Exit tax in Svezia[1]

Leif Mutén [2]

I. Persone fisiche

a) Capital gains tax

In Svezia la residenza fiscale è stabilita con criteri normativi piuttosto rigorosi. Spetta ala contribuente, nei primi cinque anni successivi al trasferimento, provare che é ve nuta meno la connessione con il territorio svedese, ed in special modo che sono cessati i rapporti di natura economica. In caso contrario, l’Amministrazione finanziaria può considerare il contribuente fiscalmente residente in Svezia, nonostante questi abbi a assunto la residenza fiscale nello Stato di destinazione, col quale abbia stabilito una connessione eventualmente più stringente di quella ancora esistente con la Svezia. Basta, ad esempio, una casa in Svezia per stabilire una connessione idonea ai fini della residenza fiscale, purché non sia una residenza solo estiva.

Anche il coniuge non separato rimasto in Svezia, é considerato un legame tale da ivi determinare la residenza, così come l’appartenenza ad un consiglio societario, ma non la titolarità di a zioni in una società.

Deve, poi, essere precisato che la soggettività passiva non é determinata dalla cittadinanza, in sé, sicché il cittadino svedese, che intenda effettivamente trasferirsi in altro Stato, può evitare la tassazione in Svezia.

La cittadinanza è solo uno dei criteri di collegamento e non è considerata, da sola, una connessione tale con la Svezia da determinare una presunzione di residenza in Svezia.

Nella tassazione del reddito sono compresi anche i capital gains, quali redditi di capitale, sottoposti a a tassazione al momento della realizzazione.

Da qui il problema fondamentale, derivante dal fatto che, plusvalori maturati durante il periodo di residenza in Svezia, potrebbero essere realizzati solo quando il contribuente abbia mutato la p ropria residenza fiscale.

La tassazione dei capital gains realizzati riguarda principalmente i contribuenti residenti in Svezia, poichè coloro che sono residenti all’estero, in linea di principio, non sono assoggettati a tassazione sui capital gains relat ivi a beni situati in Svezia, fatta eccezione per capital gains derivanti da beni immobili.

I redditi realizzati con una attività d’impresa sono tassabili nella misura in cui detta attività è esercitata attraverso una stabile organizzazione in Svezia. Alcu ni Trattati riconoscono alla Svezia il diritto di sottoporre a tassazione i capital gains sulle partecipazioni in società, il cui patrimonio sia in prevalenza costituito da beni immobili in Svezia, ma il sistema normativo interno non prevede il diritto di tassazione della Svezia nella medesima ipotesi, con la conseguenza che le suddette previsioni pattizie, di fatto, non trovano applicazione.

L’Income Tax Act del 1999 (SFS 1999:1229, di seguito ITA) al Capitolo 3, sez. 19, prevede che il contribuente, tras ferendosi, sia comunque tenuto a pagare l’imposta sui capital gains che egli realizza su partecipazioni in società svedesi nei dieci anni successivi al trasferimento. A tal fine non si distingue tra partecipazioni già detenute al momento del trasferimento e partecipazioni acquisite successivamente [3] .

Non é prevista alcuna forma di rivalutazione (cd. step up) di dette partecipazioni sia che esse vengano cedute per atto tra vivi sia in caso di successione mortis causa. In tali ipotesi, chi riceve le partecipaz ioni sarà soggetto a tassazione sul valore del bene che sarebbe stato tenuto in considerazione in capo al cedente, al donante o al de cuius, a meno che il successivo titolare delle azioni non sia più residente o, comunque, non viva più stabilmente in Svezi a da almeno dieci anni.

Evidentemente tale previsione si pone in contrasto con l’art. 13 del Modello di Convenzione OCSE [4] .

In occasione di numerose negoziazioni internazionali, la Svezia ha cercato di far accettare detta disposizione, ma nella maggior pa rte dei casi ha dovuto accettare un periodo più breve, normalmente cinque anni, allo spirare del quale la Svezia non può più applicare il proprio regime.

E’ facile immaginare quali e quanti problemi detta norma crei nella sua pratica applicazione.

Se al momento del trasferimento del contribuente viene effettivamente meno ogni suo legame con la Svezia, questi non sarà più iscritto all’Anagrafe Tributaria svedese, quindi, la dichiarazione dei redditi non verrà emessa e registrata. A dimostrazione di quanto tali aspetti pratici siano rilevanti, può essere interessante precisare che chi scrive si é personalmente trovato a dover fronteggiare tali problematiche: avendo provato a pagare l’imposta sui capital gains per conto di un mio familiare, che nei tre anni p recedenti aveva risieduto all’estero, ho avuto seri problemi, dovendomi rivolgere direttamente al Central Tax Office di Stoccolma, dove i funzionari hanno maggiore dimestichezza con il diritto internazionale, per riuscire ad ottenere il rilascio del modell o di dichiarazione dei redditi da compilare. In precedenza mi era sempre stato detto che, vivendo il contribuente all’estero, non era dovuto alcun pagamento al Fisco svedese.

Al riguardo non sono mai stati effettuati studi su quanto riscosso dall’ Amminis trazione Finanziaria, che risulta evidentemente più interessata al trasferimento di quei soggetti che siano titolari di ingenti patrimoni, mentre nei confronti della maggior parte dei contribuenti che lasciano la Svezia, la riscossione addirittura non ha l uogo.

In un Disegno di legge [5] sul quale si tornerà più avanti, il Governo svedese ha sostenuto che la disposizione in commento non è una exit tax. Tale posizione non é certo rimasta incontestata [6] .

Tuttavia, appare compatibile con il diritto comunitario, a lla luce di quanto affermato dalla Corte di Giustizia nelle sentenze de Lasteyrie du Saillant [7] e N [8] .

Il pagamento dell’imposta non è dovuto fino al momento dell’effettivo realizzo e non è prevista nessuna misura volta a garantire la riscossione da parte de l Fisco svedese. D’altra parte, nel determinare l’ammontare dell’imposta effettivamente dovuta si terrà conto anche delle perdite eventualmente verificatesi fino al momento del realizzo. In generale, quindi, è possibile affermare che la legislazione svedes e non pone alcun limite al contribuente che intenda trasferirsi, non essendo lese le libertà di circolazione o di stabilimento.

Si potrebbe, eventualmente, sostenere che la disciplina in commento rappresenti un deterrente, per chi stia programmando di tras ferirsi, nell’investire in partecipazioni di società svedesi, o per chi sia già titolare di partecipazioni in società svedesi, nell’acquisire la residenza fiscale in Svezia. Ma, posto che commentare la sentenza Werner [9] porterebbe troppo lontano dall’oggett o della presente analisi , è dubbio se l’effetto deterrente, cui si accennava appena più sopra, ponga in essere una fattispecie discriminatoria o, comunque, lesiva delle libertà fondamentali sancite dal Trattato UE.

E’, forse, interessante notare che, in due casi, il Governo svedese ha preso delle misure volte ad evitare che i contribuenti potessero trarre un indebito vantaggio dalle norme delle Convenzioni contro le doppie imposizioni, sì da riuscire ad evitare la tassazione dei capital gains. E così, con effetto dal 1 gennaio 2007, si è posto termine alla Convenzione stipulata con il Perù, la cui disciplina interna, in raccordo con le norme convenzionali, che prevedevano un’esenzione in Svezia, consentiva di evitare l’imposta sui capital gains maturati at traverso la liquidazione di una cosiddetta “closely held company”.

Anche con riguardo al Trattato concluso con l’Austria si sono posti problemi di elusione delle disposizioni di cui al cap. 3, sez. 19 dell’Income Tax Act svedese: detto Trattato consente a i titolari di partecipazioni in società svedesi di non essere assoggettati all’imposta sui capital gains, trasferendo la propria residenza fiscale in Austria, la cui disciplina prevede il cd. step up, ossia l’iscrizione in bilancio dei beni trasferiti al l oro valore d’acquisto. Così, nel 2006, è stata approvata dagli Stati contraenti una nuova versione dell’art. 8 della Convenzione contro le doppie imposizioni stipulata da Svezia e Austria, tale da consentire, in ogni caso, l’applicazione delle disposizioni di cui cap. 3, par. 19 dell’Income Tax Act svedese. Tuttavia, l’Austria non ha ancora provveduto alla ratifica e così la Svezia ha unilateralmente approvato una legge, che ratifica l’entrata in vigore del nuovo Protocollo con decorrenza dal 1 gennaio 2007 .

Si tratta, evidentemente, di un’ipotesi di Treaty override, in contrasto con la posizione tradizionalmente mantenuta dalla Svezia. E, tuttavia, il law council (una commissione composta da tre giudici della Supreme Court e della Supreme Administrative Cou rt, con la funzione di verificare la compatibilità delle leggi di nuova approvazione con la vigente legislazione, ed in modo particolare con le previsioni costituzionali) ha affermato la piena legittimità costituzionale della normativa in commento. Il law council ha, in modo particolare, sottolineato che, comunque, gli Stati contraenti avevano già raggiunto un accordo sul Protocollo di modifica della Convenzione e che, nel caso di opposizione dell’Austria, è comunque possibile aprire nuove negoziazioni.

In nessuno di questi casi sembra possibile applicare le due ipotesi di exit taxes in commento. A maggior ragione, comunque, l’orientamento giurisprudenziale della Corte di Giustizia delle Comunità Europee crea problemi nell’applicazione del regime svedese c he intende preservare la tassazione da parte del Fisco svedese degli utili derivanti dall’esercizio di un’attività.

Di più al riguardo verrà detto nella parte dedicata alle persone giuridiche.

b) Il fallito tentativo di prevenire l’elusione dell’imposta su i capital gains.

Una particolare norma sui capital gains, introdotta nel 1998 nel previgente Income Tax Act e rimasta inalterata nell’Income Tax Act del 1999, è stata sottoposta all’esame della Corte di Giustizia nel caso X e Y [10] , relativo ad un’ipotesi di trasferimento di partecipazioni di una “closely held company” ad un prezzo più basso rispetto a quello di mercato. Si tratta delle disposizioni di cui al cap. 53, sezioni 6-8, ai sensi delle quali la cessione ad un prezzo inferiore a quello di mercato det ermina la tassazione dei capital gains in base al prezzo di mercato. Tuttavia, tale norma trova applicazione solo nel caso in cui la cessione avvenga in capo o ad un soggetto giuridico straniero nel quale il cedente o un suo parente detenga, direttamente o indirettamente, una partecipazione, o in capo ad un soggetto giuridico svedese in cui un soggetto giuridico straniero abbia una partecipazione.

Nel caso X e Y, il governo svedese sostenne che la questione avesse una rilevanza meramente interna e che, qui ndi, non ne dovesse essere verificata la compatibilità con il diritto comunitario. Tuttavia, la Corte di Giustizia ritenne tale argomentazione del tutto infondata ed, anzi, sostenne l’incompatibilità della legislazione svedese con il diritto comunitario.

In primo luogo, la disciplina in oggetto venne ritenuta lesiva degli articoli 43 e 48 del Trattato CE [11] .

Inoltre, poiché tali norme sarebbero invocabili solo nell’ipotesi in cui il titolare svedese delle partecipazioni avesse un’influenza determinante sulle decisioni del soggetto giuridico straniero, la Corte aggiunse che, se anche non si fosse profilata un’ipotesi di violazione della libertà di stabilimento, si sarebbe, comunque, avuta una violazione degli articoli 56 e 58 del Trattato CE, relativi alla libe rtà di circolazione dei capitali.

Quanto alla questione se la disciplina svedese potesse essere giustificata da una delle ragioni imperative di interesse generale identificate dalla Corte di Giustizia, il governo svedese, anzitutto, fece leva sulla necess ità di garantire la coerenza del sistema. Tale argomentazione, tuttavia, venne subito ritenuta infondata dal Giudice comunitario, così come avvenne per l’argomentazione relativa alla necessità di evitare l’erosione della base imponibile ed, ancora più ferm amente, per l’argomentazione relativa alla necessità di prevenire l’elusione fiscale.

Il governo svedese impiegò un po’ di tempo nella costituzione di una Commissione che si occupasse delle riforma della disciplina in commento, in modo da renderla compati bile con il diritto comunitario. Nel suo rapporto finale, tuttavia, la Commissione non presentò alcun progetto di riforma, così che la disciplina in commento è rimasta in vigore, anche se non più applicata.

c) Imposta sui capital gains maturati sull’abitazione del soggetto che si trasferisce.

Come in molti altri Paesi, anche il sistema fiscale svedese prevede delle disposizioni volte a mitigare l’imposizione dei capital gains al momento della cessione dell’abitazione del contribuente. Si può, infatti, diffe rire la tassazione se si acquista una nuova casa o una partecipazione in una “housing cooperative” con il ricavato della cessione.

Tuttavia, nel sistema previgente, il differimento dell’imposizione era condizionato all’acquisto di una abitazione in Svezia.

La Commissione Europea, che già aveva fatto pressioni sul Portogallo perché modificasse una disciplina simile a quella in commento, mosse le stesse obiezioni anche alla Svezia [12] . Così, dopo qualche esitazione, il Governo svedese dovette cedere. L’alternat iva di abolire le previsioni sul differimento di tassazione anche nel caso di nuove abitazioni in Svezia avrebbe influenzato negativamente la mobilità dei lavoratori e così nuociuto alla crescita economica.

La nuova disciplina, che venne approvata già pri ma che la Corte di Giustizia delle Comunità europee rendesse la propria decisione nel caso Commissione v. Svezia, prevede la possibilità di differire il pagamento dell’imposta fino a quando non siano effettivamente realizzate le plusvalenze con la cessione della nuova abitazione, se situata all’interno dell’Area Economica Europea (EEA). Il contribuente, che si sia trasferito all’estero, è annualmente obbligato a compilare un modello in cui dichiara di non aver effettuato la cessione. La mancata dichiarazione comporta l’obbligo di pagare l’imposta.

Tale disciplina ha due punti deboli. Innanzitutto, non é detto che lo Stato in cui il contribuente ha stabilito la nuova abitazione sia disponibile a collaborare nella riscossione dell’imposta richiesta dalla Svez ia. Molti Stati esentano il contribuente dal pagamento dell’imposta sui capital gains derivanti dalla vendita di un’abitazione privata dopo un certo numero di anni.

Il secondo punto debole è rappresentato dalla restrizione dell’investimento del capitale ricavato dalla prima vendita solo in una nuova abitazione o in una partecipazione in una “housing cooperative”. Non potrebbe beneficiare del differimento l’ investimento in un condominio, forma di proprietà decisamente più diffusa in Svezia che non la “housing cooperative”.

La Commissione Europea è stata informata di tale distinzione da un avvocato svedese ed ha, quindi, provveduto a comunicare al governo svedese con un atto informale (una semplice lettera) che l’esclusione del condominio appare in contrasto con il diritto comunitario.

II. Persone giuridiche

a) Diritto commerciale

Il diritto commerciale svedese rimane fermamente ancorato al principio della registrazione, sebbene un gran numero di Convenzioni contro le doppie imposizioni indichi la sede del la direzione effettiva quale criterio dirimente in caso di doppia imposizione e, quindi, in ultima analisi, decisivo al fine della determinazione della residenza fiscale.

Sotto un profilo di diritto commerciale, una società svedese resta soggetta al diritt o svedese sino a quando rimane registrata in Svezia. Al contempo, il Consiglio d’Amministrazione deve avere la propria sede in Svezia (Company Act SFS 2005: 551 cap. 3, sez. 1), per quanto non vi siano ostacoli giuridici al trasferimento all’estero della s ede di direzione effettiva. Anche l’Assemblea deve aver luogo in Svezia, ma gli azionisti potrebbero all’unanimità decidere di riunirsi in una sede diversa rispetto a quella usuale, eventualmente anche all’estero [13] . Inoltre, la disciplina previgente, in for za della quale i membri del Consiglio di Amministrazione dovevano essere tutti di nazionalità svedese, è stata modificata ed attualmente l’unica previsione in tal senso è che almeno la metà dei membri del Consiglio siano residenti all’interno dell’EEA e ch e il CEO, se ve n’è uno, debba ugualmente essere residente all’interno dell’EEA (Company Act, cap. 30, sez. 8).

La sede della società deve essere in Svezia, anche se non é richiesta anche la sede di direzione effettiva. Analogamente, il diritto svedese co nsente di spostare la sede del Consiglio d’Amministrazione e del CEO in un luogo diverso da quello fissato nell’atto costitutivo della società [14]

Sebbene la legge richieda che la sede del Consiglio d’Amministrazione sia fissata in Svezia, nella pratica spess o si verifica che detta sede sia solo formalmente in Svezia (soprattutto nel caso in cui la società abbia solo una stabile organizzazione in Svezia), mentre, in effetti, la sede di direzione effettiva é stata spostata all’estero. Di fatto, anche se la sede di direzione effettiva si trova all’estero, la società continua ad essere considerata fiscalmente residente in Svezia, in quanto ivi costituita. La localizzazione della sede di direzione effettiva in uno Stato che determina la residenza fiscale in base al criterio delle “sede reale”, quindi, darà luogo ad un’ipotesi di doppia imposizione.

Il Commercial Act svedese non prevede alcuna procedura relativa al trasferimento della sede societaria all’estero.

Nel Disegno di legge relativo all’introduzione della Societas Europaea, il Governo, nel commentare il nuovo testo dell’ ITA, cap. 3, sez. 19, ha affermato: “Secondo la vigente disciplina delle persone giuridiche, non si può trasferire la sede di una società svedese in un altro Stato senza procedere alla liqui dazione della stessa con la conseguente successiva ricostituzi one nello Stato di destinazione. ” [15]

Nel medesimo Disegno di legge è ulteriormente affermato: “Se una società trasferirà la propria sede da uno Stato membro all’altro, dovranno essere rispettate a lcune formalità. Il Governo ritiene che non debbano mai sussistere dubbi circa la localizzazione della sede societaria.” [16]

Se la società non rispetta tutti i requisiti relativi alla registrazione, deve, in linea di principio, essere liquidata, anche se tal e effetto sanzionatorio non opera nei confronti delle società che godano di una certa reputazione.

E, peraltro, dubbio se la previsione della necessaria localizzazione in Svezia della sede del Consiglio di Amministrazione, se fosse applicata, non determine rebbe una violazione della libertà di stabilimento ai sensi dell’art. 43 del Trattato CE [17].

b) Conseguenze fiscali

Come affermato da Maria Nelson, è evidente la differenza tra gli Stati che seguono il principio dell’incorporazione e quelli che, invece, applicano il principio della sede reale. In quest’ultimo caso, infatti, il trasferimento della sede effettiva implica l’automatica estinzione della società, determinando il venir meno del soggetto giuridico che sarebbe legittimato a rivendicare la propria libe rtà di stabilimento [18].

Nel caso dell’applicazione del principio di incorporazione, invece, il trasferimento della sede effettiva non viene ad incidere sull’originaria esistenza della società. In questo caso, quindi, continua ad esistere il soggetto che può richiedere l’applicazione dell’art. 43 del Trattato CE, impedendo l’applicazione di talune norme, come quella relativa alla tassazione di plusvalenze non ancora effettivamente realizzate, che limitano la libertà di stabilimento.

Ciò è quanto, come già più sopra precisato, si verifica in Svezia, dove l’applicazione del principio dell’incorporazione fa sì che la società registrata in Svezia, continui ad esistere come società svedese anche a seguito del trasferimento all’estero della sede di direzione effettiva.

E’ interessante, comunque, che nel Cap. 3, sez.19, p. 3 dell’Income Tax Act (cfr. supra nota 3) venga menzionato il caso in cui una società svedese muti la propria nazionalità, ma, a parte per ciò che riguarda la disciplina delle fusioni, non vi siano s pecifiche previsioni volte a chiarire le relative implicazioni in punto di diritto commerciale e fiscale. In realtà, poi la previsione fa esclusivo riferimento alla Società Europea ed alla Società Cooperativa Europea, cui viene riconosciuto il diritto di t rasferire all’estero la propria sede, mentre tale possibilità non è riconosciuta ad una comune società di diritto svedese.

La previsione relativa alla Società Europea ed alla società Cooperativa Europea si inserisce nel contesto della legislazione volta ad attuare il diritto comunitario. Ma, poiché tale legislazione non riguarda in generale il sistema svedese, non riveste un ruolo chiarificatore ai nostri fini.

Deve, inoltre, essere osservato che, generalmente, il trasferimento all’estero di una società sv edese assume la forma dell’acquisizione o della fusione, trovando difficilmente applicazione la procedura descritta nel Disegno di legge più sopra menzionato.

E’ ovvio, poi, che l’analisi di una disciplina così complessa risulta ancora più difficile per l e lacune della disciplina comunitaria: la Direttiva fusioni è lacunosa sotto il profilo del diritto commerciale e la disciplina relativa alla Società Europea, occupandosi solo degli aspetti di diritto commerciale, lascia ai singoli Stati membri la discipli na degli specifici profili fiscali.

In relazione agli aspetti appena considerati, assume rilievo la decisione della Corte di Giustizia delle Comunità Europee nel caso Daily Mai [19] l, anche alla luce di quanto rilevato da Maria Nelson nell’articolo già citato .

Considerata la poca chiarezza che caratterizza la disciplina svedese concernente il trasferimento di residenza fiscale delle società, risulta piuttosto difficoltoso pervenire ad una soluzione definitiva, anche facendo riferimento al caso Daily Mail.

E’ possibile considerare il caso da ultimo menzionato rilevante esclusivamente sotto un profilo di diritto commerciale. Stabilisce, infatti, che una società residente in uno Stato, come il Regno Unito o la Svezia, dove si applica il principio dell’incorporazi one, non può trasferire all’estero la propria sede, continuando sempre ad essere residente anche nello Stato di origine.

Come Maria Nelson ha chiarito nel proprio saggio, diverso sarebbe se la società fosse messa in liquidazione nello Stato di origine, con tinuando la propria attività nello Stato di destinazione. Al contrario, ossia nell’ipotesi in cui la società si trasferisce continuando ad esistere giuridicamente nello Stato a quo, detto Stato può stabilire le condizioni del trasferimento. Ciò che è per l’appunto, escluso in caso di liquidazione della società [20].

c) Riserve latenti

Nel diritto fiscale svedese, il concetto di “continuità” riveste un ruolo fondamentale [21]. Una ragione sembra poter essere ravvisata nella ratio della previgente disciplina. Ques ta voleva preservare la base imponibile recuperando a tassazione quanto previamente sottrattovi in forza di ammortamenti elevati e di una valutazione dell’inventario eccessivamente prudente. Le società (si tratta di una norma applicata dal 1938 al 1951) av evano, almeno in astratto, piena libertà di valutare l’inventario.

Molte norme dell’Income Tax Act hanno tale finalità. In breve, se il contribuente ha goduto dei vantaggi fiscali derivanti da un rapido ammortamento e da una bassa valutazione dell’inventar io, sarebbe troppo pretendere che, in caso di cessione dei relativi beni, non si applicasse alcuna imposta su quanto previamente sottratto a tassazione o non si adottassero misure volte a garantire la tassazione in futuro.

Tale regime di tassazione, previ sto nell’Income Tax Act, Capitolo 22, sez. 5, é stato sottoposto al vaglio dei giudici svedesi, poiché si é dubitato della compatibilità con il diritto comunitario.

Probabilmente la questione finirà per essere sottoposta ai Giudici del Lussemburgo.

La fattispecie al momento discussa in sede giurisdizionale in Svezia riguarda una società svedese che svolge attività immobiliare nel Regno Unito e che intende trasferire la sede di direzione effettiva dalla Svezia a Malta [22]. Con riguardo agli aspetti di diritto interno rilevanti, è sufficiente dire che, in prima istanza, il Board for Advance Tax Rulings ha ritenuto che la società dovesse considerarsi fiscalmente residente a Malta ai sensi della Convenzione contro le doppie imposizioni conclusa tra Svezia e Malta nel 1995 e che localizza la residenza fiscale della società nel luogo in cui si trova la sede effettiva. Nel caso di specie, in mancanza di un CEO, la direzione della società era affidata al Consiglio di Amministrazione, tre dei cinque membri del quale ave vano trasferito la propria residenza a Malta.

Ai sensi della disposizione di cui all’Income Tax Act, cap. 22, sez. 5, la perdita della residenza fiscale svedese implica il recupero a tassazione della differenza tra il prezzo di mercato ed il valore di bi lancio dei beni societari. La norma, che implica la fittizia realizzazione di quanto previamente non tassato, trova applicazio ne quando i redditi d’impresa (in svedese si usa la parola “naringsverksamhet”, termine con cui ci si riferisce ad ogni tipo di re ddito, comunque riconducibile alla società) non sono più, interamente o parzialmente, tassabili in Svezia in forza delle disposizioni contenute in una Convenzione contro le doppie imposizioni.

Un’altra ipotesi di recupero a tassazione può riguardare la cd. “periodization reserve”: il cap. 30 dell’Income Tax Act prevede la possibilità di accantonare in riserva il 25% degli utili annuali. La scelta del momento in cui sottoporre a tassazione tale riserva é rimessa alla discrezionalità del contribuente, ma in o gni caso non oltre sei anni dalla costituzione della riserva stessa. La tassazione ha luogo prima se i redditi della società non saranno ulteriormente tassabili in Svezia in forza di una Convenzione contro le doppie imposizioni.

Ritornando al caso della società svedese, il Board for Advance Tax Rulings ha sostenuto che la localizzazione della residenza fiscale a Malta avrebbe comportato l’applicazione di entrambe le suddette disposizioni svedesi, anche perché la società non avrebbe lasciato in Svezia una stabile organizzazione alla quale imputare redditi e riserve in modo da evitarne la tassazione.

Sotto tale profilo l’Advance Ruling contiene delle affermazioni che appaiono, in realtà, piuttosto scontate. Il Board for Advance Tax Rulings, tuttavia, ha pres o in considerazione la fattispecie sottopostale anche in una prospettiva di diritto comunitario, concludendo che l’immediato recupero a tassazione della differenza tra il valore di mercato ed il valore di bilancio dei beni, così come il recupero a tassazio ne della cd. “periodization riserve”, configurano misure sproporzionate al fine di assicurare la tassazione in Svezia.

Il Board for Advance Tax Rulings ha, inoltre, affermato, ciò che sembra piuttosto un obiter dictum, che le autorità svedesi avrebbero potuto applicare la relativa imposta allorché i beni fossero stati ceduti. Sicché, è stato ritenuto opportuno che l’Amministrazione finanziaria svedese aspettasse, comunque, lo spirare del termine di sei anni per sottoporre a tassazione il relativo ammontare.

Occorre inoltre sottolineare che lo “junior judge”, il quale ha sottoposto la questione al Board for Advance Tax Rulings, sebbene ritenesse effettivamente sproporzionata la disciplina svedese, aveva espresso, comunque, dubbi circa l’effettiva praticab ilità dell’imposizione differita.

Il Board for Advance Tax Rulings ha affermato che: “per soddisfare il principio comunitario di equo trattamento, il differimento di imposizione deve essere considerato implicito nel sistema di applicazione del Trattato in questione”.

Non possono non condividersi i dubbi espressi dallo “junior judge”.

Il differimento di tassazione, che il Board for Advance Ruling ritiene debba essere applicato, potrebbe essere considerato un effetto diretto del Trattato CE. In tale ottica, s i dovrebbe, probabilmente, riformulare sia la disposizione di cui al cap. 22, sez. 5 dell’Income Tax Act, sia quella che recupera a tassazione la cosiddetta “periodization riserve”, in modo da soddisfare il principio comunitario della libertà di stabilime nto ed, al tempo stesso, tutelare, la potestà impositiva della Svezia.

Il caso in commento è stato sottoposto da entrambe le parti alla Suprema Corte Amministrativa svedese (cd. Regeringrätten) [23]. Sarà interessante seguire gli sviluppi della questione. E’ possibile, comunque, osservare che il recupero a tassazione nella fattispecie svedese in commento sembra essere lesivo del principio di proporzionalità anche più delle misure sottoposte al vaglio della Corte di Giustizia nel caso de Lasteyrie du Saillant. Non c’è da stupirsi che il Board for Advance Ruling abbia considerato la fattispecie svedese contraria al diritto comunitario. Tuttavia, i rilievi dell’organo svedese dovrebbero essere supportati da una pronuncia della Corte di Giustizia delle Comunità eu ropee che riguardi specificamente le persone giuridiche.

Così, la Suprema Corte amministrativa, cui è stata attualmente sottoposta la fattispecie, dovrebbe, a sua volta, rimettere la questione alla Corte di Giustizia. Ciò che in ogni caso non avrebbe potut o fare il Board for Advance Rulings, visto che la Corte di Giustizia ha negato che sia titolare del potere di cui all’art. 234 del Trattato CE [24]  .

Una questione centrale è se il recupero a tassazione sia ammissibile ai sensi della Convezione contro le doppi e imposizioni conclusa tra Svezia e Malta. Tale possibilità sembra essere stata data per scontata dal Board for Advance Rulings, che, evidentemente, ha sottovalutato la questione per cui la disapplicazione della tassazione immediata, in quanto lesiva del p rincipio di proporzionalità, presuppone necessariamente il diritto delle autorità svedesi di procedere al recupero a tassazione in un momento successivo.

Una volta che la sede di direzione effettiva è stata trasferita a Malta, la società sarà ivi sottopost a a tassazione sull’utile mondiale (cd. worldwide taxation). Sarà sottoposta a tassazione in Svezia solo se ivi permane una stabile organizzazione della società. Ma, questo non è il caso nella fattispecie in commento.

In realtà, il recupero a tassazione, ritenuto dal Board for Advance Rulings ammissibile ai sensi della Convenzione stipulata tra Svezia e Malta, potrebbe considerarsi in contrasto con dette disposizioni pattizie.

Tuttavia, come già anticipato, il Board for Advance Rulings ha una diversa opini one. Esso ritiene che la società costituita in Svezia rimanga, comunque, giuridicamente svedese, anche se ha trasferito la propria sede di direzione effettiva a Malta. Conseguentemente, può essere assoggettata a tassazione in Svezia. Il Board for Advance R ulings ha ulteriormente affermato che, in ogni caso, l’imposta richiesta alla società è relativa ad un periodo in cui essa era fiscalmente residente in Svezia e, quindi, non può venir meno il diritto del Fisco svedese a sottoporre i relativi redditi a tassazione.

In tale contesto, appare interessante far riferimento ad altri due casi sottoposti ai giudici svedesi qualche tempo fa. Entrambi hanno riguardato cittadini svedesi trasferitisi in Kenya.

Nel primo caso (RA 1995 ref. 69) la Suprema Corte Amministr ativa ha affermato, con decisione adottata dai 2/3 dei giudici componenti il collegio giudicante, che il contribuente fiscalmente residente in Kenya, secondo le disposizioni della Convenzione contro le doppie imposizioni applicabile, non avrebbe potuto ess ere considerato dall’Amministrazione finanziaria svedese contemporaneamente residente in Svezia, nonostante avesse ancora forti legami con la Svezia e dovesse considerarsi ivi residente in forza della disciplina domestica.

La fattispecie aveva ad oggetto l a tassazione di interessi e la Svezia, come Paese della fonte aveva il diritto, in forza della Convezione contro le doppie imposizioni conclusa con il Kenya, di applicare una ritenuta alla fonte del 10%. Sennonché, tale pagamento non poteva essere richiest o ad un soggetto non residente, poiché il sistema fiscale svedese non prevede la tassazione di interessi ricevuti da soggetti non residenti (fatta eccezione per la stabile organizzazione).

Tuttavia, in ossequio alla disciplina domestica il contribuente pot eva senz’altro considerarsi fiscalmente residente in Svezia, con la conseguente possibilità, per il Fisco svedese di applicare la ritenuta alla fonte prevista dalla Convenzione [25]  .

Tuttavia, come già anticipato, la Suprema Corte Amministrativa ha ritenuto il contribuente non residente in Svezia ai fini fiscali, poiché ciò non era ammissibile in base alla Convenzione, negando, quindi la possibilità di tassazione.

All’epoca dei fatti vi fu un’immediata reazione da parte del Ministro delle Finanze svedese. Venn e, addirittura, approvata una nuova legge (SFS 1996:61) che, ad oggi, ha determinato un’inversione dell’allora consolidato orientamento giurisprudenziale.

All’epoca dei fatti, era pendente dinnanzi al medesimo tribunale amministrativo un altro procediment o riguardante un contribuente trasferitosi in Kenya (RA 1996 ref. 38). In questo caso i Giudici si riunirono in sessione plenaria, come richiesto in quelle ipotesi in cui si disapplica il principio dello stare decisis. Nella fattispecie in commento, i tre giudici, che nel caso precedentemente commentato avevano optato per l’esclusiva residenza fiscale in Kenya, mantennero la propria posizione contro gli altri giudici componenti il collegio, prevalendo, quindi, le decisione contraria di questi ultimi. Potreb be non essere significativo, ma è, comunque, interessante notare che in tale ultimo caso la residenza fiscale in Svezia ha determinato una deduzione che, altrimenti, non sarebbe stata ammissibile.

La conclusione che si può trarre dalle due decisioni appen a commentate, rilevante ai fini del caso della società maltese, è che, ai sensi della disciplina interna svedese una società registrata in Svezia rimane ivi fiscalmente residente, con tutte le restrizioni derivanti dalla circostanza per cui, in forza della Convezione applicabile, la società ha la propria sede di direzione effettiva a Malta.

Secondo il Board for Advance Rulings, ciò implica che la società può essere assoggettata a tassazione in Svezia solo al momento della cessione dei beni e per la cd. “per iodization riserve”, solo allo spirare dei sei anni. Infatti, l’imponibile è riconducibile ad un periodo in cui la società era ancora fiscalmente residente in Svezia.

Invero, risulta difficoltoso rinvenire un’argomentazione giuridicamente fondata per tale posizione del Board for Advance Rulings. La disciplina svedese prevede esplicitamente l’obbligo della tassazione al momento in cui la sede societaria é trasferita (ITA cap. 22, sez. 7; cfr con ITA cap. 22, sez. 5 e cap. 30, sez. 8). Se l’imposizione viene differita perché l’obbligo di pagare, sulla base di una realizzazione fittizia, é considerato non proporzionato, allora sembrerebbe necessario prevedere esplicitamente tale possibilitá.

Se la questione verrà sottoposta alla Corte di giustizia, con ogni p robabilità il Giudice comunitario, alla luce di quanto affermato nella sentenza de Lasteyrie du Saillant [26]  , sarà dello stesso avviso del Board for Advance Rulings e considererà il pagamento immediato lesivo del principio di proporzionalità.

E’, invece, men o probabile che nel caso delle riserve non sottoposte a tassazione al momento del trasferimento sarà considerato ammissibile il recupero a tassazione in un qualsiasi momento successivo.

Innanzitutto, la questione non ha formato oggetto dell’Advance Ruling, sebbene sembri chiaro che il Board for Advance Rulings sia pervenuto alle suddette conclusioni sulla base dell’assunto per cui il recupero a tassazione in un momento successivo sarebbe ammissibile ai sensi della disciplina domestica svedese, oltre che in forza delle disposizioni convenzionali. Quindi, mentre è presumibile che la Suprema Corte Amministrativa deciderà in favore del Fisco svedese, ammettendo il recupero a tassazione secondo quanto affermato dal Board, è da escludersi che la questione formerà oggetto di questione pregiudiziale dinnanzi alla Corte di Giustizia e che, comunque, essa si pronunci eventualmente sulla questione.

Si deve, dunque, ritenere che l’interessante caso in commento porterà alla disapplicazione della disciplina svedese che p revede la tassazione immediata al momento del trasferimento, determinando – però – al medesimo tempo una situazione per cui mancherà supporto giuridico alla successiva pretesa impositiva del Fisco svedese.

Orbene, occorre chiedersi se questa rappresenti un a soluzione equilibrata, tale da garantire la necessità di preservare la potestà impositiva di ciascuno Stato.

La Corte di Giustizia, nel caso Marks & Spencer [27] (C-446/03), ha affermato: “In una situazione c ome quella di cui trattasi nell a causa principale , si deve ammettere che lo Stato membro di stabilimento della controllante, tassando le societá residenti sui loro redditi mondiali e le societá non residenti e sclusivamente sui redditi deriva nti dalla loro attivitá nel detto Stato, agisce conformemente al principio di territorialitá sancito dal diritto tributario internazionale e riconosciuto dal diritto comunitario (si veda, in particolare, sentenza Futura Participations e Singer, cit., punto 22)”.

Ciò che sorprende maggiormente rispetto a tali rilievi della Corte è che essa non considera il fatto che la locuzione “principio di territorialità” è sempre stata utilizzata in riferimento al principio di tassazione nel solo Stato della fonte. Nella citata sentenza, invece, la Corte fa riferimento al generale s istema di tassazione per cui, a fronte della tassazione dell’utile mondiale da parte dello Stato di residenza, viene, comunque, riconosciuta la potestà impositiva dello Stato in cui il reddito viene prodotto. Principio che sta alla base del Modello OCSE di Convenzione contro le doppie imposizioni.

Ciò che in realtà, con la sentenza in commento, la Corte di giustizia vuole dire è che non vi è necessariamente discriminazione nell’applicare norme diverse a società residenti e non residenti.

Dalla sentenza Marks & Spencer deve dedursi che la Corte di giustizia riconosce rilievo alla razionale distribuzione della base imponibile tra i diversi Stati.

Così, se dovesse essere negato il diritto della Svezia al recupero a tassazione in forza del principio di proporzi onalità, non è da escludere che, comunque, la Corte di Giustizia perverrebbe ad una conclusione tale da preservare il potere impositivo della Svezia, riconoscendo la possibilità di procedere a tassazione successiva.

In mancanza di una disciplina esplicita in tal senso, occorre chiedersi se, in considerazione del fatto che il principio di proporzionalità non consente la tassazione immediatamente al momento del trasferimento e che, appunto, non esiste una norma che prevede esplicitamente il diritto della Sve zia di procedere successivamente alla riscossione, sì da soddisfare il principio di continuità su cui la legislazione svedese si fonda, non sarebbe il caso di adottare una politica più restrittiva rispetto, in genere, alle riserve non sottoposte a tassazi one. Così, in Germania le norme in materia di thin capitalization sono state giudicate discriminatorie dalla Corte di Giustizia nel caso Lankhorst-Hohorst [28]. Ma, piuttosto che disapplicare le norme restrittive nei confronti delle filiali estere, dette norme sono state estese anche alle filiali tedesche.

d) La stabile organizzazione estera della società che si trasferisce

Nel caso, più sopra sottoposto ad analisi, della società con sede di direzione effettiva a Malta, venne sollevata la questione se gli uti li derivanti dalla cessione di beni afferenti alla stabile organizzazione britannica potessero essere tassati a Malta ed in forza di quale disposizione. La risposta é stata affermativa, ritenendo che tali redditi rientrassero nella categoria degli “altri r edditi”, ai sensi dell’art. 21 della Convenzione conclusa da Svezia e Malta.

In tale contesto, potrebbe assumere rilievo la considerazione per cui, se coinvolte nella controversia, le autorità britanniche avrebbero potuto rivendicare il proprio diritto a t assare tali redditi nel Regno Unito, tanto nei confronti della Svezia, dove la società madre era stata originariamente registrata, tanto nei confronti di Malta, dove la società deve essere considerata fiscalmente residente in forza della Convenzione conclu sa con la Svezia.

Senza una stabile organizzazione nel proprio territorio, la Svezia non potrebbe tassare redditi derivanti dalla cessione di beni afferenti ad una stabile organizzazione nel Regno Unito.

Il Board for Advance Rulings, in riferimento alla q uestione in commento, è giunto alla conclusione che la società svedese deve essere considerata fiscalmente residente a Malta e che gli utili realizzati in uno Stato terzo si devono considerare ivi tassabili.

La Convezione stipulata tra Svezia e Malta non c onsente di distinguere tra redditi ottenuti durante il periodo in cui la società svedese aveva la propria sede di direzione in Svezia e quelli conseguiti nel periodo successivo al trasferimento di detta sede.

e) Altre imposte

Il trasferimento di reside nza fiscale, che determini o meno la tassazione delle plusvalenze non ancora effettivamente realizzate, non determina alcun obbligo ai fini IVA, sebbene, in taluni casi, potrebbe configurarsi una fattispecie assimilabile ad una esportazione.

Il trasferime nto comporta solo talune spese di registrazione.

III. Conclusioni

La Svezia ha avuto per lungo tempo un sistema economico assai rigido, in cui le transazioni con Stati esteri erano fortemente limitate anche dalla necessità di ottenere molteplici autorizza zioni.

Nonostante tale sistema sia stato drasticamente modificato negli ultimi anni, come dovrebbe risultare chiaro da quanto affermato nel presente lavoro, la legislazione svedese non riesce sempre a far fronte alle esigenze del relativo sistema economico ed agli obblighi derivanti dall’appartenenza all’Unione Europea.

La disciplina svedese non contempla exit taxes in senso stretto, che subordinano la tassazione al mero trasferimento della residenza fiscale.

La riscossione delle plusvalenze maturate dall e partecipazioni societarie appare difficoltosa da realizzare soprattutto alla luce delle disposizioni contenute nelle Convenzioni contro le doppie imposizioni.

La disciplina dei capital gains e dei redditi d’impresa denota consapevolezza circa la necessit à di garantire il differimento di tassazione (differimento qui inteso nel senso di rispetto del criterio di effettiva realizzazione nella tassazione dei capital gains, tassazione in capo ai soci degli utili della società solo al momento della effettiva di stribuzione e possibilità di costituire riserve occulte attraverso un ammortamento accelerato e/o una discrezionale valutazione dell’inventario), nonché circa la necessità di preservare l’interesse fiscale al recupero a tassazione nel caso di trasferiment o in un altro Stato cui consegua il venir meno del potere impositivo della Svezia.

La conclusione cui si può giungere in forza delle decisioni della Corte di giustizia, nonché alla luce delle fattispecie pendenti dinnanzi agli organi svedesi, è che le norm e attualmente in vigore sono lesive delle libertà fondamentali sancite dal Trattato CE. E’ in dubbio, tuttavia, se sia giuridicamente e concretamente possibile procedere ad un recupero a tassazione in un momento successivo al trasferimento, così attuando u na disciplina conforme ai principi fondamentali del diritto comunitario.

La situazione non è affatto chiara. Le lacune riscontrabili nella normativa comunitaria, così come nell’orientamento giurisprudenziale della Corte di Giustizia, potrebbero dar luogo a fenomeni di doppia non-imposizione. Attualmente non esistono strumenti realmente efficaci al fine di salvaguardare la potestà impositiva degli Stati membri, garantendo l’effettiva riscossione dell’imposta accertata al momento del trasferimento.

Le lacune della normativa riguardante la Società Europea [29] rendono ammissibile, in caso di trasferimento di sede, un recupero a tassazione, che, tuttavia, si porrebbe in contrasto con i principi affermati dalla Corte di giustizia in materia di exit taxation.

E’, dun que, auspicabile un intervento diretto degli organi comunitari, che dovrebbero chiarire i principi in base ai quali suddividere la base imponibile tra gli Stati coinvolti in una ipotesi di trasferimento di residenza fiscale.

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Footnotes    (↵ returns to text)
  1.   Maria Nelson , della Stockholm School of Economics, ha gentilmente espresso importanti commenti sulla precedente versione del presente articolo. Eventuali imprecisioni sono da attribuire esclusivamente all’autore.  
  2. Professore Emerito pr esso la Stockholm School of Economics.

    Traduzione a cura di Carla De Pietro, Dottaranda in Diritto Tributario Europeo presso l’Universitá di Bologna ed in Diritto Tributario presso l’Universitá di Tilburg.   

  3. Sarà chiarito più avanti che quando una società svedese muta la propria nazionalitá, essa continua, comunque, ad essere considerata svedese ai fini delle disposizioni di cui alla norma in commento (ITA 3:19) nei successvi cinque anni durante i quali non ha più una stabile organizzazione in Svezia, ma non oltre dieci anni da quando c’é stato il mutamento di nazionalitá. Tuttavia, detta norma trova applicazione solo per la Societas Europaea, poiché le altre società svedesi non possono mutare la propria nazionalitá.     
  4. Modello OCSE di Convenzione contro le doppie imposizioni.   
  5.   Prop. 2005/06:36, p. 19: “The provision in Ch. 3 sec. 19 does not imply an exit tax but just a rule on the limit of the right to tax in certain situations. Different fro m the French rule disapproved of by the ECJ in C-9/02 de Lasteyrie du Saillant, the rule does not imply that taxable persons choosing to move their tax residence from Sweden are treated differently from taxable persons choosing to remain residents of Swede n (for instance by a move abroad triggering taxation). Therefore, the provision cannot imply an obstacle to the freedom of establishment.” (Traduzione inglese dell’autore).

    “La disposizione contenuta nel Capitolo 3, sez. 19 non prevede una exit tax, quanto piuttosto un regime che, al ricorrere di talune specifiche condizioni, pone dei limiti al diritto a tassazione. Diversa rispetto a quella francese, considerata contraria al diritto comunitario dalla Corte di Giustizia nel caso C-9/02, de Lasteyrie du Sai llant, la norma svedese in commento non implica un trattamento più sfavorevole nei confronti dei soggetti che decidano di trasferire la propria residenza fiscale rispetto a coloro che rimangono in Svezia (ad esempio, attraverso la tassazione al momento del trasferimento). Di conseguenza, la previsione non costituisce un ostacolo alla libertà di stabilimento”.

      

  6. Si veda, al riguardo, “Direct Taxation: The European Commission proposes an EU-coordinated approach on exit taxation.” 19 dicembre 2006, IP/06 / 1 829.

    Si afferma che la tassazione all’uscita possa essere differita fino al momento della effettiva realizzazione, ma che, comunque, la n ecessità di evitare ogni forma di discriminazione, di doppia imposizione o anche di mancata tassazione, a prescindere dall’intento del contribuente, di abuso o erosione della base imponibile, richieda una effettiva cooperazione amministrativa tra gli Stati .     

  7. Corte Giust., sentenza 11 marzo 2004, causa C-9/02, de Lasteyrie du Saillant , Racc. 2004, pag. I-2409     
  8. Corte Giust., sentenza 07 settembre 2006, causa C- 470/04 , N, Racc. 2006, pag. I-7409.     
  9. Corte Giust. sentenza 26 gennaio 1993 , causa C-112/91 , Werner / Finanzamt Aachen-Innenstadt, Racc. 1993, pag. I-429.     
  10. Il lettore, ricodando il caso X AB e Y AB (C-200/98) non dovrá pensare che X e Y siano nomi comuni in Svezia! Semplicemente si é tra ttato di due casi in cui é stato proposto appello contro un advance ruling emesso dal Board for Advance Rulings. Le relative decisioni vengono pubblicate, mantenendo il piú stretto riserbo sull’ identitá dei contribuenti, a meno che essi non accossentano e spressamente all’indicazione del nome.

    Corte Giust., sentenza 21 novembre 2002, causa C-436/00 , X and Y, Racc. 2002, pag.I-10829.     

  11. Trattato CE .     
  12.   Corte Giust., sent. 18 gennaio 2007, C-104/06 , Commissione/Svezia , Racc. 2006, pag. I-671.   
  13. Il Company Act al capitolo 7, sez. 15 disicplina l’Assemblea. Gli azionisti possono, all’unanimità, scegliere modalità e luogo di riunione. Non vi sono norme che prevedono espressamente la possibilitá di tenere videoconferenze, ma neppure norme che le vietino. Tuttavia, in dottrina si afferma che l’Assemblea deve essere presieduta dal luogo indicato nella legge o nell’atto costitutivo. Tale considerazione é stata espressa dal Dr. Lars Henriksson.     
  14.   Nel Disegno di legge (prop. 2003/04:134 p . 19) concernente il regime fiscale della Società Europea, il Governo afferma che, utilizzando la Svezia il criterio della costituzione, essa già applica quanto stabilito dall’art. 7, del Regolamento (CE) n. 2157/2001 , in forza del quale uno Stato membro può prevedere che la società ivi costituita abbia all’interno dello stesso la sede legale e quella centrale dell’amministrazione. Il problema dell’applicazione di tale norma regolamentare si pone esclusivamente per quegli Stati che adottano il criterio della sede reale.    
  15.   Prop. 2003/04:134 p. 25.  
  16.   Prop. 2003/04:134 p. 22.  
  17. Trattato CE .     
  18. Maria Nelson, nel suo eccellente articolo pubblicato solo in svedese, Beskattning vid aktiebolags hemvistbyte (Taxation on a corporation’s change of residence), in Svensk Skattetidning, 2006, pagg. 607-630.     
  19. Corte Giust., sentenza 27 settembre 1988, The Queen / Treasury and Commissioners of Inland Revenue, ex parte Daily Mail and General Trust PLC , causa C-81/87 , Racc. 1988, pag. 5483.     
  20. Maria Nelson, Beskattning vid aktiebolags hemvistbyte (Taxation on a corporation’s change of residence), cit.     
  21.   Il concetto é trattato da Roger Persson Österman, Kontinuitetsprincipen i den svenska inkomstbeskattnin gen , 1997.    
  22. Board for Advance Tax Ruling, caso n. 191/04 D. Il ruling é stato emesso il 26 settembre 2006.   
  23.   La Corte di Giustizia, nelle proprie sentenze, usa spesso “the Regerisrätten”. Ma un linguista noterà che si tratta di una tautologia. Si dovrebbe , infatti, correttamente usare l’espressione “the Regerisrätt” o “Regerisrätten”.    
  24. Si veda, Corte Giust., sent. 12 novembre 1998, C-134/97 , Victoria Film, in Racc. 1998, pag. I-7023. Di fatto – però- la giurisprudenza svedese in materia di diritto tributario è formata prevalentemente prorprio da ruli ngs. Ed è davvero increscioso che nei casi in cui sia rilevante il diritto comunitario, la possibilità di adire la Corte di Giustizia sussista solo quando la causa venga sottoposta alla Suprema Corte Amministrativa. Ma, sarebbe stato addirittura peggio se la Corte di Giustizia avesse negato la natura giurisdizionale della Suprema Corte Ammministrativa, come ha fatto per il Board for Advance Rulings.     
  25. E’ importante precisare che le Convenzioni contro le doppie imposizioni concluse dalla Svezia non ne poss ono ampliare il potere impositivo oltre quanto previsto dalla legislazione nazionale. Ciò, al contrario di quanto avviene in altri Stati come, ad esempio, la Francia.    
  26. Corte Giust., sentenza 11 marzo 2004, causa C-9/02, de Lasteyrie du Saillant , cit.    
  27. Corte Giust., sent enza del 13 dicembre 2005, causa C-446 / 03 , Marks & Spencer, Racc. 2005, pag.I-10837.   
  28. Corte Giust., sentenza del 12 dicembre 2002, causa C-324/00 , Lankhorst-Hohorst, Racc. 2002, pag. I-11779.     
  29. Regolamento (CE) n. 2157/2001 del Consiglio, 8 ottobre 2001, relativo allo statuto della Società Europea (SE), Gazzetta ufficiale L 294 del 10.11.2001.