Passato e futuro dell'exit tax

Adriano Di Pietro [1]

1. La precarietà degli attuali regimi nazionali

La giurisprudenza comunitaria ipoteca il futuro dell’ exit tax dopo averne influenzato il presente nazionale. Questo è diventato incerto, non per la mancanza di specifiche disposizioni comunitarie, quanto, invece, per l’efficacia pervasiva delle libertà comunitarie e del divieto di discriminazione. Il loro primato, anche nel settore dell’imposizione nazionale sui redditi, è così affermato e sostanzialmente consolidato, da diventare generalizzato. Non avrebbe potuto quindi risparmiare nessun settore, anche specifico, anche settoriale, come quello dell’exit tax.

La stabilità e la certezza dei relativi regimi nazionali erano quindi solo apparenti. Si erano affidati alla sola sovranità impositiva nazionale sull’ambito territoriale, quando questa avrebbe dovuto pur sempre misurarsi con l’ordinamento comunitario; avevano considerato gli effetti nel solo mercato nazionale quando il referente era diventato quello comunitario; avevano considerato la mobilità come un limite all’imposizione nazionale - per riaffermare la potestà impositiva nazionale - quando, invece, la stessa ispirava e garantiva l’attuazione dell’ordinamento comunitario e la piena integrazione del mercato unico.

La precarietà dei regimi nazionali è diventata quindi, anche grazie alla Corte di Giustizia, corollario della visione integrata degli ordinamenti tributari nazionali nell’ordinamento comunitario. E’ stata provocata dagli effetti del giudizio di compatibilità delle scelte nazionali di tassazione all’uscita. La giurisprudenza ha così dovuto e voluto far rispettare sia ordinamento comunitario, sia mercato unico nel settore dell’imposizione diretta anche quando i legislatori nazionali avevano voluto, comunque, assicurarsi l’imposizione sulle plusvalenze latenti. Per questo, anche se limitata ai due casi fino ad ora decisi [2], pur con esiti che non sono apparsi sempre coerenti, ha svolto un ruolo ordinamentale. Il giudizio della Corte è parso coerente con un approccio sistematico: ha investito, quindi, prima, le ragioni, il fondamento e l’efficacia dell’imposizione su plusvalenze latenti; poi, i singoli regimi d’exit taxes, una volta che era stato positivo il giudizio sull’exit tax. L’interesse si è così concentrato, fino ad ora, sui caratteri nazionali, come si desume dai precedenti e dagli argomenti posti a base delle recenti procedure d’infrazione di Spagna, Portogallo, Svezia. Da tali caratteri la Corte di Giustizia, in ragione sempre della coerenza dei sistemi nazionali, ha dimostrato, infatti, di voler far dipendere la compatibilità delle exit taxes nazionali. L’intento è dichiarato e perseguito in maniera coerente. Ora si vuole operare un controllo, secondo i principi comunitari - quale quello d ella proporzionalità - ora apprezzare le cause di giustificazione nazionali.

Gli esiti, invece, non sono stati sempre coerenti, nonostante si riferissero a regimi molto simili. La Corte ha dimostrato, infatti, di voler apprezzare in maniera diversa la ca usa di giustificazione anti-abuso come coerenza del sistema tributario nazionale. Ha contribuito così a rendere ancora più precario il destino dei regimi fiscali nazionali, nonostante confermi che la tassazione delle plusvalenze latenti è di per sé compatibile con l’ordinamento comunitario.

2. La compatibilità comunitaria dei regimi nazionali: il difficile equilibrio tra territorialità nazionale e coerenza comunitaria

2.1. Il passato e l’abbandono dell’unità d’imposizione territoriale

Il passato non può più tornare. Era legato a regimi nazionali che volevano affermare, sempre e comunque, la sovranità impositiva sulle plusvalenze che, pur latenti, erano considerate acquisite dagli ordinamenti nazionali. Come tali non avrebbero potuto sfuggire al prelievo una volta che i contribuenti persone fisiche fossero passati ad altra giurisdizione tributaria. La sovranità impositiva nazionale era, per il sistema interno, al servizio degli interessi finanziari nazionali; per quello comunitario poteva essere giustificata per impedire un’utilizzazione abusiva.

Ora le scelte nazionali non sono più totalmente libere: debbono misurarsi con il rispetto delle libertà economiche e, più precisamente, con quella di stabilimento. Queste sono diventate parametro vincolante delle scelte nazionali; hanno contribuito a trasformare in un problema comunitario quella che appariva una soluzione meramente interna. Da parte loro i regimi nazionali non possono o alterare o diminuire o limitare la piena affermazione del Trattato UE. La territorialità che li ispira deve conciliarsi con la coerenza dell’ordinamento comunitario e del mercato unico.

Un equilibrio difficile questo. Deve tener conto della dissociazione tra il potere d’imposizione ed il suo esercizio che il confronto comunitario impone . Il primo, legittimo e compatibile; il secondo, solo ed in quanto si verifichino le stesse condizioni per i residenti ma in un territorio ed in un ordinamento diversi. Per questo la giurisprudenza non ha ritenuto incompatibile il principio di tassazione all’uscita, dimostrando, anzi, di condividerne ragione ed ispirazione.

In nome del diritto comunitario, la Corte ha solo messo fine a quell’unità di potere d’imposizione e di libertà d’esercizio che aveva caratterizzato i regimi nazionali di exit tax fin dalla loro introduzione. Ha così provocato una dissociazione, sconosciuta evidentemente nella logica puramente interna dell’imposizione. Il potere d’imposizione - quello di affermare il diritto nazionale di tassare le plusvalenze latenti nella misura in cui fossero rilevate al momento della perdita della residenza - è rimasto intatto; reso coerente, anche nella visione comunitaria, con l’interesse che l’aveva ispirato. Il suo esercizio - inteso come diritto di riscuotere l’imposta corrispondente all’ammontare delle plusvalenze latenti al momento di perdita della residenza - cede all’ormai definito confronto tra gli ordinamenti nazionali e quello comunitario.

2.2. Il presente ed il ruolo dei regimi fiscali nazionali

La libertà comunitaria di circolazione e di stabilimento delle persone fisiche è servita quindi a censurare il passato e la libera scelta nazionale che accompagnava i regimi di exit tax. Non consente però di definire il presente. Questo rivela un interesse precipuo della giurisprudenza comunitaria per i caratteri che qualificano, in maniera originale, i regimi nazionali. Un interesse utile non solo per evitare soluzioni radicali, ma, anche, e, soprattutto, per rendere relativo ogni giudizio di compatibilità, com’è accaduto, nel caso francese, per il vaglio della proporzionalità delle garanzie richieste. Il giudizio di compatibilità dipende, infatti, sempre di più dai termini, dalle modalità, dalle procedure, ai quali gli Stati hanno affidato la propria imposizione sulle plusvalenze latenti. Non può trascurare nemmeno la possibilità o di collocare il regime nel sistema tributario nazionale o di considerarlo non come una forma d’imposizione territoriale, ma come una reazione ad un utilizzo abusivo della libertà di circolazione o stabilimento all’interno del mercato europeo, come dimostra il caso de Lasteyrie du Saillant [3].

Il ruolo dei regimi fiscali nazionali diventa così, sempre più importante per affermare e giustificare la territorialità dell’imposizione di fronte alla coerenza dell’ordinamento comunitario ed all’unità del relativo mercato. Utile a definire l’equilibrio tra territorialità e coerenza; non più certo ad affermare la piena sovranità territoriale, come potere e relativo esercizio, sulle plusvalenze latenti delle persone fisiche che cambiano di residenza.

2.3. Coerenza e discriminazione dei regimi nazionali di tassazione delle plusvalenze latenti

La reazione degli Stati è stata fino ad ora eterogenea anche perché solo due erano stati, prima delle recenti procedure d’infrazione, diretta mente coinvolti nei giudizi della Corte. L’Olanda ha confermato la fiducia in un regime nazionale riconosciuto compatibile perché giustificato nella sua funzione di riparto del potere impositivo tra i due Stati coinvolti nella tassazione . La Francia, ha preferito smantellare il regime fiscale anche se il giudizio di compatibilità aveva coinvolto solo l’obbligo di dare garanzia. Ha deciso di abdicare al potere d’imposizione, nonostante sia stato riconosciuto con fondamento comunitario nei confronti delle plus valenze latenti. Gli altri Stati, pur non direttamente coinvolti, hanno modificato le procedure che accompagnavano, con la perdita della residenza, la tassazione o la non tassazione. Hanno pensato di mantenere intatto il proprio potere impositivo, incidendo solo su alcuni aspetti del suo esercizio, soprattutto per evitare quel rischio di proporzionalità in cui era incorso il regime francese. Comune a tutti, comunque, l’intento di trovare una soluzione tutta nazionale, senza essere obbligati a coinvolgere altri Stati. Evidente la diffidenza sull’efficacia e la forza del modello, indicato dalla Corte di Giustizia, di accordi per conciliare la territorialità d’imposizione - che rimane dello Stato in cui si erano formate le plusvalenze - con il suo esercizio - da concordare con l’altro Stato in cui le plusvalenze saranno realizzate.

Quello dei regimi nazionali di exit tax è quindi un presente in continuo divenire; un cantiere normativo aperto. Gli Stati, seguendo l’orientamento della giurisprudenza, possono o adattare i propri regimi ai parametri di compatibilità comunitaria o confermare la fiducia nelle proprie scelte, ritenendole coerenti con il proprio sistema tributario e funzionali a finalità condivise dall’ordinamento comunitario, come nel caso di misure anti-abuso. In quest’ultimo caso lo sforzo interpretativo è certo apprezzabile: vuole ricondurre a sistema un regime fiscale che poteva apparire o contingente - perché finalizzato ad evitare sottrazioni d’imposta - o arbitrario - perché aveva equiparato la perdita della residenza al presupposto interno di realizzo con cessione onerosa dei beni d’impresa.

Nel caso italiano l’attuale regime di exit tax avrebbe potuto essere considerato coerente con la scelta compiuta all’interno del testo unico delle imposte sui redditi: quella di dilatare progressivamente il novero degli eventi che giustificassero la tassazione di plusvalenze latenti. In tal modo si sarebbe potuta estendere, in via interpretativa, la tassazione a tutte le ipotesi di uscita del bene dal patrimonio imprenditoriale, senza dover indicare ulteriormente ragioni ed effetti fiscali. In tale prospettiva la perdita della residenza avrebbe potuto essere equiparata ad una di quelle ipotesi. Sarebbe stata giustificata dal fatto che i beni plusvalenti venissero sottratti al potere impositivo nazionale. Un tentativo questo che avrebbe potuto rivelarsi utile per evitare dubbi di discriminazione; più difficile da utilizzare per quelli di restrizione della mobilità personale e della libertà di stabilimento. Nella visione unitaria del mercato europeo la mobilità infatti è accompagnata dal permanere dell’impresa. Non altrimenti si sarebbe potuto giustificare il tentativo della giurisprudenza di conciliare il potere d’imposizione nazionale - riconosciuto al momento d ella perdita di residenza - con l’esercizio del potere - da ricondurre al realizzo dei beni plusvalenti, se pur sotto un’altra e diversa giurisdizione tributaria. Il realizzo, o le ipotesi ad esso assimilate, operano sempre come momento d’imposizione nella logica di un’imposizione unitaria dell’impresa nella sua mobilità comunitaria .

2.4. Il ruolo dei giudici nazionali

L’attenzione ai caratteri qualificanti i regimi nazionali di exit tax coinvolge non solo il giudice comunitario, ma anche quelli nazionali. Questi non possono più ignorare i precedenti giurisprudenziali e tantomeno quelli che si annunciano al termine delle procedure d’infrazione attualmente pendenti. D’altra parte i giudici non possono sostituirsi al legislatore e quindi innovare i regimi n azionali vigenti. Restano però incerti sulle scelte da adottare di fronte a regimi nazionali che, per caratteri e modalità applicative, o possono apparire incompatibili con il diritto comunitario - perché sono simili ad altri regimi nazionali giudicati incompatibili dalla Commissione o dalla Corte - o non sono giustificabili per coerenza con il sistema nazionale e con l’ordinamento comunitario.

I giudici nazionali non sono destinatari diretti della procedura d’infrazione, ma mantengono il loro ruolo di giudici comunitari. Non potrebbero continuare ad applicare un regime incompatibile, anche se per prendere questa decisione sono tenuti ad una verifica delicata e difficile. Adottano, infatti, un’ interpretazione comunitaria. La applicano, però, pur sempre in ragione di caratteri dei regimi nazionali e nell’ambito di un sistema nazionale che non sono, per evidenza, corrispondenti a quelli dei casi giudicati incompatibili. Devono quindi tener conto delle modalità applicative secondo il metodo interpretativo utilizzato dalla giurisprudenza comunitaria. L’effetto non è però parimenti positivo. Se in sede comunitaria serve a verificare la compatibilità dell’esercizio del potere d’imposizione nazionale, in sede nazionale, e con riferimento al ruolo dei giudici, rende più difficile la diagnosi comparata tra regimi giudicati incompatibili e quelli nazionali per i quali non sono ancora intervenute Commissione o Corte di Giustizia. Una diagnosi che rimane indispensabile per legittimare un intervento del giudice nazionale come giudice comunitario, per affermare comunque l’efficacia di ius receptum del precedente giurisprudenziale. Si produce così un’incertezza diffusa che rischia di mettere in discussione la pienezza del ruolo comunitario del giudice nazionale .

2.5. Il regime di exit tax ed il riparto di competenze

Secondo la giurisprudenza comunitaria, per assicurare la libertà di circolazione nel mercato unico e quella di stabilimento, lo Stato di origine non può esercitare il proprio potere d’imposizione sulle plusvalenze latenti, così come previsto nei regimi nazionali di exit tax, al momento del passaggio ad altra giurisdizione tributaria. Per consentire allo Stato in cui sono maturate le plusvalenze latenti di esercitare un potere riconosciuto dall’ordinamento comunitario si deve coinvolgere un altro Stato, quello in cui il contribuente ha trasferito la propria residenza. Sembra così che, secondo la giurisprudenza comunitaria, la stessa mobilità diventi un corollario di un nuovo riparto delle competenze nell’ambito del mercato europeo; si differenzia dall’approccio tradizionale: quello che vuole salvaguardare il diritto alla mobilità senza incontrare ostacoli nel diritto tributario interno.

Per l’exit tax, invece, il problema comunitario è provocato dagli effetti del la mobilità, con la relativa perdita della residenza. In sostanza, per evitare la restrizione alla libera circolazione ed al libero stabilimento delle persone, la giurisprudenza comunitaria ha posto un altro problema: quello del riparto di potere impositivo, coinvolgendo direttamente anche lo Stato in cui si verifica successivamente il realizzo oltre a quello che aveva rilevato le plusvalenze. In questo caso però il riparto non è originato da un conflitto di poteri, ma dall’inconciliabilità dei relativi esercizi. In sostanza, lo Stato in cui si sono formate le plusvalenze non può esercitare il proprio potere d’imposizione; l’altro, che potrebbe esercitarlo al momento del realizzo, deve condividerlo con il primo. Il conflitto si produce tra l’esercizio del potere dello Stato della fonte su di un contribuente che ha perso la residenza e quello dello Stato di residenza con riferimento però a plusvalenze maturate in precedenza fuori della propria giurisdizione tributaria.

3. La soluzione della Corte di Giustizi a per rendere compatibili i regimi nazionali di exit tax: la debolezza del modello comunitario

La giurisprudenza comunitaria non si è limitata a giudicare i regimi nazionali alla luce della diretta applicabilità ed alla consolidata interpretazione della mobilità delle persone e della libertà di stabilimento. Ha anche voluto indicare una soluzione che cercasse di conciliare potere impositivo nazionale, territorialità dell’imposizione e libertà di circolazione e di stabilimento senza far perdere allo Stato della fonte il proprio potere d’imposizione. Tale Stato, per poter acquisire a tassazione le plusvalenze latenti avrebbe dovuto accettare di differire l’esercizio del potere impositivo al momento del realizzo nello Stato di residenza. Avrebbe dovuto così assumersi la responsabilità di controllare, seguire l’evoluzione delle plusvalenze latenti anche oltre i confini nazionali.

Così la Corte di Giustizia avrebbe potuto continuare ad affermare il primato del mercato europeo senza che questo comportasse un sacrificio dei poteri impositivi degli Stati della fonte. I poteri sarebbero rimasti intatti, ma il loro esercizio sarebbe stato regolato in ragione della libertà di circolazione delle persone e di stabilimento che caratterizzano il mercato europeo. In loro nome quindi la Corte di Giustizia propone di dissociare potere d’imposizione e territorialità. Ciò comporta però che lo Stato di residenza rinunci a tassare le plusvalenze maturate prima del trasferimento di residenza e che lo Stato della fonte non perda i l potere d’imposizione sul contribuente anche dopo il trasferimento della sua residenza.

Un equilibrio difficile, questo, originato dalla soluzione giurisprudenziale. Non è, infatti, supportato da una coerente efficacia comunitaria. Questa cede al potere d’imposizione dello Stato della residenza; il diritto comunitario non può impedirgli di esercitare il potere d’imposizione, né di rinunciarvi a favore dell’esercizio di potere dello Stato della fonte.

Un equilibrio difficile, perché l’efficacia del modello comunitario che si propone è affidato solo ad accordi bilaterali rimessi all’autonoma valutazione degli Stati coinvolti nella libertà di stabilimento e nella circolazione delle plusvalenze latenti. Per ottenere risultati compatibili con l’ordinamento, l a giurisprudenza ricorre a fonti non comunitarie. Queste però non trovano nell’ordinamento comunitario ma in quelli nazionali il proprio fondamento e la propria efficacia.

La debolezza del modello comunitario, quale quello proposto dalla Corte di Giustizi a, rischia d’incidere sullo stesso potere d’imposizione nazionale dello Stato della fonte. Appariva, nella giurisprudenza, solido ed integro a fronte dell’ordinamento comunitario. Rischia ora d’indebolirsi, e non poco, nel momento in cui il relativo esercizio, al realizzo delle plusvalenze, non trova un sostegno, un supporto comunitario alla propria efficacia ed è affidato ad accordi bilaterali. Infatti, il potere d’imposizione dello Stato della fonte non potrebbe essere esercitato senza il consenso dello Stato della residenza. D’altra parte il rispetto del mercato e delle sue libertà sarebbe così difficile e complesso per lo Stato della fonte da non consentirgli di esercitare il potere d’imposizione, nonostante sia stato comunitariamente riconosciuto. Risulterebbe fortemente indebolito proprio per le difficoltà di essere coerentemente esercitato sulle plusvalenze realizzate.

4. La debolezza del modello della giurisprudenza ed il ruolo della politica comunitaria

4.1. Equiparazione dei regimi di exit tax delle società

La debolezza del modello comunitario proposto dalla giurisprudenza aveva messo in evidenza la difficoltà di conciliare regimi nazionali ed ordinamento comunitario. Non aveva certo messo in discussione il primato della libertà di stabilimento che, con efficacia diretta, influiva direttamente sugli ordinamenti nazionali. Un primato che aveva coinvolto i regimi di exit tax per le persone fisiche ma che, con la forza del principio, non avrebbe potuto arrestarsi all’ambito di applicazione definito da i precedenti giurisprudenziali. La Commissione [4] si è assunta il compito di rendere esplicita l’efficacia generale che l’affermazione di principio comportava. La libertà di stabilimento deve essere rispettata anche dai regimi di exit tax che coinvolgano persone giuridiche e non solo quelle fisiche, come nella precedente giurisprudenza della Corte. Una consapevolezza giuridica questa, che confina, come si vedrà, con la responsabilità politica. L’intento della Commissione è condivisibile. Superare quelli che nella giurisprudenza sembravano limiti soggettivi della libertà di stabilimento per giustificarli invece alla luce della specificità dei regimi nazionali sottoposti all’attenzione della Corte. La Commissione ha voluto così garantire la più ampia efficacia al principio che aveva fatto della libertà di stabilimento un parametro di compatibilità comunitaria dei regimi d’imposizione nazionale sui redditi.

La soluzione in termini giuridici era, almeno apparentemente, semplice; il vantaggio in termini politici, notevole. La Commissione poteva aumentare la propria area di competenza limitando quella di autonomia sovrana degli Stati senza impegnarsi in complessi percorsi argomentativi. Il costo giuridico del vantaggio politico era limitato, quasi irrisorio. Basta va valorizzare l’efficacia di un principio giurisprudenziale, riconoscendone la più ampia operatività, per superare, secondo la Commissione, eventuali limiti soggettivi che avrebbero messo in discussione la stessa efficacia di principio riconosciuta dalla Corte.Una soluzione che, dal punto di vista giuridico, non poteva essere adeguata a quella che era diventata un’efficacia generale di un principio e non corrispondeva alla semplice unificazione del controllo comunitario di regimi di persone fisiche e giuridiche. Queste, infatti, rispondono a criteri fiscali di territorialità nazionali variamente collegati a sede legale o sede dell’amministrazione o dell’attività. Sono quindi esposte alle conseguenze fiscali che derivano dall’applicazione dei criteri dell’incorporazione o della sede dell’amministrazione dai quali trarre la propria sopravvivenza giuridica nel caso di trasferimento della sede reale.

4.2. La difficile coesistenza con i criteri nazionale di territorialità

I criteri nazionali di territorialità mal si conciliano con il controllo di coerenza comunitaria dei regimi di exit tax delle persone giuridiche. Una volta che la stessa giurisprudenza comunitaria li abbia considerati come equivalenti e che li abbia riconosciuti come tutti compatibili, se ne debbono accettare anche gli effetti che possono produrre anche sul piano comunitario. Fanno variare gli Stati della fonte e della residenza e determinano o la sopravvivenza giuridica delle persone giuridiche o la loro estinzione. Tutti aspetti che, evidentemente, incidono sugli effetti fiscali della mobilità delle imprese e sulla loro libertà di stabilimento; influenzano l’esercizio del potere d’imposizione dello Stato della fonte e della residenza che nella visione giurisprudenziale rappresenta una forma di riparto d’imposizione, necessaria per salvaguardare il potere d’imposizione dello Stato della fonte ed il suo esercizio differito.

La soluzione non potrebbe essere che giuridica perché attiene ai rapporti tra ordinamento comunitario ed ordinamenti nazionali, anche se non è stata ancora definita, per quel che riguarda territorialità e coerenza comunitaria. Per questo, quella proposta dalla Commissione, di affidarsi ad accordi bilaterali o convenzionali, appare giuridicamente inadeguata. Non hanno né il fondamento, né l’efficacia comunitaria che loro consentirebbe di affermarsi sempre e comunque sugli ordinamenti nazionali in nome del primato dell’ordinamento comunitario.

Lo stesso destino va riconosciuto alle convenzioni previste nel Trattato, nonostante la stessa giurisprudenza comunitaria le abbia considerate come strumenti giuridici opportuni cui ricorrere in caso di mancanza di soluzioni comunitarie e non necessarie; tali comunque da sostituirsi al confronto diretto tra libertà economiche e regimi fiscali nazionali come quello provocato dall’attuazione dei regimi nazionali di exit tax. Considerare tali soluzioni come risolutive, come fa la stessa Commissione, non significa ottenere un risultato giuridicamente innovativo sul piano comunitario. Si sposta solo sul piano politico una soluzione che non appare definita su quello giuridico.

L’effetto, in definitiva, della soluzione operativa proposta dalla Commissione è quello di coinvolgere anche i regimi di exit tax delle persone giuridiche in quella precarietà dei regimi fiscali nazionali che aveva coinvolto le persone fisiche.

5. Conclusioni

Il passato è la perdita d’identità tra potere d’imposizione e suo esercizio.

Il presente è un cantiere aperto in cui si misura la debolezza del modello comunitario con la difficile compatibilità delle forme di esercizio con le libertà, come fa anche immaginare la varietà delle soluzioni normative nazionali sottoposte contemporaneamente al vaglio comunitario.

Il futuro è che la debolezza della tassazione delle plusvalenze realizzate da parte degli Stati della fonte o renda sempre più difficile salvaguardare il loro stesso potere d’imposizione o richieda agli Stati accordi bilaterali o convenzioni. Queste però, a loro volta proposte dalla Corte di Giustizia e sollecitate dalla Commissione, confermano la difficoltà a trovare una soluzione comunitaria che corrisponda quindi ad un modello istituzionale. Una soluzione tanto più difficile se coinvolge anche i regimi applicabili alle persone giuridiche. Il loro esito, infatti, dipende, attualmente, dal problema comunitario di conciliare i criteri nazionali di territorialità con l’efficacia diretta della libertà di stabilimento. Fino a che non sarà risolto anche i regimi di exit tax relativi alle persone giuridiche saranno es posti alla stessa precarietà di cui soffrono i regimi nazionali per le persone fisiche. Verrà accentuata così l’incertezza sul futuro nazionale dell’exit tax e quindi anche sullo stesso sviluppo del mercato europeo e non solo del suo ordinamento.

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Footnotes    (↵ returns to text)
  1. L’autore è Professore ordinario di Diritto Tributario presso l’Alma Mater Studiorum – Università di Bologna.
  2. Corte di Giustizia 11 marzo 2004, Huges de Lasteyrie du Saillant, causa C-9/02; Corte di Giustizia 7 settembre 2006, N , causa C-470/04.
  3. Corte di Giustizia 11 marzo 2004, Huges de Lasteyrie du Saillant, causa C-9/02.
  4. Comunicazione della Commissione 19.12.2006, Tassazione in uscita e necessità di coordinamento delle politiche fiscali degli Stati membri, COM(2006) 8 25 def.