Diritti dell’uomo, diritti fondamentali e fiscalità internazionale [1]

Marco Greggi [2]

La stagione dei diritti umani in campo tributario sembra conoscere una nuova primavera, almeno in Europa e in tutti quei paesi che con il vecchio continente condividono principi, valori, tradizioni giuridiche. Quando si riflette sulla più recente giurisprudenza della Corte europea, da un lato, e, dall’altro, su quella delle Corti nazionali più attente al sistema di principi e di tutele non si può non prendere atto che la vis expansiva della tutela dei diritti fondamentali sembra davvero feconda di risultati: prova ne è il fatto che anche le supreme magistrature di Corti agli antipodi rispetto alle nostre, come la High Court of Australia, conoscono, studiano e applicano precedenti della Corte di Strasburgo in ambito tributario[3].

Anche nei Paesi più lontani dal vecchio continente, ma con i quali l’Europa condivide tradizioni giuridiche comuni e forme di tutela del contribuente, la protezione dei diritti fondamentali sembra poter scrivere una nuova pagina nei rapporti con l’Erario[4].

Se, da un lato, è vero che l’evoluzione delle forme di garanzia sembra essenzialmente frutto del contributo dottrinale (se non altro negli Stati Uniti), è altrettanto vero che almeno in Europa il Case law delle Corti sembra poter garantire un enforcement delle tutele fondamentali come tale in grado di superare il profilo interpretativo e di policy.

È indubitabile, da questo punto di vista, che si stia assistendo a una svolta fondamentale del sistema fiscale, anche italiano. Dal punto di vista delle fonti, si può osservare che la fiscalità internazionale, o più correttamente il diritto tributario internazionale, nell’accezione che del termine dava l’Udina[5], permea l’ordinamento tributario domestico conducendo, o a tratti imponendo, una interpretazione delle norme orientata a una diversa sensibilità nei confronti delle situazioni giuridiche soggettive coinvolte nell’attuazione del tributo.

La natura del prelievo, il suo ammontare, l’incidenza della norma tributaria nel tempo e nello spazio, la natura non confiscatoria (ablativa) del prelievo tributario, il divieto di doppia imposizione, l’attuazione in contraddittorio della pretesa tributaria, la necessaria tutela processuale del contribuente, e molto altro ancora: non c’è essenzialmente ambito del diritto tributario nel quale la tutela dei diritti dell’uomo (dei diritti fondamentali) non abbia recentemente giocato un ruolo o, comunque, non abbia fatto sentire la propria voce per indirizzare il legislatore, l’autorità amministrativa o lo stesso magistrato verso una interpretazione della norma più coerente con queste sensibilità e con la dimensione europea del fenomeno[6].

Si assiste, così, ad un lento, ma apparentemente inarrestabile, passaggio da forme di tutela di soft law (o forse di diritto mite[7], che dir si voglia) a meccanismi di salvaguarda che finiscono per radicare la loro legittimazione sull’hard law, sia essa statutory-based oppure case-law-based.

Nella prospettiva prettamente giuridica, il passaggio è autenticamente epocale[8], in misura non inferiore a quanto è stato rilevato in letteratura quando si è riscontrata la tutela dei diritti fondamentali “di seconda generazione[9]”, a oltre quattro decenni dalla conclusione della Convenzione europea per i diritti dell’uomo. Se davvero dal punto di vista scientifico è possibile immaginare, almeno per le nazioni di “cultura giuridica affine[10]” (per dirla con la parole della Corte) una convergenza di modelli di attuazione del tributo verso paradigmi comuni, allora è vero che questa convergenza si costruisce pazientemente a partire dal contribuente, dalle sue esigenze di tutela, di garanzia, e in chiave, dunque, di contrappeso a quell’interesse fiscale la cui dimensione intrinsecamente nazionale è indubitabile.

Si tratta, in questo senso, dell’avvio di un modello di diritto comune, uno ius commune fisci che va costruito pazientemente sul primato dell’individuo, del contribuente, dell’uomo, nella prospettiva convenzionale, e che prescinde in questo senso dal contributo di organizzazioni sovranazionali (come l’OCSE) la cui legittimazione nella comunità internazionale non sempre è unanimemente riconosciuta, e nel seno delle quali il processo decisionale a volte non corrisponde ai requisiti di partecipazione (e di legittimazione democratica) che tradizionalmente sono postulati nel sistema tributario occidentale. Diritti dell’uomo e diritti fondamentali vengono, cosi, portati a convergenza nella dimensione tributaria internazionale, nel senso che paiono non esserci ad oggi diritti fondamentali nel settore tributario che non siano anche diritti dell’uomo, e come tali ricavabili, se non altro in via interpretativa, dai testi delle diverse Convenzioni, dei Trattati e dei patti internazionali applicabili[11].

In questa prospettiva, ancor più interessanti sono gli sviluppi della letteratura statunitense[12], tesi a cogliere nei diritti dell’uomo e nei diritti fondamentali una dimensione, per così dire, pretensiva. Proprio in alcuni contributi alla corrente edizione della Rivista emergono profili per i quali la salvaguardia dei diritti dell’uomo nel settore fiscale deve essere letta non solo come tutela dall’imposizione, ma come tutela nell’imposizione e nell’attuazione del prelievo d’imposta[13].

Questo significa non solo che debba essere combattuta un’imposizione irriguardosa dei diritti fondamentali dell’individuo (dalla tutela dell’integrità patrimoniale alla garanzia di un giusto processo), ma anche al tempo stesso che debba essere assicurata un’effettiva imposizione in capo ad ogni singolo consociato alla luce del principio di uguaglianza[14], seppure in linea con le norme positive vigenti nel luogo di residenza, di cittadinanza oppure ovunque la sua capacità contributiva si sia manifestata con un ragionevole criterio di collegamento.

Secondo gli autori che sostengono questa linea interpretativa, ad esempio, non sarebbe conforme ai principi fondamentali (e quindi costituirebbe lezione dei diritti dell’uomo) il comportamento tenuto da determinate giurisdizioni fiscali non collaborative con altre o comunque pronte a facilitare l’occultamento di imponibile, permettendo a banche o istituti di credito di non collaborare in modo efficiente con le autorità straniere[15].

La teoria dei diritti dell’uomo diventa così un nuovo e originale pilastro sul quale fondare la collaborazione fra Stati nell’ottica del perseguimento di una corretta imposizione che pare superare, all’alba del XXI secolo, il paradigma smithiano del canone della giusta imposta, accogliendo un’accezione in base alla quale o l’imposta è giusta anche in una dimensione sovranazionale oppure non è giusta, e in tanto un sistema tributario è conforme ai diritti dell’uomo in quanto esso non facilita da parte del contribuente la violazione di quei doveri stessi presso un’altra giurisdizione. Si tratta di una sensibilità, in questo caso, che pare indubbiamente estranea all’esperienza europea e italiana, almeno nella situazione attuale. È, però, vero che allo stesso risultato sembra giungere anche l’OCSE in sede di rielaborazione del suo modello di convenzione contro le doppie imposizioni nel quadro della recentissima iniziativa “BEPS” sulla erosione della base imponibile e il trasferimento di profitti presso altre giurisdizioni.

La reportistica dell’OECD, e dei suoi policy makers, insiste recentemente[16] per un superamento della convezione come strumento giuridico per attenuare (o, nei migliore dei casi, rimuovere) la doppia imposizione internazionale, valorizzando invece un aspetto che fino ad ora era stato trascurato: quello per il quale la Convenzione dovrebbe divenire non già uno strumento funzionalmente orientato al contrasto di una doppia pretesa tributaria, quanto un elemento volto a garantire una effettiva imposizione sul reddito prodotto, sebbene secondo le regole (e gli ammontari) previsti dallo stato legittimato ad attuare la pretesa.

Insomma, la convenzione oggi diventa elemento funzionalmente idoneo a garantire una effettiva, attuale e concreta tassazione dei redditi transnazionale, ovviando, così, a quei pericoli di doppia non imposizione o di “salto d’imposta”, come in letteratura sono già stati definiti. Si tratta di un passaggio che richiederà tempo e soprattutto sensibilità da parte di interpreti ed operatori per divenire parte integrante del sistema. Il cambio di passo pare, tuttavia, evidente e sicuramente foriero di nuovi sviluppi.

Il numero di Studi Tributari Europei dedicato al tema dei diritti fondamentali, e che dà conto anche delle novità in tema di privacy digitale, coniuga le riflessioni della migliore dottrina europea, statunitense e israeliana ai contributi di dottorandi di ricerca dell’ateneo felsineo, i quali mettono sinteticamente in luce quali profili dell’ordinamento tributario italiano possono risentire della virtuosa contaminazione della dottrina dei diritti dell’uomo. Temi tradizionali come quelli del diritto al contraddittorio, dell’onere della prova, del giusto processo sono rivisitati in un’ottica autenticamente europea e attenta a diverse sensibilità, avendo come prospettiva quella di immaginare e tratteggiare un ordinamento unitario a prescindere dalle specificità domestiche, confermando con questo l’insegnamento della dottrina che fa prevalere il diritto sul semplice dato normativo positivo.

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Footnotes    (↵ returns to text)
  1. Come citare questo articolo: M. Greggi, Diritti dell’uomo, diritti fondamentali e fiscalità internazionale, in Studi Tributari Europei, n. 2/2014 (www.seast.it/rivista), pagg. 1-6.
  2. Marco Greggi è Professore Associato presso l’Università di Ferrara. L’autore desidera esprimere il proprio ringraziamento a Justin Dabner, James Cook University, per i riferimenti alla letteratura australiana e ai precedenti nel Common law.
  3. KIRBY M., Getting by without a Charter: an Australian perspective, Relazione tenuta nel corso della conferenza “Human Rights Conference on the 10th Anniversary of the Human Rights Act 1988 (UK)”, Salford University, School of Law, Giugno 2010.
  4. WILLIAMS-HUME, Human Rights under the Australian Constitution, Oxford, 2013, p. 8 ss.
  5. UDINA M., Il diritto internazionale tributario, in Trattato di diritto internazionale, AA.VV. (a cura di), Vol. X, Padova, 1949, p. 56 ss.
  6. MELIS-PERSIANI, Trattato di Lisbona e sistemi fiscali, in L’evoluzione del sistema fiscale e il principio di capacità contributiva, SALVINI-MELIS (a cura di), Padova, 2014, p. 269 ss.
  7. ZAGREBELSKY G., Il diritto mite, Torino, 1992, passim.
  8. Uno studio empirico-quantitativo in merito alla incidenza dei diritti umani sul contenzioso anglosassone è stato recentemente tentato da SANDELL P., Use of Human rights argument in Courts cases jumps 5%, Thomson Reuters News Release, 9 aprile 2012. L’autore segnala anche che l’incremento specifico nell’ultimo anno nell’ambito del contenzioso fiscale è stato del 36% (cfr. p. 1 del Rapporto).
  9. Distingue le generazioni di diritti umani DI TURI C., Globalizzazione dell’economia e diritti fondamentali in materia di lavoro, Milano, 2007, p. 82 e, in particolare, nota 113.
  10. Esempi “regionali” di tutela dei diritti dell’uomo al di fuori dell’esperienza europea sono riportati da GILBERTI G., Introduzione storica ai diritti umani, Torino, 212, p. 154.
  11. Si rimanda ai contributi raccolti in EDREY-GREGGI, Bridging a Sea: Constitutional and Supranational Limitations to Taxing Power of the States across the Mediterranean Sea, Roma, 2010.
  12. Seppure caratterizzato da un approccio divulgativo, si veda il report Tax Abuses, Poverty and Human Rights, International Bar Association, Londra, 2013.
  13. COHEN S., Does Swiss Bank Secrecy Violate International Human Rights?, in Tax Notes International, 2013, p. 140.
  14. In questo senso “il soggetto che interpreta l’interesse pubblico o generale dovrebbe operare il riparto dei carichi pubblici secondo il principio di giustizia distributiva e di proporzionalità”, così GALLO F., L’evoluzione del sistema tributario e il principio di capacità contributiva, in L’evoluzione del sistema fiscale e il principio di capacità contributiva, SALVINI-MELIS (a cura di), op. cit., p. 12.
  15. COHEN S., op. cit., p. 141. Più in generale si veda la ricostruzione, risalente ma ancora valida, di TASCA-VIETTI, Società off shore e paradisi legali. Regole e disciplina, Milano, 2009, p. 164.
  16. OCSE, Action plan on Base Erosion and Profit shifting, Parigi, 2013, e, in particolare, gli studi successivi nell’ambito dell’Azione 6 finalizzati alla prevenzione dell’abuso dei Trattati.