Capacità contributiva e diritti umani: un’esperienza giurisprudenziale [1]
1. Capacità contributiva come principio a tutela dei diritti umani
Il principio di capacità contributiva è stato introdotto nell’ordinamento italiano con l’art. 53 della Costituzione del 1948[3]. Nella tradizione nazionale italiana, quindi, è molto ben radicata l’idea che ci sia una forte corrispondenza tra il reddito prodotto da ciascun contribuente ed il corrispondente obbligo di compartecipazione alle pubbliche spese. Tale principio non è, inoltre, un principio esclusivamente italiano, ma trova espressione quasi in tutti i sistemi fiscali europei[4].
Il principio di capacità contributiva fonda la sua ratio, oltre che su una più ampia applicazione del principio di uguaglianza, anche sulla protezione attiva dei diritti fondamentali da parte di ciascuno Stato. La principale giustificazione al prelievo fiscale, infatti, è la possibilità di offrire alla platea dei contribuenti i servizi pubblici e, in particolare, di garantire il finanziamento dei cosiddetti servizi essenziali, che sono quelli che corrispondono alla tutela attiva dei diritti umani. Ciò significa che il primario obiettivo dell’imposizione è quello di ripartire su tutta la collettività, in ragione del principio di capacità contributiva, i costi per il finanziamento del sistema di istruzione pubblica, di sanità pubblica, ma anche di giustizia e di difesa nazionale.
Sono poteri, questi, il cui esercizio è strettamente collegato alla tutela dei diritti umani che sono, per la gran parte, anche protetti da una tutela costituzionale diretta: si pensi ad esempio all’art. 32 Cost. che tutela il diritto alla salute, l’art. 34 che sancisce il diritto per i capaci ed i meritevoli, anche se privi di mezzi, di raggiungere i livelli più alti degli studi, o ancora l’art. 31, che obbliga lo Stato a tutelare attivamente, anche nella forma di misure economiche di agevolazione, famiglia e maternità. Questa idea dell’imposizione come obbligazione di riparto del carico delle spese pubbliche è fondamentale nel sistema tributario italiano. Le scelte politicamente rilevanti, infatti, riguardano le modalità di gestione della spesa pubblica e la scelta di quali servizi essenziali sia preferibile offrire (e dunque finanziare) alla platea dei contribuenti che sono, per la maggior parte, anche cittadini. Il principio di capacità contributiva ha una natura solidaristica, poiché obbliga tutti i membri dello Stato-comunità a contribuire alle pubbliche spese. Allo stesso tempo, però, questo principio ha una funzione di garanzia, poiché fa sì che l’obbligo contributivo sia dovuto solo da quanti esprimano una effettiva capacità contributiva[5].
Oltretutto, il principio di capacità contributiva è correlato coi principi di equità ed eguaglianza, sia perché costituisce un limite alla potestà impositiva degli Stati, sia perché garantisce un trattamento equo dei contribuenti. Tuttavia, tradizionalmente, l’idea che l’imposizione potesse avvenire solo in ragione della capacità dei contribuenti di partecipare alle pubbliche spese era principalmente sviluppata in relazione alla connessione soggettiva tra il contribuente e lo Stato, che esercitava su di lui il potere impositivo in ragione della residenza nel territorio dello Stato medesimo. Al contempo, è difficile garantire la corretta applicazione del principio di capacità contributiva in uno scenario di produzione di redditi sempre più transnazionali. Quanto appena detto è particolarmente vero se si considera che quando due, o più, Amministrazioni finanziarie si trovino nella condizione di poter esercitare una pretesa impositiva sul medesimo reddito, a livello nazionale potranno considerarsi applicabili diverse misure, e ciascuna potrebbe correre il rischio di disporre un trattamento differenziato per residenti e non residenti.
2. Tassazione degli individui: il principio di capacità contributiva
La Corte di Giustizia Europea ha valorizzato il ruolo della relazione tra imposizione generale e condizioni personali del singolo contribuente, sia sotto un profilo di condizione economica soggettiva, sia sotto quello della composizione del reddito della persona fisica. Il riferimento principale è alla cosiddetta “Dottrina Schumacher[6]” in cui la Corte ha stabilito che residenti e non residenti sono in linea generale in posizioni non comparabili dal punto di vista del Paese in cui i redditi sono prodotti, ma tale differenza perde di importanza, e non può essere giustificata, quando la maggior parte (circa il 90%) dei redditi del contribuente siano prodotti nel Paese terzo. La capacità contributiva, per come inserita nel sistema dell’Unione Europea, può quindi essere descritta sia come una capacità contributiva soggettiva, sia come una capacità contributiva oggettiva[7].
La capacità contributiva soggettiva è riferita al potere di ciascuno di ottemperare al suo dovere contributivo in ragione di circostanze personali, o, più chiaramente, è calcolata in relazione a quale tipologia di nuove ricchezze debbano essere considerate come reddito del contribuente. Sotto questo punto di vista la relazione tra capacità contributiva oggettiva e soggettiva è un rapporto da genere a specie, il che significa che è ugualmente possibile considerare l’esistenza di una capacità contributiva oggettiva, tale da permettere allo Stato di esercitare la sua potestà impositiva. In realtà, già prima della sentenza Schumacher la Commissione Europea emanò una Raccomandazione (94/79) che aveva l’obiettivo di offrire una disciplina comune della tassazione di residenti e non residenti all’interno dell’Unione Europea. Coerentemente con questa Raccomandazione per “maggior parte del reddito imponibile” deve intendersi almeno il 75% dei redditi totali prodotti dal soggetto[8].
È poi particolarmente importante ciò che la Commissione dice nel preambolo della Raccomandazione, dove viene espressa l’idea per cui il principio di uguaglianza stabilito dai Trattati debba essere inteso nel senso che i soggetti che producono un determinato reddito non possano essere deprivati delle agevolazioni e delle detrazioni riconosciute ai residenti[9], quando la parte preponderante del loro reddito personale proviene da un Paese di produzione (del reddito) diverso da quello di residenza. Ciò significa che l’idea fondamentale su cui si fonda il principio di capacità contributiva viene riconosciuto dall’Unione Europea, nonostante il fatto che, attualmente, il problema principale che si pone in relazione ai redditi transnazionali sia un problema relativo al corretto riparto del potere impositivo tra gli Stati membri.
3. Causa C-39/10, Commissione Europea c. Repubblica di Estonia
D’accordo con la Dottrina Schumacher e con la Raccomandazione 94/79/CE è possibile analizzare la pronuncia della Corte di Giustizia Europea nella procedura C-39/80[10] ai sensi dell’art. 258 per il mancato adempimento degli obblighi comunitari. In questo caso la Repubblica di Estonia ha applicato la sua Legge sui redditi delle persone fisiche, la quale esclude che si possa garantire l’esenzione individuale ai contribuenti non residenti anche qualora il loro reddito sia nel complesso così basso che tale agevolazione verrebbe applicata se gli stessi fossero residenti nel territorio nazionale. In particolar modo la Commissione ha ricevuto una segnalazione da un soggetto di nazionalità estone ma residente in Finlandia riguardante l’imposta sul reddito che veniva prelevata sulla sua pensione estone.
Il soggetto lamentava altresì che non gli venissero riconosciute le agevolazioni a cui avrebbe avuto diritto un soggetto residente nelle sue medesime condizioni, nè altre forme di ulteriore agevolazione fiscale riconosciute ai percettori di reddito da pensione residenti in Estonia[11]. La Commissione ha considerato che, in Estonia, il peso fiscale sopportato dai non residenti in una situazione simile a quella del soggetto che aveva avanzato la sua rimostranza fosse più alto di quanto non sarebbe stato se tutti i redditi fossero derivati dalla pensione percepita in un singolo Stato membro. Uno dei cascami del principio di capacità contributiva, infatti, è che al di sotto di una certa soglia reddituale, quando i redditi risultano troppo bassi per dover essere utilizzati anche per finanziare le pubbliche spese, interviene una esenzione soggettiva dall’obbligo contributivo. E, considerando quanto detto in precedenza, ciò significa che, d’accordo con la Raccomandazione del 1994, la capacità contributiva deve essere considerata avuto riguardo alle condizioni dell’intero nucleo familiare. La legge estone sembra invece ledere questo principio e, al contempo, sembra ledere il più generale principio della non tassazione del minimo vitale.
Sembra quindi condivisibile l’opinione della CGE quando afferma (punto 58) che “il carattere generale della condizione prevista all’articolo 28 della legge sull’imposta, che non tiene conto della situazione personale e familiare dei contribuenti interessati, è idoneo a penalizzare persone come la denunciante che hanno fatto uso delle possibilità aperte dalle regole sulla libera circolazione dei lavoratori e si rivela di conseguenza incompatibile con le esigenze dei Trattati quali risultano dall’articolo 45 TFUE”. Se l’obiettivo della legge, nel momento in cui riconosce un’esenzione correlata alla esiguità del reddito prodotto, è quella di dare piena attuazione all’istanza di equità sottesa al principio della capacità contributiva, allora il rifiuto di uno Stato membro di riconoscere le esenzioni, che erano state disposte per questa ragione, finisce per penalizzare i non residenti per il solo fatto di aver esercitato la loro libertà di circolazione garantita dai Trattati. Ciò che è più interessante evidenziare è che, in questo caso, la Corte di Giustizia Europea ha valorizzato in maniera abbastanza forte il principio di capacità contributiva come espressione della libertà di movimento più che l’applicazione del principio di non discriminazione, come invece aveva fatto in altre occasioni.
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- Come citare questo articolo: P. Santin, Capacità contributiva e diritti umani: un’esperienza giurisprudenziale, in Studi Tributari Europei, n. 2/2014 (www.seast.it/rivista), pagg. 73-78.↵
- Piera Santin, dottoranda di ricerca in Diritto Tributario Europeo presso la Scuola Europea di Alti Studi Tributari dell’Alma Mater Studiorum – Università di Bologna.↵
- Per una descrizione esaustiva della nascita e dello sviluppo diq eusto principio si veda G. Falsitta Il principio della capacità contributiva nel suo svolgimento storico fino all’assemblea costituente in “Riv. Dir. Trib.”, 2013, I, 749.↵
- Come R.A. De Mooij e L.G.M. Stevens affermano in Exploring the future of ability to pay in Europe, EC tax Review, 2005/1, 9ss. “European tax systems rely heavily on the ability-to-pay principle. For instance, countiries usually adopt the Schanz-Haigh-Simons (SHS) concept of comprehensive income as the basis for taxation. This income is considered a good indicator for the ability to pay. Moreover, individualized incomes are taxed at progressive rates to obtain a redistributive impact from taxation”.↵
- Si veda G. Falsitta, Corso Istituzionale di Diritto Tributario, 2007, Padova, 64.↵
- Si veda CGE, 14 Feb. 1995, Causa C-279/93, Roland Schumacker v. Finanzmat Köln-Alstad (d’ora in avanti Schumacker), sull’uso dell’espressione “Dottrina Schumacher” il riferimento è S. Douma, The three Ds of Direct Tax Jurisdiction: Disparity, Discrimination and Double Taxation, European Taxation 46, no. 11 (2006).↵
- Sulla distinzione tra capacità contributiva oggettica e soggettiva si veda C. Baldini The Ability to Pay in the European Market: an impossible Sudoku for the ECJ, in Intertax, 38/2010, Kluwer Law Internationl, BV.↵
- All’art. 2(2) della Raccomandazione si dispone che l’applicazione delle stesse condizioni a residenti e non residenti è subordinata alla condizione che i redditi […] imponibili nello Stato membro in cui la persona fisica non è residente costituiscano almeno il 75 % del reddito imponibile complessivo di quest’ultima nel corso dell’esercizio fiscale.↵
- Si veda la Raccomandazione 94/79/CE.↵
- Causa C-39/10, avente ad oggetto il ricorso per inadempimento, ai sensi dell’articolo 258 TFUE, proposto il 22 gennaio 2010, Commissione Europea c. Repubblica di Estonia.↵
- Il soggetto, dopo aver raggiunto l’età della pensione in Estonia, si è trasferito in Finlandia, dove ha lavorato e ha acquisito un diritto alla pensione anche qui. Il soggetto quindi riceveva due pensioni da lavoro, una di Estonia e una in Finlandia, circa dello stesso ammontare. La pensione percepita in Estonia era soggetta a imposta sui redditi, mentre in Finlandia, in riferimento all’ammontare complessivo del suo reddito veramente basso, il soggetto non era sottoposto ad alcuna imposizione sui redditi. L’ammontare delle due pensioni aggregate, inoltre, è solo leggermente superiore rispetto alla soglia di imponibilità individuata al paragrafo 23 comma 2 della legge estone sulle imposte sui redditi. Infatti, d’accordo con la legge estone sulle imposte sui redditi (Paragrafo 23) viene riconosciuto un reddito esente in capo alla persona fisica pari a 27.000 EEK, che aumentano a 36.000 EEK quando i redditi derivano da una pensione che la legge dello Stato considera imponibile.↵