Il segreto bancario viola i diritti umani riconosciuti a livello internazionale? [1]
Il segreto bancario nei Paesi in via di sviluppo nonché l’utilizzo di conti correnti esteri pone una questione assai problematica: gli Stati che offrono regimi fiscali privilegiati ai cittadini benestanti dei Paesi in via di sviluppo violano i diritti umani riconosciuti a livello internazionale?
In ambito europeo, vi sono stati progressi significativi nel porre un limite al segreto bancario, in quanto esso consente l’evasione fiscale di cittadini europei attraverso l’utilizzo di conti stranieri[3]. Le recenti concessioni di Austria, Lussemburgo e Svizzera segnalano l’inizio della fine del segreto bancario in Europa e la conseguente implementazione dell’utilizzo dello scambio automatico delle informazioni sui redditi, conseguiti dai cittadini europei, depositati in conti esteri di un secondo Stato membro[4]. Tuttavia, non vi è alcuna certezza sul fatto che il segreto bancario a livello europeo venga del tutto eliminato o che lo scambio automatico d’informazioni possa essere applicabile ai conti intestati a cittadini, ma che sono localizzati in Paesi terzi. Inoltre, il tax gap creato dall’esistenza di conti esteri è un problema molto più grave per i Paesi in via di sviluppo che per quelli già sviluppati e per le economie industrializzate. Solo circa il 2% della ricchezza privata in Nord America e l’8% della ricchezza europea è investito all’estero, a fronte dell’oltre il 25% dell’America latina ed il 33% del Medio Oriente e Africa[5]. Qual è l’entità del tax gap creato dai conti offshore per i Paesi in via di sviluppo?
Le informazioni sul reddito e patrimonio collegati ai conti offshore sono attualmente protette da leggi che impongono la riservatezza, con la conseguenza che la loro divulgazione costituisce reato. Pertanto, le stime del tax gap causato dai conti offshore sono difficili da quantificare e possono essere inaffidabili. Secondo una prima stima, le entrate tributarie perse ogni anno a causa di questo tipo di evasione fiscale, compresa quella dovuta ai conti offshore è sull’ordine dei 120 miliardi di dollari l’anno[6]. Più recenti valutazioni elaborate dal Tax Justice Network suggeriscono che la ricchezza offshore complessivamente detenuta da cittadini o residenti in Paesi in via di sviluppo è di due o tre volte maggiore rispetto a quanto precedentemente stimato, quindi il gettito fiscale perduto potrebbe essere di molto maggiore[7]. Quello che è certo è che tale andamento è in crescita. Secondo autorevole dottrina, in specie il Prof. Itai Grinberg: “la capacità di fare, tenere e gestire gli investimenti, attraverso istituti finanziari offshore è aumentato drasticamente negli ultimi anni, mentre il costo di tali servizi è crollata”. In relazione a ciò, o gli individui lo trovano sostanzialmente più facile o non riescono a dichiarare i redditi investiti attraverso l’utilizzo di conti offshore; l’esperienza suggerisce che tali conti possono essere utilizzati anche per agevolare l’evasione dell’imposta che grava sui redditi prodotti da operatori economici nello Stato. Di conseguenza, il capitale detenuto in conti offshore, nonché i redditi di investimento generati attraverso tali conti, possono sfuggire alla tassazione[8]. Inoltre, secondo il Prof. Grinberg, “In molte economie in via di sviluppo, la maggior parte della base imponibile è spesso concentrata nelle mani di un gruppo di individui benestanti. Le istituzioni finanziarie nazionali sono, di norma, poco sviluppate. Inoltre, per i soggetti più ricchi è consuetudine effettuare investimenti attraverso conti offshore…Pertanto, la tassazione della ricchezza offshore dovrebbe essere di maggiore importanza per l’America Latina, Medio Oriente e Africa, piuttosto che per gli Stati Uniti, il Canada o per le maggiori economie europee”[9]. Nessun accordo internazionale sui diritti umani menziona il segreto bancario o l’evasione fiscale. Inoltre, nessun trattato internazionale in materia fiscale parla di diritti umani. Tuttavia, il segreto bancario ha un significativo impatto sui diritti umani soprattutto nella misura in cui i governi dei Paesi in via di sviluppo sono privati delle risorse necessarie per garantire i diritti fondamentali sanciti dal Patto internazionale sui diritti economici, sociali, e culturali. Il Patto è entrato in vigore nel 1976 e conta attualmente 160 Stati aderenti. Tra gli Stati aderenti ci sono anche diverse giurisdizioni note per il segreto bancario, tra cui la Svizzera e il Lussemburgo (ma non Singapore e Hong Kong). Il Patto riconosce esplicitamente i diritti individuali ad una alimentazione adeguata, al vestiario e all’alloggio (articolo 11); all’assistenza sanitaria, acqua potabile, servizi igienico-sanitari (articolo 12); all’istruzione (articolo 13). Esso impone anche obblighi agli Stati membri per l’attuazione di tali diritti.
L’articolo 2 stabilisce: “Ogni Stato aderente al presente Patto si impegna ad operare…al massimo delle proprie risorse disponibili, al fine di conseguire progressivamente la piena realizzazione dei diritti riconosciuti nel presente Patto“. Viene riconosciuto il fatto che i governi abbiano delle difficoltà nel raggiungere tali obiettivi a causa delle limitate risorse disponibili; ma al contempo, impone l’obbligo di migliorare gradualmente tale condizione, cioè, di adottare misure per realizzare i diritti enunciati. Così, alla stregua del Patto, gli Stati hanno l’obbligo di perseguire la “progressiva realizzazione”.
Il problema sorge nel momento in cui gli obblighi derivanti dal Patto potrebbero avere una valenza extraterritoriale. Le parti aderenti hanno l’obbligo di migliorare progressivamente i diritti enunciati solo in quei territori su cui hanno giurisdizione, oppure anche sui territori in cui non hanno giurisdizione? Benché non esista nessuna esplicita previsione che limiti il rispetto degli obblighi al proprio contesto nazionale, l’interpretazione fornita dalla lettura del Patto va ne senso che gli obblighi extraterritoriali non sono considerati. Quando ci si riferisce in generale ai diritti all’alimentazione, ai vestiti, alle cure mediche, all’acqua pulita, all’igiene, all’edilizia e istruzione secondo gli articoli 11, 12, e 13, il Patto sembra assumere un significato per cui gli obblighi del governo si limitano alle tutele degli individui che si trovano nella propria giurisdizione.
L’articolo 14 si riferisce specificamente all’obbligo di uno Stato di fornire l’istruzione primaria “nel suo territorio metropolitano o in altri territori sotto la sua giurisdizione”. Tuttavia, un comitato di esperti legali nominato dalla Maastricht University e la Commissione internazionale dei giuristi, interpreta tale normativa come fonte di obblighi extraterritoriali. Nel febbraio 2012, tale comitato ha proposto i cosiddetti “Principi di Maastricht” in base ai quali: “lo Stato ha l’obbligo di rispettare, proteggere e realizzare pienamente i diritti economici riconosciuti dalla CES Covenant in…situazioni nelle quali gli atti o le omissioni dello Stato determinano effetti prevedibili sul godimento dei diritti economici, sociali e culturali, sia all’interno che all’esterno del suo territorio” e in “situazioni in cui lo Stato…è in grado di esercitare un’influenza determinante o ad adottare misure per realizzare i diritti economici, sociali e culturali al di fuori del suo territorio in conformità del diritto internazionale”[10].
In particolare, gli articoli 19 e 20 del Trattato di Maastricht invitano gli Stati ad “astenersi da comportamenti che annullano o compromettano il godimento e l’esercizio dei diritti economici…dei diritti delle persone fuori dal loro territorio…o che alterino la capacità di un altro Stato a conformarsi…agli obblighi in materia di diritti economici di un altro Stato”.
Vi sono altre due possibili circostanze che portano a concludere che uno Stato qualificato come paradiso fiscale, per la presenza di conti offshore, viola i diritti umani riconosciuti dalla Convenzione. Anche se le Autorità del Paese del titolare del conto ricevessero le informazioni inerenti conto offshore, potrebbero non essere in grado di raccogliere le entrate legalmente dovute. Inoltre, anche se il gettito venisse raccolto, non vi è alcuna garanzia che esso verrà utilizzato per realizzare progressivamente i diritti riconosciuti dal Patto. Pertanto, non vi è certezza di come si potrebbe sviluppare la relazione tra il fatto che uno Stato garantisce la segretezza dei delle informazioni sui conti correnti e la circostanza che un secondo Paese possa fallire nella realizzazione progressiva dei diritti sanciti nella Convenzione. Vi sono anche vari gradi di responsabilità dello Stato per i conti offshore localizzati nella propria giurisdizione. Il grado di responsabilità può dipendere dal fatto che uno Stato, dotato di leggi sul segreto bancario che puniscono la divulgazione di informazioni finanziarie tra le Amministrazioni finanziarie, non riesce ad applicare una ritenuta alla fonte sui conti offshore in misura sufficiente per scoraggiare il loro uso a fini evasivi, oppure evade le richieste di informazioni sui conti offshore provenienti da altri governi che conducono indagini sul contribuente, o che dimostra di non voler compiere sforzi per consentire un più ampio scambio automatico di informazioni. La responsabilità è particolarmente rilevante nel caso della Svizzera, che gestisce il 30% di tutta la ricchezza detenuta tramite conti offshore. Tale nazione ha un regime giuridico che sanziona la divulgazione di informazioni finanziarie, e si è rifiutata di applicare la ritenuta sui redditi derivanti dai conti offshore e di fornire informazioni finanziarie sugli stessi; tale circostanza è stata limitata quando il Paese è stato posto sotto pressione da parte di governi più “potenti”, come Germania, Regno Unito e Stati Uniti, o quando esso si è trovato d’accordo sull’applicazione di una ritenuta alla fonte ad un determinato gruppo di paesi (Stati membri UE deboli) quale meccanismo per limitare la pressione di aiutare gli altri Stati spesso più poveri (almeno sul PIL / base pro capite). Non esiste un meccanismo internazionale per far rispettare il Patto anche quando viene posta in essere una chiara violazione. Le parti sono tenute a presentare relazioni periodiche al Comitato delle Nazioni Unite sull’attuazione, ed un protocollo opzionale permette agli individui di presentare le denunce di violazioni. Infine, non può essere dirimente per stabilire (definitivamente) se una questione tecnica, come il mantenimento del segreto sui conti offshore, costituisce una violazione dei diritti umani internazionalmente riconosciuti. Se gli obblighi nazionali in forza del Patto avessero valenza extraterritoriale, se le entrate dovute fossero in realtà riscosse, e se una volta riscosse fossero utilizzate in modo appropriato, diverrebbe meno importante il fatto che la segretezza dei conti offshore rende difficile per i Paesi in via di sviluppo l’attuazione degli obblighi del Patto. Sembra quindi incontestabile che i conti offshore impediscono la piena realizzazione dei diritti umani internazionalmente riconosciuti. Il riconoscimento di questo fatto potrebbe accelerare il crescente sforzo internazionale per contenere il segreto bancario sui conti offshore e, al contempo, l’implementazione di un sistema di scambio automatico di informazioni multilaterale in grado di portare beneficio sia ai Paesi in via di sviluppo che a quelli industrializzati.
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- Come citare questo articolo: S. B. Cohen, Il segreto bancario viola i diritti umani riconosciuti a livello internazionale?, in Studi Tributari Europei, n. 2/2014 (www.seast.it/rivista), pagg. 18-23.↵
- Stephen B. Cohen, Professore alla Georgetown Law School.↵
- Andrew Higgins, Europe Pushes to Shed Stigma of a Tax Haven, The New York Times, May 23, 2013, page 1.↵
- In forza dello scambio automatico di informazioni, per esempio, un cittadino tedesco non sarebbe più in grado di proteggere i propri redditi di capitale da tassazione attraverso la creazione di un conto offshore in Svizzera. L’istituto finanziario depositario del conto offshore sarebbe infatti obbligato a riferire il reddito derivante dal conto all’Amministrazione finanziaria. Le leggi sul segreto bancario svizzero non permetteranno più di nascondere il reddito di capitale derivante da un conto offshore alle Autorità tedesche.↵
- BOS. CONSULTING GRP., GLOBAL WEALTH 2011: SHAPING A NEW TOMORROW 13 (2011) at 5, 7, 13 and n.3.↵
- Osservazioni di Jeffrey Owens, l’allora direttore del Comitato per gli affari fiscali, riunione informale dei task force dell’OCSE sulla Fiscalità e sviluppo (10-11 maggio 2012), OECD Development Assistance Committee, Investing in Development: A Common Cause in Changing World, OECD 3 (2009).↵
- Tax Justice Network.↵
- Itai Grinberg, The Battle Over Taxing Offshore Accounts, 60 UCLA Law Rev. 304, 308 (2012).↵
- Id., p. 309.↵
- I Principi di Maastricht sugli obblighi extraterritoriali degli Stati membri in materia di diritti economici, sociali e culturali, disponibile all’indirizzo.↵