L’applicazione della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo alle controversie tributarie: il diritto ad un giusto processo nelle questioni fiscali [1]

Valentina Maria Ariemme [2]

1. Il diritto ad un equo processo

Sin da quando la Convenzione Europea per la Salvaguardia dei Diritti dell’Uomo e delle Libertà fondamentali è stata firmata il 4 Novembre 1950[3], entrata in vigore il 3 Settembre 1953 e via via ratificata dagli Stati firmatari, l’autorità giudiziaria competente, cioè la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo con sede a Strasburgo, ha deciso su un numero sempre crescente di casi riguardanti problematiche fiscali.

Per poter delineare un quadro generale sull’applicazione della Convenzione alle controversie tributarie, occorre procedere passo dopo passo, e rispondere ad un numero di quesiti.

Innanzitutto, che cos’è esattamente una controversia tributaria?

In secondo luogo, quali articoli della Convenzione possono essere invocati dai cittadini europei, affinché sia garantita la protezione dei loro diritti in qualità di contribuenti?

Il punto di partenza per questo breve articolo è un’osservazione[4] che risponde parzialmente al secondo quesito: la maggior parte delle controversie sollevate innanzi alla Corte riguarda la possibile applicazione (e violazione) dell’articolo 6 della Convenzione, che disciplina il diritto ad un equo processo.

L’articolo 6, paragrafo 1, stabilisce che: “Ogni persona ha diritto a che la sua causa sia esaminata equamente, pubblicamente ed entro un termine ragionevole da un tribunale indipendente e imparziale, costituito per legge, il quale sia chiamato a pronunciarsi sulle controversie sui suoi diritti e doveri di carattere civile o sulla fondatezza di ogni accusa penale formulata nei suoi confronti. La sentenza deve essere resa pubblicamente, ma l’accesso alla sala d’udienza può essere vietato alla stampa e al pubblico durante tutto o parte del processo nell’interesse della morale, dell’ordine pubblico o della sicurezza nazionale in una società democratica (…)”.

Questa è ovviamente una regola generale, che trova applicazione in ogni genere di controversia, purché queste riguardino la determinazione di un diritto di carattere civile e/o un’accusa penale. In altre parole, una persona (fisica o giuridica) ha diritto a ricorrere alla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, per la violazione dell’art. 6, solamente se vi è in discussione un diritto di natura civilistica o se un’accusa penale è stata mossa nei propri confronti. Risulta, di conseguenza, necessario considerare le controversie tributarie in questa luce, per poter estendere in tali circostanze le garanzie ad un equo processo.

2. La posizione tradizionale della Corte: le controversie tributarie sono escluse

In termini molto generali, una controversia tributaria sorge quando vi sono contrasti fra l’Amministrazione finanziaria ed i contribuenti su problematiche quali l’accertamento di imposte dirette od indirette, la ri-quantificazione di un debito tributario, il rimborso di imposte non dovute, il pagamento di debiti tributari, etc.

La Corte Europea dei Diritti dell’Uomo si è costantemente pronunciata nel senso che i procedimenti tributari (vale a dire, quando la controversia riguarda una problematica puramente fiscale) non implicano la determinazione di diritti e obblighi civilistici, in quanto: “La materia tributaria è parte del diritto amministrativo o pubblico; non è questione di diritto civile[5]. Questa posizione della Corte, decisamente estrema, che si dimostra piuttosto conservatrice nella sua classificazione del diritto tributario, è stata in alcune circostanze ammorbidita quando la Corte stessa ha valutato che la controversia potesse essere ricompresa nell’ambito del diritto civile[6].

Ma nonostante queste singole decisioni, la posizione tradizionale della Corte si è riproposta con piena forza è ritornata di piena forza alla ribalta in alcuni importantissimi casi[7]. Ciò ha, però, sollevato critiche significative in particolar modo a partire dal caso Ferrazzini.

3. La determinazione di un’accusa penale: le sanzioni fiscali possono avere profili penali

Per stabilire se una controversia sia penalmente rilevante oppur no, la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo ricorre tradizionalmente ai cosiddetti criteri Engel[8].

I criteri Engel prevedono l’applicazione di tre prove ai casi sottoposti alla Corte: 1) la classificazione formale della fattispecie nella legislazione domestica; 2) la natura dell’illecito; 3) il grado di severità della possibile sanzione. La prima prova è particolarmente significativa in quanto può evitare che la classificazione nazionale di un illecito come “penale” o meno determini l’applicazione delle garanzie previste dall’art. 6 (che sono in genere più ampie)[9].

La Corte ha mostrato una costante tendenza ad estendere l’applicazione dell’art. 6 alle controversie penali, ed ha spesso utilizzato i criteri Engel in combinazione fra di loro, per rafforzarne l’efficacia e per poter così classificare i casi come penali[10].

Le controversie tributarie sono state trattate nello stesso modo, anche se, da un punto di vista formale, le sanzioni fiscali non ricadono nell’ambito della giurisdizione penale, ma sono normalmente disciplinate dalla legislazione amministrativa[11].

Due importanti decisioni della Corte si profilano come esempi significativi della sua volontà di estendere le garanzie dell’art. 6 alle controversie fiscali, grazie alla classificazione come penali delle sanzioni applicate ai contribuenti.

Nel caso Bendenoun vs Francia, la Corte: “ha preso in considerazione i numerosi fattori che suggerirebbero la natura amministrativa della sanzione fiscale. Ha evidenziato, tuttavia, alla luce dei suoi precedenti, la preponderanza di altri fattori che invece qualificano come penale la sanzione stessa[12].

Nel caso Jussila vs Finlandia, la Corte ha nuovamente statuito che “ sebbene le sanzioni fiscali imposte nella controversia siano parte del regime tributario, esse sono stabilite da una norma il cui proposito è deterrente e punitive. La fattispecie, pertanto, ha natura criminale[13].

4. (segue) le decisioni finali della Corte

Dopo aver stabilito che, nei casi sopra citati, l’art. 6 si applica alle controversie tributarie “per determinare (…) la fondatezza di un’accusa penale”, la Corte si trova, finalmente, a dover decidere se il diritto del contribuente ad un equo processo sia stato o meno violato[14].

In entrambi i casi Bendenoun e Jussila (sebbene, si ribadisce, da un punto di vista di classificazione generale questi siano considerati due precedenti di riferimento in materia) la Corte ha poi deciso che non vi sia stata violazione dell’articolo 6, avendo valutato che nei rispettivi procedimenti nazionali i requisiti del giusto processo fossero stati rispettati.

Ad ogni modo, numerosi altri casi possono essere citati come esempi in cui la violazione dell’art. 6 sia stata statuita dalla Corte, spesso all’unanimità[15].

5. Conclusioni

Appare chiaro come il problema fondamentale dell’estensione del “diritto ad un equo processo” alle controversie tributarie non sia stato ancora risolto in maniera soddisfacente, in quanto la Corte non riconosce l’applicazione dell’art. 6 ai casi, per così dire, “puramente fiscali”.

Seguendo questa prassi, però, la natura unitaria del diritto tributario e della disciplina del processo tributario si perde in questioni di classificazione, e l’estensione incondizionata delle garanzie, da lungo dovuta, non oltrepassa la soglia dell’approccio casistico[16].

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Footnotes    (↵ returns to text)
  1. Come citare questo articolo: V.M. Ariemme, L’applicazione della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo alle controversie tributarie: il diritto ad un giusto processo nelle questioni fiscali, in Studi Tributari Europei, n. 2/2014 (www.seast.it/rivista), pagg.24-28.
  2. Valentina Maria Ariemme, Dottoranda di ricerca in Diritto Tributario Europeo presso l’Università di Bologna.
  3. La Gran Bretagna è stata il primo Paese a ratificare la Convenzione, nel  Marzo 1951; a seguire, la Germania nel 1952, l’Italia nel 1955, etc. Per una panoramica generale, si veda il sito internet del Consiglio d’Europa, Ufficio Trattati (http://conventions.coe.int).
  4. La casistica dei procedimenti tributari può essere visionata sul sito internet della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo (https://www.echr.coe.int). Cfr., anche, P. Baker, Taxation and Human Rights, in GITC Review, Vol. 1. No.1, 2001.
  5. P. Baker, op. cit.
  6. J. Malherbe., in Per una Costituzione Fiscale Europea, 2008, p. 262-266. Si vedano le decisioni della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo (CEDU) Hentrich vs France, 22.9.1994, e National and Provincial Building Society, Leeds Permanent Building Society and The Yorkshire Building Society vs UK, 23.10.1997.
  7. Si vedano, fra le altre, le sentenze CEDU Schouten and Meldrum vs The Netherlands, 9.12.1994, e Ferrazzini vs Italy, 12.07.2001.
  8. Sentenza CEDU Engel and others vs the Netherlands, 8.6.1976.
  9. In termini più chiari, la prima prova significa che la classificazione nazionale da sola non è sufficiente a stabilire se un illecito sia penale, o meglio se un illecito non sia penale.
  10. F.Crisafulli, Relazione su CEDU e giusto processo tributario, Università di Pescara (http://www.scigiur.unich.it/eventi).
  11. In Italia, per esempio, il regime delle sanzioni fiscali è disciplinato dai Decreti Legislativi n. 471/1997 e 472/1997.
  12. Sentenza CEDU Bendenoun vs France, 24.2.1994. I fattori predominanti elencati dalla Corte erano: la natura dell’illecito di cui è stato accusato il signor Bendenoun ai sensi della legislazione francese; il fatto che le sanzioni tributarie non erano intese come una compensazione pecuniaria a fronte di un danno, ma come una punizione; la considerazione che tali sanzioni erano state imposte ai sensi di una legge generale, il cui proposito era sia deterrente che punitivo; e, infine, l’osservazione che l’ammontare delle sanzioni era sostanziale.
  13. Sentenza CEDU Jussila vs Finland, 23.11.2006.
  14. P. Baker, The application of the European Convention on Human Rights to tax matters in the UK, p. 21-25 (http://www.taxbar.com).
  15. Fra le altre, si vedano: sentenza CEDU J.J. vs the Netherlands, 27.3.1998, in cui la Corte ha deliberato che fosse stato violato il diritto della parte ad avere un procedimento in contraddittorio (vale, a dire, il diritto a conoscere tutti gli elementi probatori presentati di fronte al giudice nazionale). Sentenza CEDU J.B. vs Switzerland, 3.5.2001, in cui la Corte ha riconosciuto il diritto del contribuente a rimanere in silenzio per non incriminarsi. Sentenze CEDU Janosevic vs Sweden e Vastberga Taxi Aktiebolag and Vulic vs Sweden, entrambe del 23.7.2002, dove la Corte ha stabilito all’unanimità che c’era stata violazione dell’art. 6 comma 1 a causa dell’eccessiva lunghezza dei procedimenti nazionali.
  16. Fra gli altri, J. Malherbe, op.cit.; E.Della Valle, Il giusto processo tributario. La giurisprudenza della C.edu, in Rassegna Tributaria, 2/2013.