Il diritto di difesa del contribuente nell’applicazione degli studi di settore [1]

Francesca Macchia [2]

1. Il delicato equilibrio tra strumenti presuntivi e diritti fondamentali del contribuente

Il presente contributo intende indagare, nell’ambito del diritto fondamentale alla difesa del contribuente,  il riconoscimento del diritto al contraddittorio con l’Amministrazione finanziaria, nel caso in cui l’accertamento si basi sullo strumento degli studi di settore, introdotti nel nostro ordinamento dal Decreto Legge n. 331 del 30 agosto 1993, convertito nella Legge n. 427 del 29 ottobre 1993[3].

Nel voler garantire al contribuente una giustizia sostanziale va assicurato il corretto esercizio della funzione di accertamento posta in essere dall’Amministrazione fiscale, in modo da permettere la determinazione dell’effettiva capacità contributiva del soggetto, anche nel caso in cui si ricorra all’utilizzo di uno strumento presuntivo come quello degli studi di settore.

Gli studi di settore rientrano tra gli strumenti di accertamento “standardizzato”, basato su presunzioni semplici[4].

In particolare, lo standard è da considerarsi il punto di riferimento su cui l’Amministrazione finanziaria può fondare l’accertamento del reddito d’impresa o di lavoro autonomo. Infatti, tramite tale standard vengono acquisiti dall’Amministrazione dati in merito ai ricavi potenzialmente realizzabili mediante lo svolgimento di una determinata attività commerciale. I dati considerati dall’analisi condotta dall’Amministrazione includono, a titolo d’esempio, il luogo in cui ha sede l’attività, il numero di dipendenti (con contratto a tempo indeterminato o a tempo determinato), la corresponsione di eventuali canoni di locazione e leasing finanziario per beni mobili, le voci di spesa per l’acquisto di beni materiali, il fatturato annuo, gli utili, e così via. Pertanto, lo standard esprime ricavi o compensi meramente possibili, quindi ipotetici, non necessariamente rappresentativi della realtà concreta di un determinato contribuente.

Dal punto di vista dell’onere probatorio l’Amministrazione finanziaria è tenuta a dimostrare l’applicabilità dello standard prescelto al caso concreto oggetto dell’accertamento. Il contribuente, invece, che può utilizzare a suo vantaggio anche presunzioni semplici, dovrà (1) provare la sussistenza di condizioni che giustificano l’esclusione dell’impresa dall’area dei soggetti cui possono essere applicati gli standard, o (2) la specifica realtà dell’attività economica nel periodo di tempo cui l’accertamento si riferisce.

Gli studi di settore, infatti, sono in somma sintesi elaborazioni di dati derivanti da analisi economiche e statistico-matematiche attraverso le quali l’Amministrazione fiscale stima i ricavi di società e liberi professionisti.

In materia di “tassazione e diritti umani” è particolarmente interessante l’esame di due casi giurisprudenziali, resi dalla Corte di Cassazione Italiana, nei quali viene considerato proprio lo strumento degli studi di settore, ed in cui vengono svolte argomentazioni relative alla modalità con cui essi si possono rivelare tanto preziosi, quanto giusti ed equi, soltanto quando siano in grado di fotografare la situazione reale che interessa il contribuente, determinandone la sua effettiva capacità contributiva.

2. Sentenza della Corte di Cassazione n. 17229 del 28 luglio 2006

Nell’esame di tale sentenza, occorre anzitutto prendere in considerazione l’affermazione della Suprema Corte italiana secondo la quale gli studi di settore recano in sé una mera presunzione semplice[5].

Al fine di ricostruire la reale situazione economica del contribuente, in un’ottica che miri ad una coerenza sistematica, gli studi di settore dovranno conformarsi agli altri mezzi previsti dall’ordinamento per la medesima finalità[6].

Ciò va considerato in particolare sotto tre profili.

Innanzitutto, ogni volta che un accertamento sia basato sull’impiego degli studi di settore, l’Amministrazione finanziaria dovrà offrire una motivazione in merito all’ammissibilità ed alla credibilità dei dati; tale motivazione tanto più dovrà essere specifica, circostanziata e completa, quanto più il contribuente potrà fornire argomenti a prova contraria in sede di contraddittorio[7].

Inoltre, trattandosi di presunzioni semplici e gravando sull’Amministrazione l’onere della prova, il contribuente potrà più agevolmente sostenere la carenza di motivazione specifica resa dall’Ufficio, sostenendo che quest’ultimo, nella ricostruzione operata, non ha provveduto a ricostruire la realtà effettiva del contribuente medesimo[8].

Da ultimo, a livello giudiziale, trattandosi di presunzioni semplici, il Giudice sarà vincolato soltanto dalla coerenza logica e sistematica degli studi di settore. In buona sostanza occorre ricostruire la vicenda.

Nel giudizio di merito, il Giudice di prima cure, con la sentenza della Commissione tributaria provinciale di Campobasso n. 225/04/98, accolse l’opposizione all’avviso di accertamento promossa da una società. Infatti, l’Amministrazione  aveva ricusato la dichiarazione dei redditi presentata dalla società, ravvisando un considerevole divario tra il reddito dichiarato dalla società ed il reddito calcolato sulla base degli studi di settore.

Il caso arrivò di fronte alla Cassazione, la quale, nel rigettare l’impugnazione del giudizio d’appello, evidenziò la gravità dell’assenza di contraddittorio nell’utilizzo di questo strumento.

La Suprema Corte osservò che la normativa relativa agli studi di settore prevede il preventivo svolgimento di un contraddittorio con il contribuente[9]. Tale contraddittorio preliminare è il mezzo per allineare le stime di questo strumento statistico all’effettiva situazione economico-fiscale del contribuente.

Pertanto, l’Amministrazione finanziaria, nell’utilizzare gli studi di settore, dovrebbe:

1) cercare un confronto con il contribuente nel caso in cui siano accertate delle discrepanze tra l’autodichiarazione del contribuente ed i dati raccolti dall’Amministrazione tramite gli studi di settore;

2) verificare analiticamente gli elementi caso per caso;

3) fornire sempre delle motivazioni adeguate nell’avviso di accertamento, che illustrino le ragioni per le quali le allegazioni e le deduzioni del contribuente debbono essere rigettate.

Alla luce di quanto precede, l’assenza di qualsiasi forma di contraddittorio sul ricorso a tale strumento statistico comporterebbe l’illegittimità dell’accertamento, ai sensi degli articoli 3, 24 e 53 della Costituzione italiana.

In particolare, proprio l’art. 24 Cost. rappresenta la guarentigia più generale e comprensiva del diritto di difesa, talchè può ben dirsi applicabile anche in ambito tributario.

Pertanto, anche disposizioni tributarie che non prevedono la possibilità per il contribuente di esercitare il proprio diritto di difesa nei confronti dell’Amministrazione finanziaria sono incompatibili con le norme fondamentali appena richiamate.

Sono proprio tali norme a garantire anche l’effettività del principio di capacità contributiva, tramite l’accertamento da parte dell’Amministrazione finanziaria basato sulla reale situazione reddituale e non su mere presunzioni.

3. Ordinanza n. 15186 del 18 giugno 2013

Di recente, la Corte di Cassazione è tornata ad occuparsi del tema con l’ordinanza n. 15186 del 18 giugno 2013. Con tale ordinanza, la Suprema Corte ha riconosciuto l’obbligo stringente per l’Amministrazione finanziaria di attivare qualsiasi forma di contradittorio nel caso in cui applichi gli studi di settore; se ciò non si verifichi si avrà la nullità dell’accertamento. L’ordinanza, nel citare il precedente indirizzo giurisprudenziale[10], recita: “La procedura di accertamento tributario standardizzato mediante l’applicazione dei parametri o degli studi di settore costituisce un sistema di presunzioni semplici, la cui gravità, precisione e concordanza non è “ex lege” determinata dallo scostamento del reddito dichiarato rispetto agli “standards” in sè considerati – meri strumenti di ricostruzione per elaborazione statistica della normale redditività – ma nasce solo in esito al contraddittorio da attivare obbligatoriamente, pena la nullità dell’accertamento, con il contribuente. In tale sede, quest’ultimo ha l’onere di provare, senza limitazione alcuna di mezzi e di contenuto, la sussistenza di condizioni che giustificano l’esclusione dell’impresa dall’area dei soggetti cui possono essere applicati gli “standards” o la specifica realtà dell’attività economica nel periodo di tempo in esame, mentre la motivazione dell’atto di accertamento non può esaurirsi nel rilievo dello scostamento, ma deve essere integrata con la dimostrazione dell’applicabilità in concreto dello “standard” prescelto e con le ragioni per le quali sono state disattese le contestazioni sollevate dal contribuente. L’esito del contraddittorio, tuttavia, non condiziona l’impugnabilità dell’accertamento, potendo il giudice tributario liberamente valutare tanto l’applicabilità degli “standards” al caso concreto, da dimostrarsi dall’ente impositore, quanto la controprova offerta dal contribuente che, al riguardo, non è vincolato alle eccezioni sollevate nella fase del procedimento amministrativo e dispone della più ampia facoltà, incluso il ricorso a presunzioni semplici, anche se non abbia risposto all’invito al contraddittorio in sede amministrativa, restando inerte. In tal caso, però, egli assume le conseguenze di questo suo comportamento, in quanto l’Ufficio può motivare l’accertamento sulla sola base dell’applicazione degli “standards”, dando conto dell’impossibilità di costituire il contraddittorio con il contribuente, nonostante il rituale invito, ed il giudice può valutare, nel quadro probatorio, la mancata risposta all’invito[11].

Pertanto, attraverso il riconoscimento del diritto al contraddittorio endoprocedimentale, il contribuente può dimostrare l’esistenza di elementi di fatto in grado di giustificare lo scostamento dei compensi dichiarati rispetto alle risultanze che derivano dall’accertamento standardizzato basato sugli studi di settore.

4. Conclusioni

Lo strumento del contraddittorio si configura, quindi, come lo strumento principale di allineamento della realtà fiscale e della sua rappresentazione tramite gli studi di settore. Soltanto attraverso il contraddittorio sarà offerta al contribuente la possibilità di dimostrare che i parametri utilizzati sono in sé erronei, perché fondati su elementi in fatto non corrispondenti alla realtà, o addirittura elaborati in maniera erronea. Gli argomenti sui quali il contribuente fonderà le proprie difese potranno essere, a titolo d’esempio, la dimostrazione dell’errore operativo ed applicativo dell’Amministrazione finanziaria, la deduzione dell’estraneità della propria attività rispetto alla tipologia alla quale i parametri intendono riferirsi, ovvero la sussitenza, nella propria attività di elementi peculiari che la diverisificano rispetto a quelle di riferimento, considerate “normali”.

Da quanto emerge a più riprese dall’esame dei casi giurisprudenziali, è soltanto mediante la garanzia di partecipazione del contribuente al processo accertativo che lo interessa, basato sugli studi di settore, che si garantisce il corretto esercizio della funzione di accertamento posta in essere dall’Amministrazione finanziaria, e la determinazione dell’effettiva capacità contributiva del soggetto, nel rispetto del diritto ad una buona amministrazione riconosciuto dall’art. 41 della Carta di Nizza[12].

 

 

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Footnotes    (↵ returns to text)
  1.  Come citare questo articolo: F. Macchia, Il diritto di difesa del contribuente nell’applicazione degli studi di settore, in Studi Tributari Europei, n. 2/2014 (www.seast.it/rivista), pagg. 79-85.
  2. Francesca Macchia, Dottoranda in Diritto Tributario Europeo all’Università di Bologna – Alma Mater Studiorum
  3. Legge n. 427 del 29 ottobre 1993.
  4. Le presunzioni semplici sono quelle che, di norma, di per se sole non possono essere utilizzate dall’Amministrazione finanziaria per rettificare il reddito imponibile di un contribuente ma necessitano di essere corroborate da ulteriori elementi indiziari della presunta evasione.
  5. Cassazione Civile, sez. trib., Sent. n. 17229 del 28 luglio 2006 reperibile nella Banca Dati DeJure. L’orientamento che attribuisce ai parametri una natura meramente presuntiva si è manifestato nella giurisprudenza della Corte di Cassazione con le sentenze n. 23602, del 15 settembre 2008; n. 26459 del 4 novembre 2008; n. 27648, del 21 novembre 2008; n. 4148, del 20 febbraio 2009; Sez. unite, n. 26635 del 18 dicembre 2009, tutte reperibili nella Banca Dati DeJure. Si veda, inoltre, ordinanza della Corte di Cassazione, sez. trib., n. 14313, del 15 giugno 2010, n. 15905, sez. trib., del 6 luglio 2010 con commento di L. Garibbo, Studi di settore: presunzioni ed onere della prova, in Dir. Prat. Trib., 1/2011, p. 3.
  6. In tal senso, P. Russo, La tutela del contribuente nel processo sui redditi virtuali o presunti: problemi generali (Relazione al convegno di studi organizzato dall’Università di Salerno sul tema: “Il nuovo accertamento tributario fra teoria e processo”, Salerno, 20-21 maggio 1994, in Riv. Dir. Trib. 1995, I, pag. 17; E. Fazzini., L’accertamento per presunzioni: dai coefficienti agli Studi di settore, in Rass. Trib. 1996, pag. 309.
  7. In tal senso L. R. Corrado, Accertamenti standardizzati e motivazione dell’avviso di accertamento: l’atto è illegittimo in difetto di una adeguata replica alle deduzioni fornite dal contribuente in sede di contradditorio endoprocedimentale, in Dir. Prat. Trib., 6/2008, p. 1078.
  8. In tal senso, si veda la Guida operativa agli Studi di settore, disponibile all’indirizzo www.agenziaentrate.gov.it, in cui viene affermato che: “L’invito al contraddittorio dovrà, pertanto, contenere gli elementi rilevanti ai fini dell’accertamento per consentire al contribuente di produrre eventuali elementi ed argomentazioni. Le motivazioni addotte dal contribuente in sede di contraddittorio dovranno essere attentamente valutate dagli uffici, i quali dovranno anche motivare dettagliatamente il rigetto o l’accoglimento di tali argomentazioni”.
  9. L. R. Corrado, Il contraddittorio endoprocedimentale quale garanzia di attendibilità dell’accertamento fondato sugli studi di settore, in Dir. Prat. Trib. 2/2007, p. 311.
  10. Cassazione Civile, sez. Unite, Sent. n. 26635 del 18 dicembre 2009 reperibile nella Banca Dati DeJure.
  11. Si vedano, in senso conforme: Cassazione Civile, sez. trib., Sent. n. 12558 del 21 maggio 2010; Cassazione Civile, sez. trib., Sent. n. 13594 del 4 giugno 2010; Cassazione Civile, sez. trib., Sent. n. 23015 del 4 novembre 2011; Cassazione Civile, sez. trib., Sent. n. 29185 del 28 dicembre 2011; Cassazione Civile, sez. trib., Sent. n. 5399 del 4 aprile 2012; Cassazione Civile, sez. trib., Sent. n. 22599 del 11 dicembre 2012, tutte reperibili nella Banca Dati DeJure.
  12. Art. 41 della Carta di Nizza.