Imposizione e Diritti Umani [1]

Yoseph M. Edrey [2]

1. Introduzione: il ruolo delle imposte nelle democrazie moderne

Le imposte sono sempre state percepite come una minaccia per i diritti umani, sin dall’età antica, quando erano viste come simbolo del potere illimitato dei monarchi e dei regimi totalitari. La descrizione biblica del profeta Samuele esprimeva efficacemente questo timore: “Queste saranno le pretese del re che regnerà su di voi: prenderà i vostri figli per destinarli ai suoi carri e ai suoi cavalli, […]Prenderà anche le vostre figlie per farle sue profumiere […]. Si farà consegnare ancora i vostri campi, le vostre vigne, i vostri oliveti più belli e li regalerà ai suoi ministri. Sulle vostre sementi e sulle vostre vigne prenderà le decime […]. Vi sequestrerà gli schiavi e le schiave, i vostri armenti migliori e i vostri asini e li adopererà nei suoi lavori. Metterà la decima sui vostri greggi e voi stessi diventerete suoi schiavi”[3].

Fortunatamente, nelle democrazie moderne le cose sono cambiate. Il popolo ora è il vero sovrano. Come esplicitato dalla teoria del cd. “contratto sociale”, siamo ora disponibili ad assicurare obbedienza al governo eletto soltanto laddove le sue azioni siano idonee a garantire sicurezza e a promuovere un miglioramento delle nostre vite, nonché un aumento del benessere generale. Diamo, così, esecuzione, attraverso i nostri rappresentanti nei Senati, nei Parlamenti e nelle Camere dei rappresentanti, ad un sistema legale vincolante a cui ci atteniamo nella speranza di poter in tal modo migliorare il nostro benessere e prosperità. Il diritto tributario è parte integrante di questo sistema.

La maggior parte delle Costituzioni moderne contiene diverse varianti del principio secondo cui “nessuna tassazione è ammessa senza legittimazione giuridica”. Nella moderna era costituzionale, ciò equivale a dire che “nessuna tassazione è ammessa senza consenso pubblico”; in altri termini, a nessuno può essere richiesta una prestazione patrimoniale senza il suo consenso.

Il fatto che in una democrazia i tributi possano essere istituiti solo in virtù di un atto legislativo – il quale è votato dal popolo nella veste dei rappresentanti pubblici – significa che la l’imposizione è il prodotto del consenso collettivo a pagare il prezzo per i beni e i servizi pubblici offerti dal Parlamento eletto. Tuttavia la mera legittimazione non è sufficiente. Il contenuto delle normative tributarie dovrebbe essere accettato dal pubblico. In alcune costituzioni moderne esistono specifiche linee guida riferibili ai principi fondamentali a cui le previsioni di natura fiscale devono attenersi[4].

In seno a ogni legge tributaria risiede l’implicita affermazione che tutti i contribuenti accettano l’imposizione ed acconsentono a pagare le imposte in cambio di beni e servizi pubblici forniti grazie alla copertura finanziaria offerta dal gettito derivante dalle imposte medesime. Si può mettere in discussione tale assunto solo qualora sia possibile dimostrare che nessun membro responsabile della nostra società acconsentirebbe a pagare una determinata imposta. In altre parole, l’imposta deve presentare determinate caratteristiche per essere considerata un’imposta accettata e accettabile, o come suggerisce Adam Smith, deve mantenersi aderente ai quattro canoni della “buona tassazione”, ossia deve essere:

1. certa e non arbitraria;

2. il più conveniente possibile per il contribuente;

3. efficiente;

4. giusta ed equa.

Si noti che gli economisti moderni suggeriscono alcuni criteri addizionali, come la neutralità (che è un concetto leggermente diverso dall’efficienza) e la flessibilità, sì che il modello impositivo possa essere facilmente adattato al sistema economico ed alla politica fiscale del governo eletto. Il mio ragionamento è abbastanza semplice: ogni imposta che non segue i canoni basici della “buona tassazione” potrebbe non superare il vaglio di compatibilità costituzionale. Come affermato in apertura, le leggi tributarie possono essere percepite come una minaccia per i diritti umani, per gli interessi costituzionali e per i principi fondamentali. Di seguitò tratterò di quattro diritti umani astrattamente suscettibili di essere violati dalle leggi tributarie.

2. Dignità umana ed eguaglianza

Uno dei principali obiettivi della simbolica “stipula del contratto sociale” è quello di assicurare che ad ogni membro della società sia garantito il diritto alla propria dignità di essere umano. La dignità umana è, infatti, il nucleo stesso dei diritti umani. La Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo sancisce nel suo preambolo: “Considerato che il riconoscimento della dignità inerente a tutti i membri della famiglia umana e dei loro diritti, uguali ed inalienabili, costituisce il fondamento della libertà, della giustizia e della pace nel mondo…”. L’articolo 1 della medesima Dichiarazione, inoltre, dichiara che “tutti gli esseri umani nascono liberi ed eguali in dignità e diritti”. La maggior parte delle costituzioni fa espresso riferimento alla Dignità Umana[5].

Sebbene la Costituzione Americana non menzioni espressamente il termine “dignità”, la Corte Suprema degli Stati Uniti ha da tempo riconosciuto che la dignità degli individui costituisce il cuore del Primo Emendamento[6].

2.1 Dignità Umana e Esistenza Dignitosa

La cd. “terza generazione di diritti umani” è costituita dai diritti sociali ed economici[7]. La tradizionale classificazione demarca una distinzione[8] tra diritti umani passivi/negativi – i quali sono protetti dalle violazioni determinate dal governo – e diritti sociali attivi/positivi, in virtù dei quali il depositario di tali diritti è legittimato a vedersi riconosciuti dal governo determinati beni e servizi ai fini del mantenimento di un certo tenore di vita[9].

Anche con riferimento al contesto statunitense, dove i diritti sociali non sono direttamente menzionati nella Costituzione, l’economista Arthur Okun ha commentato nel 1975: “[T]he assurance of dignity for every member of the society requires a right for a decent existance – to minimum standard of nutrition, health care and other essential of life. Starvation and dignity do not mix well. ….[10].

Al fine di permettere un’esistenza dignitosa a tutti i membri del consesso sociale, i divari e le ineguaglianze devono essere perlomeno attenuati, non solo per ragioni di natura etico-normativa ma anche alla luce di istanze di efficienza economica[11]. Proprio allo scopo di garantire un’esistenza dignitosa a tutti i consociati, il governo necessita di fondi, i quali sono stanziati attraverso il gettito fiscale[12].

In tale prospettiva, un’imposta su redditi progressiva è uno strumento efficiente per superare le ineguaglianze, nonché al fine di prevenire e anche di rafforzare principi di matrice costituzionale quali la parità delle opportunità e l’inviolabilità della dignità umana.

2.2 Eguaglianza e imposizione regressiva

Sebbene la maggior parte dei modelli di imposta sui redditi preveda scaglioni di tipo progressivo, i dati più recenti, aventi ad oggetto specialmente gli Stati Uniti, testimoniano una evoluzione del sistema impositivo verso tipologie di prelievo più marcatamente regressive. Tra gli altri[13] il Professor Joseph Stiglitz, Premio Nobel per l’Economia, descrive i rischi economici che gli USA si trovano ad affrontare a causa dei grandi divari di tipo economico-sociale e del crescente tasso di povertà.

Nello specifico, Stiglitz identifica due principali ragioni alla base del drastico aumento delle ineguaglianze nella nostra epoca: la deregolamentazione del settore finanziario e la riduzione della progressività del sistema impositivo. Con riferimento all’ultimo aspetto, egli descrive la nuova tendenza statunitense a diminuire l’aliquota marginale massima: in principio, l’aliquota massima fu diminuita dal 70% al 28%, per essere, in seguito, aumentata sino al 39.6% e poi ridotta nuovamente al 35%. Successivamente, tuttavia, le imposte sulle categorie di reddito tipicamente imputabili ai ceti più abbienti (le plusvalenze, per esempio, più della metà delle quali vengono incassate applicando un’aliquota dello 0.1%) sono state ulteriormente ridotte, dal 20% sino al 15%. Il risultato è che i 400 soggetti titolari del reddito più elevato degli USA hanno pagato, nel 2009, mediamente un’aliquota d’imposta pari al 19.9%. Inoltre, l’1% più ricco della popolazione statunitense è soggetto ad imposizione con aliquote che si aggirano intorno al 20%, quindi inferiori alle aliquote a cui è sottoposta la porzione di popolazione statunitense che detiene redditi più modesti[14].

In altri termini, il sistema tributario americano, come, del resto, quello di altri Paesi, è progressivamente divenuto un sistema impositivo di tipo regressivo. Degno di nota è il fatto che l’investitore Milionario Warren Buffet rivolga feroci critiche a tale modello, prendendo atto che continuerà ad essere assoggettato a un’aliquota d’imposta inferiore a quella a cui è assoggettata la sua segretaria[15]. Come ho pocanzi lasciato intendere, un tale sistema impositivo non costituisce soltanto un problema di natura politica. Le persone sono tenute a pagare le imposte in modo commisurato ai benefici di cui godono in base all’ordine sociale fornito dal governo eletto attraverso i beni e i servizi pubblici. Ebbene, si è rilevato che i contribuenti più facoltosi tendono a beneficiare maggiormente dei servizi pubblici principali, tra cui il riconoscimento e la tutela della proprietà privata, l’accesso al mercato economico, la sicurezza nazionale e domestica, il rispetto della legge che permette loro di operare ottenendo guadagni e profitti.

Per questo motivo, un sistema impositivo di tipo regressivo non suscita problemi ed interrogativi solamente dal punto di vista morale ed etico, ma, come sto cercando di far emergere in questo breve contributo, determina la violazione dei diritti umani, costituzionalmente riconosciuti, di uguaglianza e dignità umana.

2.3 Dignità umana e Consumo discrezionale

Sempre con riferimento al rapporto tra dignità umana e imposta sul reddito delle persone fisiche, occorre interrogarsi circa le implicazioni del principio generale per cui, laddove un’imposta riduca in povertà il contribuente, tale imposta si porrebbe in violazione del diritto costituzionale alla dignità umana La Commissione Carter in Canada[16] ha definito la base imponibile come “il potere economico discrezionale” dell’individuo, così alludendo al fatto che il governo non dovrebbe tassare tutta la ricchezza dei contribuenti, ma dovrebbe escludere dalla base imponibile quella porzione necessaria per i consumi non discrezionali, ossia atti a garantire l’acquisto dei beni indispensabili alla vita umana (cd. minimo vitale). Ciò include i fondi necessari per un’abitazione, per l’alimentazione, per l’assicurazione medica o i servizi, per l’educazione, ecc. Per l’appunto, la maggior parte dei modelli d’imposizione diretta nel mondo permette che una piccola porzione di reddito non sia assoggettata ad imposizione mediante sistemi di esenzione personale o di credito d’imposta.  

3. Proprietà privata

Viene da taluni affermato che ogni imposta sia suscettibile di violare il diritto costituzionale alla proprietà privata in quanto ogni imposta sottrae al contribuente parte della sua proprietà per destinarla all’Erario[17]. È mia opinione[18] che una buona imposta non viola il diritto alla proprietà privata. Tale convinzione trova fondamento in due considerazioni, ossia, da un lato, sulla natura del processo di produzione del reddito e, dall’altro, sulla concezione del contribuente come consumatore di beni e servizi pubblici.

3.1 Produzione del reddito, progetto comune e alleanza economica

La prima considerazione poggia su ciò che io chiamo “progetto comune”, radicato nella teoria di John Locke a proposito della giustificazione della proprietà privata fondata sul lavoro[19], secondo la quale, in sintesi, gli esseri umani detengono un naturale ed esclusivo diritto di proprietà sui beni per i quali hanno impegnato il proprio lavoro.

Tuttavia, anche se ignoriamo le due famose condizioni etiche che Locke ha aggiunto[20], un’attenta analisi non può che condurre alla conclusione che il processo di formazione del reddito riguarda non solo il lavoro del contribuente ed i suoi frutti[21], ma anche un altro fattore di produzione: il cd. “social capital[22], ossia l’insieme delle istituzioni, delle relazioni e delle normative che informano la qualità delle interazioni fra i componenti di una società.

Da ciò discende che il diritto di proprietà di un individuo è suscettibile di essere limitato soltanto dalla componente che tale individuo, con il proprio lavoro, aggiunge al “social capital”. In altri termini, qualora un individuo produca o incrementi il proprio patrimonio con le sole proprie forze, tale individuo ne sarà il proprietario esclusivo. Per contro, qualora un individuo lavori insieme ad altri soggetti – nel caso, dunque, un gruppo di persone unisca il proprio lavoro producendo, in tal modo, ricchezza, beni o proprietà – tale patrimonio apparterrà a tutti i membri del gruppo e ciascun membro avrà diritto ad una quota proporzionale del patrimonio.

Le conoscenze odierne ci permettono, inoltre, di compiere un ulteriore passo in questa analisi. L’attività d’impresa, che non è, in pratica, altro che un intreccio di contratti[23], è l’incarnazione stessa del concetto di “Progetto congiunto”. Perché i frutti del lavoro possano essere trasformati in ricchezza e consumo sono necessari alcuni prerequisiti basilari, ossia proprio il “social capital”. Al fine di facilitare la trasformazione del lavoro in altri beni e servizi l’imprenditore necessita, ad esempio, di mercati funzionanti, che permettano un commercio efficiente e affidabile. Il processo di produzione della ricchezza e del reddito comporta l’impiego di alcuni fattori/mezzi di produzione: il Capitale Reale (denaro, proprietà fondiaria e patrimonio acquisito con il capitale reale) il Capitale Umano (lavoro, tempo, conoscenza, capacità e abilità) e il “Social Capital”, il quale, come detto, rappresenta le istituzioni, le relazioni e le norme che danno forma alla qualità e alla quantità delle interazioni di una società (le infrastrutture fisiche nazionali, l’efficacia dell’implementazione della legge, la coesione sociale e solidarietà, il sistema educativo, il grado di ricerca, il sistema sanitario, un mercato efficiente e funzionante, la forza lavoro, la sicurezza nazionale e domestica, la stabilità politica, il progresso della tecnologia).

Tornando alla concezione Lockeiana, i frutti del lavoro derivanti da un prodotto di un lavoratore non sono altro, in realtà, che i frutti della produzione derivanti dall’insieme dei tre fattori di produzione summenzionati. Okun fornisce un esempio del contributo fornito dal “social capital” alla produzione del reddito: “Henry Ford’s mass-produced automobile was a great success in a country with a high average income, three thousand miles for unimpeded driving, an alert and ambitious work force, and a government that could protect travelers and enforce the rules of the road. It would be a loser in Libya.” Di conseguenza, la necessaria “sinergia modena” comporta che i diritti di proprietà non sono solo i diritti fondamentali e naturali degli individui, ma anche il risultato della vita di comunità e delle interazioni sociali. Degna di menzione è, altresì, la Relazione della Società delle Nazioni pubblicata nel 1923 da uno speciale comitato professionale con riguardo alla tassazione delle attività internazionali[24].

Gran parte di tale Relazione era basata sul libro del Professor Edwin R. A. Seligman[25], il quale ha enunciato la dottrina della cd. “alleanza economica”. Il fulcro di tale teoria è l’affermazione secondo cui il contribuente deve la propria “alleanza economica” agli Stati che gli assicurano le condizioni per creare il proprio benessere. Il nucleo essenziale del processo di produzione si realizza, infatti, nel luogo in cui i prodotti generano il proprio valore economico, senza il quale tutti gli sforzi umani volti alla produzione di beni e servizi sarebbero essenzialmente inutili. Il processo di produzione della ricchezza e del reddito dipende, in questo senso, non solo dall’esistenza di un sistema giuridico che riconosca la proprietà e la tuteli, ma anche dall’esistenza di un’economia di mercato che garantisca la domanda, l’efficienza del commercio e la presenza di consumatori adeguati.

Nessuna reale ricchezza può essere prodotta senza l’esistenza di una società organizzata. Bill Gates non avrebbe sviluppato i propri prodotti senza l’esistenza di istituti di formazione, della ricerca pubblica, dell’università e centri di ricerca, di una popolazione istruita capace di utilizzare i prodotti che la sua società produce. Inoltre, Bill Gates non avrebbe ottenuto la sua fortuna in assenza di un sistema giuridico che la riconosce come sua proprietà personale e che gli assicura l’applicazione della legge e gli offre un sistema di sicurezza nazionale. La conclusione è che ogni soggetto coinvolto nel “Progetto Comune” ha diritto a una “ricompensa” per il proprio investimento. Mentre il governo eletto effettua gli indispensabili investimenti nelle infrastrutture necessarie, gli individui o gli enti societari apportano capitale umano e reale: conseguentemente, il reddito prodotto appartiene a tutti coloro che hanno investito in queste tre forme di capitale. Per tale ragione, un buon sistema impositivo deve essere assimilabile ad un meccanismo di partecipazione al profitto che garantisca anche al soggetto pubblico, che hanno investito il “social capital”, di ottenere quanto dovuto.  

3.2 Prezzi di acquisto di beni e servizi pubblici

La seconda considerazione che si contrappone all’affermazione secondo cui le imposte violerebbero il diritto alla proprietà privata ha il suo fulcro nella concezione del contribuente come consumatore. Una buona imposta può essere concepita come l’equo prezzo che deve essere corrisposto dal contribuente per l’acquisto di beni e servizi pubblici. I cittadini chiedono al proprio governo eletto di fornire loro determinati beni e servizi ed esprimono il consenso a pagare per i medesimi beni e servizi attraverso le elezioni generali e approvando (mediante i rappresentanti parlamentari) il bilancio annuale nazionale.

Nonostante, nei sistemi democratici, vi siano necessarie e considerevoli differenze fra l’acquisto di un prodotto sul mercato privato e l’acquisto di beni e servizi pubblici, tali differenze non sono, in ultima istanza, significanti e sostanziali. Il denominatore comune fra acquisto di prodotti privati e acquisto di “prodotti” pubblici è molto più significativo di quanto non possa apparire a prima vista. In entrambi i casi, infatti, un individuo non possiede il potere ei stabilire il prezzo dei beni e dei servizi.

La determinazione dei prezzi è, come noto, un processo collettivo. Se, da un lato, in una libera economia di mercato, il prezzo è determinato dall’effetto combinato di domanda e offerta, dall’altro, il prezzo dei beni e servizi pubblici è determinato collettivamente mediante le elezioni e l’approvazione del bilancio annuale nazionale. Per tale motivo, il termine “pagamento obbligatorio” attribuito alle imposte è da ritenersi scorretto e fuorviante. Esiste sempre un obbligo di pagamento per tutti tipi di acquisti di beni e servizi, siano essi pubblici o privati. L’unica differenza significativa è che il fenomeno del parassitismo è più diffuso quando si tratta di acquisto di beni pubblici.

4. Conclusioni

Nel presente contributo, ho tentato di riassumere le mie posizioni con riferimento alla relazione tra imposte e diritti umani, pur limitandomi alla dignità umana, all’eguaglianza e alla proprietà. Le mie argomentazioni possono essere così riassunte:

a) Come ogni altra branca del diritto, il diritto tributario dovrebbe essere assoggettato al rispetto dei diritti e principi di rango costituzionale.

b) Il governo è chiamato ad assicurare che ogni membro della società possa pienamente godere della dignità umana e di una degna esistenza, finanziate dal sistema impositivo.

c) Il carico fiscale dovrebbe riflettere i benefici che i cittadini traggono dai beni e dai servizi pubblici, i quali normalmente riflettono la capacità economica (e, quindi, contributiva) dell’individuo: il cittadino più abbiente beneficia maggiormente dell’ordine sociale, legale ed economico garantito dal governo.

d) Un sistema impositivo di tipo regressivo viola la dignità umana e i principi di eguaglianza.

e) Le imposte che presentano i requisiti fondamentali di una “buona imposta” non costituiscono né pagamenti obbligatori, né una forma di confisca, bensì il prezzo che i cittadini collettivamente accettano di pagare per ricevere beni e servizi pubblici che vengono forniti dal governo eletto.

f) Le “buone imposte” altro non sono che un meccanismo di “distribuzione del profitto” , il quale garantisce a tutti coloro che hanno contribuito a quello che ho definito “Progetto condiviso” (compreso il soggetto pubblico) di ottenere la propria ricompensa.

g) I contribuenti pagano le imposte al fine di poter usufruire di beni e servizi pubblici. Le differenze tra il processo di determinazione dei prezzi per i beni e servizi pubblici, da un lato, e i beni o servizi privati, dall’altro, sono molto meno significative di quanto possa apparire a prima vista.

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Footnotes    (↵ returns to text)
  1. Come citare questo articolo: Y. M. Edrey, Imposizione e Diritti Umani, in Studi Tributari Europei, n. 2/2014 (www.seast.it/rivista), pagg. 7-17.
  2. Yoseph M. Edrey, Professore di Diritto, Università di Haifa, Facoltà di Giurisprudenza. Traduzione a cura di Maria Teresa Sutich, Dottoranda di ricerca in Diritto Tributario Europeo presso l’Università di Bologna.
  3. Profeta Samuele, Libro 1, 8.  
  4. Per esempio l’Articolo 53 della Costituzione della Repubblica Italiana del 1948 sancisce: “Tutti sono tenuti a concorrere alle spese pubbliche in ragione della loro capacità contributiva. Il sistema tributario è informato a criteri di progressività”.  
  5. Si vedano inter alia gli articoli 3, 27 e 41 della Costituzione della Repubblica Italiana.
  6. Cfr. Cohen vs. California, 403 U.S. 15, 24 (1971); Furman v. Georgia, 408 U.S. 238 (1972)
  7. Karel Vasak, “Human Rights: A Thirty-Year Struggle: the Sustained Efforts to give Force of law to the Universal Declaration of Human Rights“, UNESCO Courier 30:11, Paris: United Nations Educational, Scientific, and Cultural Organization, November 1977; L. Henkin “Economic Rights under the U.S. Constitution” 32 Columbia J. Tran. L. 97, (1994-1995).
  8. I. BERLIN, “Two Concepts of Liberty”, in: Four Essays on Liberty, (Oxford, University Press, 1969); H. Kiesling ,Taxation and Public Goods , 245-264. (1992); Georg Jellinek Der subjectiven offentlichen Rechte (1892, 2nd ed. 1905) An English description of Jellinek’s distinction see: “System of Subjective Public Rights”, (Collected Courses Of The Academy Of European Law, 1998, Kluwer International) (Vol.VI, Book 1), pp. 163-165.
  9. Supra, n. 5; Marius Olivier “Constitutional Perspectives on the Enforcement of Socio-Economic Rights: Recent South African Experiences” 33 Victoria U. of Wellington L. Rev. 11, (2002). Su un diritto costituzionale sociale altamente elaborato si considere la Costituzione della Repubblica del Sud Africa del 1996, entrata in vigore l’8 Maggio 1996 ed emendate l’11 ottobre 1996 dall’Assemblea Costituzionale, Act 108 0f 1996 (hereinafter SA Constitution);: http://www.gov.za/constitution/1996/96cons2.htm.
  10. Arthur Okun, Equality and Efficiency – the Big Trade-off (1975), 6.
  11. Cfr. inter alia, Joseph Stigliz, the Price of Inequality, (paperback ed. 2014); Thomas Piketty, Capital in the 21st Century (2014); Jonathan D. Ostry, Andrew Berg, and Charalambos G. Tsangarides, Redistribution, Inequality, and Growth (IMF STAFF DISCUSSION NOTE (2014).
  12. Nonostante ciò si noti conformemente a Piketty, le aliquote estremamente elevate negli USA – entrambe corrispondenti a 70 % per l’imposta sui redditi ed il 50% per l’imposta sulle donazioni ed il patrimonio sono finalizzate a ridurre ineguaglianze nette– un compromesso tra società egualitaria e stato liberale e non per aumentare le entrate; Thomas Piketty, ibid, 505-506.
  13. Supra n.9.
  14. Stiglitz, supra n.9 at page xxxi-xxxii.
  15. Glenn J. Kalinoski , MoneyNwes 04 Mar 2013, http://www.moneynews.com/Economy/Buffett-secretary-tax-payroll/2013/03/04/id/493010/
  16. Report of the Royal Commission on Taxation of Income (1966) (K.L. Carter, Chair), Ottawa, Queen’s Printer.
  17. See inter alia, David G. Duff, “Private Property and Tax Policy in a Libertarian World: A Critical Review”, 18 Canadian Journal of Law and Jurisprudence, 23 (2005).
  18. Yoseph. M. Edrey. “A Declarative and a Constructed Constitution – the Right for Property Under the Israeli Constitutional Law and its location on the ‘Constitutional Rights’ Scale”, (Hebrew) 28 Mishpatim Hebrew University Law Rev. 461 (1997); Y. M. Edrey. “Constitutional Review and Tax Law: An Analytical Framework”, 56 American University Law Review: 1187 (2007).
  19. Locke, Two Treatises of Government Second Treatise. Es. Ch. 7 (Laslett, ed. Cambridge, 1970).
  20. Il diritto è sottoposto a due limitazioni: (a) La proprietà di un individuo è contingente fintanto che non escluda o neghi le necessità reclamate da altri, e (b) l’uomo acquisisce la proprietà solo in dipendenza delle proprie necessità.
  21. Nella vita moderna la proprietà non è limitata al valore aggiunto dal lavoro individuale, ma anche attraverso l’investimento dei frutti di questo lavoro, come il capitale finanziario.
  22. Si veda inter alia il libro del premio Nobel Gary Becker, A Theoretical and Empirical Analysis, with Special Reference to Education (3rd ed. 1993; 1 ed. 1964).
  23. Cfr. inter alia, C. Jensen & W. H. Meckling “Theory of the Firm – Managerial Behavior, Agency Costs and Ownership Structure” 3 Journal of Financial Economics (1976)305; R. H. Coase “The Nature of Firm” 4 Economica (1937)1; Y. Edrey, “Taxation of International Activity: FDAP, ECI and the dual capacity of an Employee as a Taxpayer”, 15 Virginia Tax Rev. (1996) pp.653-684.
  24. Relazione sulla doppia imposizione, League of Nations Doc. E.F.S. 73 F. 19 (1923).
  25. R. A. Seligman, Essay in Taxation (London, 8th ed. 1917).