Rappresentanza e potere impositivo dei comuni [1]

Alice Bulgarelli [2]

1. Il principio “no taxation without representation” nel governo locale

In Italia “no taxation without representation” è un principio fondamentale sancito dall’art. 23 della Costituzione. Il principio di legalità contenuto nella previsione costituzionale è diretto a soddisfare l’esigenza che l’imposizione di prestazioni personali e patrimoniali venga demandata al Parlamento, quale organo di indirizzo politico e rappresentante del popolo anche nelle sue minoranze[3]. La legge, promulgata grazie al consenso parlamentare, rappresenta una mediazione politica capace di esprimere un certo grado di accettazione sociale delle scelte in materia di riparto delle spese pubbliche. Tale condivisione sociale è necessaria per il corretto funzionamento di qualsiasi sistema tributario, perché con il consenso è possibile presidiare il funzionamento della rappresentanza e della mediazione politica[4].

Lo sviluppo dell’ordinamento italiano ha condotto, come in altri Paesi, a prediligere un modello decentrato di gestione della cosa pubblica, poiché si è ritenuto che il cosiddetto “federalismo fiscale” possa rendere più trasparente l’azione pubblica: il collegamento dell’operato pubblico e del prelievo privato al territorio dovrebbe comportare l’effettiva possibilità per i consociati di conoscere e intervenire indirettamente per mezzo dei propri rappresentanti sulle scelte adottate. Il decentramento può quindi assicurare una maggiore efficienza amministrativa e una più limpida coerenza politica. Al contrario la possibilità di spendere per il finanziamento di beni e servizi, così da aumentare il livello di gradimento politico, senza che questa sia bilanciata dalla consapevolezza del bisogno di reperire adeguatamente le corrispondenti risorse, potrebbe provocare nei soggetti incaricati del governo dell’ente un’irresponsabilità e una tendenza a spendere più del dovuto e del possibile[5]. Questo obiettivo di efficienza ed efficacia amministrativa, che si sostanzia nell’adeguamento delle funzioni pubbliche in base alle peculiarità della collettività di riferimento, può essere raggiunto solamente se si attua una correlazione tra prelievo e fruizione dei beni e dei servizi così finanziati. Si crea così un legame, tra prestazione del contribuente e quella dell’Amministrazione, che assume una connotazione particolare: colui che è oggetto del sacrificio tributario a fronte della necessità di finanziare le spese pubbliche sarà anche colui che, vivendo nel territorio, fruisce in modo più diretto dei servizi forniti dall’Ente locale[6] e può valutare la loro qualità. In tal modo il principio “no taxation without representation” dovrebbe manifestare a pieno la sua operatività. Infatti la dinamica fiscale locale è simile qualitativamente a quanto accade in ambito nazionale ma, vista la limitatezza spaziale del suo intervento, il contribuente riesce a godere e a valutare in modo più immediato il beneficio ricavato dalla funzione amministrativa del Comune.

2. Debolezze nel sistema tributario locale in Italia

Tuttavia la contingente gestione dei Comuni rischia di violare il principio “no taxation without representation”. In particolare l’apparato normativo italiano fa sorgere una contraddizione nella connessione tra i diversi livelli di governo. La riforma della Costituzione italiana del 2001 ha decentrato il potere e le funzioni amministrative agli Enti locali, considerando che le competenze amministrative riflettono la rappresentanza politica. La riforma ha costituzionalmente sancito l’equiordinazione dei Comuni rispetto agli altri enti costitutivi della Repubblica e, infine, ha previsto che «i Comuni, le Province, le Città metropolitane e le Regioni hanno autonomia finanziaria di entrata e di spesa»[7].

A fonte di una proclamata eguale autonomia di entrata e di spesa per tutti gli organi costituenti la Repubblica occorre costatare alcuni elementi contraddittori. In primo luogo è evidente una differenziazione intrinseca alla stessa struttura proposta dalla Costituzione: solo lo Stato e le Regioni sono dotati di potestà legislativa ai sensi dell’articolo 117 della Costituzione, mentre la regolamentazione dell’Ente locale circoscrive e specifica, estrapolandoli dalla legge, gli elementi del tributo da istituire[8]. Inoltre si deve riconoscere che il legislatore regionale potrebbe implementare l’autonomia degli Enti locali prevedendo nuove fattispecie ma, poiché i presupposti di imposta sono quasi tutti occupati dallo Stato, il margine di manovra continuerà ad essere fortemente limitato[9]. Si è costretti pertanto a osservare come, a fronte di un auspicato compimento della riforma in senso federale del sistema istituzionale italiano, permanga una tensione tra dichiarata autonomia impositiva degli enti territoriali e loro effettiva capacità tributaria, nonché, di conseguenza, contraddizioni nella discrezionalità politica e nella relazione tra i vari livelli di governo.

3. Ostacoli comunitari

Da un altro punto di vista, l’Unione Europea condiziona fortemente il sistema. L’Unione Europea non interviene direttamente sulle scelte degli Stati membri riguardanti la propria organizzazione interna. Tuttavia, la necessità di rispettare i vincoli derivanti dall’ordinamento comunitario sancita costituzionalmente in capo a Stato e Regioni nell’esercizio della potestà legislativa e l’attività della Corte di Giustizia Europea tendono a limitare il percorso degli Stati verso la creazione di strutture federali o autonomistiche.

Si può sostenere che l’ordinamento comunitario abbia ridotto i margini di autonomia normativa regionale[10], da cui discende la possibile autonomia finanziaria dei Comuni, tanto più in seguito alla Riforma del 2001 grazie alla quale i vincoli comunitari diventano limiti diretti per la potestà legislativa in materia tributaria, indipendentemente dalla mediazione statale[11].

Dall’altro punto di vista, alcune sentenze della Corte di Giustizia Europea hanno condotto a considerare incompatibili con il diritto dell’Unione alcune previsioni tributarie locali in virtù dei principi tradizionalmente tutelati dell’Unione Europea, quali il rispetto delle libertà di circolazione delle merci e della prestazione di servizi, nonché i divieti di Aiuti di Stato e di applicare tasse ad effetto equivalente ai dazi[12]; alcuni esempi sono le seguenti sentenze: C-17/00, C-72/03, C-173/05, C-88/03 e C-169/08.

L’interpretazione restrittiva fornita dalle citate sentenze del diritto dell’Unione comporta il rischio di una chiusura ad ogni istanza di federalismo fiscale. Se da un lato l’Unione non impone agli Stati membri alcuna indicazione in merito alla struttura ordinamentale interna, dall’altro lato la giurisprudenza europea ha di fatto inibito alcuni significativi impulsi al decentramento.

4. Crisi di rappresentanza nel sistema tributario locale

In un sistema decentrato l’autonomia finanziaria non è sufficiente per garantire il corretto funzionamento della gestione della cosa pubblica: alla libertà di spesa deve corrispondere una certa indipendenza nella determinazione delle entrate proprie e relative al territorio. In questo modo viene a crearsi un rapporto circolare tra autonomia politica, finanziaria e tributaria[13], fattori che a loro volta possono considerarsi fenomeni che si implicano e condizionano reciprocamente. L’autonomia tributaria in tal senso rappresenta la più forte espressione dell’autonomia politica e amministrativa dell’ente perché gli consente di reperire i mezzi necessari alla propria esistenza[14] e all’adempimento delle funzioni caratterizzanti l’indirizzo politico prescelto[15]. Pertanto, l’autonomia tributaria intesa come «autodeterminazione normativa delle entrate tributarie in funzione dello svolgimento di un libero indirizzo politico e politico-amministrativo»[16], dovrebbe essere caratterizzata dall’autonomia normativa, distinguendosi invece dall’autonomia finanziaria, la quale si concretizza più semplicemente nella ricerca di risorse sufficienti per coprire le spese relative ai bisogni dell’ente. Per una piena espressione dell’autonomia tributaria è necessario che questa concerna un adeguato potere normativo di imposizione, in misura tale da far si che l’Ente locale sia effettivamente in grado di perseguire una propria politica indipendentemente da alcuna pressione statale. La capacità in capo agli Enti locali di autodeterminare le proprie entrate diviene quindi strumento di garanzia di indipendenza e controllo politico, nonché di effettiva partecipazione rappresentativa dei cittadini all’interno del territorio di riferimento.

Come si è cercato di evidenziare, la capacità impositiva degli Enti locali è di fatto molto limitata sia a causa della struttura dell’ordinamento interno così come risulta dalla Riforma del 2001 sia a causa delle inibizioni provocate dalle sentenze della Corte di Giustizia Europea. In tal modo il responsabile della gestione dell’Ente, rappresentante della comunità dei cittadini, non è in grado di determinare le caratteristiche della funzione tributaria, dovendo continuare a finanziare le spese pubbliche locali con risorse eterodeterminate, nonostante le funzioni amministrative siano state costituzionalmente attribuite ai livelli istituzionali più vicini ai cittadini. La mancanza di indipendenza nella potestà impositiva e regolamentare infatti implica incoerenze per quanto riguarda il prelievo tributario, incoerenze che a loro volta comportano una sfasatura nelle scelte finanziarie dei responsabili politici e amministrativi dell’Ente. Detta situazione comporta che si verifichi un cortocircuito tra funzioni e livelli istituzionali nel meccanismo di reperimento e spesa delle risorse e nell’attribuzione di responsabilità e rappresentatività in capo ai soggetti responsabili della gestione della cosa pubblica.

In Italia il contrasto tra diversi livelli di governo, da un lato, e l’influenza dell’ordinamento comunitario e della giurisprudenza della Corte di Giustizia, dall’altro, provoca una tensione tra il potere impositivo degli enti locali e la loro effettiva indipendenza. In ultima analisi, quindi, si può sostenere che la coesistenza di una siffatta fragilità dell’autonomia dei Comuni nella tassazione e della devoluzione delle funzioni amministrative agli stessi rischia di provocare pericolose influenze sulle scelte degli amministratori locali.

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Footnotes    (↵ returns to text)
  1. Come citare questo articolo: A. Bulgarelli, Rappresentanza e potere impositivo del comuni, in Studi Tributari Europei, n. 2/2014 (www.seast.it/rivista), pagg.67-72.
  2. Alice Bulgarelli, Dottoranda di ricerca in Diritto Tributario Europeo presso l’Università degli studi di Bologna
  3. G.Falsitta, Corso istituzionale di diritto tributario, III ed. riveduta, Padova: CEDAM, 2000, p. 64.
  4. A.Di Pietro, Il consenso all’imposizione e la sua legge, in Rassegna tributaria, 1, 2012, p. 12.
  5. F. Amatucci, Il nuovo sistema degli Enti locali, II ed. Torino: Giappichelli, 2010, p. 2.
  6. D. Stevanato, Forum. Il federalismo fiscale come trasferimento del gettito nelle aree di produzione, in Dialoghi tributari, 4, 2008, p. 24.
  7. Articolo 119 comma primo della Costituzione, che – secondo R. Perez, L’autonomia finanziaria degli Enti territoriali, in Rassegna tributaria, 1, 2007, p. 54 – «descrive l’autonomia finanziaria degli enti ivi contemplati, come autonomia di entrata e di spesa (il testo del 1948 si riferiva solo all’autonomia finanziaria)».
  8. F. Gallo, Prime osservazioni sul nuovo art. 119 della Costituzione, in Rassegna tributaria, 2, 2002, p. 585.
  9. M. Vanni, Il federalismo fiscale: gli annunci e la realtà, in Quaderni Costituzionali, a. XXIX, 3, 2009, p. 675.
  10. M. Greggi, Articolo 120 della Costituzione, in (a cura di Falsitta G.) Commentario breve alle leggi tributarie, tomo I, Padova: CEDAM, 2011, p. 430.
  11. A. Carinci, Autonomia tributaria delle Regioni e vincoli del Trattato dell’Unione Europea, in Rassegna Tributaria, 4, 2004, p. 1206.
  12. Alcuni esempi sono le seguenti sentenze: C-17/00, C-72/03, C-173/05, C-88/03 e C-169/08.
  13. L.C. Angiolillo, L’autonomia tributaria degli Enti locali: dall’inquadramento dogmatico-normativo alle problematiche interpretative ed attuative alla luce della Riforma del Titolo V della Costituzione, in La finanze locale, 1-2, 2008, pp. 124 e 125.
  14. L. Del Federico, Il finanziamento delle autonomie locali: linee di tendenza e principi generali tra dettato costituzionale e legislazione ordinaria, in AA. VV. (a cura di Leccisotti M., Marino P., Perrone L.). L’autonomia finanziaria degli Enti Locali territoriali, Roma: ETI, 1994, p. 146.
  15. F. Gallo, Federalismo fiscale e ripartizione delle basi imponibili tra Stato, Regioni ed Enti locali, in Rassegna tributaria, 6, 2002, p. 2012.
  16. F. Gallo, Prime osservazioni sul nuovo art. 119 della Costituzione, in Rassegna tributaria, 2, 2002, p. 591.