Prassi amministrativa: giurisprudenza comunitaria e spagnola
1. Introduzione
Le circolari e le pronunce rese a seguito di interpello da parte dell’Amministrazione rientrano nella cosiddetta “terra di nessuno” [2]. Così, infatti, potrebbe essere riassunto lo sviluppo tradizionale di tali strumenti nel diritto spagnolo.
Da un lato, le circolari interne e le istruzioni dell’Amministrazione Finanziaria non possono essere considerate norme, poiché non hanno un effetto vincolante sui singoli, e certamente non possono essere assimilate alle risoluzioni, le quali sono espressione dell’esercizio di un potere dell’Amministrazione e si rivolgono a un individuo specifico, producendo effetti unicamente nei suoi confronti, lasciando esclusi tutti gli altri. Dall’altro lato, le pronunce sugli interpelli rivolti all’Amministrazione Finanziaria non vincolano o obbligano il contribuente richiedente, anche se il tenere una condotta in linea con la risposta ricevuta lo sottrae al rischio di sanzioni (amministrative) per le eventuali violazioni commesse.Né le circolari né le risoluzioni sono poi vincolanti per il giudice, il quale, prendendone le distanze, baserà la propria decisione solo sulla norma, o in casi residuali, sugli eventuali regolamenti emanati dalle amministrazioni conformemente al principio di legalità. E questo anche se, a volte, il giudice attribuisce rilievo alla circolare o alla pronuncia resa in sede di interpello nel caso in cui esse esprimano un criterio interpretativo dell’amministrazione pubblica che, se ritenuto a favore del contribuente, può essere utilizzato nella risoluzione del ricorso. Le circolari devono essere distinte dai regolamenti, e a loro volta, le pronunce sugli interpelli devono essere distinte dagli avvisi di accertamento. Quando un atto di natura diversa viene qualificato “circolare”, è compito del giudice riqualificarlo e desumere le conclusioni derivanti dal reale contenuto dell’atto. La “prassi amministrativa” (circolari, pronunce sugli interpelli e risoluzioni) si pone in un rapporto dialettico con la “prassi giudiziaria”: proprio in questo rapporto si radica e viene espressa la priorità della decisione del giudice nel controllare l’operato dell’Amministrazione. Infatti il giudice ha l’ultima parola sul significato della norma a cui si riferisce l’atto che, in concreto, la applica. Poiché il giudice effettua un controllo a posteriori, l’anticipare, da parte dell’Amministrazione, soluzioni a situazioni incerte, comporta l’assenza di definitività, problematica connessa alla natura propria di un organo che non ha il potere “di dire l’ultima parola”. L’attribuzione di effetti vincolanti alle circolari, alle pronunce sugli interpelli e alle risoluzioni verrebbe tacciata di intaccare il ruolo che la Costituzione riserva al giudice nell’applicazione della legge. Perciò diventa particolarmente importante individuare la posizione originale assunta dalla giurisprudenza comunitaria al riguardo, in quanto l’ordinamento dell’Unione Europea individua principi prescindendo dagli Stati membri (si veda in tal senso, Ordinanza del 16 Novembre 2010) [3]. Sul piano comunitario ci occuperemo delle circolari e delle comunicazioni dell’Unione e prima ancora, delle circolari nazionali aventi ad oggetto il diritto comunitario. Successivamente analizzeremo le pronunce sugli interpelli dell’Amministrazione Finanziaria e le circolari interpretative nel diritto interno spagnolo. Vale tuttavia la pena anticipare che il presente lavoro avrà un approccio prevalentemente giurisprudenziale.
2. Le circolari degli Stati: assenza di adeguatezza
Nell’analisi del rapporto tra diritto nazionale spagnolo e diritto comunitario non può tralasciarli l’interazione esistente tra ordinamento comunitario e ordinamento spagnolo prima dell’adesione della Spagna all’Unione Europea [4]. E ciò perché la Corte di Giustizia dell’Unione Europea, con giurisprudenza costante, ha sempre richiesto una trasformazione dell’ordinamento previgente, ritenendo non essendo sufficiente la sola integrazione delle norme dell’Unione nell’ordinamento giuridico nazionale unitamente alle norme preesistenti.
I principi cardine espressi in materia dalla Corte di Giustizia sono stati due:
1. che solo una norma con lo stesso valore e gli stessi effetti giuridici, in armonia con il diritto comunitario, permette di superare l’incompatibilità della norma interna preesistente rispetto al diritto comunitario;
2. che la coerenza della mera prassi amministrativa al diritto comunitario non garantisce il rispetto degli obblighi derivanti dal Trattato, in quanto, la stessa è per natura modificabile a discrezione dell’Amministrazione e non è dotata di un adeguato livello di pubblicità. Si può affermare come tale giurisprudenza sia “trasversale” al diritto tributario [5], in quanto, sebbene si sia originata in un settore diverso da quello tributario, si è sviluppata anche in quest’ultimo settore ed infine si è estesa ad ulteriori materie. Le conseguenze derivate dalla giurisprudenza, costantemente ripetuta, sono le seguenti:
1. considerare le circolari dell’Amministrazione come fossero prassi amministrativa, senza che il giudice comunitario abbia mai specificato se il riferimento era agli atti notificati dall’Amministrazione o agli atti di indirizzo dell’azione amministrativa;
2. negare alle circolari dello Stato la qualifica di fonte del diritto, con la conseguente incapacità di modificare il sistema preesistente, in quanto non vincolanti e non adeguatamente pubblicizzate;
3. negare alle circolari il potere di interpretare e di sviluppare la normativa comunitaria. La Corte di Giustizia limita l’emanazione di circolari interne dello Stato relative al diritto comunitario.
Tutta la forza espansiva della giurisprudenza citata, apparentemente di stampo classico, verrà dimostrata nel prosieguo della presente trattazione. Infatti la giurisprudenza sulle circolari interne produce un effetto strutturale nella relazione fra diritto interno e diritto dell’Unione, stabilendo l’organo interno competente ad intervenire e il contenuto dell’intervento:
1. la Corte di Giustizia respinge l’assunto secondo cui il ricorso proposto unicamente avanti all’Amministrazione sia il rimedio migliore per riconoscere il diritto al rimborso di un’imposta in forza del diritto comunitario (Commissione/Lussemburgo, 1995) [6].
2. le norme interne incompatibili con il diritto comunitario devono essere modificate: a tal proposito non sono sufficienti le pronunce della Corte di Cassazione conformi al diritto comunitario (Commissione/Belgio, 2007) [7]. All’insufficienza dell’opera dell’Amministrazione si somma l’insufficienza dell’opera giurisprudenziale, rendendosi così necessario un intervento legislativo.
3. la Corte di Giustizia non ammette come giustificazione il rapporto norma generale-norma speciale, con riferimento agli Stati terzi e agli Stati membri dell’Unione, nella ristrutturazione degli ordinamenti giuridici interni (Commissione/Italia, 1979) [8]. In tal senso, il giudice comunitario rifiuta di riconoscere che gli Stati Membri abbiano norme che trovano applicazione nei confronti degli Stati terzi, per i quali la normativa comunitaria di per sé stessa abbia la natura di normativa speciale.Finora ci siamo riferiti alle circolari o alla prassi amministrativa conformi al diritto dell’Unione, che, quindi, operano nel rispetto di quest’ultimo. In altri casi, e da un punto di vista opposto, risulta chiaro che una prassi interna contraria al diritto comunitario, moltiplichi gli effetti di una norma interna incompatibile con il diritto dell’Unione (Commissione/Regno Unito, 2005) [9]. Ci si appresta ora ad esaminare i casi più significativi di questa giurisprudenza e ad illustrarne sia gli elementi strutturali sia la sistematizzazione di tale linea di pensiero, tutti elementi esplicativi di questa specifica giurisprudenza.
2.1. Elementi strutturali e sistematizzazione del pensiero della Corte di Giustizia
Si analizzerà ora la struttura del problema attraverso l’esame di alcuni leading cases, poiché in questo modo è più semplice sistematizzare l’opinione della Corte di Giustizia in materia.
2.1.1. La problematica delle circolari e delle istruzioni dell’Amministrazione nel sistema delle fonti viene affrontata per la prima volta nella sentenza del 4 Aprile 1974, Commissione/Francia (Code du Travail Maritime) [10], la quale si pone per l’appunto a capo di un filone giurisprudenziale attuale tutt’oggi. Nella suddetta sentenza, relativa al Codice di lavoro marittimo del 1926, modificato nel 1958, veniva posta in discussione l’attuazione del principio di uguaglianza nell’accesso al lavoro, nella retribuzione e nelle altre condizioni. Nel caso de quo la Corte di Giustizia ha affermato che, essendo la norma interna incompatibile con il quadro delle libertà fondamentali vigenti, le istruzioni amministrative mancavano di quei requisiti necessari per eliminare lo “stato di incertezza”, il quale derivava dalla convivenza di norme dal contenuto contrastante.
2.1.2. Sebbene non riguardi la materia tributaria, la sistematizzazione più completa della problematica avente ad oggetto circolari e istruzioni dell’Amministrazione può essere rinvenuta nella sentenza Commissione/Italia del 7 marzo 2002 (in materia di esercizio della professione forense) [11], la quale merita di essere riassunta brevemente al fine di contestualizzare il problema. La Commissione riteneva contraria alla libertà di stabilimento la necessità, per una cittadina italiana, di possedere una laurea in giurisprudenza conseguita in Italia e un periodo di pratica forense svolto in Italia, come condizioni essenziali al fine di poter esercitare la professione d’avvocato nell’ambito della Repubblica Italiana. Veniva rilevato dalla Commissione che con la l. 146/1994 si era introdotta l’equiparazione tra i cittadini degli Stati membri e i cittadini italiani e che già con il d.lgs. 115/1992 erano stati aboliti i prerequisiti obbligatori della laurea in giurisprudenza conseguita in Italia e del periodo di pratica professionale presso un avvocato in Italia.
Il governo italiano, ovviamente, osservava che, nel caso di successione di leggi nel tempo, sarebbe prevalsa la legislazione posteriore rispetto alla legislazione precedente, nel caso in cui le norme fossero fra loro incompatibili. E, in questa sentenza, la Corte di Giustizia sfruttò l’occasione per affermare il principio della prevalenza della norma successiva rispetto alla precedente, come principio comune alle tradizioni giuridiche di tutti i paesi membri [12].
Dall’altro lato, il requisito dell’obbligatorietà della residenza per l’avvocato all’interno dei confini territoriali dell’ordine a cui è iscritto, prevista dal vecchio regio decreto del 1933, è stato ritenuto dalla Corte di Giustizia contrario alla libertà di stabilimento. Si riporta quindi come la giurisprudenza costante della Corte possa essere individuata nelle seguenti massime:
1. “che l’incompatibilità di una normativa nazionale con le disposizioni comunitarie, persino direttamente applicabili, può essere definitivamente eliminata solo tramite disposizioni interne vincolanti, che abbiano lo stesso valore giuridico di quelle da modificare”;
2. “semplici prassi amministrative, per natura modificabili a piacimento dell’amministrazione e prive di adeguata pubblicità, non possono essere considerate un valido adempimento degli obblighi del Trattato” [13].
Inoltre menzioneremo la sentenza Commissione/Francia 1997 (in materia di lavoro femminile) [14] e successivamente esamineremo anche la pronuncia resa nel caso Commissione/Italia 2000 (in materia di attività di pulizia) [15].
2.2. Legge generale e legge speciale
Iniziando ora ad esaminare le sentenze in materia tributaria, secondo un’evoluzione diacronica, è necessario analizzare, in primo luogo, il pionieristico caso deciso con la sentenza del 25 ottobre 1979, Commissione/Italia (sugli spedizionieri doganali) [16], nella quale sono state oggetto di discussione le condizioni necessarie per ottenere l’autorizzazione all’esercizio dell’attività di spedizioniere doganale in Italia, ai sensi del Testo Unico della Legislazione Doganale del 1973 (di seguito “TULD”). La norma su cui si fondava il ricorso della Commissione era l’art. 48 TULD, la quale, subordinando la concessione di tale autorizzazione ad una condizione di reciprocità, senza fare eccezioni in favore dei cittadini degli altri Stati membri, poteva comportare una discriminazione fondata sulla base della nazionalità e conseguentemente la sua contrarietà alla libertà di stabilimento.
A tale posizione, il governo italiano si opponeva basando la propria difesa sul principio di specialità, per cui, nel caso di specie, le autorità italiane competenti avrebbero adottato la disposizione generale dell’art. 48 TULD nei confronti dei paesi terzi, mentre per gli altri Stati dell’Unione avrebbero applicato la norma speciale comunitaria. L’Italia, inoltre, sottolineava che la condizione di reciprocità doveva essere riferita ai soli cittadini degli Stati terzi, poiché l’esistenza del Trattato non permetteva la sua applicazione ai cittadini degli Stati membri dell’Unione. A questo riguardo, ribadiva che nessun dubbio si era mai palesato tra gli operatori economici interessati dalla disposizione sulla sua attuazione in conformità al diritto comunitario.
Fermo quanto sopra, la Corte di Giustizia tuttavia non avallava le osservazioni del governo italiano sul principio di specialità, ma richiamava nell’ambito tributario il suo precedente orientamento. Infatti, da un punto di vista temporale, si segnala come la suddetta sentenza Commissione/Italia del 1979 richiami quanto affermato nel caso Commissione/Francia del 1974 (in materia di lavoro marittimo) [17] per confutare la tesi del governo italiano secondo cui l’applicazione pratica in conformità al diritto comunitario di una norma in astratto ad essa contraria rende la norma stessa compatibile con il diritto comunitario.
2.3. Insufficienza del ricorso all’Amministrazione
La sentenza del 26 ottobre 1995 Commissione/Lussemburgo (residenti temporali) [18] decide in merito ad una procedura d’infrazione promossa dalla Commissione nei confronti del Lussemburgo, avente ad oggetto il trattamento discriminatorio subito dai residenti “a tempo parziale” in Lussemburgo ai sensi della legge del 1967 in materia di imposte sui redditi. A tale pronuncia, si aggiunge anche il precedente caso Biehl [19] del 1990.
Nel caso di specie la Corte di Giustizia sostiene che vi sia stata violazione della libertà di circolazione dei lavoratori prevista dal Trattato. Infatti, per il giudice comunitario, prevedere che unica soluzione riconosciuta al contribuente per far valere la violazione del diritto comunitario sia un ricorso avanti all’Amministrazione (non seguito da alcuna fase contenziosa di tipo giurisdizionale), significherebbe accettare l’esistenza di una norma interna contraria al Trattato, con la conseguente assenza di un rimedio uniforme per tutti i casi: ciò si porrebbe in contrasto con il principio di parità di trattamento.
2.4. Presupposizione logica
Nel caso deciso dalla Corte di Giustizia il 9 marzo 2000, Commissione/Italia (attività di pulizia) [20] viene presa in esame la legge del 1994, la quale prevedeva una preventiva iscrizione nel registro delle imprese italiano degli operatori stabiliti in altri Stati membri, al fine di poter prestare determinati servizi di pulizia.
La normativa stabiliva che tutte le imprese italiane o di altri Stati, operanti nel settore delle pulizie, qualunque fosse la loro forma giuridica, fossero obbligate ad iscriversi al registro delle imprese, pena l’assoggettamento a gravi sanzioni amministrative e penali. Tuttavia, la Commissione rilevava una discriminazione indiretta nei confronti delle imprese stabilite in altri Stati membri e affermava una violazione della libertà di stabilimento a danno di queste ultime. Il Governo italiano, nelle sue difese, osservava che, nella vigenza della legge del 1994, le imprese di pulizia di altri Stati membri potevano operare ed effettivamente operavano senza che fosse necessaria l’iscrizione al registro delle imprese. Ebbene, la presupposizione appena accennata nel caso Commissione/Francia del 1974 (in materia di lavoro marittimo) [21] trova esplicita espressione nel caso Commissione/Italia del 2000 (in materia di attività di pulizia). Qui infatti la Corte di Giustizia enuncia come la norma posteriore debba avere lo stesso carattere imperativo e la stessa forza legale della disposizione precedente.
2.5. Prassi amministrativa contraria al diritto dell’Unione
Le spese per il carburante sostenute dai lavoratori sono considerate “automaticamente” deducibili dai soggetti passivi, poiché necessarie allo svolgimento della loro attività economica, secondo quanto previsto dall’art. 3 del decreto IVA del 1991, norma oggetto di discussione nel caso Commissione/Regno Unito (in materia di rimborso carburanti) [22]. La norma che si assumeva violata era contenuta nella Direttiva IVA del 1997.
Secondo la Corte di Giustizia, nel caso de quo, la normativa nazionale non garantiva unicamente la deduzione del costo del carburante impiegato dal lavoratore per le operazioni imponibili rientranti nell’ambito dell’attività d’impresa. Conseguentemente, i giudici comunitari hanno stabilito che una tale “fictio iuris” non è compatibile con la normativa generale derivante dai principi in materia di deduzione. Il metodo forfettario utilizzato praticamente per definire le quantità, al fine di rimborsare in un primo momento il lavoratore, e, al fine di operare la deduzione da parte dell’imprenditore poi, presuppone, di per se stesso, che vengano tralasciati i costi effettivamente sostenuti, violando così la direttiva IVA del 1997. L’errore non è stato rinvenuto tanto nel metodo di calcolo del costo, ma piuttosto nel significato di “costo”, il quale non corrisponde a quello espresso nella Direttiva. Se il lavoratore acquista il carburante, questo significa che quel carburante è necessario al fine di realizzare le operazioni imponibili dell’attività d’impresa. Così la normativa britannica ha operato una “inversione” o un capovolgimento della norma comunitaria. Ma, al contrario, la riferibilità del costo alle operazioni imponibili dell’attività d’impresa deve essere espressamente provato. In tal senso non si può presumere una piena identificazione tra l’acquisto del carburante effettuato dal lavoratore e la necessità dell’impresa, in quanto lo stesso potrebbe acquistarlo per il suo fabbisogno personale o per uno personale. Nel caso di specie, la prassi amministrativa, a differenza di quanto avveniva nei casi precedenti, rafforza la normativa interna amplificando così la distanza rispetto al diritto comunitario. In questo caso, i riferimenti giurisprudenziali alla prassi sono differenti, in quanto si tratta di prassi amministrativa contraria al diritto dell’Unione.
2.6. Irrilevanza della Convenzione contro le doppie imposizioni
Nella pronuncia del 5 luglio 2007 Commissione/Belgio (imposta sulle assicurazioni) [23] viene posto in discussione l’art. 364bis del Codice delle imposte sui redditi belga del 1992, così come modificato nel 2003, il quale stabilisce che, nel caso in cui vi sia un trasferimento all’estero di residenza o di sede societaria, il pagamento o l’attribuzione di capitali sotto forma di interessi o valori di riscatto, ai fini fiscali, si considera effettuato il giorno precedente il trasferimento. In tali casi, la compagnia di assicurazioni ha l’obbligo di operare una ritenuta alla fonte sul capitale o sul valore di riscatto pagato al soggetto attualmente non residente, che abbia però vissuto in Belgio, nel caso in cui il capitale si sia formato durante il suo periodo di residenza in Belgio. Questa finzione giuridica comporta, perciò, la tassazione dei capitali correlati a contratti di assicurazione, in ragione del fatto che il lavoratore varchi la frontiera. Conseguentemente, la normativa viene considerata dalla Corte di Giustizia contrastante con la libera circolazione dei lavoratori all’interno dell’Unione Europea [24]. A propria difesa il governo belga argomentava che la Corte di Cassazione, in una sua pronuncia del 5 dicembre 2000, aveva riconosciuto che l’Amministrazione belga ha il dovere di applicare l’art. 364bis, unicamente nel caso in cui esista una convenzione contro le doppie imposizioni che riconosca il diritto allo Stato di tassare tale reddito. Tuttavia, la Corte di Giustizia non accoglie tale tesi poiché in contrasto con il principio di certezza del diritto, secondo cui una normativa siffatta deve essere modificata.
2.7. Principio generale
Particolarmente interessante risulta essere il caso deciso nella sentenza del 5 ottobre 2010 Commissione/Francia (in materia di rimborsi addizionali) [25] nel quale viene posta in discussione la normativa di cui al codice della sicurezza sociale, secondo la quale le spese mediche sostenute per effettuare una cura programmata in un altro Stato membro attribuiscono il diritto ad un rimborso addizionale, calcolato sulla differenza tra la tariffa prevista nello Stato di effettuazione della cura e quella di appartenenza. Le origini di questo tema possono essere rinvenute nel caso Vanbraekel [26] del 2001, nel quale viene risolta una questione pregiudiziale sollevata avanti alla Corte Lavoro di Mons (Belgio), avente ad oggetto una controversia in materia di rimborso di spese mediche che erano state sostenute dalla sig.ra Descamps, di nazionalità belga, per un intervento chirurgico presso un ospedale francese.Nel caso di specie l’orientamento della Corte di Giustizia si giova di tre criteri, già elaborati in precedenza, che vengono, però, rinnovati secondo la prospettiva fattuale e rispetto alla precedente giurisprudenza, i quali affermano:
1. che la possibilità per l’assicurato di far valere avanti al giudice nazionale la norma così come interpretata dalla Corte di Giustizia, non offre una garanzia sufficiente di attuazione effettiva delle norme del Trattato;
2. che l’ordinamento giuridico dello Stato in questione (quello francese) non ha dato origine ad una situazione ambigua, nella quale i soggetti interessati vengano mantenuti in uno stato di incertezza, in quanto gli stessi possono applicare la normativa comunitaria ad effetto diretto;
3. che la libertà di servizi, così come interpretata al punto 53 della sentenza Vanbreakel, implica che le norme del Trattato dotate di effetto diretto vincolino gli organi amministrativi e giudiziari degli Stati membri, senza la necessità che lo stato adotti una specifica normativa d’attuazione.
Il punto chiave per la soluzione del suddetto caso, a differenza degli altri analizzati, si trova nel principio generale espresso all’art. 322.2 del Codice di sicurezza sociale, il quale prevede che, nel caso di un trattamento medico ricevuto da un soggetto iscritto alla Sicurezza sociale in Francia, in un altro Stato membro, si applicheranno “le medesime condizioni per un trattamento ottenuto in Francia”. Questo criterio delinea un rapporto armonico con l’orientamento espresso nel precedente caso Vanbraekel, e, secondo la Corte di Giustizia, il diritto al rimborso addizionale ben può essere riconosciuto sulla base del principio generale espresso nel Codice. Pertanto, sulla base di questo caso Commissione/Francia del 2010, possiamo addivenire alle seguenti riflessioni: 1. che la prassi amministrativa, in questo caso, svolge una funzione chiarificatrice della compatibilità con il diritto comunitario delle conseguenze dell’applicazione di un principio generale nazionale; 2. che, a sua volta, la prassi trova appoggio nell’orientamento precedente del caso Vanbraekel, il quale svolge un ruolo di guida rispetto a tale prassi; 3. che la prassi amministrativa, di per se stessa, non può conferire valida attuazione al diritto dell’Unione, il quale esige che la norma sia, a sua volta, in armonia con il diritto comunitario.
3. Le circolari dell’Unione e l’assenza di una loro definizione
Si esamineranno ora le circolari della Commissione, le quali hanno dato vita ad un vivace dibattito in ordine alla identificazione della loro natura. La discrepanza tra il dato formale e quello sostanziale delle suddette circolari e delle comunicazioni ha condotto il giudice ad affermare che tutte le disposizioni destinate a produrre effetti possano essere impugnate indipendentemente dalla loro forma. La definizione della natura delle circolari o delle istruzioni si sviluppa in due filoni: il dualismo tra carattere risolutivo e carattere informativo dell’atto e il dualismo tra carattere normativo e carattere di decisione dell’atto. Nonostante le circolari di un’istituzione dell’Unione non esprimano una norma giuridica ma unicamente una regola di condotta, l’istituzione ha, però, il dovere di indicare le ragioni per le quali essa, successivamente, se ne sia discostata. Infatti la giurisprudenza in tema di circolari, ha avuto l’effetto collaterale di definire il principio di legalità degli atti della Commissione, il quale si estrinseca nell’obbligatorietà di una base normativa, della motivazione e della preventiva definizione della forma dell’atto. Nell’analisi dei casi giurisprudenziali riguardanti le circolari delle istituzioni emerge come, una volta che il giudice abbia ritenuto ammissibile il ricorso contro una circolare, possa essere sollevata una “eccezione di illegittimità” con riferimento ad un atto ad applicazione generale viziato, la quale può ripercuotersi sull’oggetto del ricorso. Inoltre per quanto concerne l’interessante problematica dell’azione di risarcimento, se ci sono i presupposti per affermare che l’atto sia illegittimo, sebbene lo stesso non sia da considerarsi lesivo secondo il ricorso per l’annullamento, si potrà ricorrere all’azione di risarcimento, sulla base di alcune condizioni, che si dovranno analizzare attentamente.
3.1. Circolari dell’Unione: il loro annullamento
Il caso Francia/Commissione (in materia di campionamento) [27], deciso con la sentenza del 9 ottobre 1990, ha ad oggetto un ricorso per l’annullamento di “istruzioni interne” della Commissione, riguardanti disposizioni di applicazione tecnico-amministrative relative al campionamento e all’analisi dei prodotti soggetti al controllo del Fondo Europeo Agricolo e di Orientamento e di Garanzia (F.E.A.O.G.). Questo trova riferimento nel regolamento del Consiglio 729/70 sulla politica agricola comune.
Lo stato francese, come si evince dal ricorso, contestava il potere, che la Commissione si era autonomamente conferita, di prelevare campioni e di realizzare interventi indipendentemente dagli Stati membri. In ragione di questa attribuzione ricorrevano, a parere dello Stato francese, due vizi. Il primo consisteva nella mancanza di competenza legislativa in capo alla Commissione, in quanto la stessa è attribuita al Consiglio. E il secondo atteneva all’erosione della competenza esecutiva degli Stati membri con riguardo al campionamento. Nel ricorso per l’annullamento, relativamente all’atto impugnato, venivano in rilievo tre premesse derivanti dalla precedente giurisprudenza:
1. tutte le disposizioni delle Istituzioni dell’Unione Europea, le quali siano idonee a produrre effetti giuridici, possono essere impugnate tramite ricorso per annullamento. Si veda, al riguardo, lo storico precedente del caso Commissione/Consiglio del 31 marzo 1971 [28];
2. è possibile sollevare un’eccezione di inammissibilità con riferimento alle istruzioni interne, poiché le stesse producendo effetti solamente all’interno dell’Amministrazione, non permettono l’insorgere di alcun diritto od obbligo in capo ai terzi. Tale tipologia di atti non è di per sé dannosa così da legittimarne l’impugnabilità attraverso un ricorso per l’annullamento. Si segnala il precedente giurisprudenziale del caso Les Verts/ Parlamento [29] del 25 febbraio 1988;
3. qualunque disposizione delle Istituzione dell’Unione Europea destinata a produrre effetti giuridici può essere oggetto di un ricorso per annullamento, indipendentemente dalla sua forma. Anche qui viene in rilievo lo storico caso Commissione/Consiglio del 31 marzo 1971 sopra menzionato.
Tuttavia, nel caso in cui l’appellante sottoponga al giudice la questione dell’identificazione della natura dell’istruzione o della circolare, la valutazione dell’eccezione di inammissibilità si collega alla valutazione degli effetti sostanziali prodotti dall’atto. In quanto per poterne stabilire la natura, è necessario esaminare il contenuto dell’atto e gli effetti giuridici da questo prodotti. La sentenza Francia/Commissione del 1990 annulla l’istruzione della Commissione del 1988, disciplinante i compiti tecnico-amministrativi relativi al controllo da parte del F.E.A.O.G..
3.2. Il dualismo carattere risolutivo – carattere informativo
Al fine di illustrare il contrasto tra carattere risolutivo e carattere informativo di una misura di una Istituzione dell’Unione Europea si analizzerà l’emblematica decisione del caso Commissione/Greencore [30] del 9 dicembre 2004, in materia di riconoscimento di interessi a seguito di un rimborso di un pagamento indebito, effettuato erroneamente in favore della Commissione. La Commissione, con riferimento ad un suo documento scritto, datato 11 febbraio 2002, oggetto del ricorso per annullamento in primo grado, introduce il dualismo carattere risolutivo – carattere informativo. Data la decisione parzialmente favorevole per la società Greencore all’esito del primo grado di giudizio, la Commissione propone appello avverso la sentenza. Al fine di comprendere la portata della decisione giurisprudenziale, è utile segnalare alcuni aspetti fattuali. Nel 2000, la Commissione pagava il debito principale alla società senza, però, provvedere al saldo degli interessi; di talchè, nel 2001, la società inviava un sollecito di pagamento degli interessi; per tutta risposta nel 2002 la Commissione inviava una comunicazione alla società, nella quale affermava la decadenza di quest’ultima dal diritto al pagamento degli interessi. Tale statuizione veniva motivata dalla Commissione sostenendo che la richiesta inviata dalla società nel 2002 non fosse dotata di carattere decisorio, ma semplicemente informativo, in quanto il pagamento del solo capitale senza gli interessi nel 2000, doveva far supporre la decisione della Commissione di negare il saldo di questi ultimi, sicché la richiesta della società presentata nel 2002, non avendo rispettato il termine per impugnare il diniego, non legittimava la pretesa giuridica della società.
Quindi, la Corte di Giustizia nella risoluzione del caso Commissione/Greencore del 2004, indicava chiaramente i tre requisiti fondamentali al fine di riconoscere quando un provvedimento delle Istituzioni comunitarie sia suscettibile di essere impugnato tramite ricorso per annullamento.
In particolare, la misura deve produrre effetti giuridici obbligatori, avere la capacità di incidere sugli interessi del ricorrente e determinare un chiaro cambiamento nello status giuridico del ricorrente. Quindi, una volta che si sia in presenza di una circolare, si potrà fare riferimento a questa giurisprudenza, la quale indica quali sono i requisiti per stabilire se la stessa abbia carattere risolutivo o informativo.
3.3. Il dualismo carattere normativo – carattere di decisione
Si affronterà il contrasto carattere normativo – carattere di decisione attraverso l’analisi della sentenza del 30 marzo 2004 Willi Rothley/Parlamento [31]. avente ad oggetto la riforma della sentenza del Tribunale di primo grado datata 26 febbraio 2002, la quale dichiara l’inammissibilità del ricorso per annullamento della decisione del Parlamento del 18 novembre 1999, che modifica il Regolamento del Parlamento, in relazione alle indagini interne condotte dall’OLAF.
Proprio in relazione alla tematica dei ricorsi per annullamento la giurisprudenza comunitaria ha elaborato tre criteri: 1. che in alcune circostanze una disposizione di un atto di portata generale può produrre effetti diretti e personali su alcuni degli interessati; 2. che, conseguentemente, nel caso di un provvedimento dell’Unione, lo stesso potrà avere un carattere normativo e nei confronti di alcuni particolari destinatari anche carattere di decisione; 3. che quest’ultimo caso è quello di una misura che incide su una persona fisica o giuridica, la quale, in ragione di alcune sue qualità o di una situazione di fatto che la riguarda, si differenzia rispetto alle altre. La sentenza in oggetto opera una delimitazione negativa, stabilendo quali siano i tre requisiti per identificare quando non si sia in presenza di una “situazione caratteristica”, ossia:
1. quando la misura debba essere applicata in ragione di una situazione obiettiva di diritto o di fatto definita dall’atto in questione;
2. quando l’atto debba essere applicato ai ricorrenti vista la loro appartenenza ad una categoria di persone definita in modo generale e astratto;
3. quando “il solo fatto che sia possibile determinare il numero o l’identità dei destinatari di un provvedimento non implica affatto che tali destinatari debbano considerarsi individualmente interessati da tale provvedimento, in quanto esso si applica loro a causa di una situazione obiettiva di diritto o di fatto, definita dall’atto in questione” [32]. Tre casi sono particolarmente esemplificativi della situazione di un gruppo di persone individualmente interessate da una misura generale: sono i casi delle sentenze Piraiki-Patraiki/Commissione del 17 gennaio 1985, Sofrimport/Commissione del 26 giugno 1990 e Antillean Rice Mill /Commissione del 11 febbraio 1999 [33]. Dai casi sopra citati possiamo desumere come l’esistenza di una situazione giuridica preesistente, la quale venga modificata in seguito all’adozione di un provvedimento di carattere generale, dia luogo ad una situazione di fatto, la quale delimita un numero circoscritto di persone sufficientemente individuate, che possono essere assimilate ai destinatari di una decisione. Perciò, una volta che si sia in presenza di una circolare, si potrà fare riferimento a questa giurisprudenza, la quale indica quali sono i requisiti per stabilire se la stessa abbia carattere normativo o di decisione.
3.4. Principio di legalità dell’atto
Nel caso Francia/Commissione (in materia di aiuti di stato alle aziende pubbliche) [34], deciso con la sentenza del 16 giugno 1993, viene impugnata la comunicazione della Commissione agli Stati membri, avente ad oggetto le attività correlate alla trasparenza dei rapporti finanziari tra gli Stati membri e le aziende pubbliche.
Balza subito all’attenzione, come, nella sue difese, la Commissione sostenga tre differenti nature della comunicazione in questione. Infatti la stessa si rivela un insieme di provvedimenti individuali diretti alle società o ai gruppi di società dello Stato membro, ma allo stesso tempo la comunicazione risulta essere un atto negoziato tra la Commissione e il governo francese e, infine, la comunicazione è una circolare diretta ai preposti della Commissione, affinché sollecitino gli Stati membri a fornire la documentazione sulle imprese interessate dal provvedimento.
La risposta della Corte di Giustizia non si è fatta attendere, ma ha fornito un ragionamento allo stesso tempo duplice e univoco. Infatti la stessa ha statuito che è un’esigenza di certezza giuridica il fatto che la legislazione comunitaria sia chiara e che la sua applicazione sia prevedibile per tutti gli Stati; inoltre ha precisato che tutti gli atti destinati a produrre effetti giuridici devono trarre la loro forza vincolante da un provvedimento di diritto comunitario e, infine, ha sottolineato come si debba sempre indicare quale sia il provvedimento comunitario che funge da base giuridica e come la forma giuridica che riveste l’atto debba essere quella prevista dal provvedimento comunitario.
Quindi da un punto di vista sistematico, nell’ambito della potestà di controllo, il giudice comunitario afferma il principio di legalità degli atti dell’Unione, sotto un triplice profilo: 1. la Commissione non può emanare un provvedimento senza fondamento in un atto normativo; 2. tale provvedimento normativo posto a base dell’atto della Commissione deve essere motivato; 3. l’atto normativo deve indicare il contenuto e la forma a cui l’atto della Commissione dovrà conformarsi.
In questo modo la Corte di Giustizia integra l’aspetto della legalità nella concettualizzazione del principio di certezza giuridica, come espressione del bisogno di prevedibilità, che, così configurato, viene riferito non solo alle norme ma anche agli atti e, che definisce le condizioni imprescindibili per la conoscenza dell’atto e della sua origine.
Inoltre la sentenza delinea la struttura del principio di certezza del diritto, la cui violazione viene equiparata alla violazione di un principio generale del diritto comunitario, il cui rispetto deve essere garantito dalla Corte di Giustizia.
Infine la Corte di Giustizia ha disposto l’annullamento della comunicazione della Commissione, poiché producendo la stessa effetti giuridici, era viziata dall’assenza di indicazione circa l’atto normativo dell’Unione da cui derivava i suoi effetti vincolanti.
3.5. Circolari amministrative della Banca Centrale Europea
Il caso Comitato del personale della Banca Centrale Europea/Banca Centrale Europea [35], deciso con l’ordinanza del 13 settembre 2001, ha ad oggetto la riforma dell’ordinanza del Tribunale di primo grado datata 24 ottobre 2000, la quale dichiarava l’inammissibilità del ricorso per annullamento in quanto tardivo. Oggetto del ricorso per annullamento è una circolare amministrativa del Comitato esecutivo della Banca Centrale Europea datata 12 novembre 1998 sull’utilizzo di Internet da parte degli impiegati della Banca. Il motivo dell’impugnazione viene identificato nella mancanza di consultazione del comitato del personale nell’adozione della circolare. I ricorrenti sono il comitato del personale della Banca Centrale Europea e tre dipendenti della Banca a titolo personale. La sentenza affronta cinque tematiche interessanti che meritano una disamina, seppur breve.
Natura dell’atto contestato: gli attori sostengono nel ricorso che l’atto impugnato non sia un atto normativo, per cui il Tribunale di primo grado ha errato nell’identificarlo come “ricorso per annullamento” secondo l’art. 230 del Trattato e di ritenere applicabile il termine perentorio di due mesi previsto per questo tipo di ricorso.
Conoscenza dell’atto da parte dei destinatari: la circolare venne distribuita al personale in via informatica il 12 novembre 1998 e in forma cartacea il 13 novembre 1998. I ricorrenti a titolo personale (il Sig. Priesemann, il Sig. Van Velde e la Sig.ra Cerafogli) confermavano di aver avuto conoscenza della circolare in via informatica il giorno 12 novembre 1998. Tuttavia, il comitato del personale osservava, in qualità di organo, di non aver ricevuto alcun documento. Tale circostanza comportava delle conseguenze in ordine al termine entro cui proporre ricorso.
Ricorsi amministrativi interni: con riguardo al procedimento pre-contenzioso e al procedimento per reclamo prima della fase contenziosa sorgono due interrogativi. Da una parte, se i ricorrenti possano o meno percorrere preventivamente la via amministrativa interna e dall’altra, se esista o meno un obbligo di procedere preventivamente per tale via amministrativa.
Vizio di illegittimità: nel ricorso per annullamento i ricorrenti eccepiscono la nullità del Regolamento del personale, a causa del vizio insanabile della mancanza, all’atto dell’adozione dello stesso, della partecipazione del Consiglio di Governo e del Consiglio Generale della Banca Centrale Europea. Circostanza che, se fosse dimostrata, condurrebbe all’accoglimento del ricorso. Questa osservazione evoca il rimedio dell’“eccezione di illegittimità” (art. 277 del Trattato attuale)[36], che nell’ambito del ricorso per annullamento, legittima gli attori ad invocare quale motivo di impugnazione la violazione di un “atto di portata generale”.
Domande contenute nel ricorso: i ricorrenti avevano formulato una serie di richieste: in primo luogo, che, per il futuro, i diritti e gli obblighi del personale non venissero più stabiliti tramite circolare; in secondo luogo, che non si adottassero norme di comportamento per il personale senza una preventiva consultazione, pena la dichiarazione di nullità e inefficacia della circolare stessa. Non si procederà ora ad enunciare ogni singola risposta, ma la loro semplice elencazione ha evidenziato quali siano le questioni di maggior rilievo sul tema.
3.6. Motivare la scelta di un criterio differente rispetto a quello precedente
Nella sentenza Louwage/Commissione del 30 gennaio 1974[37], riguardante una controversia tra due funzionari e la Commissione, viene esaminata la direttiva interna della Commissione del 17 marzo 1971, con effetto dal 5 marzo 1968, che chiariva alcuni concetti per definire il termine “retribuzione”.
La Corte di Giustizia precisa il suo orientamento al riguardo attraverso tre elementi ossia “una direttiva interna non può considerarsi una norma giuridica, vincolante per l’Amministrazione”, “essa tuttavia esprime una prassi che l’Amministrazione è tenuta a seguire” e infine “l’Amministrazione non può discostarsi dalla suddetta prassi senza dichiararne i motivi, altrimenti violerebbe il principio di parità di trattamento” [38]. Conseguentemente, per tale ragione, la Corte di Giustizia annulla la nota della Commissione, la quale aveva negato il rimborso delle spese di trasloco e di indennità diaria ai due funzionari. Nella sentenza Christos Michael/Commissione del 1 dicembre 1983 [39], un funzionario del servizio di traduzione in lingua greca avanza una duplice pretesa. Egli, infatti, richiede l’annullamento della decisione della Commissione del 1 ottobre 1982, in forza della quale gli veniva negato il passaggio di grado come funzionario, e condannava la Commissione a riclassificarlo in base alla “decisione” del 6 giugno 1973, la quale stabiliva i criteri per l’applicazione dei gradi dei funzionari.
Nel caso di specie la Corte di Giustizia applica il medesimo ragionamento tenuto nel caso Louwage/Commissione, ricavando tre principi. Primo “il ricorrente era legittimato a chiedere il reinserimento nel grado invocando solo la decisione del 6 giugno 1973”, secondo “il ricorrente può far valere l’inosservanza di alcune disposizioni della stessa”, e terzo “in nessun caso, tali direttive interne adottate dalle istituzioni comunitarie possono stabilire norme che deroghino alla Statuto” [40].
Nella sentenza Commissione/Parlamento e Consiglio (in materia di Comitatologia) del 21 gennaio 2003 [41], la Commissione richiede l’annullamento del Regolamento 1655/2000 del Parlamento e del Consiglio, in quanto esso sottoponeva le misure di esecuzione al procedimento di regolamentazione previsto nella decisione sulla Comitatologia del 1999.
Il vizio sarebbe consistito nel non aver indicato nel corpo del Regolamento la motivazione, per la quale si era deciso, nel caso di specie, di scegliere il procedimento di regolamentazione invece di quello di gestione, che sarebbe stato invece preferibile secondo i criteri stabiliti dalla decisione del 1999 sulla Comitatologia. Anche se tale decisione non ha effetto vincolante [42], la Corte di Giustizia ha affermato che la stessa è idonea a produrre effetti giuridici, sicché diventa obbligatorio esplicare le motivazioni allorquando gli autori, in un momento successivo, decidano di discostarsi dai criteri in essa stabiliti. Il giudice comunitario argomenta il proprio orientamento basandosi sul fatto che, sebbene le misure adottate dalle istituzioni non costituiscano una norma giuridica, ma semplicemente una regola di condotta che indica quale prassi seguire, la Commissione ha l’obbligo di motivare quando intenda discostarsi da tale regola di condotta. A tal proposito si citano i casi Louwage/Commissione e successivi che, come si è visto, recepiscono e applicano tale orientamento. Lo stesso orientamento troverà attuazione anche nel caso di direttive o istruzioni interne indirizzate dalla Commissione al suo personale e nel caso di atti non vincolanti circolanti fra Commissione, Consiglio e Parlamento, i quali riceveranno tutti la medesima soluzione da parte della Corte di Giustizia.
3.7. Esperibilità dell’azione di risarcimento in relazione alle circolari
Si vuole iniziare l’analisi della suddetta tematica con l’approfondimento della sentenza Commissione/Violetti-Schmit-Consiglio [43] del 20 maggio 2010, avente ad oggetto la riforma della sentenza di primo grado del 28 aprile 2009, la quale annullava parzialmente la decisione dell’O.L.A.F., in materia di trasmissibilità al giudice italiano delle informazioni risultanti da una ricerca effettuata. Con riferimento ad un atto che non abbia carattere lesivo, come risulta all’esito del ricorso per annullamento, può essere promossa una domanda di risarcimento del danno? Si potrà analizzare il ragionamento svolto dal Tribunale sulla base di quattro punti fondamentali, a cui se ne aggiungeranno altri due. Primo, ricorso nazionale: nel caso in cui un giudice nazionale decida di inoltrare una richiesta di informazioni, sarà compito degli organi nazionali desumere le conseguenze derivanti da un’attività illegittima dell’O.L.A.F.. In tal caso la classificazione del giudice nazionale deve poter essere decisa con le garanzie del diritto interno, quindi con ricorsi davanti all’autorità giurisdizionale interna. E le garanzie, a cui si fa riferimento, sono quelle correlate ai diritti fondamentali, come il diritto di difesa. Secondo, ammissibilità del risarcimento: se un atto illecito di uno degli organi dell’Unione Europea provoca un danno, il soggetto danneggiato potrà agire per ottenerne il risarcimento. Terzo, principio generale: “qualsiasi atto illecito commesso dall’O.L.A.F., che non sia considerato atto pregiudizievole, non potrà essere sanzionato attraverso l’azione di risarcimento” [44]. Tuttavia la sentenza non specifica quali siano gli atti illeciti di un organo dell’Unione Europea che non assumono il carattere di atto pregiudizievole. Quarto, di chi è la competenza?: con riguardo alla divisione tra le richieste di informazioni dell’O.L.A.F. e quelle del giudice nazionale, viene stabilito che “Il giudice comunitario è l’unico competente a conoscere della domanda di risarcimento”. Quinto, diritti fondamentali: nel caso in cui il giudice nazionale limiti il dibattimento con riferimento alle attività dell’O.L.A.F., che possono essere poste a fondamento della successiva sentenza, si può ipotizzare una possibile violazione del diritto fondamentale ad una buona amministrazione (art. 41 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea) [45], il quale comprende un trattamento imparziale ed equo entro un termine ragionevole e comprende altresì il diritto per la persona di essere ascoltata prima che venga adottato un provvedimento individuale che le arrechi pregiudizio, il quale si pone in relazione con il diritto ad una tutela giudiziaria effettiva (art. 47 della Carta). Sesto, condizioni per la responsabilità: i tre requisiti che, secondo una giurisprudenza costante, danno luogo alla sussistenza di una responsabilità dell’Unione Europea, sono i seguenti: che la norma giuridica violata attribuisca diritti ai singoli, che la violazione sia di carattere sufficientemente grave e che esista un nesso di causalità tra la violazione della norma e il danno subito. Quindi, la violazione di un diritto fondamentale realizzerebbe il primo requisito, il carattere tipico del procedimento amministrativo potrebbe essere sufficiente a ricomprendere il secondo requisito, mentre il nesso causale tra la violazione e il danno dovrebbe essere provato. L’analisi di questo caso del 2010 fornisce gli elementi strutturali della problematica e riporta la relativa casistica giurisprudenziale, chiave di lettura necessaria ed indispensabile per affrontare il tema dell’azione di risarcimento in relazione alle circolari dell’Unione.
4. Le circolari e le risoluzioni nel diritto spagnolo
Si rende ora necessario effettuare una breve panoramica della presente problematica anche nel diritto spagnolo [46]. A tal proposito si collocheranno le circolari in materia tributaria nella sfera del diritto amministrativo.
4.1. La giurisprudenza amministrativa
La l. 30/1992 all’art. 21.3, rubricato istruzioni e ordini di servizio, stabilisce tre regole riferibili ad ambo gli atti. La prima prevede che gli organi superiori, all’interno della scala gerarchica, si avvalgano di istruzioni e ordini di servizio al fine di dirigere l’attività degli organi a questi sottoposti. La seconda sottolinea come la violazione dell’istruzione o dell’ordine non generi di per sé l’invalidità dell’atto derivato. La terza stabilisce che le istruzioni verranno pubblicate nel corrispondente bollettino ufficiale, quando una disposizione specifica lo preveda o quando sarebbe conveniente per i destinatari.
La l. 30/1992, intitolata il Regime giuridico delle pubbliche amministrazioni e del procedimento amministrativo comune [47], è la colonna portante di tutte le pubbliche amministrazione spagnole.
Con riferimento alla circolare, questa viene a collocarsi nella struttura gerarchica degli organi dell’Amministrazione, così che la stessa svolge il suo ruolo principale nell’ambito dell’organizzazione amministrativa. Conseguentemente la circolare non completa l’ordinamento giuridico, del quale è invece una manifestazione, così che la violazione della stessa non produce l’invalidità dell’atto derivato e la sua pubblicazione in un bollettino ufficiale non è generalmente obbligatoria. Inoltre la circolare o l’istruzione non sono considerate fonti del diritto né dalla Costituzione spagnola né dal Codice Civile spagnolo. Secondo la giurisprudenza della Corte Suprema, le norme sul regime giuridico delle amministrazioni pubbliche di cui alla l. 30/1992 [48], tra le quali si trova l’art. 21, sono direttamente applicabili alle imposte, mentre le norme generali sul procedimento amministrativo stabilite dalla l. 30/1992 trovano, in tale settore, un’applicazione mediata. Da ciò deriva che l’art. 21 della l. 30/1992 sulle circolari è direttamente applicabile in materia tributaria.
Logicamente, i tribunali amministrativi [49] hanno, in primo luogo, posto la questione dell’impugnabilità della circolare. La tesi contraria osserva come le circolari non siano atti produttivi di diritti e obblighi, non siano atti decisori e non determinino effetti per i destinatari. Invece la tesi affermativa sostiene che, nel caso in cui le circolari prevedano disposizioni determinate che vadano ad incidere sugli interessi legittimi dei soggetti destinatari della stessa, potranno essere oggetto di impugnazione. Questo senza trascurare che, in tal caso, non si tratterà di vere e proprie circolari, ma di qualcosa di diverso. In questo modo si arriva alla distinzione tra regolamento e circolare. Orbene la circolare non possiede un carattere normativo, di talché ne derivano le seguenti conseguenze: la violazione della stessa non produce l’invalidità dell’atto derivato, nell’elaborazione della circolare non viene seguito il procedimento previsto per l’elaborazione del regolamento e affinché la circolare sia efficace non è necessaria la pubblicazione in un bollettino ufficiale. Quindi, la circolare non è una norma regolamentare derivante da un’attribuzione costituzionale al potere che la emana, ma la stessa trova fondamento nel principio della gerarchia amministrativa, da cui trae la sua forza vincolante.
Pertanto, secondo la giurisprudenza, per poter indagare la vera natura della circolare, si potrà ricorrere a criteri di tipo formale, non sempre affidabili, e a criteri di tipo materiale, cioè, analizzare il suo contenuto. Infatti, la qualificazione non è un problema di denominazione, bensì di contenuto. Perciò, nei casi in cui la circolare travalichi i suoi limiti e stabilisca nuovi obblighi per i singoli, la stessa dovrà essere considerata alla stregua di un regolamento, con la conseguente possibilità di dichiararne la nullità, in quanto adottata senza il rispetto della procedura vincolata per l’approvazione del regolamento. Tuttavia, la giurisprudenza non esclude che, in determinati casi, le circolari possano operare quali disposizioni di integrazione delle norme regolamentari, anche se in questo caso sarà necessaria un’espressa autorizzazione e alla circolare dovrà essere applicata la stessa disciplina di pubblicità prevista per i regolamenti [50].
4.2. Le elaborazioni del diritto amministrativo-tributario
Secondo Santamaría Pastor [51], le circolari interne si fondano sul potere di auto-organizzazione e sul potere gerarchico di indirizzare l’attività dell’organo sottoposto da parte dell’organo superiore, allo scopo di raggiungere gli obiettivi prefissati. Inoltre, il potere di auto-organizzazione viene considerato un potere implicito dell’organo. Per questo Autore, i vari tipi di circolari devono essere suddivisi a seconda della natura che correla le stesse all’atto corrispondente.
1. Le circolari interpretative: impongono agli organi sottoposti criteri di risoluzione o pareri interpretativi. L’autore considera che questo tipo di circolari hanno natura regolamentare, in quanto i criteri e le opzioni menzionati sono diretti ai destinatari delle stesse.
2. Le circolari con carattere obbligatorio: se impongono linee guida generali e astratte devono essere considerate regolamenti, mentre se prevedono regole di attuazione specifiche per singoli casi non avranno natura regolamentare.
3. Le circolari con carattere direttivo: impongono obiettivi determinati o standards di applicazione che devono essere raggiunti. Per l’autore, tale tipo di circolari presenta carattere normativo, in quanto sono vincolanti “per coloro i quali facciano parte dell’organizzazione, ma siano soggetti distinti dall’organizzazione stessa”.
4. Le circolari informative: trasmettono agli organi sottoposti informazioni fattuali, pareri o raccomandazioni per lo svolgimento dell’attività in concreto. Le stesse non hanno natura normativa, in quanto non impongono, né proibiscono, né permettono alcunché.
Inoltre, con riferimento all’efficacia delle circolari nell’ambito interno, per Santamaría Pastor si può distinguere tra: 1. efficacia costitutiva, le istruzioni o le circolari possono stabilire nuovi precetti i quali vincolano i membri dell’organizzazione; 2. efficacia di autorizzazione, le istruzioni o le circolari attribuiscono il potere di autorizzare l’emanazione di atti vincolanti per il personale e di sanzionare comportamenti contrari alla circolare, quale esercizio del potere disciplinare dell’Amministrazione; 3. non possono assurgere a parametri di controllo della legittimità degli atti che da queste derivano, in quanto la violazione della circolare non provoca l’invalidità dell’atto (art. 21) [52]. Nonostante queste considerazioni, e soprattutto con riferimento all’efficacia di autorizzazione, è opportuno segnalare come il principio di legalità della pena (art. 25 della Costituzione) [53] vieti che la condotta di un funzionario sia sanzionata sulla base di una circolare, in quanto quest’ultima non ha rango di legge. Da una diversa prospettiva, il Professor Parada Vázquez [54] ha sottolineato il fenomeno delle norme istitutive delle c.d. amministrazioni indipendenti (organizzazioni non governative dotate di un’autonomia quasi perfetta), come la Banca di Spagna e la Commissione Nazionale sul Mercato dei Titoli, le quali autorizzano tali enti istituzionali ad emanare norme denominate circolari, le quali in alcuni casi sono lo sviluppo di regolamenti e, in altri casi, servono a disciplinare la materia senza dover fare ricorso alla legislazione gerarchicamente superiore. Sarà, quindi, necessaria un’analisi strutturale di ogni atto, distinguendo tra quelli che possano essere qualificati come ordini di servizio e quelli che possiedano la natura di norma regolamentare.
Tuttavia, è controverso se tale ricostruzione possa considerarsi in armonia con la Costituzione spagnola e in particolare con tre principi costituzionali: il principio di riserva di legge nell’organizzazione dello Stato, per il quale gli organi dell’Amministrazione statale sono creati, diretti e coordinati in conformità alla legge (art. 103.3) [55]; il principio di riserva di legge del procedimento amministrativo, per il quale la legge stabilirà l’iter di formazione degli atti amministrativi, garantendo l’audizione dell’interessato (art. 105.c) e il principio di legalità del bilancio, per il quale l’Amministrazione può assumere oneri finanziari o sostenere spese in conformità alla legge (art.133). A tal proposito emerge come quest’ultimo principio sia strettamente connesso ai due precedenti.
Dall’altro lato, nell’ipotesi di un cambiamento dei criteri adottati dall’Amministrazione, riguardo ad un problema o ad una specifica questione, non sarà sufficiente che il nuovo atto successivo si fondi su una nuova circolare (nel senso letterale del termine). Infatti, per il principio di legalità dell’Amministrazione (art. 106), è necessario che il nuovo atto trovi fondamento nella legge, e non quindi in una circolare, e inoltre per la Corte Costituzionale, il cambiamento dei criteri dell’Amministrazione deve essere giustificato da ragioni imperative, pena la possibilità di incorrere per l’Amministrazione nella violazione del principio di eguale applicazione della legge (art. 14 e art. 31) [56]. L’ambito delle circolari, delle pronunce sugli interpelli e delle risoluzioni coesiste con il settore del potere regolamentare del Ministro [57]. Sembra, quindi, opportuno concludere con alcune considerazioni su queste ultime, date le problematiche che le caratterizzano. Si affronta ora l’ambito tributario.
4.3. Le pronunce a seguito di interpello dell’Amministrazione
Nel diritto tributario spagnolo, esiste una normativa in materia di risposte alle istanze di interpello tributario, la quale è comune a tutte le imposte ed è contenuta nella legge generale tributaria del 2003 (artt. 88 e 89) [58]. Si approfondiranno i requisiti e gli effetti. Con riguardo ai requisiti si evidenziano i seguenti punti:
1. I contribuenti possono sottoporre istanze di interpello all’Amministrazione in relazione ai loro obblighi tributari. È competente a rispondere l’organo che assume l’iniziativa di sviluppare la normativa. A tal proposito si segnala la Direzione Generale delle Imposte.
2. L’Amministrazione è obbligata a rispondere prima dello spirare del termine per ottemperare al pagamento dell’imposta a cui l’interpello si riferisce. Se si riferisce all’obbligazione tributaria principale si intenderà il termine per la presentazione della dichiarazione dei redditi.
3. L’Amministrazione ha 6 mesi di tempo per rispondere dal momento della presentazione dell’interpello. Le conseguenze del mancato rispetto del termine così stabilito sono simili a quelle del silenzio-rifiuto: la tesi del richiedente si intende rigettata.
Sono, invece, tre gli effetti della risposta da parte dell’Amministrazione che vanno evidenziati.
In primo luogo, la risposta all’interpello genera effetti vincolanti per l’Amministrazione rispetto al caso sottoposto alla sua attenzione e al contribuente. Infatti l’Amministrazione non può calcolare la base imponibile in un modo diverso rispetto a quanto indicato nella risposta
In secondo luogo, l’Amministrazione deve conservare lo stesso criterio adottato nei confronti del richiedente per i periodi d’imposta futuri, purché ovviamente non vi siano cambiamenti né del dato fattuale, né della normativa e né della giurisprudenza. È necessario chiarire, però, che le decisioni dei tribunali “economici e amministrativi” non costituiscono giurisprudenza nel diritto spagnolo.
In terzo luogo, l’Amministrazione è tenuta ad adottare gli stessi criteri anche nei confronti di altri soggetti passivi, nel caso in cui ricorra una medesima situazione di fatto.
La risposta fornita non potrà essere impugnata (in quanto non è vincolante per il contribuente). Questa è, infatti, una regola tradizionale del diritto spagnolo. Tuttavia si potrà impugnare l’avviso di accertamento che l’Amministrazione dovesse emettere, in relazione ai criteri indicati nella pronuncia. La risposta (sfavorevole) non è vincolante per il contribuente, il quale può, quindi, seguire dei criteri distinti, senza che sia obbligatorio ad impugnare preventivamente la pronuncia (e questo anche in ragione della impossibilità d’impugnazione della stessa). Tuttavia, nel caso in cui la vicenda si sviluppi ulteriormente, il contribuente dovrà, in sede contenziosa, difendere la scelta dei criteri da lui adottati impugnando l’avviso di accertamento.
Applicare gli stessi criteri anche ad altri contribuenti, nel caso in cui essi versino in una identica situazione di fatto, è un criterio giuridico di origine giurisprudenziale introdotto nel 2003, il quale trova fondamento nella prassi giurisprudenziale di accogliere la domanda del ricorrente sulla base di una pronuncia favorevole alla sua tesi. Tale criterio – elaborato dalla Corte Costituzionale – è espressione del principio di eguaglianza nell’applicazione della legge [59], a cui il giudice farà riferimento tranne nei casi in cui sussista una motivazione contraria a tale tesi. Sempre per ciò che attiene agli effetti della pronuncia d’interpello, si sottolinea come l’attenersi ai criteri da quest’ultima stabiliti determini la non sanzionabilità del contribuente in caso di inosservanza della legge tributaria. Orbene, tale criterio giuridico di origine giurisprudenziale è stato inserito nell’art. 179 della legge generale tributaria spagnola in materia di sanzioni [60]. Come si è già osservato, tale norma dispone che lo stesso criterio indicato nella pronuncia debba essere applicato al richiedente e agli altri contribuenti, che versino in una medesima situazione fattuale e normativa.
Poiché la pronuncia a seguito di interpello è vincolante per l’Amministrazione, se ricorrono i medesimi presupposti sarà contraria a diritto la determinazione dell’imposta da parte dell’Amministrazione effettuata sulla base di criteri differenti. Il giudice provvederà quindi ad annullare l’avviso di accertamento e, nel caso in cui l’imposta sia già stata versata, disporrà il rimborso della stessa ed il pagamento degli interessi nel frattempo maturati a favore del contribuente. Successivamente all’annullamento dell’avviso di accertamento, l’Amministrazione sarà tenuta a revocare le sanzioni emesse, anche se il contribuente non ne abbia fatto espressa richiesta, in quanto l’esistenza di un debito d’imposta è presupposto indefettibile affinchè possa dirsi esistente una violazione ai sensi dell’art. 191 della legge generale tributaria. Tale aspetto, elaborato dalla migliore giurisprudenza, deriva dall’esigenza di applicazione del principio di legalità dell’Amministrazione.
4.4. Le circolari interpretative delle imposte
“Fra le competenze dello Stato rientra certamente quella esclusiva del Ministero delle Finanze nell’emanare disposizioni interpretative o chiarificatrici di leggi o altre norme in materia tributaria. Tutte le disposizioni interpretative o di chiarimento saranno vincolanti per tutti gli organi dell’Amministrazione finanziaria e verranno pubblicate sulla Gazzetta Ufficiale appropriata” [61] (art. 12. 3 della legge generale tributaria del 2003) [62]. A tal proposito, la tradizione nel diritto spagnolo di attribuire la competenza a emanare circolari interpretative al Ministro dell’Economia e delle Finanze è divenuta oramai espressione di una regola comune (generale) a tutti i tipi d’imposta, sicché non è necessario che vi sia una specifica autorizzazione all’emanazione per ogni singola imposta. Sul punto la legge generale tributaria spagnola del 2003 mantiene la disciplina della previgente legge generale tributaria del 1964. Invece è un luogo comune quello per cui le circolari interpretative, per loro natura, siano dotate di efficacia retroattiva alla data di entrata in vigore della disposizione legislativa. Infatti, sull’applicazione pratica dell’art. 12.3 della legge tributaria spagnola sono necessari due chiarimenti.
In primo luogo, l’Amministrazione tributaria non può contestare al contribuente di aver violato una circolare interpretativa, nel caso in cui questa non sia stata pubblicata nel Bollettino Ufficiale dello Stato, o in un bollettino equivalente, in quanto, per giurisprudenza costante, l’assenza di pubblicazione esclude la produzione di ulteriori effetti della circolare.
In secondo luogo, il contribuente, che abbia fornito un’interpretazione ragionevole della norma tributaria differente rispetto a quella espressa in una circolare interpretativa pubblicata successivamente (art. 179 della legge generale tributaria), non dovrebbe essere sanzionato, in quanto il fatto stesso di aver dovuto ricorrere all’emanazione di una circolare, al fine di chiarire il dato normativo, non fa che evidenziare l’oscurità della norma interpretata. Inoltre, è importante ricordare, come hanno osservato alcuni autori [63], che la circolare non è dotata di carattere normativo, così da non poter estendere alla stessa quei criteri propri previsti per la legge. Ad esempio, la definizione di capacità contributiva del contribuente mediata attraverso i suoi rappresentanti politici dovrà essere espressa in una norma tributaria basata sulla solidarietà, senza che vi sia la possibilità per l’Amministrazione di deformare tale definizione e rimanendo di competenza del giudice il potere di assicurare il rispetto delle norme tributarie. Conseguentemente, la circolare sarà nulla nel momento in cui la sua funzione di indirizzo produrrà effetti ulteriori rispetto a tale funzione, che influiscano sugli elementi essenziali della struttura dell’imposta, quali il fatto generatore del tributo, i soggetti passivi, la base imponibile, l’aliquota fiscale in combinato disposto con il momento di insorgenza dell’obbligazione tributaria. Questi, infatti, in materia tributaria, sono aspetti soggetti a riserva di legge.
Nel caso in cui una circolare sia viziata da eccesso di potere per avere la stessa superato i limiti fissati dal regolamento, si può impugnare l’avviso di accertamento fondato su quella circolare avanti al giudice amministrativo-tributario tramite un “ricorso indiretto” [64], eccependo l’eccesso di potere regolamentare, da cui deriverà l’illegittimità dell’atto.
5. La Risoluzione della Direzione Generale delle Imposte del 23 dicembre 2009
La legge n. 2 del 1 marzo 2010 [65] ha recepito la direttiva 2008/8/CE [66] sul luogo delle prestazioni di servizi e la direttiva 2008/9/CE [67] sul rimborso dell’IVA ai soggetti passivi non stabiliti nello Stato Membro di rimborso. La norma è entrata il vigore il 3 marzo 2010, ma con effetti retroattivi al 1 gennaio 2010 per ciò che riguarda l’IVA.
Nel frattempo, precisamente il 23 dicembre 2009, venne emanata la Risoluzione della Direzione Generale delle Imposte, del Ministero dell’Economia e delle Finanze [68], la quale doveva “coprire” il periodo dal 1 gennaio 2010, data in cui la direttiva avrebbe dovuto produrre i propri effetti, al 3 marzo 2010, data in cui è entrata in vigore la legge n. 2/2010.
La natura di questa risoluzione risulta enigmatica, poiché, in primo luogo, ai fini della sua emanazione, non indica la norma attributiva della competenza alla Direzione Generale delle Imposte. In secondo luogo, non risolve alcun caso specifico richiesto dal contribuente, in quanto non è una risposta ad un’istanza di interpello. La risoluzione tenterebbe, quindi, di fornire criteri interpretativi per dare osservanza alle direttive 2008/8/CE e 2008/9/CE, ma per l’appunto rimane un tentativo in quanto, data la sua natura, difetta di tale capacità.
5.1. Prestazione di servizi effettuata prima dell’entrata in vigore della l. 2/2010
Le nuove norme sulla localizzazione delle prestazioni di servizi hanno posto al centro l’imposizione nel paese di destinazione del servizio, il che potrebbe portare alla tassazione di un fatto imponibile, che secondo la previgente normativa non sarebbe stato realizzato in territorio spagnolo.
Si consideri il caso di un imprenditore che effettui una prestazione di servizi non soggetta ad IVA secondo le previgenti disposizioni sulla localizzazione e, quindi, non abbia inserito tale operazione nella liquidazione IVA del primo trimestre. Dopo l’entrata in vigore della legge n. 2 del 2010 [69], l’Amministrazione può rideterminare l’imposta con riferimento a tale tipo di servizio richiedendo anche gli interessi nel frattempo maturati, data l’efficacia retroattiva al 1 gennaio 2010 delle norme stabilite nella l. 2/2010. Tutto ciò senza considerare i dubbi profili di costituzionalità della legge. In ogni caso, l’Amministrazione non potrà imporre sanzioni per il mancato versamento dell’IVA a debito, in quanto l’imprenditore ha agito sulla base della normativa IVA in vigore al momento della realizzazione del fatto e pertanto all’epoca era soggetto ad imposta sul territorio spagnolo.Conseguentemente, avverso l’argomentazione dell’imprenditore di aver rispettato la normativa pro tempore applicabile, l’Amministrazione non potrà opporre la Risoluzione della Direzione Generale delle Imposte del 2009 [70]. Sicché non potrà, sulla base di quest’ultima, nemmeno comminare una sanzione, in quanto la stessa giurisprudenza comunitaria, con riferimento al rispetto della normativa dell’Unione Europea, ha più volte sottolineato che una violazione esiste se vi è una norma vincolante successiva con lo stesso valore di quella modificata. Pertanto, la semplice prassi amministrativa, modificabile discrezionalmente da parte dell’Amministrazione, non sembra osservare le prescrizioni del Trattato.
5.2. Rifiuto al rimborso
Si ipotizza ora il caso di un soggetto non stabilito, il quale abbia presentato una richiesta di rimborso secondo il disposto della Direttiva 2008/9/CE o sulla base della Risoluzione della Direzione Generale delle Imposte del 2009 [71] e la cui richiesta sia stata rigettata, in base alle circostanze fattuali che la nuova normativa esige. In questo caso l’operatore economico potrà percorrere due strade.
Primo: potrà esercitare il suo diritto ad impugnare il diniego avanti l’organo competente secondo l’art. 23.2 della Direttiva 2008/9/CE, tramite un ricorso avverso il rifiuto, avente gli stessi requisiti sostanziali, formali e lo stesso termine d’impugnazione di quello presentato da un soggetto stabilito in tale Stato membro. Al momento di entrata in vigore della legge n. 2 del 2010 [72], tale elemento potrà essere evidenziato al fine di rafforzare il fondamento dell’impugnazione. Nel caso in cui il ricorso venga accolto il contribuente avrà diritto alla corresponsione degli interessi calcolati dal decimo giorno lavorativo (art. 22.1) successivo al periodo di quattro mesi (art. 19.1) dalla presentazione della richiesta di rimborso. Inoltre l’operatore economico potrà, nel suo atto difensivo, fare riferimento alla Risoluzione nel caso in cui questa fornisca elementi a sostegno della sua tesi.
Secondo: al momento dell’entrata in vigore della legge n. 2 del 2010 l’operatore economico stabilito in un altro Stato Membro può proporre una richiesta di rimborso in base alla l. 2/2010, in quanto, essendo una nuova normativa, essa prevede un nuovo termine per la presentazione di richieste di riconoscimento di diritti fondati sulla stessa.
L’Amministrazione non potrà opporre direttamente la Direttiva 2008/9/CE, in quanto lo Stato ha violato il dovere di recepirla nel termine assegnato. E allo stesso tempo non potrà opporre la Risoluzione della Direzione Generale del 2009, poiché non è dotata di natura vincolante e quindi non potrà sortire alcun effetto nei confronti dell’opponente.
5.3. Procedura plurinazionale
È ovvio che la Risoluzione della Direzione Generale spagnola delle Imposte non sia idonea a fondare obblighi, ma bisogna chiedersi che valore essa possieda in relazione al riconoscimento di diritti in favore dei soggetti passivi, poiché è espressione di criteri operativi e interpretativi dell’Amministrazione.
Le norme interne sul diritto al rimborso non hanno ostacoli da rimuovere, ma necessitano di una nuova procedura. A tal proposito la Risoluzione delinea uno schema di procedura, purtroppo ancora insufficiente, per dare piena attuazione alle norme della Direttiva.
Quest’ultima stabilisce un sistema di rimborso mediante un unico punto d’ingresso, che presuppone un procedimento plurinazionale di rimborso, con coinvolgimento dello Stato di stabilimento, dove si presenta l’istanza di rimborso, e coinvolgimento dello Stato di rimborso, dove è stata versata l’imposta ed è quindi destinatario dell’istanza di rimborso.
Tre sono le ipotesi analizzate: 1. soggetti passivi stabiliti in territorio spagnolo e IVA assolta in un altro Stato dell’Unione Europea; 2. soggetti passivi stabiliti in un altro Stato dell’Unione e IVA versata nel territorio spagnolo; 3. soggetti passivi non stabiliti nell’Unione Europea e IVA assolta nel territorio spagnolo. La Direttiva stabilisce le condizioni del rimborso e le procedure da seguire attraverso norme precise ed incondizionate.
Le disposizioni previste dalla Risoluzione [73] stabilite a favore dell’operatore economico possono essere dallo stesso invocate, in quanto espressione dei criteri seguiti dall’Amministrazione. Così, ad esempio, la fissazione del dies a quo per la maturazione degli interessi di mora, secondo il punto 13 della parte ottava della Risoluzione. Invece, le previsioni della stessa, che limitano i diritti del soggetto passivo previsti dalla Direttiva, possono essere ignorate sia dall’operatore economico, sia dal giudice, senza la necessità di dover sollevare una questione pregiudiziale. Ad esempio, la fissazione del dies ad quem per il saldo degli interessi di mora, secondo il punto 13 della parte ottava della Risoluzione. Le istanze di rimborso presentate tra l’1 gennaio 2010 ed il 3 marzo 2010 verranno decise conformemente alla Direttiva, mentre per quelle presentate dopo l’entrata in vigore della l. 2/2010 [74] sarà applicabile la legge suddetta per le istanze di rimborso riguardanti l’imposta del primo trimestre. Quindi, le istanze presentate prima dell’entrata in vigore della legge dovranno essere regolate dalla normativa vigente al momento della presentazione, la quale era la Direttiva 2008/9/CE (tempus regit actum). Questo anche in ragione del fatto che la l. 2/2010 non ha stabilito che la sua disciplina trovi applicazione per i procedimenti già iniziati prima della sua entrata in vigore. In conclusione, la Risoluzione della Direzione Generale spagnola delle Imposte avrebbe inteso, senza però riuscirvi, fornire sostegno alle istanze presentate prima dell’entrata in vigore della l. 2/2010, la quale modifica il regime IVA [75].
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- Enrique de Miguel Canuto ha ottenuto il titolo di Dottore di Ricerca in Scienze Giuridiche presso l’Università di Bologna ed è Professore di diritto tributario e di diritto finanziario all’Università di Valencia. Traduzione italiana a cura di Stefania Martinengo, Dottoranda in Diritto Tributario Europeo presso l’Università di Bologna.↵
- Per quanto riguarda le fonti del diritto dell’Unione Europea si vedano: SCHRAUWEN A., Sources of EU Law for integration in taxation, p. 15, e KEMMEREN E.C.C.M., Sources of Law for European tax integration: well-known end alternative instruments, p. 29, entrambi in WEBER, D. (a cura di), Traditional and alternative routes to European tax integration: primary law, secondary law, soft law, coordination, comitology and their relationship, Amsterdam, 2010; PALAO TABOADA C., Sistema de Fuentes del Derecho tributario en el contexto del orde namiento jurídico comunitario. Foro Sainz de Bujanda: Ley General Tributaria y Derecho comunitario, p. 11, Documento nº 2, Instituto de Estudios Fiscales, 2009; GARCIA PRATS A., Incidencia del Derecho comunitario en la configuración jurídica d el derecho financiero (III): Principios dejusticia vs. Derecho comunitario, in Revista de Derecho Financiero y Hacienda Pública 258/2000, p. 737; ALONSO GARCIA R., Sistema jurídico de la Unión europea , 2ª ed., Madrid, 2010; BALAGUER CALLEJON F., La incidencia del Tratado de Lisboa en el sistema de fuentes comunitario y su influencia en los ordenamientos estatales, in MATIA PORTILLA F. J. (a cura di), Estudios sobre el Tratado de Lisboa, Granada, 2009.↵
- Corte Giust., sentenza 16 novembre 2010, causa C-73/10, Internationale Fruchtimport.↵
- SUAY RINCON J., La participación del Parlamento como órgano de control en el proceso de formación y ejecución del Derecho comunitario, in Noticias de la Unión europea 63/1990, p. 57; Sobre la obligación de los estados miembros de eliminar sus disposiciones internas incompatibles con el Derecho comunitario y sobre los medios para hacerla efectiva, in Noticias de la Unión europea, 30/1987, p. 123.↵
- Significativa al riguardo la lettura di VANISTENDAEL F., The role of the European Court of Justice as the supreme judge in tax cases, in EC-Tax Review, 1996/3, p. 114↵
- Corte Giust., sentenza 26 ottobre 1995, causa C-1 5 1 /94,Commissione/Lussemburgo.↵
- Corte Giust., sentenza 5 luglio 2007, causa C-522/04, Commissione/Belgio.↵
- Corte Giust., sentenza 25 ottobre 1979, causa C-159/78, Commissione/Italia.↵
- Corte Giust., sentenza 10 marzo 2005, causa C-33/03, Commissione/Regno Unito.↵
- Corte Giust., sentenza 4 aprile 1974, causa C-167/73,Commissione/Francia. Si veda HARLEY T., Direct applicablity and the failure to repeal incompatible national legislation, in European Law Review, 1975, p. 53; LOUIS J-V., Discrimination interdite et manquement de l’Etat, in Cahiers de droit européen 1974, p. 587, e ROGISSART J., La politique commune des transports et les règles generals du Traité, in Cahiers de Droit européen 1974, p. 584↵
- Corte Giust., sentenza 7 marzo 2002, causa C-145/99, Commissione/Italia. Si veda FERRARO F., Cronaca di una condanna da tempo annunciata per l’Italia, in Diritto pubblico comparato ed europeo 2002, p.1270.↵
- Punto nº 8.↵
- Punto n° 30.↵
- Corte Giust., sentenza 13 marzo 1997, causa C-197/96, Commissione/Francia.↵
- Corte Giust., sentenza 9 marzo 2000, causa C-358/98, Commissione/Italia.↵
- Corte Giust., sentenza 25 ottobre 1979, causa C-159/78, Commissione/Italia. Si veda MARZANO A., Spedizionieri doganali e diritto comunitario, in Rassegna dell’Avvocatura dello Stato, 1979, I, p. 635.↵
- Corte Giust., sentenza 4 aprile 1974, causa C-167/73, Commissione/Francia.↵
- Corte Giust., sentenza 26 ottobre 1995, causa C-151/94, Commissione/Lussemburgo.↵
- Corte Giust., sentenza 8 maggio 1990, causa C-175/88, Biehl.↵
- Corte Giust., sentenza 9 marzo 2000, causa C-358/98, Commissione/Italia. Si veda KRONENBERGER V., Register requirement for undertakings providing cleaning services in Italy, in European law reporter 2000, p. 110↵
- Corte Giust., sentenza 4 aprile 1974, causa C-167/73, cit..↵
- Corte Giust., sentenza 10 marzo 2005, causa C-33/03, Commissione/Regno Unito.↵
- Corte Giust., sentenza 5 luglio 2007, causa C-522/04, Commissione/Belgio. Si veda MARTIN JIMENEZ A., Jurisprudencia del Tribunalde Justicia de las Comunidades europeas, in Revista española de Derecho financiero, 2008, p. 664.↵
- Punto nº 68.↵
- Corte Giust., sentenza 5 ottobre 2010, causa C-512/08, Commissione/Francia. Si veda MICHEL V., Remboursement des soins de santé transfrontaliers, in Europe, Actualité du Droit de l’Union européene, 12/2010.↵
- Corte Giust., sentenza 12 luglio 2001, causa C-368/98, Abdon Vanbraekel e altri/Alliance nationale des mutualités chrétiennes (ANMC).↵
- Corte Giust., sentenza 9 ottobre 1990, causa C-366/88, Francia/Commissione. Si veda DELLA CANANEA G., L’impugnabilità degli atti “interni” dell’Amministrazione nel Diritto comunitario: un nuovo orientamento della Corte di Giustizia, in Rivista italiana di diritto pubblico comunitario, 1992, p. 891.↵
- Corte Giust., sentenza 31 marzo 1971, causa C-22/70, Commissione/Consiglio.↵
- Corte Giust., sentenza 25 febbraio 1988, causa C-190/84, Partito ecologista “les Verts”/Parlamento europeo.↵
- Corte Giust., sentenza 9 dicembre 2004, causa C-123/03, Commissione/Greencore.↵
- Corte Giust., sentenza 30 marzo 2004, causa C-167/02, Willi Rothley e altri/Parlamento.↵
- Punti nº 65 e nº 67.↵
- Corte Giust., sentenza 17 gennaio 1985, causa C-11/82, Piraiki-Patraiki/Commissione; Corte Giust., sentenza 26 giugno 1990, causa C-152/88, Sofrimport/Commissione; Corte Giust., sentenza 11 febbraio 1999, causa C-390/95, Antillean Rice Mills/Commissione.↵
- Corte Giust., sentenza 16 giugno 1993, causa C-325/91, Francia/Commissione. Si veda ANTONIOLI M., Le comunicazioni della Commissione al vaglio della Corte di giustizia, in Rivista italiana di Diritto pubblico comunitario, 1993, p. 858.↵
- Corte Giust., sentenza 13 settembre 2001, causa C-467/00, Comitato del personale della Banca Centrale Europea, Johannes Priesemann, Marc van Velde e Maria Concetta Cerafogli /Banca Centrale Europea.↵
- Art. 277 dell’attuale Trattato.↵
- Corte Giust., sentenza 30 gennaio 1974, causa C-148/73, Louwage/Commissione.↵
- Punto n° 12.↵
- Corte Giust., sentenza 1 dicembre 1983, causa C-343/82, Christos Michael/Commissione.↵
- Punti nº 15 e nº16.↵
- Corte Giust., sentenza 21 gennaio 2003, causa C- 3 78/00, Commissione/Parlamento e Consiglio dell’Unione Europea.↵
- Per una riflessione più recente si veda ADRIANSEN P., Comitology: an alternative route towards European direct tax integration?, in WEBER D. (a cura di), Traditional and alternative routes to European tax integration: primary law, secondary law, soft law, coordination, comitology and their relationship, Amsterdam, 2010.↵
- TGUE, sentenza 20 maggio 2010, causa T-261/09, Commissione/Violettti-Schmit-Consiglio.↵
- Punto n° 59.↵
- FUENTETAJA PASTOR J. A., El derecho a la buena administración en la Carta de los derechos fundamentales de la Unión europea, in Revista de Derecho de la Unión europea, 15 /2008, p.137.↵
- MORENO REBATO M., Circulares instrucciones y órdenes de servicio: naturaleza y régimen jurídico, in Revista de Administración pública, 147 /1998, p. 159.↵
- La legge 30/92, BOE del 27 novembre, è stata modificata dalla legge 4/1999, del 13 gennaio, in B.O.E. n. 12 del 14 gennaio.↵
- Legge 30/1992, BOE del 27 novembre.↵
- SALA SANCHEZ – XIOL RIOS – FERNANDEZ MONTALVO, Práctica procesal contencioso-administrativa. T.I, v.1. Barcelona, 1999, p. 988.↵
- SALA – XIOL – FERNANDEZ, op. cit., p. 996.↵
- Principios de Derecho a dministrativo general, I, 2009, p. 235.↵
- Art. 21 della legge 30/1992, B.O.E. del 27 novembre.↵
- Art. 25 della Constitución.↵
- Derecho administrativo I, Parte General, Madrid-Barcelona-Buenos Aires, 2008. Anche, ARAGON REYES M., Las fuentes de la contratación bancaria: en particular el problema de los estatutos d e los bancos y de las circulares del Banco de España, in Revista española de Derecho constitucional, 35/1992, p. 41; ALONSO TIMON A. J., El fenómeno de las autoridades administrativas independientes y la naturaleza de sus capacidades normativas, in Revista de Administración pública, 34/2001, p. 179; FERNANDEZ RODRIGUEZ T. R, Los poderes normativos del Banco de España, in Revista de Derecho Bancario y Bursátil, 13/1984, p. 7.↵
- Articolo 103 della Constitución.↵
- La necessità di motivare il cambiamento dei criteri operativi, viene stabilita nel diritto spagnolo, per tutte le amministrazioni pubbliche nell’art. 54.1,c) della legge 30/92, che nelle risoluzioni decidano di “adottare criteri differenti da quelli seguiti nell’attuazione degli atti precedenti“.↵
- La descrizione del potere normativo del Ministro dell’Economia e delle Finanze è contenuta nella legge generale tributaria spagnola 58/2003 (Ley General Tributaria) del 18 dicembre 2003.↵
- Articoli 88 e 89 della Legge Generale Tributaria.↵
- La prima sentenza della Corte Costituzionale spagnola relativa al principio di eguaglianza nell’applicazione della legge con riferimento all’Amministrazione e alla materia tributaria è la n. 8/1986 del 21 gennaio. Commentata in DE MIGUEL CANUTO E., Iguald ad en la aplicación de la ley en la jurisprudencia constitucional tributaria, in Ciss. Comunicación 32/1986, p. 34. Più recentemente la sentenza della Corte Costituzionale n. 7/2009 del 12 gennaio. L’orientamento attuale coincide essenzialmente con quello originale.↵
- Articolo 179 della Ley General Tributaria.↵
- VOGEL K., L’interpretazione delle leggi tributarie da parte dell’Amministrazione, in DI PIETRO A. (a cura di), L’accertamento tributario nella Comunità europea, Milano, 1997; MARTIN QUERALT J., LOZANO SERRANO C. et al., Curso de Derecho financiero y tributario, Madrid, 2010, p. 146; CALDERON CARRERO J. M., ALVAREZ BARBEITO P., La potestad interpretativa en materia tributaria: aspectos problemáticos y perspectivas de reforma, in Revista de tributación y contabilidad 221-222/2001, p. 3.↵
- Articolo 12.3 della Ley General Tributaria.↵
- CALDERON, ALVAREZ, op. cit..↵
- Nel diritto spagnolo bisogna distinguere tra “ricorso diretto” e “ricorso indiretto” con riferimento all’impugnazione dei regolamenti. Il ricorso diretto ha ad oggetto una norma regolamentare. Se viene accolto ne deriva l’annullamento della norma. Mentre il ricorso indiretto ha ad oggetto un atto di applicazione del regolamento, quale l’avviso di accertamento notificato da parte dell’Amministrazione, e si basa sull’illegittimità di una norma regolamentare. L’accoglimento del ricorso ha come conseguenza l’annullamento dell’atto di applicazione e la conservazione della norma regolamentare.↵
- B.O.E. nº 53 del 2 marzo 2010.↵
- Direttiva CE n. 8/2008.↵
- Direttiva CE n. 9/2008, 12 febbraio 2008 e Direttiva UE 66/2010, 14 ottobre 2010.↵
- B.O.E. nº 313 del 29 dicembre 2009.↵
- B.O.E. nº 53 del 2 marzo 2010.↵
- B.O.E. nº 313 del 29 dicembre 2009.↵
- B.O.E. nº 313 del 29 dicembre 2009.↵
- B.O.E. nº 53 del 2 marzo 2010.↵
- B.O.E. nº 313 del 29 dicembre 2009.↵
- B.O.E. nº 53 del 2 marzo 2010.↵
- Tale lavoro è stato realizzato nell’ambito del progetto di ricerca approvato dal Ministero della Scienza e Innovazione DER 2009-13199, “Il controllo dell’ordinamento tributario spagnolo nell’ottica del diritto costituzionale e comunitario: analisi e proposte”.↵