Il regime CFC in Germania [1]
1. Osservazioni generali
La legislazione CFC tedesca è contenuta negli artt. 7-14 della Legge del 1972 sulle “Relazioni Fiscali Esterne” (“Auẞensteuergesetz” o “Foreign Tax Act”, d’ora in poi “FTA”) ed è stata oggetto di un recente aggiornamento avvenuto proprio nel 2013. L’esistenza della legislazione CFC può essere motivata dalla considerazione che le persone giuridiche non aventi né la sede legale, né la sede dell’amministrazione in territorio tedesco sono soggette, in Germania, a responsabilità fiscale limitata. Questa circostanza rendeva appetibile il trasferimento di beni da società tedesche a società straniere, in modo da evitare l’assoggettamento ad imposizione in Germania; pertanto questo “effetto scudo” implicava che i profitti realizzati dall’entità giuridica straniera divenissero tassabili in capo agli azionisti o ai detentori di partecipazioni agli utili di quest’ultima, unicamente nel momento di distribuzione dei dividendi da parte della controllata estera, essendo gli stessi soggetti, in Germania, alla tassazione globale dei redditi ovunque prodotti. Gli artt. 7-14 del FTA affrontano la problematica rappresentata da simili operazioni di trasferimento di beni, le quali approfittano dei differenziali fiscali inter-governativi e conducono, da una parte, ad effetti distorsivi della concorrenza (si veda il “Steueroasenbericht [3]” [“report sui paradisi fiscali”]) e, dall’altra parte, ad un’elusione dell’imposizione sul reddito derivante dall’aliquota tedesca (aliquota elevata, se comparata con le aliquote applicate da altri Stati) [4].
2. Il funzionamento del sistema
2.1. Il sistema di distribuzione fittizia
L’idea sottostante al regime CFC tedesco è relativamente semplice, in quanto presuppone che i contribuenti, sottoposti a responsabilità fiscale illimitata, tendano a trasferire i loro profitti a un’entità giuridica estera e ad evitare, quindi, che tali profitti vengano distribuiti ai soggetti interessati residenti in Germania. Conseguentemente, secondo un certo punto di vista, il regime CFC opera una sorta di finzione, in base alla quale si pone in essere una “supposta” distribuzione di profitti [5]. Tali norme trovano applicazione, in primo luogo, nel caso di una società estera (entità non tedesca) che generi reddito di tipo passivo e che sia controllata da una persona fisica di residenza tedesca o da una società avente sede in Germania. In base al regime CFC in esame, il reddito passivo della società estera viene considerato come distribuito all’azionista (o, in ogni caso, al soggetto partecipante) residente in modo proporzionale alla sua quota di partecipazione (art. 7, comma 1° FTA). Tale attribuzione di profitti avviene a prescindere dal fatto che la società estera abbia, in realtà, effettuato o meno una simile operazione. In questo modo, tale quota di reddito – cd. “inclusion amount” o ammontare aggiuntivo (“Hinzurechnungsbetrag”) [6] – è ricompresa nel reddito imponibile del residente tedesco ed è, di conseguenza, soggetta, in Germania, all’imposta sul reddito delle persone fisiche, all’imposta sul reddito delle società e all’imposta sul commercio [7]. Inoltre, a norma della art. 10, comma 2°, frase 1° FTA, la distribuzione è simulata immediatamente dopo la chiusura dell’anno fiscale della società estera in oggetto [8].
Ogni eventuale doppia imposizione suscettibile di derivare dall’applicazione delle norme sull’imposizione sul reddito, così come modificate dal regime CFC, può essere completamente neutralizzata per mezzo dell’esenzione prevista nell’art. 3, n. 41 ITA (“Income Tax Act”) [9]. Infatti, secondo tale previsione, l’inclusion amount, che sia stato effettivamente oggetto di distribuzione, è del tutto esente laddove l’imposizione secondo le norme CFC sia avvenuta nell’anno di distribuzione o nei sette anni precedenti.
2.2. Condizioni d’applicazione
Affinché il regime CFC tedesco possa trovare applicazione è necessario, secondo l’art. 7, comma 1° e l’art. 8, comma 3° FTA, che siano soddisfatte tre condizioni. In primo luogo, il contribuente deve essere una persona fisica o una società residente in Germania che sia ivi sottoposta a responsabilità fiscale illimitata e che detenga più del 50% del capitale azionario di una società straniera (la cd. “Controlled Foreign Company”, società estera controllata) [10]. Secondariamente, il soggetto straniero deve ricevere redditi di natura passiva, la cui individuazione normativa avviene per esclusione, poiché tutti i redditi non espressamente inclusi nell’elencazione di redditi attivi, compresa nell’art. 8 FTA, sono qualificati come redditi passivi [11]. In terzo luogo, tale reddito passivo deve essere soggetto a un carico fiscale effettivo inferiore al 25% (art. 8, comma 3° FTA) [12].
2.2.1. Partecipazione rilevante nella società estera
2.2.1.1. Regola generale
La definizione di “società estera” è contenuta nell’art. 7, comma 1° FTA e nell’art. 1 CITA [13]. Secondo tali norme, il regime CFC è applicabile soltanto in caso di un soggetto che abbia la sua sede legale e la sua sede effettiva di amministrazione e controllo in uno stato estero. Inoltre, il soggetto deve essere organizzato mediante una struttura che gli consenta di essere classificato come “società” in aderenza alla normativa tedesca di riferimento sui tipi di società (cd. “Typenvergleich”) [14].
Ai fini dell’applicazione del regime in esame, una società estera si considera controllata da un azionista/partecipante (o da un gruppo di azionisti/partecipanti) se egli (o essi) detiene (o detengono) almeno il 50% più uno del capitale della detta società o dei relativi diritti di voto (art. 7, commi 1°, 2° FTA). Invece, nel caso in cui la società estera non possieda capitale nominale o non assegni diritti di voto ai propri soci, saranno decisive le proporzioni di distribuzione dei beni della società medesima (art. 7, comma 2°, frase 3 FTA) [15]. Inoltre nel calcolo della soglia del 50%, devono essere computati anche le porzioni di capitale sociale e i diritti di voto eventualmente detenuti da una società intermediaria o fiduciaria, in proporzione alla parte di capitale riconducibile al soggetto tedesco nella detta intermediaria (art. 7, comma 2°, frase 2° FTA).
Una simile valutazione dei pacchetti azionari viene effettuata anche nel caso in cui, quale società intermediaria, vi sia una società trasparente (art. 7, comma 3° FTA), in quanto quest’ultima non è considerata come entità tassabile in relazione all’imposta sul reddito personale o delle società.
Di conseguenza, tutte le partecipazioni che siano, anche indirettamente, detenute da una persona fisica o giuridica tedesca devono essere prese in considerazione, prescindendo dalla dimensione del pacchetto azionario o dal numero di entità interconnesse.
2.2.1.2. Redditi derivati da investimenti
Generalmente il regime CFC viene applicato solamente laddove i contribuenti tedeschi detengano più del 50% delle azioni di una società estera controllata. Cionondimeno, se la società genera redditi passivi derivati da investimenti [16], secondo il dettato dell’art. 7, comma 6°, 6a° FTA, una partecipazione dell’1% è sufficiente affinché le norme CFC trovino applicazione in relazione a questo tipo di reddito. Tale previsione include un limite de minimis nell’art. 7, comma 6°, frase 2° FTA. Infatti la soglia non è applicabile, e di conseguenza il soggetto partecipante non è ricompreso nell’ambito di applicazione delle regole CFC, se il reddito passivo derivante da investimenti rappresenta al massimo il 10% del reddito passivo lordo complessivo della società estera e se, comunque, questa somma non supera gli 80.000 euro [17].
In ogni caso, una partecipazione, che non raggiunga la soglia dell’1%, conduce ad un’applicazione delle norme CFC, secondo quanto previsto dall’art. 7, comma 6°, frase 3° FTA, laddove la società estera generi quasi esclusivamente redditi passivi derivanti da investimenti (attorno al 90%) [18].
2.2.2. Definizione di redditi passivi e attivi
L’art. 8 FTA contiene un elenco tassativo di introiti che possono essere definiti come redditi attivi (quindi “innocui”) e che sono, di conseguenza, sottratti al regime CFC. Pertanto tutti i redditi che non possono essere ricompresi all’interno di una di queste categorie vengono necessariamente classificati come passivi (quindi potenzialmente “pericolosi”) [19]. Relativamente all’applicazione dell’art. 8 FTA, ogni attività economica della società estera deve essere oggetto di indagine separata [20], sicché l’inquadramento del reddito avviene mediante un approccio di tipo funzionale [21].
Secondo l’art. 8 FTA, i redditi possono definirsi attivi, tranne che per alcune eccezioni, se derivanti da agricoltura o silvicoltura, da attività di tipo manifatturiero, dalla produzione di energia, dall’esplorazione e dallo sfruttamento di risorse naturali o se relativi ad operazioni a scopo commerciale di banche o imprese assicurative [22]. Lo stesso vale per quei redditi che sono generati tramite attività commerciali, effettuazione di servizi, attività di leasing e assunzione ed erogazione di prestiti, nel rispetto di determinate ulteriori condizioni [23]. Infine, anche i dividendi distribuiti dalle società, le plusvalenze derivanti da partecipazioni in società e gli introiti generati da operazioni di riorganizzazione societaria sono considerati redditi attivi [24].
Nella sentenza della Corte di Giustizia dell’Unione Europea sul caso Cadbury-Schweppes [25], la normativa CFC del Regno Unito è stata dichiarata non compatibile con la libertà di stabilimento. Più precisamente, secondo i giudici del Lussemburgo, tali previsioni anti-elusive possono, teoricamente, essere giustificate, ma, il contribuente deve essere messo nella posizione di poter dimostrare come erronea l’accusa di abuso fiscale, provando l’effettivo compimento di un’attività economica. Immediatamente le autorità tedesche hanno realizzato l’importanza della suddetta sentenza con riferimento alle previsioni normative nazionali in materia di CFC. Infatti, il Ministero Federale delle Finanze ha reagito prontamente emanando una circolare [26], la quale ha ristretto l’imposizione ai soli casi caratterizzati da attività meramente artificiali, concedendo, però, al contempo ai contribuenti la possibilità di fornire elementi a controprova. Successivamente, nel 2008, il legislatore tedesco ha introdotto un “test di attività” complementare nell’art. 8, comma 2° FTA [27]. Secondo tale test, una società che abbia la sua sede legale, o la sua sede di amministrazione e controllo effettivi in uno Stato membro dell’Unione Europea o dell’Area Economica Europea che offra assistenza amministrativa, è esclusa dall’ambito applicativo delle norme CFC laddove riesca a dimostrare l’autentico svolgimento di un’attività economica [28].
Come enunciato nella relazione esplicativa alla norma, devono essere adottati vari criteri di differente natura ai fini di dimostrare l’esistenza di un’attività economica [29]. Tra questi vi è la presenza, nello stato estero, di uno stabilimento fisso per un periodo di tempo indeterminato, l’attuazione di effettive operazioni commerciali e la presenza di personale e di locali deputati allo svolgimento dell’attività di impresa. Allo stesso modo, la sussistenza di una partecipazione continuativa in transazioni economiche generali può condurre all’individuazione di un’autentica attività economica. Al contrario, invece, occasionali investimenti di capitale, così come partecipazioni meramente amministrative prive di ogni funzione esecutiva, non costituiscono una prova sufficiente [30].
Nel 2013 l’ambito applicativo dell’art. 8, comma 2° FTA è stato ampliato [31], cosicché la possibilità di provare la sussistenza di un’effettiva attività economica è ora attribuita anche in relazione agli investimenti così come definiti dall’art. 7, comma 6°, 6a° FTA (società di investimenti). Secondo quanto riferisce il preambolo, la norma è stata modificata ai fini di eliminare ogni restante possibile conflitto con il diritto europeo [32].
2.2.3. Redditi soggetti a “fiscalità privilegiata”
L’art. 8, ai suoi commi 1° e 3° FTA, circoscrive i regimi ad imposizione ridotta a quelli in cui l’effettivo carico fiscale sul reddito sia inferiore al 25%. L’art. 8, comma 3°, frase 3° FTA pone un’ulteriore restrizione, precisando che, nell’ipotesi di un teorico carico fiscale sul reddito pari almeno al 25%, la tassazione possa comunque definirsi bassa quando l’imposta, nella pratica, non viene riscossa.
Al fine di determinare il carico fiscale, devono essere prese in considerazione tutte le imposte sul reddito gravanti sui redditi passivi della società estera, non rilevando a quale stato l’imposta sia riferibile e considerando in tale computo anche i pagamenti fiscali volontari [33]. Inoltre, secondo l’art. 8, comma 3° 2° frase FTA, devono essere comprese nel calcolo anche le istanze di rimborso riferite alle imposte sul reddito già versate.
La precisa individuazione del reale carico fiscale sul reddito avviene con riferimento all’aliquota residuale effettiva. Conseguentemente, anche laddove la società estera sia, nella realtà dei fatti, sottoposta ad un’aliquota del 25%, si rinviene, tuttavia, un’imposizione privilegiata, secondo quanto prescritto dall’art. 8 FTA, se detta aliquota diminuisce per effetto di speciali riduzioni o esenzioni [34]. Inoltre, il reddito passivo imponibile, generato dalla società estera, deve essere incluso nella base imponibile con lo stesso ammontare che risulterebbe dall’applicazione delle norme tributarie tedesche sulla determinazione del reddito [35].
2.3. Conseguenze giuridiche – confronto con i dividendi reali
Per effetto del sistema di distribuzione fittizia caratterizzante il regime CFC tedesco, il reddito passivo generato da una persona giuridica straniera porta a un aumento della base imponibile riferibile al detentore nazionale di una partecipazione nella detta persona giuridica, venendo così sottoposto alla relativa imposizione sul reddito. Secondo l’art. 10, comma 2°, frase 1° FTA, tali redditi che si suppongono distribuiti sono – alla stregua dei dividendi effettivi (non fittizi) – classificati come redditi di capitale (art. 20, comma 1°, n. 1 ITA). Tale distribuzione viene simulata immediatamente dopo la chiusura dell’anno fiscale di riferimento della società straniera [36]. Tuttavia tale tipo di operazione porta ad un concreto rischio di doppia imposizione su un identico reddito, il quale viene scongiurato prendendo in considerazione le imposte già versate all’estero nel computo dell’ammontare aggiuntivo imponibile, venendo da esso dedotte.
Diversamente da quanto avviene per i dividendi effettivamente distribuiti, l’ammontare così ottenuto non è soggetto all’inferiore aliquota forfetaria del 25% riservata alle plusvalenze originanti da patrimoni privati [37]. Inoltre, il cd. “Teileinkünfteverfahren” [38], così come anche la generosa participation exemption prevista dall’art. 8b, comma 1° CITA, non trovano applicazione [39].
3. Il regime CFC e le convenzioni contro le doppie imposizioni
3.1. Osservazioni generali
Come avviene in altre giurisdizioni, anche in Germania la compatibilità del regime CFC rispetto alle norme previste dalle convenzioni bilaterali contro le doppie imposizioni è oggetto di discussione. Tuttavia, un’estesa analisi di tale problematica esulerebbe dall’ambito del presente articolo, ragion per cui si provvederà ad evidenziare solamente alcune considerazioni di base.
In primo luogo, è possibile affermare che alcune convenzioni contengono clausole che espressamente lasciano libero spazio a norme CFC, nel qual caso tali disposizioni hanno indubbiamente la precedenza rispetto al diritto pattizio. Di talché è prassi della politica di negoziazione tedesca includere un riferimento alle regole CFC nelle convenzioni di recente conclusione [40].
Invece coloro i quali ritengono che il regime CFC tedesco costituisca un’ipotesi di treaty override [41], non possono che interrogarsi sull’eventualità che tale regime possa trovare applicazione in assenza di un’espressa previsione legislativa. Il legislatore tedesco ha tentato di risolvere questi dubbi interpretativi nel 1992, mediante l’introduzione dell’art. 20, comma 1° FTA, il quale afferma che le previsioni della normativa CFC tedesca non sono influenzate dai trattati fiscali. Per il legislatore tedesco, l’art. 20, comma 1° FTA era concepito come puramente dichiarativo e di conseguenza, si sosteneva che la preminenza della normativa CFC fosse applicabile anche ai periodi di accertamento anteriori al 1992. Ma, se negli anni ’90 era generalmente accettato che il potere legislativo detenesse la prerogativa di prevalere sulle convenzioni in materia fiscale, negli ultimi anni sono sorti numerosi dubbi in merito. Infatti, sebbene la Corte Costituzionale Federale tedesca non si sia ancora mai pronunciata su un caso di treaty override in materia di diritto tributario, è probabile che, per effetto di una questione di legittimità costituzionale sollevata dalla Corte Federale di Finanza [42], la Corte Costituzionale renda nota la propria posizione in merito nel prossimo futuro.
Inoltre, vale la pena menzionare che numerose convenzioni contro le doppie imposizioni stipulate dalla Germania contengono una cd. “switch-over clause”, in base alla quale le esenzioni fiscali vengono concesse soltanto in relazione a redditi di natura attiva. Infatti relativamente a tali attività, le convenzioni più recenti fanno esplicito richiamo all’art. 8, comma 1° FTA [43].
3.2. “Effetto scudo” di redditi esenti derivanti da partnerships straniere
Laddove il soggetto estero che genera redditi passivi non sia una società così come definita dal regime CFC, bensì una partnership, non vi sarà essenzialmente alcun “effetto scudo” in ragione del principio di trasparenza e conseguentemente, le norme CFC non troveranno applicazione. Nondimeno, una sorta di “effetto scudo” può essere determinato da esenzioni fiscali previste in specifiche convenzioni contro le doppie imposizioni, le quali sono suscettibili di condurre a una non-imposizione dei redditi passivi in Germania. Tali casistiche sono ricomprese nell’ambito applicativo dell’art. 20, comma 2° FTA, che include una “switch-over clause” in base alla quale, nei suddetti casi, trova applicazione il metodo del credito d’imposta [44]. Tale costruzione genera effetti comparabili a quelli di una società sussidiaria interposta che venga trattata come soggetto giuridico [45].
4. Restanti problematiche connesse al regime CFC tedesco
4.1. Compatibilità rispetto al diritto costituzionale
4.1.1. Imposizione privilegiata secondo l’ art. 8, par. 3 FTA
L’attuale aliquota del 25%, considerata punto di discrimine per l’applicazione del regime CFC, fu introdotta nel 2002 [46], mentre in origine era individuata nella metà del carico fiscale gravante sugli utili non distribuiti dalle società in Germania. Oggigiorno, però, l’imposta tedesca sul reddito delle società è pari al 15%, ma se si aggiungono il contributo di solidarietà (“Solidaritätszuschlag”) e l’imposta locale sulle imprese (“Gewerbesteuer”), la pressione fiscale media in Germania si colloca attorno al 30% [47]. Il legislatore dovrebbe, quindi, abbassare la soglia che definisce l’imposizione privilegiata ad un livello che meriti tale denominazione – come, ad esempio, un carico fiscale del 15%, il quale equivarrebbe a circa la metà della pressione fiscale sugli utili non distribuiti da una società, includendo anche le imposte sul commercio e il contributo di solidarietà [48]. Ma l’abbassamento di detta soglia al 15% sortirebbe un ulteriore effetto: nonostante la pressione fiscale media sia attualmente pari a circa il 30%, è possibile che – ove sia applicata l’aliquota minima dell’imposta locale sulle imprese (7%) – il carico fiscale in Germania sia soltanto pari al 22,825% [49]. Sicché nel caso in cui la pressione fiscale estera si collocasse tra il 22,825% e il 25%, molto probabilmente si verificherebbe una violazione del principio di eguaglianza sancito dall’art. 3, comma 1° della Costituzione tedesca, in quanto gli investimenti esteri verrebbero a essere penalizzati, mentre le stesse condizioni applicate in Germania non produrrebbero alcuna conseguenza.
4.1.2. Deficit strutturale di implementazione
Nel diritto tributario tedesco il principio di capacità contributiva è diretto portato dell’art. 3, comma 1° della Costituzione e, in quanto specifica forma del principio di eguaglianza, prescrive eguale trattamento anche nella riscossione delle imposte [50].
Il tasso di errore degli accertamenti fiscali all’interno del regime CFC tedesco è stimato attorno al 90% [51]. Conseguentemente, la disparità di pressione fiscale sugli investimenti in uscita è soggetta a un deficit strutturale di implementazione, il quale la porrebbe probabilmente in violazione della Costituzione tedesca.
Inoltre, anche la valutazione delle informazioni necessarie a determinare se il regime CFC debba essere applicato o meno, implica il coinvolgimento di ingenti risorse operative. Tali valutazioni possono essere espletate da consulenti tributari interni alle grandi società, ma si fatica a concepire come le autorità fiscali – dotate di scarso personale e scarse risorse finanziarie – possano essere in grado di portare a compimento il loro dovere costituzionale di verifica [52].
Secondo quanto prescritto dall’art. 7, .comma 6°, frase 3° FTA, una sola azione può essere sufficiente a giustificare l’applicazione del regime CFC. Ciò significa che il contribuente dovrà fornire informazioni a cui, semplicemente, non ha accesso: egli, infatti, non ha il diritto, secondo le norme societarie, di ricercare i documenti a tal fine necessari [53]. Il contribuente, quindi, non è in grado di adempiere all’obbligo di cooperazione, il che è perseguibile per legge [54]. Pertanto la normativa CFC si contraddistingue per un deficit concernente la ricerca di informazioni e la sua esecuzione [55].
4.1.3. Il principio costituzionale di chiarezza delle norme
L’art. 8, comma 1° FTA non definisce la categoria di “reddito passivo”, ma elenca tassativamente ciò che costituisce reddito attivo. La lettera della norma non offre una base informativa in merito al trattamento delle attività miste, che non sono suscettibili di essere ricomprese all’interno di nessuno degli esistenti corpus delicti [56]. Anche il legislatore ha individuato la necessità di una riforma in questo ambito, pur senza avere agito in tal senso, almeno fino a questo momento [57]. Cosi che in un mondo globalizzato in costante evoluzione, i modelli d’impresa in perenne mutamento non vengono riconosciuti dal catalogo dei redditi, come appare particolarmente evidente nel settore dell’e-commerce e dell’e-business [58].
Il termine “reddito”, così come inteso dall’art. 8, comma 3° FTA, può sembrare molto chiaro con riferimento all’aliquota, ma è tutt’altro che scontato capire quale base imponibile il legislatore intenda applicare, poiché il tenore testuale della norma fa solo riferimento al “reddito”. Tuttavia, una norma in materia tributaria è sufficientemente chiara solo laddove vi siano inclusi sia l’aliquota, sia la base imponibile [59]. Inoltre, nell’art. 7, comma 1° FTA, non è immediatamente comprensibile se la locuzione “contribuenti residenti” si estenda anche a un singolo contribuente e, in aggiunta, difficoltà interpretative sono suscettibili di sorgere anche in relazione agli avvenimenti di successione societaria. Di conseguenza, appare lampante la necessità di modifiche e chiarificazioni degli artt. 7-14 FTA, tuttavia si dubita che tale mancanza di chiarezza possa essere considerata alla stregua di una violazione costituzionale.
4.2. Compatibilità rispetto al diritto europeo
L’aderenza del regime CFC tedesco al diritto dell’Unione Europea è parimenti fonte di dubbio e al riguardo devono essere prese in considerazione le libertà fondamentali di stabilimento (art. 49 TFUE) e di circolazione dei capitali (art. 63 TFUE) [60]. Un’interferenza con le libertà fondamentali può essere rilevata in diverse previsioni, in quanto, ad esempio, il regime CFC trova applicazione soltanto nei riguardi di società estere e non di società tedesche, il che è ovviamente problematico alla luce della libertà di stabilimento.
Stando alla sentenza della Corte di Giustizia dell’Unione Europea sul caso Cadbury-Schweppes, le normative CFC sono giustificabili solo in quanto mirino a colpire costruzioni interamente artificiali finalizzate ad eludere le imposte nazionali normalmente dovute [61]. Nella sua decisione, la Corte stabilisce che alla società residente deve essere garantita l’opportunità di produrre prove che dimostrino l’effettivo stabilimento della CFC e la genuinità delle sue attività [62]. Ebbene l’art. 8, comma 2° FTA è chiaramente fondato su tale considerazione, laddove prescrive che il contribuente può dimostrare che la società persegue reali scopi di natura economica. Tuttavia, la dottrina tedesca sovente critica il fatto che l’onere della prova, in merito all’effettività di detta attività economica, ricada sul contribuente – quantomeno laddove non vi siano fatti oggettivi che facciano supporre l’assenza di una reale attività economica [63]. Pertanto secondo questa opinione, le autorità fiscali dovrebbero assumersi l’onere della prova e poiché l’obbligo di cooperazione con l’Amministrazione tributaria risulta essere più ampio per le strutture fiscali straniere, secondo quanto prescritto dall’art. 90, comma 2° dell’Abgabenordnung (legge generale sull’imposizione), fintanto che tale obbligo di cooperazione venga adempiuto, l’onere della prova dovrebbe ricadere sulle autorità fiscali [64].
Inoltre, secondo la Corte di Giustizia dell’Unione Europea, l’individuazione di una struttura artificiale necessita la sussistenza di un elemento soggettivo, il quale, però, non è minimamente menzionato dall’art. 8, comma 2° FTA [65]. Sicché, per effetto di tali carenze, il regime CFC tedesco potrebbe continuare a costituire una violazione della libertà di stabilimento.
A seguito delle ultime modifiche all’art. 8, comma 2° FTA, apportate nel 2013, la normativa CFC offre ora la possibilità di controprova nei casi di “reddito derivante da investimenti” [66] ex art. 7, commi 6°, 6a° FTA. Nonostante tale previsione sia stata introdotta al fine di scongiurare violazioni del diritto europeo, la sua effettività è, ad oggi, discutibile. Infatti, secondo l’art. 63 TFUE, la libertà di circolazione di capitali trova applicazione anche agli investimenti derivanti da stati terzi e, dal momento che il nuovo art. 8, comma 2 FTA esclude le base o letter box companies situate in paesi terzi, è ancora possibile che il regime CFC si ponga in violazione della libertà di circolazione di capitali.
5. Conclusioni
La normativa CFC tedesca necessita, ad oggi, di una decisa riforma. In aggiunta alle problematiche strutturali, detto regime si colloca potenzialmente in contrasto con le previsioni della Costituzione tedesca e, nonostante le molteplici modifiche alla normativa CFC negli artt. 7-14 FTA, sussistono ancora numerosi profili di criticità riguardanti il diritto europeo.
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- Come citare questo articolo:
S. Lampert, J.N. Bittermann, B. Harms, Il regime CFC in Germania, in Studi Tributari Europei, n. 1/2013 (ste.seast.org/it), pagg. 24-40.↵
- Steffen Lampert detiene una junior professorship in Diritto Pubblico e Diritto Tributario Internazionale presso l’Istituto di diritto finanziario e tributario dell’Università di Osnabrück, in Germania. Jan-Niklas Bittermann, candidato PhD, e Bastian Harms lavorano come assistenti di ricerca dell’Istituto. Traduzione a cura di Andrea Amidei, Dottorando di ricerca in Diritto Tributario Europeo presso l’Università degli Studi di Bologna.↵
- Bericht der Bundesregierung an den Deutschen Bundestag vom 23.06.1964 über die Wettbewerbsverfälschung, die sich aus Sitzverlagerungen und aus dem zwischenstaatlichen Steuergefälle ergeben können, Bundestags-Drucksache IV/2412; Protzen in: Kraft (ed.), Auẞensteuergesetz (Munich: C.H. Beck, 2009), § 7 m. no. 2.↵
- La tassazione delle società si compone delle seguenti imposte: Imposta sul Reddito delle Società (”Körperschaftsteuer”; 15%), Imposta Locale sulle Imprese (“Gewerbesteuer”; fino al 17% nelle città principali, con un’aliquota minima del 7%) e Contributo di Solidarietà (“Solidaritätszuschlag”; 5,5% sulle imposte accertate); l’imposizione delle persone fisiche (compresi i partners di una partnership) è determinata da: Imposta sul Reddito delle Persone Fisiche (“Einkommensteuer”, d’ora in poi IRP; fino al 43-45%) e Contributo di Solidarietà; nella maggior parte dei casi viene riconosciuto un credito d’imposta per l’assolvimento dell’Imposta Locale sulle Imprese utilizzabile, nel caso delle persone fisiche, in diminuzione dell’IRPEF.↵
- Schönfeld in: Flick/Wassermeyer/Baumhoff/Schönfeld (eds), Auẞensteuerrecht (Munich: C.H. Beck, fascicolo, § 7 AStG m. no. 4.2.↵
- Con il termine “inclusion amount” si allude, in questo contesto, alla parte di reddito che, sulla base delle norme facenti parte del regime CFC, viene attribuita al soggetto residente che detiene una sostanziale partecipazione in una società estera controllata e che, quindi, per effetto di dette norme, viene ad essere inclusa nella base imponibile del soggetto fiscalmente residente in Germania.↵
- Protzen in: Kraft (ed.), Auẞensteuergesetz, § 7 m. no. 6.↵
- Reiche in: Haase. Auẞensteuergesetz/Doppelbesteuerungsabkommen, Heidelberg: C. F. Müller: 2012, § 10 AStG m. no. 38.↵
- Köhler in: Strunk/Kaminski/Köhler (eds.), Auẞensteuergesetz – Doppelbesteuerungsabkommen, Bonn: Stollfuẞ, fascicolo, § 7 AStG m. no. 27.↵
- In caso di un coinvolgimento della società estera in determinate transazioni finanziarie, detta soglia viene ridotta all’1%; vd. infra.↵
- Schönfeld in: Flick/Wassermeyer/Baumhoff/Schönfeld (eds.), § 8 AStG m. no. 1.↵
- Köhler in: Strunk/Kaminski/Köhler (eds.). § 7 AStG m. no. 26.↵
- Corporate Income Tax (“Körperschaftsteuergesetz”).↵
- Haun in: Wöhrle/Schelle/Gross (eds.), Auẞensteuergesetz, Stuttgart: Schäffer-Poeschel (2005), § 7 m. no. 9 ss.↵
- Ibid., § 7 m. no. 59.↵
- Redditi derivati alla CFC dalla detenzione o dalla gestione di contanti, crediti riscuotibili, titoli o partecipazioni.↵
- Reiche in: Haase (ed.), § 7 AstG m. no. 119, 124.↵
- Bundesfinanzministerium (Ministero Federale delle Finanze), 14.05.2005; Bundessteuerblatt I 2004, p. 3; Lehfeldt in: Strunk/Kaminski/Köhler (eds.), § 8 AStG m. no. 2.↵
- Reiche in: Haase (ed.), § 8 AStG m. no. 1; Rödel in: Kraft (ed.), § 8 m. no. 2.↵
- Haun in: Wörhle/Schelle/Gross (eds.), § 8 MN 3.↵
- Schönfeld in: Flick/Wassermeyer/Baumhoff/Schönfeld (eds.), § 8 AStG m. no. 31; Reiche in: Haase (ed.), § 8 AstG m. no. 13.↵
- Art. 8, co. 1, n. 1-3 FTA.↵
- Art. 8, co. 1, n. 4-7 FTA.↵
- Art. 8, co. 1, n. 8-10 FTA.↵
- Corte di Giustizia dell’Unione Europea, sentenza 02.05.2006, causa C-196/04, Cadbury-Schweppes, ECR 2006, I-7995.↵
- Bundessteuerblatt I 2007, 99.↵
- Schönfeld in: Flick/Wassermeyer/Baumhoff/Schönfeld (eds.), Vor §§ 7-14 AStG m. no. 202 e ss.; Lehfeldt in: Strunk/Kaminski/Köhler (eds.), § 8 AstG m. no. 182.13 e ss.↵
- Reiche in: Haase (ed.), § 8 AstG m. no. 122 e ss.↵
- Memorandum esplicativo dello Jahressteuergesetz 2008 (ossia alla legge finanziaria 2008, n.d.r.) ; vd. Protzen in: Kraft (ed.), § 7 m. no. 4.↵
- Kraft in: Kraft (ed.), § 8 m. no. 740.↵
- ”Amtshilferichtlinie-Umsetzungsgesetz”, Bundesgesetzblatt I 2013, 1809.↵
- Bundestags-Drucksache 17/13033, p. 170.↵
- Bundesfinanzhof, 3 maggio 2006, I R 124/04, BFH/NV 2006, p. 1729; Bundesfinanzministerium, 13 aprile 2007, BstBl. I 2007, p. 440; Lehfeldt: in Strunk et al. (eds.), § 8 AstG m. no. 186.1.↵
- Schönfeld in: Flick/Wassermeyer/Baumhoff/Schönfeld (eds.), § 8 AStG m. no. 706.↵
- Ibid., § 8 AStG m. no. 708.↵
- Reiche in: Haase (ed.), § 10 AStG m. no. 38.↵
- Art. 10,comma 2°, frase 3° FTA e art. 32d ITA.↵
- Se una partecipazione appartiene ai beni di un individuo o di una partnership strumentali all’impresa, i dividendi vengono tassati alla medesima aliquota applicabile al reddito personale del contribuente (non quindi con un’aliquota forfetaria). Però al fine di mitigare la doppia imposizione economica sul reddito, il 40% dei dividendi ricevuti è, secondo l’art. 3, n. 40, frase 1° lett. d ITA, esente.↵
- Art. 10, comma 2°, frase 3° FTA.↵
- Si vedano, ad esempio, l’art. 23 e il n. XV del Protocollo allegato alla convenzione contro le doppie imposizioni fra Germania e Paesi Bassi del 2012.↵
- Cfr. Wassermeyer/Schönfeld in: Flick/Wassermeyer/Baumhoff/Schönfeld (eds.), § 20 AStG m. no. 22.↵
- Bundesfinanzhof, 10 gennaio 2012, I R 66/09, BFHE 236, 304.↵
- Si vedano, ad esempio, nel passato recente, l’art. 23., par. 1, lett. c della convenzione contro le doppie imposizioni tra Germania e Regno Unito del 2010 e art. 22, par. 1, lett. c della convenzione contro le doppie imposizioni tra Germania e Paesi Bassi del 2012.↵
- La “switch-over clause” è stata soggetta al sindacato della Corte di Giustizia dell’Unione Europea nel caso Columbus Container Services (CJEU, 06.12.2007, C-298/05, ECR 2007, I-10451); si veda Lampert in: Kellersmann/Treisch/Lampert/Heinemann (eds.), Europäische Unternehmensbesteuerung I, seconda edizione, Wiesbaden: Springer/Gabler, 2013, p. 135 ss.↵
- Bundestags-Drucksache 12/1506.↵
- Unternehmenssteuerfortentwicklungsgesetz, Bundesgesetzblatt I, p. 3858.↵
- Vd. supra, nota n. 3.↵
- Kraft, Konzeptionelle und strukturelle Defizite der Hinzurechnungsbesteuerung – Reformbedarf und Reformnotwendigkeit, Internationales Steuerrecht (IStR) 19, n. 11 (2010), 377 (378).↵
- Haarmann, Wirksamkeit, Rechtmäẞigkeit, Bedeutung und Notwendigkeit der Hinzurechnungsbesteuerung im AStG, Internationales Steuerrecht (IstR) 20, n. 15 (2011), 565 (571).↵
- Waldhoff, Verfassungsrecgtlich relevante Vollzugsdefizite bei Steuerfällen mit Auslandsbezug am Beispiel von §§ 7 ff. AStG, Steuer und Wirtschaft (StuW) 90, n. 1 (2013), 121 (123 ss.).↵
- Wassermeyer, Die Fortentwicklung der Besteuerung von Auslandsbeziehungen Anmerkungen zu den derzeitigen Überlegungen zur Reform des Auẞensteuerrechts, IstR 20, n. 4 (2011), 113, in cui si cita l’allora responsabile capo del Dipartimento CFC del Ministero Federale delle Finanze.↵
- Waldhoff, StuW 2013, 121 (141).↵
- Kraft, IStR 2010, 377 (383).↵
- Ibid.↵
- Haarmann, IStR 2011, 565 (572).↵
- Wassermeyer in: Flick/Wassermeyer/Baumhoff/Schönfeld (eds.), § 8 AStG m. no. 11 ss.↵
- Cfr. Waldhoff/Grefrath, Normenklarheit und Bestimmtheit der Vorschriften über die Hinzurechnungsbesteuerung als Problem des Steuervollzugs, Internationales Steuerrecht (IStR) 22, n. 13 (2013) 477 (481); Bericht der Bundesregierung zur Fortentwicklung des Unternehmenssteuerrechts, supplemento di Finanzrundschau (FR) 83, n. 11 (2011), 33.↵
- Kraft, IStR 2010. 377 (379).↵
- Waldhoff/Grefrath, IStR 2013, 477 (481).↵
- Secondo Haarmann, IStR 2011, 565 (568), la clausola “stand-still” prevista per la libertà di circolazione dei capitali non trova applicazione, dal momento che le norme facenti riferimento al regime CFC sono state essenzialmente modificate nel corso degli ultimi dieci anni, tanto da avere ora, di fatto, un assetto totalmente nuovo.↵
- Corte di Giustizia dell’Unione Europea, sentenza 02.05.2006, causa C-196/04, Cadbury-Schweppes, m. no. 57.↵
- Ibid., m. no. 70.↵
- Haarmann, IStR 2011, 565 (570).↵
- Ibid.↵
- Ibid.↵
- Vd. supra, par. 2.2.2.1.↵