la Cina è ancora prevalentemente un paese destinatario di capitali, il trattato modificato Cina-Francia del 2013[34] (da qui in avanti il nuovo trattato) riprende il secondo paragrafo del modello delle Nazioni Unite, ma modifica il primo estendendo il periodo da 6 a 12 mesi come nel modello OCSE. La Convenzione tra Cina e Uganda firmata nel 2012 (da qui in avanti la convenzione Cina-Uganda) che non è ancora entrata in vigore, segue il modello ONU.

Secondariamente, il modello OCSE è diverso dal modello delle Nazioni Unite quando un agente è qualificato come una stabile organizzazione, come previsto nell’art. 5(5). L’art. 5(5) del modello delle Nazioni Unite prevede che un soggetto è considerato stabile organizzazione anche nei casi in cui: “il soggetto non ha autorità, … ma mantiene abitualmente nello stato un deposito di beni o merchandise da cui regolarmente invia merci e merchandise per conto dell’impresa”. Il modello OCSE non prevede questo caso. Il vecchio trattato Francia-Cina seguiva il modello OCSE, e sia il nuovo trattato Cina-Francia che quello Cina-Uganda continuano a seguire il modello OCSE.

 

3.2.1.2 Utili d’impresa

Il reddito conseguito da un’impresa residente in uno Stato contraente è imponibile in un altro Stato per il tramite della stabile organizzazione solo se i profitti sono attribuibili alla stabile organizzazione.

Innanzitutto, il modello OCSE differisce dal modello delle Nazioni Unite con riferimento al principio secondo cui gli utili sono attribuibili alla stabile organizzazione, secondo il dettato dell’articolo 7. Il modello OCSE adotta il principio di connessione economica ed il modello delle Nazioni Unite adotta il principio della forza di attrazione, dal momento che secondo quest’ultimo modello gli utili sono imponibili nella misura in cui siano attribuibili a: “b) vendite in detto altro Stato di beni o merci di natura identica o analoga a quelli venduti per mezzo di detta stabile organizzazione; c) attività commerciale di natura identica o analoga a quella svolta dalla stabile organizzazione”. Il vecchio trattato Cina-Francia seguiva il modello OCSE ed il nuovo trattato Cina-Francia e il trattato Cina-Uganda continuano a seguire il modello OCSE.

Secondariamente, il modello OCSE è diverso dal modello delle Nazioni Unite con riferimento ai limiti di deducibilità, come previsti nell’art. 7(3). Il modello OCSE precedente al 2010 prevede che “nella determinazione degli utili di una stabile organizzazione, devono essere ammesse in deduzione le spese inerenti alla produzione del reddito di impresa della stabile organizzazione, incluse le spese esecutive e quelle amministrative, o nello stato in cui la stabile organizzazione è sita o altrove”. Il modello delle Nazioni Unite prevede che “tale deduzione non è ammessa con riferimento a eventuali somme pagate (diversamente che per il rimborso di spese effettive) dalla stabile organizzazione alla sede centrale dell'impresa o ad altri suoi uffici, a titolo di canoni, compensi o altri pagamenti analoghi in corrispettivo per l'uso di brevetti o altri diritti, o a titolo di provvigioni per specifici servizi resi o per l'attività di direzione, oppure, ad eccezione del caso delle aziende di credito, a titolo di interessi su prestiti in favore della stabile organizzazione”. Indubitabilmente il modello delle Nazioni Unite è più restrittivo. Il vecchio trattato Cina-Francia segue il modello delle Nazioni Unite, ma sia il nuovo tra Cina e Francia che il trattato Cina-Uganda, come già ricordato, seguono il modello OCSE.

 

3.2.1.3 Aliquota delle ritenute alla fonte

Dividendi, interessi e royalties possono essere tassati con la ritenuta alla fonte nel paese della fonte. Su questi redditi, sebbene gli stati di residenza abbiano sempre un obbligo di porre rimedio alla doppia tassazione, i paesi della fonte generalmente applicano un’aliquota più bassa rispetto a quella prevista dal sistema nazionale per lo stesso presupposto impositivo.

Innanzitutto il modello OCSE è diverso dal modello delle Nazioni Unite per quel che concerne i dividendi, come previsto dall’art. 10(2). Il modello OCSE prevede che: “l'imposta così applicata non può eccedere: a) il 5% dell'ammontare lordo dei dividendi se l'effettivo beneficiario è una società che ha posseduto almeno il 25% del capitale della società che paga i dividendi; b) il 15% dell'ammontare lordo dei dividendi in tutti gli altri casi”. Sebbene il modello delle Nazioni Unite permetta di differenziare le aliquote per i dividendi diretti e per il “portfolio di dividendi”, lascia la specifica aliquota in bianco e richiede all’azionista di detenere almeno il 10% della società che corrisponde i dividendi, percentuale più bassa del 25% del modello OCSE, per applicare un’aliquota minore. Il vecchio trattato Cina-Francia non prevedeva aliquote differenziate, ma una sola aliquota pari al 10%. Un’unica aliquota pari al 7,5% è applicata nel trattato Cina-Uganda. Il nuovo trattato Cina Francia segue il modello OCSE e prevede due aliquote, con quella più alta ridotta dal 15% al 10%[35].

Il modello OCSE è diverso dal modello delle Nazioni Unite anche con riferimento alle royalties, come previsto all’art. 12(1). Il modello OCSE prevede giurisdizione esclusiva per il paese di residenza, prevedendo che: “I canoni provenienti da uno Stato contraente e pagati ad un residente dell'altro Stato contraente sono imponibili in tale altro Stato”. Il modello delle Nazioni Unite permette ai paesi della fonte di prevedere una ritenuta alla fonte la cui misura è negoziata tra le parti contraenti. Considerando che la Cina è sempre stata un paese importatore di tecnologia, come prevedeva il vecchio trattato Cina-Francia in aderenza al modello delle Nazioni Unite, il nuovo trattato Cina-Francia prevede un’aliquota al 10% quando il paese della fonte impone una ritenuta alla fonte su tutte le royalties[36]. Il trattato Cina-Uganda segue il modello ONU e prevede la stessa aliquota.     

 

3.2.1.4 Capital gains

I capital gains richiamati dall’art. 13 delle convenzioni si riferiscono principalmente agli utili derivanti da proprietà di immobili, mobili facenti parte dell’organizzazione commerciale di una stabile organizzazione, mobili speciali, come navi, aerei, barche e azioni. L’esercizio del potere impositivo sui capital gains è generalmente attribuito allo stato di residenza, spetta allo stato della fonte solo quando siano soddisfatte determinate condizioni.

Innanzitutto il modello OCSE è diverso dal modello delle Nazioni Unite con riferimento alle plusvalenze determinate da cessione di azioni. Il modello OCSE, all’art. 13(4) prevede solo che: “gli utili che un residente di uno Stato contraente ritrae dalla alienazione di azioni o di altri diritti di una società i cui beni consistono per più del 50% del loro valore da beni immobili situati nell'altro Stato Contraente sono imponibili in detto Stato”. Il modello delle Nazioni Unite prevede in aggiunta all’art. 13(5): “gli utili derivanti dall'alienazione di azioni diverse da quelle indicate nel paragrafo 4 derivanti da un residente di uno Stato contraente dalla cessione di azioni di un impresa residente nell’altro Stato Contraente, sono imponibili in detto Stato contraente, se l’alienante, in qualsiasi momento durante i 12 mesi precedenti a tale alienazione, detiene, direttamente o indirettamente, almeno il --- percento del capitale di detta società”. Dunque, mentre il modello OCSE prevede un solo caso, quello delle Nazioni Unite prevede due casi nei quali lo stato della fonte ha potestà impositiva. Il vecchio Trattato Cina-Francia seguiva il modello ONU ed il nuovo trattato Cina-Francia segue ancora il modello delle Nazioni Unite, mentre il trattato Cina Uganda segue il modello OCSE.

Secondariamente, sebbene il modello OCSE e quello delle Nazioni Unite siano identici con riferimento a diverse previsioni riguardanti la giurisdizione esclusiva per il paese di residenza, affermando che gli utili derivanti dall’alienazione di qualsiasi proprietà, salvo quelli ricordati dal paragrafo sopracitato, sono imponibili nello stato contraente in cui l’alienante è residente, il vecchio trattato Cina-Francia permetteva al paese della fonte di tassare questi utili, stabilendo all’art. 12(6) che: “Gli utili ricavati da un residente di uno Stato contraente dall'alienazione di ogni altro bene diverso da quelli indicati nei paragrafi da 1 a 5 e provenienti dall'altro Stato contraente sono imponibili in detto altro Stato contraente”. Il nuovo trattato Cina-Francia e quello Cina-Uganda seguono il modello OCSE ed il modello Nazioni Unite, abolendo la potestà impositiva dello Stato della fonte in diverse previsioni, ed indubitabilmente la Cina ha adottato, in questo contesto, la posizione dello Stato di residenza.  

 

3.2.1.5 Professioni indipendenti

Così come il modello delle Nazioni Unite, anche il modello OCSE si occupa del riparto della potestà impositiva dei redditi derivanti da professioni indipendenti all’art. 14, conferendo tale potestà al paese della fonte in due casi: il residente di uno stato contraente ha una base stabile e disponibile nell’altro stato contraente (stato della fonte) per l’espletamento delle sue funzioni o per la sua permanenza nell’altro Stato per un periodo (e per successivi periodi) corrispondente o superiore a 183 giorni in 12 mesi che iniziano e terminano nel periodo fiscale di riferimento. Ad ogni modo, il modello OCSE ha abrogato l’articolo 14 e si occupa delle professioni indipendenti negli articoli riguardanti la stabile organizzazione, partendo dal presupposto che non vi è differenza tra stabile organizzazione e la nozione di “base fissa”. Considerando che la Cina è ancora un paese beneficiario di investimenti e servizi esteri, non solo il vecchio trattato Cina-Francia seguiva il modello delle Nazioni Unite, ma anche il nuovo trattato Cina-Francia e quello Cina-Uganda seguono il modello delle Nazioni Unite.

 

3.2.1.6 Altri redditi

I redditi che non possono essere specificatamente attribuiti a categorie definite in appositi articoli confluiscono nella categoria residuale denominata “altri redditi”. Con riferimento a tale categoria, il modello OCSE prevede giurisdizione esclusiva per il paese di residenza, mentre il modello delle Nazioni Unite permette al paese della fonte di tassare tali redditi se conseguiti i questo ultimo paese. Il vecchio trattato Cina-Francia seguiva il modello delle Nazioni Unite, permettendo al paese della fonte di ripartire il diritto di tassare, stabilendo all’art. 21(1) che: “Gli elementi di reddito di un residente di uno Stato contraente che non sono stati trattati negli articoli precedenti della presente Convenzione e che provengono dall’altro Stato contraente, sono imponibili soltanto in quest’ultimo Stato”. In ogni caso, seguendo il modello OCSE, il nuovo trattato Cina-Francia ha cancellato questo paragrafo, che non è contenuto neppure nel trattato Cina-Uganda.

 

3.2.2 Previsioni anti-abuso, procedure di arbitrato e cooperazione amministrativa

Oltre ai centrali articoli sulla ripartizione della potestà impositiva, vi sono altri articoli altrettanto importanti riguardanti previsioni anti-abuso, procedure di arbitrato e cooperazione amministrativa. Anche se tali articoli non possono essere rilevatori di una preferenza per il sistema della fonte piuttosto che per quello di residenza, per una comprensione generale dello sviluppo delle convenzioni in Cina, è utile introdurre brevemente i cambiamenti apportati dalla Cina a questi articoli con riferimento ai modelli OCSE e Nazioni Unite.

 

3.2.2.1 Clausola Anti-abuso

Con il riconoscimento da parte del commentario OCSE che la lotta ai comportamenti abusivi è uno degli scopi delle convenzioni, la norma antiabuso è stata aggiunta nella versione modificata della convenzione Cina-Francia, che all’art. 24 prevede: “I benefici di riduzione o le esenzioni dalle imposte previste in questa Convenzione non possono essere utilizzate quando l’unico proposito per cui vengono utilizzate sia assicurare un trattamento fiscale più favorevole e che tale trattamento più favorevole sia contrario all’oggetto e allo scopo di tale convenzione”. La norma anti abuso si basa sul c.d. “purpose test”, una previsione simile è inserita anche negli articoli che si occupano di dividendi, interessi e royalties. Data la giurisdizione esclusiva attribuita al paese di residenza, anche l’articolo riferito alla categoria “altri redditi” ha introdotto questo test, soprattutto con lo scopo di eliminare il fenomeno della doppia imposizione[37]. Nessuna previsione anti-abuso è prevista nel trattato Cina-Uganda, e una possibile ragione è che la Cina è un paese esportatore di capitali  rispetto all’Uganda, per cui il gettito fiscale del paese della fonte è maggiormente influenzato dagli effetti del treaty shopping nell’ottica abusiva.

 

3.2.2.2 Lo scambio di informazioni  

Lo scambio di informazioni è un importante mezzo di cooperazione amministrativa tra Amministrazioni finanziarie e ha un ruolo fondamentale nella lotta contro l’evasione fiscale. Le convenzioni sono sviluppate per facilitare lo scambio di informazioni sotto due aspetti. Primo, con riferimento all’ambito di applicazione dello scambio di informazioni, ex art. 25 del vecchio trattato Cina-Francia, gli stati contraenti devono scambiare le informazioni al fine di implementare le previsioni delle convenzioni o la legge nazionale delle parti contraenti. Seguendo le indicazioni dell’ultimo modello OCSE e Nazioni Unite, l’art. 27(1) del nuovo trattato Cina-Francia sostituisce “necessario” con “particolarmente rilevante”. Questo cambiamento permette di ampliare l’ambito di applicazione dello scambio di informazioni. Anche l’art. 26(1) del trattato Uganda-Cina usa la parola “particolarmente rilevante”. Secondariamente, con riferimento a situazioni in cui non è possibile rifiutare lo scambi di informazioni, seguendo il dettato dell’ultimo modello OCSE e Nazioni Unite, il nuovo trattato Cina-Francia, all’art. 27, paragrafi 4 e 5, aggiunge due ipotesi nelle quali lo Stato contraente non può rifiutare di fornire l’informazione: 1) unicamente perché lo Stato contraente può avere necessità dell’informazione per perseguire i propri interessi fiscali nazionali; 2) casi in cui c’è un segreto bancario. Il trattato Cina-Uganda prevede le stesse ipotesi. Indubitabilmente, questi due casi, in cui non è permesso il rifiuto allo scambio di informazioni, rendono più ampio l’ambito di applicazione della cooperazione..

 

3.2.2.3 Mutua assistenza nella riscossione

Con riferimento a recenti innovazioni nel campo della cooperazione amministrativa, l’assistenza alla riscossione è inserita nel nuovo trattato Cina-Francia all’art. 28 che, in linea con i nuovi modelli di convenzione, stabilisce che “gli Stati contraenti devono fare ogni sforzo per assicurare reciprocamente l’assistenza necessaria per la riscossione delle imposte. Le autorità competenti degli Stati contraenti possono stabilire in accordo tra loro le modalità di applicazione di questo articolo”. La convenzione Cina-Uganda non riporta questo articolo. Deve comunque essere sottolineato che il 23 agosto 2013 la Cina ha firmato la Convenzione multilaterale sulla mutua assistenza amministrativa in materia fiscale ma non è ancora entrata in vigore.

 

3.2.2.4 Arbitrato

In caso di conflitti non risolti in materia di applicazione delle convenzioni, l’art. 25(5) del modello OCSE prevede una procedura di arbitrato obbligatoria se le autorità competenti degli Stati contraenti non riescono a raggiungere un accordo. Il modello delle Nazioni Unite prevede due versioni alternative. La prima riproduce l’art. 25 del modello OCSE con l’aggiunta di un secondo periodo nel paragrafo 4, con esclusione dell’arbitrato obbligatorio. La seconda alternativa è formulata negli stessi termini, ma include l’arbitrato obbligatorio. In coerenza con la prima delle due alternative, né la nuova convenzione Cina-Francia né quella Cina-Uganda prevedono l’arbitrato obbligatorio in caso di contrasto irrisolto. È possibile che la Cina non nutra ancora piena fiducia nelle procedure di arbitrato, dal momento chetali pratiche provengono per la maggior parte da paesi sviluppati. È tuttavia possibile che in futuro la Cina decida di includere l’arbitrato nelle sue convenzioni; questo anche perché vi sono alcuni inconvenienti nell’utilizzare le procedure di negoziazione e l’arbitrato può essere visto come una nuova forma di risoluzione largamente adottata dai paesi sviluppati. In tal caso l’arbitrato dovrebbe essere supplementare e non alternativo[38].

 

4. Conclusioni

La terza sessione plenaria del XVIII Comitato Centrale del Partito Comunista Cinese (novembre 2013) ha formalmente dichiarato per la prima volta che “la finanza è fondamento e pilastro importante del governo dello stato. Una buona politica fiscale e un buon sistema tributario sono le garanzie istituzionali per un’allocazione ottimale delle risorse, per il mantenimento dell’unità del mercato, per la promozione dell’equità sociale, e per la realizzazione di pace perpetua e stabilità[39]. La tassazione non è più considerata solamente uno strumento di riforma economica, ma anche un importante strumento di governance. In termini di politica pubblica, la tassazione non è più ridotta ad uno schema economico, ma ha assunto importanti funzioni pubbliche, i.e. quelle correlate alle politiche democratiche, all’equità sociale ed alla protezione dell’ambiente. Inoltre la sessione ha sottolineato la necessità di implementare il principio di legalità in materia di tassazione. Nel marzo 2015, la Cina ha per la prima volta adottato, dal 2000, una legge costituzionale che ha specificato l’importanza del principio di legalità esplicitandolo in una previsione, chiarendo che un’imposta deve essere prevista a livello legislativo. Indubitabilmente questi cambiamenti sono più importanti rispetto allo sviluppo economico ed avranno un impatto significativo sul sistema tributario cinese. Un significativo cambiamento nell’effettività e nello sviluppo delle convenzioni fiscali in Cina è dunque possibile nel prossimo futuro.   

 

 

 

  

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* Come citare questo articolo: W. Weng, Le convenzioni fiscali nell’ordinamento giuridico cinese: effettività e sviluppi recenti, in Studi Tributari Europei, (ste.unibo.it), n. 1/2015, pag.53-78. Progetto finanziato dalla Scientific Research Foundation for returning overseas chinese Scholars, Ministero della Scuola Pubblica Cinese.

[1] Wuyao Weng, Professore associato di diritto tributario e finanziario presso la Scuola di Legge civile, commerciale ed economica dell’Università cinese di Scienze Politiche e Legge (CUPL). Traduzione a cura di Elisa Midassi, Dottoranda di ricerca in Diritto Tributario Europeo presso l'Università di Bologna.

[2] In quanto espressione della politica “un paese, due regimi fiscali”, Hong Kong e Macau sono regioni amministrative speciali cinesi con un ordinamento legale e fiscale autonomo.

[3] Le relazioni economiche tra Cina continentale e Taiwan stanno proliferando, il 25 Agosto 2015 è stato firmato un “Cross-strait Agreement” per contrastare la doppia imposizione e rafforzare la cooperazione amministrativa.

[4] Si veda il sito internet dell'Amministrazione Finanziaria cinese.

[5] C. De Pietro, Tax Treaty Override, Kluwer, 2014, pag. 17-19; C. Yang, Jurisprudential Thinking about the relationship between International Law and Domestic Law, Presentday Law Science (Rivista in lingua cinese), 3/2014, pag. 103-104.

[6] T. Yingxia, Relationship between International Law and Domestic Law and application of International Treaties in Chinese Domestic Laws, in Social Science Front (Rivista in lingua cinese), 1/2003, p. 177.

[7] C. Hanfeng e altri, Relationship between International Treaties and Domestic Law and China’s Practice, in Tribune of Political Science and Law (Rivista in lingua cinese), 2/2002, p. 117.

[8] Le parole “devono essere applicate le disposizioni del trattato internazionale” implicano la diretta applicabilità del trattato internazionale in materia civile.

[9] La legge nazionale riflette i contenuti delle correlate convenzioni internazionali.

[10] Prevede che “quando le norme dei trattati o delle convenzioni fiscali concluse tra la Repubblica Popolare Cinese e altri paesi contrastano con la legge interna, devono essere applicate le disposizioni dei trattati e delle convenzioni fiscali”.

[11] La stessa previsione può anche essere trovata nella legge sulle procedure di conclusione dei trattati (artt. 3 e 7).

[12] L’art. 67, paragrafo 14 della Costituzione cinese menziona specificamente tra i trattati di rilevante importanza: 1) trattati di cooperazione, pace e trattati di simile natura politica; 2) trattati relativi al territorio e ai confini; 3)trattati relativi alla assistenza giudiziaria e all’estradizione; 4) trattati contenenti norme in contrasto con la legge cinese; 5) trattati soggetti a ratifica come concordato dalle parti contraenti. Data la rilevanza delle convenzioni fiscali per la governante nazionale, le convenzioni fiscali devono essere considerate di rilevante importanza come i trattati menzionati nell’art. 67 della Costituzione. Sul punto si veda L. Yongwei, Important Convention and Unimportant Convention: Importance of Chinese – Foreign Tax Convention, in Tribune of Political Science and Law (Rivista in lingua cinese), 5/2008. Pag. 176-177.

[13] Sembra non vi sia nessuna procedura specifica di ratifica delle convenzioni fiscali dal Consiglio di Stato.

[14] L. Yongwei, Relationship between China’s Tax Treaties and Domestic Tax Law, in Law review (Rivista in lingua cinese), 4/2006, pag. 60.

[15] Ad esempio, le royalties ottenute dalla gestione dei seguenti brevetti o altre opere dell'ingegno nell'ambito del settore di ricerca e sviluppo: a) produzione di tecnologie per macchinari avanzati e attrezzatura elettronica; b) tecnologia nucleare; c) produzione tecnologica di circuiti integrati; d) produzione tecnologia di circuiti fotoelettrici integrati, microwave, semiconduttori e microwave in circuiti integrati, tecnologia manifatturiera per condutture elettroniche microwave; e) manufatti tecnologici per computer ad alta velocità e microprocessori; f) tecnologie di telecomunicazione ottica; g) tecnologia per trasmissione a lunga distanza e ad alto voltaggio; h) tecnologia di liquefazione, gassificazione e utilizzazione del carbone.

[16]Deve essere sottolineato che la necessità di norme in materia di treaty shopping, fenomeno contrastato mediante la creazione di norme nazionali antiabuso, contribuisce a supportare la conclusione ricordata. Sul punto, L. Yixin, Relationship between Convention for Avoiding Double Taxation and Domestic tax Law, in International Taxation in China (Rivista in lingua cinese), 11/1995, pag. 21. 

[17] Modello Ocse, versione consolidata 2014.

[18] Modello ONU, versione consolidata 2011.

[19] W. Chengyao, Making Greater Efforts to Revise International Models of Convention for Avoiding Double Taxation, in International Taxation in China (Rivista in lingua cinese), 8/2008, pag. 34. Con riferimento a un’analisi tra le principali differenze tra modello OCSE e modello ONU, M. Lennard, The UN Model Tax Convention as Compared with the OECD Model Tax Convention – Currents Point of Difference and Recent Developments, in Asia Pacific Tax Bullettin, Gennaio/Febbraio 2009, pag. 4-11.

[20] Sito National Bureau of Statistics.

[21] Sito National Bureau of Statistics.

[22] Sul punto si veda, Statistical Bulletin of China’s Outward Foreign Direct Investment.

[23] L. Jinyan, The Great fiscal Wall of China: Tax Treaties and their Role in defining and defending China’s Tax Base, in  Bullettin  of International Taxation, Settembre 2012, pag. 454.

[24] Sul punto, 2013 Statistical Bulletin of China’s Outward Foreign Direct Investment.

[25] Sul punto, 2013 Statistical Bulletin of China’s Outward Foreign Direct Investment.

[26] L. Hong, 2014: Turning year of China’s Overseas Investment, Economic Information Daily (giornale cinese), 15 Agosto, 2015.

[27] Sul punto, 2013 Statistical Bulletin of China’s Outward Foreign Direct Investment.

[28] Sul punto, Baker & McKenzie/ Rodhium Group, Chinese investment into Europe hits record high in 2014.

[29] Vedi Ministero del Commercio di Cina, Statistics of FDI in China in January-December 2014

[30] Sul punto, Baker & McKenzie/ Rodhium Group, Chinese investment into Europe hits record high in 2014.

[31] Si veda Ministero degli Affari Esteri in Cina, Relationship between China and Italy (aggiornato al luglio 2015).

[32] Sul punto, Baker & McKenzie/ Rodhium Group, Chinese investment into Europe hits record high in 2014 .

 

 

[33] Convenzione fiscale tra la repubblica popolare cinese e il governo francese contro la doppia imposizione e per la prevenzione all’evasione fiscale con riferimento a imposte e redditi, firmato il 30 maggio 1984.

[34] Convenzione fiscale tra la repubblica popolare cinese e il governo francese contro la doppia imposizione e per la prevenzione all’evasione fiscale con riferimento a imposte e redditi, firmato il 26 novembre 2013.

 

[35] L’art. 91 del regolamento di implementazione della legge sul reddito d’impresa del 2008 prevede un’aliquota del 10% sulla ritenuta alla fonte sui dividendi, interessi e royalties percepiti da non residenti.

[36] D’altro canto, il trattato Cina-Regno Unito (modificato nel 2011) e quello tra la Cina e la Germania (modificato nel 2014) prevede un’aliquota al 6% per i canoni derivanti da attrezzatura industriale, commerciale o scientifica. Per un’analisi sul nuovo trattato Cina-Regno Unito, vedi C. Wei, The China United Kingdom Income Tax Treaty (2011), in Bullettin for International Taxation, June, 2013, pag. 271-2879. Per un’analisi sul nuovo trattato Cina-Germania, vedi H. Yang e L. Ruolian, Analysis of New China-germany Tax Treaty, in International taxation in China (Rivista in lingua cinese), 7/2014, pag. 38-42.

[37] F. Lizeng, Analysis of New China France Tax Treaty, in International Taxation in China, Rivista in cinese, 1/2014, pag. 40.

[38] S. Zhuli, Legal assumption towards inserting arbitration clause in sino-foreign tax treaties, in Journal of Shanxi Finance and Taxation College (Giornale in lingua cinese), 1/2012, pag. 31.

[39] Si veda Comunicato della terza sessione plenaria del diciottesimo comitato centrale del partito comunista cinese.