Trasferimento di residenza ed exit tax nel diritto tributario comunitario: l'esperienza italiana

Thomas Tassani [1]

1. Premessa

L'attuale configurazione del sistema italiano delle imposte sui redditi evidenzia due importanti profili di interesse, con riferimento al tema della libertà comunitaria di stabilimento.

Da una parte, il trasferimento all'estero della residenza di società ed imprese è espressamente considerato quale evento realizzativo, ai sensi della exit tax di cui all'art. 166, Tuir.

Dall'altra, la collocazione all'estero della residenza è oggetto di specifiche discipline di tipo anti-elusivo ed anti-evasivo. In particolare, ci si riferisce alle presunzioni di residenza in Italia di enti e società che, formalmente residenti all'estero, conservano elementi “sostanziali” di contatto con il territorio italiano. Presunzioni introdotte di recente, al pari della possibilità, riconosciuta all'Amministrazione finanziaria, di far valere la “inopponibilità” del trasferimento della residenza.

Disegnato in questi termini, il quadro complessivo sembrerebbe porre dei seri problemi in rapporto al principio di non discriminazione ed alla libertà di stabilimento.

Non solo, infatti, lo spostamento della residenza all'estero di soggetti imprenditori, collettivi o individuali, è in grado di far nascere l'obbligazione tributaria, ma questo stesso spostamento (soprattutto se si tratta di enti collettivi) può comportare un aggravio probatorio a carico del contribuente, chiamato a dimostrare la non fittizietà e/o la non elusività della residenza non italiana.

Tuttavia, l'analisi della compatibilità dell'ordinamento fiscale nazionale con le libertà comunitarie deve tenere conto di una serie di ulteriori e fondamentali elementi.

In primo luogo, del fatto che, quando la Corte di Giustizia è intervenuta per dichiarare la incompatibilità con la libertà di stabilimento delle exit tax, lo ha fatto sulla base di presupposti e di condizioni che non sembrano sussistere nel sistema italiano. Le fattispecie esaminate dalla Corte avevano ad oggetto trasferimenti di residenza effettuati da persone fisiche cui non erano applicabili le discipline nazionali previste per i soggetti imprenditori. Soggetti rispetto ai quali l'ordinamento italiano non prevede attualmente alcuna exit tax, questa essendo limitata ai chi esercita attività di impresa. [2]

In secondo luogo, per determinare l'impatto sulla libertà di stabilimento delle disposizioni nazionali, non può non tenersi conto della valutazione dei beni compiuta dall'ordinamento del Paese in cui i soggetti trasferiscono la residenza. Dalla variabile combinazione tra criteri di tassazione “in uscita” e regole di valutazione dei beni “in entrata” possono derivare conseguenze completamente differenti in termini fiscali, rispetto al soggetto che si trasferisce, fino al punto di realizzare doppie imposizioni oppure salti d'imposta.

Infine, occorre sottolineare che le società e, in genere, gli enti differenti dalle persone fisiche sono “creati da un ordinamento giuridico nazionale” ed “esistono solo in forza delle diverse legislazioni nazionali” [3] . Ciò significa che sono lasciate allo stesso legislatore nazionale sia la scelta dei criteri di collegamento sia le modalità di accertamento della reale sussistenza dei criteri prescelti.

Lo studio che verrà condotto cercherà di considerare i diversi profili coinvolti, nella consapevolezza che, per come è attualmente strutturato l'ordinamento tributario nazionale, la situazione italiana risulta per molti versi paradigmatica rispetto al dibattito europeo sugli esatti confini della libertà di stabilimento.

2. Il trasferimento di residenza delle persone fisiche

2.1 L'assenza di una exit tax per i soggetti non imprenditori 

L'ordinamento fiscale italiano non prevede alcuna specifica exit tax collegata al trasferimento della residenza di persone fisiche che non esercitano attività di impresa.

I tratti caratterizzanti le fattispecie esaminate dalla Corte di Giustizia nelle sentenze de Lasteyrie du Saillant [4] N [5] non trovano quindi riscontro nel diritto positivo italiano. [6]

Come è noto, nelle sentenze citate, la Corte ha affermato la contrarietà con il diritto comunitario di disposizioni nazionali che equiparavano il trasferimento della residenza alle ipotesi di realizzazione delle plusvalenze da partecipazioni societarie. L'effetto restrittivo sulla libertà di stabilimento derivava dalla discriminazione insita nella differenza di regime tra soggetti che trasferivano la propria residenza fiscale (con conseguente tassazione sulle plusvalenze solo maturate e non effettivamente conseguite) e gli altri soggetti (per i quali era invece prevista la tassazione solo in caso di “monetizzazione” delle plusvalenze). [7]

Il Testo Unico delle Imposte sui Redditi, per quanto attiene la tassazione dei capital gains , prevede che le plusvalenze assumano rilievo reddituale, quali redditi diversi (art. 67, comma 1, lett. c, c- bis, Tuir), solo in quanto derivanti da “cessioni a titolo oneroso”. E' sempre richiesto, in altri termini, l'effettivo conseguimento del reddito. [8]

Il trasferimento all'estero della residenza non risulta in grado di determinare la tassazione in Italia dei plusvalori, nemmeno di quelli maturati nel periodo di possesso coincidente con la residenza fiscale italiana, che non potranno essere “recuperati” ad imposizione nel nostro Paese neppure in un secondo momento.

Specularmente, nelle ipotesi in cui il soggetto, che dall'estero ha trasferito la residenza in Italia, ceda a titolo oneroso partecipazioni che sono state detenute anche nel periodo di residenza non italiana (o, più in generale, nel periodo di assoggettamento alla disciplina impositiva italiana), dovrebbe affermarsi la tassazione in Italia della intera plusvalenza. [9]

Se, dunque, è corretto in linea generale affermare che il soggetto che trasferisce all'estero la propria residenza può conseguire l'effetto di evitare la tassazione in Italia dei capital gains nel frattempo maturati [ma non ancora conseguiti] [10], occorre tuttavia precisare che, caduto il criterio dell'utile mondiale per il soggetto [non più] residente, la sovranità impositiva italiana potrebbe comunque permanere in virtù del criterio di localizzazione dato dalla fonte del reddito.

Si fa riferimento all'art. 23, comma 1, lett. f), Tuir, che prevede la tassazione dei non residenti per le “plusvalenze derivanti dalla cessione a titolo oneroso di partecipazioni in società residenti”. [11]

L'articolo da ultimo citato viene, inoltre, in considerazione per i diversi cespiti e/o attività del soggetto trasferito, per determinare se, con riferimento alle varie tipologie reddituali, l'obbligazione tributaria continui a sorgere in Italia. [12]

2.2. La exit tax prevista per gli imprenditori individuali (parziale rinvio)

Le considerazioni fin qui svolte debbono tuttavia essere completate per quanto riguarda le ipotesi di persone fisiche che esercitano attività di impresa e professionali.

All'imprenditore individuale si applica infatti la exit tax di cui all'art. 166 Tuir: il trasferimento della residenza determina la tassazione dei beni che non siano confluiti in una stabile organizzazione sul territorio italiano. Si rinvia, dunque, a quanto si dirà in seguito circa il funzionamento e la giustificazione della norma citata. Occorre qui solo sottolineare che lo stesso art. 166, primo comma, Tuir, prevede la tassazione separata per le plusvalenze prodotte dagli imprenditori individuali e dalle società di persone (art. 17, comma 1, lett. g, l).

2.3. La exit tax “di sistema” per i lavoratori autonomi

Più complessa è la questione per le persone fisiche che esercitano attività di lavoro autonomo. A seguito delle modifiche apportate all'art. 54, Tuir, dal Dl n. 223 del 4/7/2006 [13], e dalla Finanziaria 2007 [14], anche le plusvalenze [ma non le minusvalenze] [15] dei i beni strumentali all'attività professionale [16]concorrono a formare il reddito.

Le ipotesi normative di “realizzo” delle plusvalenze sono le stesse che, nel regime del reddito di impresa [17], sono in grado di fare emergere ricavi oppure plus/minusvalenze relativamente ai beni d'impresa: cessione a titolo oneroso, risarcimento, consumo personale o familiare, “destinazione a finalità estranee all'arte o professione” dei beni strumentali. [18]

Anticipando in parte a quanto si dirà successivamente, anche l'ipotesi del trasferimento della residenza all'estero può essere considerata quale “destinazione a finalità estranee”, perché in grado di provocare, al verificarsi di determinate condizioni, la fuoriuscita dei beni professionali dal regime impositivo nazionale.

Ne deriva che anche per il lavoratore autonomo è prevista una exit tax, che può dirsi “connaturata” nel sistema, visto che la tassazione deriva dall'applicazione di una fattispecie di carattere generale e non, invece, da una specifica previsione in questo senso.

Questi pochi rilievi sono già in grado di fare apprezzare la specificità della exit tax italiana; il suo essere, cioè, esplicazione dei principi di tassazione del reddito di impresa e professionale, piuttosto che ipotesi particolare di deroga. Questo aspetto sarà analizzato compiutamente in seguito.

Un elemento di differenziazione importante tra imprenditori individuali e lavoratori autonomi è dato dalle condizioni al verificarsi delle quali, pur in presenza del trasferimento della residenza all'estero, permane l'applicazione del regime fiscale italiano in base al criterio della fonte.

Mentre per l'imprenditore, individuale e collettivo, risulta necessaria la costituzione di una stabile organizzazione nel territorio italiano, ai sensi dell'art. 23 Tuir, per il lavoratore autonomo è prevista la tassazione in Italia dei redditi “derivanti da attività esercitate nel territorio italiano”.

Ne deriva che la fuoriuscita dei beni strumentali dal regime fiscale italiano, con relativa tassazione per “destinazione a finalità estranee”, potrà configurarsi solo nelle ipotesi in cui il soggetto trasferito non continui ad esercitare l'attività professionale in Italia oppure quando, pur continuando ad esercitare l'attività professionale nel territorio italiano, non utilizzi (in parte o totalmente) i beni strumentali impiegati prima del trasferimento (che potrebbero anche essere, ovviamente se mobili, trasferiti nel territorio straniero).

2.4. Il trasferimento di residenza verso Paesi a bassa fiscalità

La valutazione dell'impatto delle norme tributarie italiane sulla libertà comunitaria di stabilimento, con riferimento alle persone fisiche, deve tenere conto anche della disposizione di cui all'art. 2, comma 2- bis , Tuir. Si tratta della presunzione relativa di residenza in Italia per i cittadini che si cancellano dalle anagrafi della popolazione residente e si trasferiscono in Stati e territori diversi da quelli elencati nella c.d. white list, che dovrà essere individuata con decreto del Ministero dell'Economia e delle Finanze. [19]

A seguito della emanazione della white list, la norma dovrebbe applicarsi ai trasferimenti di residenza delle persone fisiche che avvengono verso Paesi a fiscalità privilegiata e che non garantiscono un adeguato scambio di informazioni, almeno secondo la ratio che ha condotto alla recente modifica della disciplina ed, in particolare, alla introduzione dell'art. 168- bis. [20]

Nei limiti in cui la norma risulterà applicabile anche a Paesi membri dell'Unione Europea [21] si può porre un problema di compatibilità alla luce delle libertà fondamentali del Trattato. Potrebbe, infatti, configurarsi una forma di restrizione [22], visto l'effetto dissuasivo che la disciplina potrebbe avere verso i soggetti residenti in Italia che intendono trasferirsi in un altro Paese europeo (se non ricompreso nella emananda white list) ed, in questo modo, esercitare i propri diritti connessi alla generale libertà di circolazione (art. 18 Trattato) [23] o, più specificamente, ove il soggetto eserciti una attività economica, [24]alla libertà di stabilimento (art. 43 Trattato). [25]

Sembra però possibile affermare, con una buona dose di certezza, che la norma esaminata non sia incompatibile con le libertà fondamentali.

Ciò non tanto perché si tratta di una disposizione con effetti procedimentali e non sostanziali, che influisce sulla posizione del contribuente nel procedimento di accertamento tributario, su cui incombe l'onere di provare la “effettività” della propria residenza all'estero.

La natura procedimentale della disposizione non può essere, di per sé, elemento sufficiente per affermare la legittimità della stessa sul piano comunitario, se si considera il “differente trattamento”, rispetto alla generalità dei contribuenti, riservato ai soggetti che rientrano nello specifico campo di applicazione. La Corte di Giustizia ha in diverse occasioni avuto modo di affermare, anche nel settore dell'Iva, che le violazioni dei diritti garantiti a livello comunitario vanno valutate in concreto, considerando gli effetti che le disposizioni nazionali producono in capo ai contribuenti. [26]

Non è quindi la portata procedimentale piuttosto che sostanziale a venire in rilievo, quanto la finalità e il funzionamento della disposizione.

La finalità: perché l'obiettivo di contrastare fenomeni abusivi è riconosciuto dalla Corte quale ragione imperativa di interesse generale in grado di giustificare la violazione alle libertà fondamentali [27], in particolare quando si tratta di colpire forme di radicamento territoriale solo fittizie. [28]

Il funzionamento: perché tale obiettivo è perseguito nel rispetto del principio di proporzionalità [29]. La presunzione è infatti relativa e non assoluta; non esistono limitazioni alle prove contrarie che il contribuente può produrre; non si pongono problemi di retroattività tali da impedire il concreto esercizio del diritto alla prova contraria. In altri termini, la disposizione è costruita in modo da giungere alla verifica della “effettività” della residenza all'estero, in presenza di situazioni oggettive (lo spostamento della residenza verso i c.d. “Paradisi fiscali”) che spingono a prevedere forme di protezione dell'interesse finanziario nazionale.

3. Il trasferimento di residenza delle società ed enti

3.1. Il trasferimento della sede quale modifica statutaria: conseguenze fiscali della continuità di ordine soggettivo

Gli effetti fiscali del trasferimento della residenza delle società e, in genere, degli enti collettivi deve necessariamente partire dalla ricostruzione e qualificazione civilistica dell'operazione giuridica.

Questa esigenza nasce, in particolare, dalla configurazione che le società, di persone e di capitali, assumono nell'ordinamento tributario italiano. Per effetto di una esplicita scelta normativa (art. 6, terzo comma, Tuir; art. 81, Tuir), le società commerciali sono considerate quali soggetti in grado di produrre esclusivamente reddito di impresa. [30]

Come in altra sede si è avuto modo di dimostrare [31], il contratto di società commerciale delinea il perimetro di applicazione della disciplina fiscale di impresa, in modo tale che le vicende che attengono alla efficacia (ed alla validità) del contratto incidono anche sullo statuto fiscale dell'impresa. Per gli aspetti rilevanti in questa sede, è da notare che l'applicazione della disciplina fiscale dell'impresa è collegata alla continuità di ordine soggettivo: fino a quando la società commerciale sussiste (sulla base di un valido ed efficace contratto) vi sarà applicazione della relativa disciplina. [32]

Qualora il trasferimento della sede all'estero fosse considerato quale ipotesi liquidativo-estintiva della società, ne deriverebbe una disapplicazione del regime tributario d'impresa, con importanti effetti di ordine sostanziale.

Tuttavia, l'interpretazione assolutamente prevalente di diritto commerciale qualifica il trasferimento della sede all'estero come una modifica statutaria [33], alla stessa stregua di altre operazioni, quali le fusioni, scissioni e trasformazioni. [34]

Il trasferimento della sede non comporta alcuna discontinuità di ordine soggettivo; la società non si estingue e neppure deve avviare il procedimento di liquidazione.

Alla medesima conclusione si giunge anche considerando gli altri criteri che, ai sensi dell'art. 73, comma 3, Tuir, determinano la residenza della società in Italia e, quindi, nei casi di “spostamento” all'estero della sede dell'amministrazione e dell'oggetto principale.

Dalla continuità soggettiva, conseguente al trasferimento della residenza, dovrebbe discendere, in termini tributari, la non tassabilità dei plusvalori latenti al momento del trasferimento ed il riconoscimento dei valori fiscali.

A simile conclusione non è però possibile giungere, per due motivi.

In primo luogo, perché se è vero che il trasferimento non comporta l'estinzione del soggetto, è da considerare che dall'operazione può derivare comunque l'estromissione dei beni societari dal regime fiscale d'impresa per la perdita della sovranità impositiva italiana.

In secondo luogo, perché la continuità dei valori fiscali è condizionata non tanto dalle disposizioni tributarie dell'ordinamento “di uscita” ma, piuttosto, da quelle del sistema fiscale “di entrata”.

Entrambi questi aspetti debbono essere attentamente valutati, nella prospettiva della liberà di stabilimento.

3.2. Il trasferimento della residenza all'estero come fattispecie realizzativa: la exit tax di cui all'art. 166 Tuir

Il trasferimento di residenza all'estero è fattispecie che, di per sé, non integra una ipotesi liquidativo-estintiva del soggetto, ma che può, tuttavia, comportare l'espulsione dei beni societari dal regime fiscale d'impresa. Con il trasferimento della residenza [35], infatti, si perde il collegamento di carattere “personale” con il territorio italiano e, con esso, può venire meno la rilevanza in termini tributari dell'attività di impresa svolta. [36]

Detto in altri termini, nonostante il soggetto continui ad esistere in senso giuridico, il trasferimento potrebbe determinare la cessazione dell'applicazione del regime fiscale (ovviamente, italiano) d'impresa.

Ciò accadrà sicuramente in tutte quelle ipotesi in cui il criterio di collegamento della residenza non venga sostituito dal criterio di collegamento della fonte, dato dalla stabile organizzazione. Elemento, quest'ultimo, che, nonostante il trasferimento della residenza all'estero, può consentire, relativamente all'attività esercitata in Italia tramite la stabile organizzazione ed ai beni che in essa sono confluiti, la continuità anche nell'applicazione del regime tributario d'impresa. [37]

Ciò che maggiormente interessa a questi fini è che, nel sistema italiano del reddito di impresa, le ipotesi di oggettiva fuoriuscita dei beni dal regime d'impresa integrano la fattispecie realizzativa della “destinazione a finalità estranee”, in grado di produrre ricavi e plus/minusvalenze. [38]

La norma è considerata una disposizione di “chiusura” del sistema [39], riferibile a tutti i soggetti che producono redditi di impresa, siano essi imprenditori individuali e collettivi [40].

Alla luce di queste considerazioni crediamo sia possibile affermare che la exit tax contenuta nell'art. 166 Tuir ha una portata esplicativa di un principio immanente al reddito di impresa. Ai sensi della disposizione da ultimo citata, il trasferimento all'estero della residenza, da parte dei soggetti che esercitano imprese commerciali, costituisce “realizzo, al valore normale, dei componenti dell'azienda o del complesso aziendale”, salvo che “gli stessi non siano confluiti in una stabile organizzazione situata nel territorio dello Stato”.

Nonostante iniziali perplessità rispetto alla possibile portata “antielusiva” della disposizione [41], dall'esame sistematico della stessa appare evidente il legame tra la tassazione così disposta dei plusvalori aziendali e l'elemento della continuità rispetto all'applicazione del regime fiscale d'impresa. Tanto è vero che si prevede che, in ogni caso, si considerano realizzate le plusvalenze relative alle stabili organizzazioni all'estero, per le quali non è in nessun modo possibile configurare, dopo la perdita della residenza fiscale in Italia, una qualche forma di continuità in questo senso.

L'elemento che determina la tassazione è, dunque, la disapplicazione del regime fiscale di impresa provocato dalla perdita della residenza fiscale; quello in grado di evitare simile conseguenza è la creazione di una stabile organizzazione in Italia cui fare confluire i beni d'impresa. [42]

In questo secondo caso la tassazione potrà evitarsi solo con riferimento ai singoli beni d'impresa che confluiscono nella stabile organizzazione e fino al momento in cui in essa rimangono. L'art. 166, primo comma, Tuir, prevede l'imposizione qualora i componenti confluiti nella stabile organizzazione situata in Italia ne vengano successivamente distolti. [43]

Si noti, infine, che l'attuale formulazione dell'art. 166, Tuir (modificato dal Dlgs n. 199 del 6/11/2007 [44]), contiene regole specifiche per la computabilità delle perdite precedenti al trasferimento della residenza fiscale [45], così come chiarisce che il trasferimento della residenza da parte di una società di capitali “non dà luogo di per sé all'imposizione dei soci della società trasferita”. [46]

3.3. L'esame della exit tax italiana alla luce della giurisprudenza della Corte di Giustizia: l'assenza di una “restrizione” alla libertà di stabilimento

La valutazione della compatibilità comunitaria della exit tax di cui all'art. 166 Tuir deve tenere in considerazione il ruolo e la portata della disposizione nell'ambito del sistema del reddito di impresa.

In particolare, se si accetta la ricostruzione proposta in questa sede, la norma non può essere costruita come deroga rispetto ai principi del sistema, ma applicazione di una fattispecie impositiva di carattere generale, quella della “destinazione a finalità estranee”. [47]

Fattispecie in grado di ricomprendere ogni fuoriuscita dei beni dallo specifico regime tributario, ogni ipotesi di oggettiva cessazione dell'applicazione del regime d'impresa.

Ne deriva anche che, nella logica della tassazione del reddito di impresa, l'imposizione sui plusvalori aziendali latenti in assenza di un fenomeno di “monetizzazione” di tali plusvalori, è ipotesi di rilievo sistematico.

Sia perché la onerosità, in senso fiscale, è tradizionalmente intesa come “arricchimento, effettivo ed attuale”, a favore del titolare del bene, “a fronte della dismissione di quest'ultimo, sì da consentire la conversione del relativo plusvalore in altra forma di ricchezza”. [48]

Sia perché, soprattutto, le fattispecie di autoconsumo personale e familiare e di destinazione a finalità estranee compongono il concetto tributario di “realizzo” anche qualora non vi sia cessione onerosa del bene. [49]

Analizzando la giurisprudenza della Corte di Giustizia, nei due precedenti in tema di exit tax, emerge che il punto fondamentale, per determinare la incompatibilità comunitaria delle discipline nazionali, è l'effetto dissuasivo rispetto alla libertà di stabilimento, derivante dalla disparità di trattamento che la exit tax determina tra chi continua a risiedere nello Stato d'origine e chi si trasferisce.

Nelle sentenze esaminate, come già si è avuto modo di accennare, la restrizione alla libertà fondamentale era strettamente connessa al differente trattamento che, in deroga al regime ordinario, si prevedeva per chi trasferiva la residenza. In particolare, la discriminazione derivava dalla tassazione sui plusvalori latenti in luogo della tassazione al momento del realizzo (ossia, della cessione a titolo oneroso) normalmente prevista. [50]

E' possibile affermare che una simile discriminazione non si realizza nel sistema italiano, per effetto dell'art. 166 Tuir.

La disposizione, infatti, non costruisce una fattispecie impositiva ad hoc per il trasferimento della residenza all'estero, ma costituisce applicazione di una fattispecie di carattere generale che, di per sé, risulta applicabile a tutti i soggetti dell'ordinamento, anche a coloro che non trasferiscono la residenza all'estero, in ogni ipotesi di oggettiva sottrazione dei beni aziendali al regime fiscale di impresa. [51]

Così come un imprenditore individuale che cessa la propria attività senza avere liquidato tutti i beni o una società che si trasforma in ente non commerciale realizzano la fattispecie di destinazione a finalità estranee, con conseguente tassazione dei plusvalori latenti (senza che vi sia stato alcun effettivo conseguimento degli stessi), alla stessa conseguenza dovrà soggiacere colui che trasferisce all'estero la residenza, relativamente ai beni che non confluiscono in una stabile organizzazione in Italia.

Le affermazioni della Commissione europea, che ritiene estendibili i principi di diritto affermati dalle sentenze della Corte di Giustizia alle società [52], vanno dunque, a nostro avviso, rimeditate in base alle difficoltà che, rispetto ad una simile estensione, derivano dalla analisi della ratio e del funzionamento della exit tax italiana (e delle exit tax ”d'impresa” previste in buona parte degli ordinamenti europei).

Disposizione normativa che, per quanto detto, non solo non realizza una discriminazione diretta o indiretta fondata sulla nazionalità, ma neppure configura uno specifico e, in questo senso, discriminatorio, trattamento per quei soggetti che intendono trasferire la propria residenza all'estero. In modo tale che non può ritenersi integrato il concetto di “restrizione” alla libertà di stabilimento. [53]

Ed è da sottolineare come la restrizione alle libertà fondamentali non possa argomentarsi solo in base ad un generico effetto dissuasivo, che potrebbe derivare dalla previsione della tassazione nell'ordinamento nazionale “di uscita”. Che, tradotto in altri termini, significherebbe affermare la lesione della libertà comunitaria perché il soggetto che si trasferisce avrebbe un maggior vantaggio nel rinviare la tassazione (o nel non essere tassato addirittura) piuttosto che scontare l'imposizione al momento del trasferimento.

Formulare in questo modo il concetto di restrizione equivarrebbe ad una sostanziale svalutazione ed eccessiva semplificazione del medesimo, potendo condurre a ritenere che, in ogni caso, la previsione dell'imposizione nazionale abbia un effetto dissuasivo, in quanto [normalmente] “non gradita” dai contribuenti. [54]

La giurisprudenza della Corte sembra peraltro collegare il concetto di restrizione a quello di discriminazione, trattandosi di perseguire, come nitidamente affermato dall'Avv. Generale Maduro nella causa Marks & Spencer, i [soli] casi di “discriminazioni contro i cittadini comunitari che vogliono far valere i loro diritti connessi alla libertà di circolazione“. [55]

3.4. Segue. L'art. 166 Tuir e la causa di giustificazione della “coerenza del sistema fiscale”

La conclusione cui si è giunti è quella di ritenere l'art. 166 Tuir compatibile con il diritto comunitario, non configurandosi alcun effetto discriminatorio/restrittivo alla luce della libertà di stabilimento.

E' però opportuno notare che, anche qualora si ritenesse di qualificare l'art. 166 Tuir quale exit tax incompatibile con la libertà di stabilimento (in base ad una nozione “ampia” del concetto di restrizione che, per quanto detto in precedenza, non sembra però accettabile), proprio il nesso di derivazione tra la disposizione in esame ed una fattispecie impositiva generale dell'ordinamento, risulta in grado di integrare la specifica causa di giustificazione costituita dalle ragioni di “coerenza del sistema fiscale”. [56]

Come notato da importante dottrina, la causa di giustificazione della “coerenza del sistema” si apprezza perché la tassazione ex art. 166, Tuir deriva da una “esigenza strutturale, di sistema”, [57] e non, invece, da finalità di tipo anti-elusivo oppure anti-evasivo.

Inoltre, è da aggiungere, l'imposizione al momento della cessazione della applicazione del regime fiscale d'impresa rispecchia una necessità di “chiusura” del sistema che è, allo stesso tempo, opportunità di realizzare l'imposizione a fronte di precedenti passività che il contribuente ha potuto utilizzare in relazione ai beni stessi. [58]

Infine, la soluzione normativa consegue l'effetto di salvaguardare la ripartizione delle competenze nazionali, sulla base del criterio della territorialità; elemento, quest'ultimo, che appare particolarmente valorizzato nella giurisprudenza più recente della Corte di Giustizia [59] . E che, con riferimento ai redditi di impresa, conduce a ritenere equilibrata e, dunque, proporzionale, la ripartizione delle competenze impositive che si realizza attraverso la tassazione al momento della fuoriuscita dei beni dal regime fiscale nazionale. Proprio perché, l'effetto fiscale rappresenta la conseguenza di una regola impositiva generale non sussistente, invece, nelle fattispecie esaminate dalle sentenze della Corte di Giustizia in materia di exit tax[60]

3.5. Il modello impositivo accolto dalla Direttiva 1990/434 ed il rilievo in termini impositivi del trasferimento della residenza

La ricostruzione della exit tax di cui all'art. 166 Tuir quale norma di carattere sistematico, non configgente con la libertà di stabilimento (sia perché non restrittiva sia perché, in ogni caso, giustificata dalle esigenze di coerenza del sistema fiscale), è ulteriormente avvalorata se si confronta la disposizione italiana con il modello di imposizione accolto dalla Direttiva del Consiglio n. 1990/434 del 23/7/1990 [61], anche in base alle modifiche apportate dalla Direttiva del Consiglio n. 2005/19 del 17/2/2005. [62]

E' noto come la Direttiva 1990/434 disciplini, ai fini delle imposte sui redditi, le operazioni societarie di riorganizzazione transnazionale (fusioni, scissioni, conferimenti di azienda, scambi di partecipazione), perseguendo l'obiettivo della neutralità impositiva. [63]

Le operazioni di fusione [64] sono particolarmente interessanti ai nostri fini, in quanto presentano diverse analogie con il trasferimento della società all'estero. In entrambi i casi il soggetto non si estingue, sia nella disciplina nazionale sia nel modello previsto dalla Direttiva comunitaria, non realizzandosi, per il solo fatto del trasferimento o della fusione, una fattispecie realizzativa in senso fiscale.

Al tempo stesso, la fusione transnazionale (così come il trasferimento di residenza) può comportare, rispetto alla società incorporata o fusa italiana, la perdita del criterio “personale” di collegamento con il territorio dello Stato e, quindi, la estromissione dei beni di quest'ultima società dal regime fiscale [italiano] di impresa.

In queste ipotesi, attenta dottrina ha qualificato la fusione transnazionale, esaminata dal punto di vista del diritto tributario nazionale, come evento realizzativo di “destinazione a finalità estranee” dei beni d'impresa. [65]

Più precisamente, in tutti quei casi in cui i beni della società italiana incorporata o fusa non confluiscano in una stabile organizzazione (della società non residente risultante dalla fusione) collocata in Italia, vi sarà imposizione sui plusvalori latenti dei beni aziendali in questo modo estromessi dal regime d'impresa.

Come si può notare, la fattispecie è del tutto analoga a quella disciplinata dall'art. 166 Tuir, con la unica differenza rappresentata dal fatto che l'effetto della perdita della residenza fiscale in Italia dipende, in un caso, dalla operazione di fusione transnazionale e, nell'altro, dalla stessa opzione societaria di trasferire la residenza. [66]

Non solo, però, la fattispecie è ricostruibile in termini analoghi ai fini del diritto tributario italiano, ma le conseguenze fiscali imposte dalla Direttiva n. 90/434 corrispondono al modello di tassazione di cui è espressione l'art. 166 Tuir.

La “destinazione a finalità estranee” dei beni societari, derivante dalla fusione (o scissione) transnazionale, che comporta la perdita della residenza fiscale nello Stato della incorporata senza che gli stessi beni siano confluiti in una stabile organizzazione, è evento che, in base alla Direttiva 90/434, legittima l'imposizione sui plusvalori latenti in questo stesso Stato.

Effetto che, nella logica della Direttiva, non contraddice il principio di neutralità ma anzi, come acutamente osservato, “ne sollecita una lettura più articolata”. [67]

Ciò che, ai nostri fini, assume importanza è che la tassazione collegata alla semplice “fuoriuscita” dei beni societari dal regime fiscale nazionale derivante dalla perdita della residenza fiscale (quindi, senza che vi sia stata effettiva “monetizzazione” dei plusvalori), viene assunto quale modello comunitario di imposizione dalla Direttiva 90/434. [68]

3.6. Segue: La Direttiva 2005/19 ed il trasferimento della sede delle Società Europee e Società Cooperative Europee

Ma v'è di più. La Direttiva 2005/19 ha modificato il testo della Direttiva 90/434, inserendo il titolo IV- ter, contenente “norme applicabili al trasferimento della sede sociale di una SE o di una SCE”. Le disposizioni mirano a garantire la neutralità sul piano fiscale del trasferimento della sede delle società europee e delle società cooperative europee, subordinando la mancata imposizione nel Paese comunitario di origine alla condizione che in questo Paese venga costituita una stabile organizzazione in cui siano confluiti (e nel limite in cui vi confluiscano) i beni della società trasferita (art. 10- ter Direttiva 90/434).

La previsione è molto simile a quella dell'art.166 Tuir. Non solo, ma il legislatore nazionale [69]ha modificato il testo dell'articolo da ultimo citato con alcune previsioni contenute dal nuovo titolo IV- ter della Direttiva, estendendole a tutti i casi di trasferimento della residenza fiscale di società ed imprese e non solo quindi, come invece la Direttiva imponeva, al trasferimento della sede di SE e di SCE.

Si assiste, evidentemente, ad una omogeneità tra la regola di tassazione contenuta nell'art. 166 Tuir ed il modello prescelto dalla Direttiva 2005/19 per regolare le conseguenze fiscali del trasferimento di residenza di SE e SCE.

Omogeneità che risulta particolarmente importante perché porta a ritenere che il modello impositivo, fondato sulla oggettiva sottrazione dei beni dal regime fiscale nazionale, non possa considerarsi incompatibile con la libertà fondamentale di stabilimento.

Sarebbe, questa, una conseguenza difficilmente accettabile nel momento in cui lo stesso legislatore comunitario ha optato per tale sistema di tassazione nell'ambito di un testo normativo che, nella logica della neutralità, disciplina il trasferimento di sede delle società europee. [70]

Sarebbe una conseguenza cui, in ogni caso, non è possibile addivenire se solo si considera l'esigenza di una interpretazione uniforme del diritto comunitario. Esigenza che, nella giurisprudenza della Corte, [71] si fa canone interpretativo e che spinge, allora, a considerare rispettata la libertà di stabilimento a maggior ragione se le disposizioni nazionali si conformano ad un modello assunto dallo stesso diritto comunitario.

3.7. Tassazione “in uscita” e riconoscimento dei valori fiscali nell'ordinamento “di entrata”

Una delle prospettive, di cui abbiamo accennato all'inizio del presente lavoro, in cui è necessario esaminare il trasferimento all'estero della residenza è quella del rapporto tra tassazione dei beni “in uscita” e riconoscimento dei valori fiscali “in entrata”.

E' possibile immaginare che una società (o una impresa) “esca” da un ordinamento, con applicazione di una exit tax sui valori correnti, per trasferirsi in un ordinamento che valuti i beni societari ai valori storici. In questo caso, si avrebbero conseguenze negative per il contribuente, che potrebbe dedurre minori quote di ammortamento e che verrebbe tassato, al verificarsi di eventi realizzativi, anche su plusvalori maturati nell'ordinamento di origine ed in questo stesso ordinamento già tassati. Si tratterebbe di una doppia imposizione.

All'opposto, è immaginabile una società (o una impresa) che perda la residenza fiscale in uno Stato, senza l'applicazione di alcuna exit tax e che, nell'ordinamento “di entrata”, veda riconosciuti i propri assets ai valori correnti. In questa ipotesi, si assisterebbe ad un salto di imposta, visto che le plusvalenze maturate nello Stato di origine non sarebbero tassate, né all'atto del trasferimento né successivamente. [72]

Nella logica comunitaria delle libertà del mercato entrambe le conseguenze risultano preoccupanti. [73]

Tuttavia, nonostante dalla combinazione tra i trattamenti tributari dei due Paesi possano derivare in concreto effetti negativi, e probabilmente dissuasivi, nei confronti del contribuente che intende trasferire la propria residenza, non sembra che questa considerazione possa, di per sé, condurre a ritenere le distinte norme nazionali incompatibili con la libertà fondamentale di stabilimento.

Si tratta, infatti, di un problema che attiene al coordinamento tra i sistemi fiscali nazionali, in materia di imposte dirette, piuttosto che di compatibilità di questi stessi sistemi, singolarmente considerati, alla luce delle libertà garantite del Trattato.

Una volta che le norme nazionali siano considerate (come è il caso, per ciò che è stato fino ad ora detto, dell'art. 166, Tuir) compatibili con il diritto comunitario, la soluzione dei problemi che possono derivare dall'applicazione combinata delle discipline nazionali, rispetto ai diversi momenti di vita di una impresa che ha trasferito la propria residenza, è questione da affrontare, ed eventualmente risolvere, in termini di armonizzazione dei sistemi tributari. [74]

Con un intervento che deve necessariamente essere di carattere legislativo, non potendo essere “surrogato” dalla attività interpretativa della Corte di Giustizia.

Di questo problema si è resa conto la Commissione europea [75], che ha elaborato alcune possibili soluzioni, che però non si sono tradotte in norme giuridiche [76]. L'aspetto è particolarmente grave, nella prospettiva della armonizzazionese si considera che la Direttiva 19/2005 ha regolato il trasferimento di residenza delle società europee (SE e SCE), senza introdurre alcun meccanismo volto ad evitare il rischio di doppia tassazione conseguente al trasferimento stesso.

3.8. Segue: La stabile organizzazione all'estero e lo strumento del notional tax credit previsto dal Dlgs 199/2007

La finalità di evitare, almeno in talune fattispecie, rischi di doppia imposizione è stata alla base della scelta, operata dal legislatore italiano con il Dlgs 199/2007, di estendere al trasferimento di residenza, in ambito comunitario, la disciplina del notional tax credit.

Come è noto, l'art. 10, par. 2, della Direttiva 90/434 ha previsto, nel caso in cui la società “conferente” (a seguito di operazioni di fusioni, scissioni parziali o conferimento di attivo) apporti una stabile organizzazione situata in un altro Stato membro, la possibilità per lo Stato della conferente di tassare le plusvalenze relative alla stabile organizzazione estera, concedendo però una deduzione pari all'imposta che lo Stato dove è situata la stabile organizzazione avrebbe prelevato se non avesse dovuto applicare la Direttiva.

La Direttiva impone allo Stato della stabile organizzazione di non tassare le plusvalenze latenti al momento della operazione straordinaria e, attraverso la concessione del notional tax credit, è possibile evitare un effetto penalizzante in capo al contribuente e, contestualmente, la doppia imposizione relativamente ai plusvalori degli elementi trasferiti. [77]

La attuale formulazione dell'art. 179, terzo comma, Tuir (come modificata dal Dlgs 199/2007), dopo avere previsto la disciplina del notional tax credit, la estende al caso di trasferimento di una società italiana, con stabile organizzazione all'estero. Ovviamente, la fattispecie deve comunque risolversi in ambito comunitario e quindi coinvolgere Paesi membri.

In particolare, la “tassazione virtuale della stabile organizzazione all'estero” si determina utilizzando il valore normale che l'altro Stato membro “avrebbe determinato in caso di realizzo al valore normale di detta stabile organizzazione”.

E' evidente la ratio della disposizione, di ispirazione [ma non di attuazione[78] comunitaria [79], di evitare la doppia imposizione che si verrebbe a creare a causa, da una parte, della previsione della exit tax in Italia sui plusvalori della stabile organizzazione estera trasferita e, dall'altra, del valore attribuito, nel Paese comunitario, ai beni della stabile organizzazione, che necessariamente è quello che risulta dai valori storici riconosciuti ai componenti di quest'ultima. [80]

Allo stato della legislazione, nazionale e comunitaria, il rischio della doppia imposizione rimane invece presente in tutte le ipotesi non “coperte” dalla disposizione, dipendendo dalla variabile combinazione con le differenti discipline nazionali.

3.9. I criteri di valutazione dei beni immessi nell'ordinamento italiano a seguito di trasferimento della residenza dall'estero

Per completare l'esame, risulta necessario considerare la disciplina applicabile nel caso in cui l'Italia sia il Paese in cui in cui la società o l'impresa si trasferisce.

Come si è avuto modo di rilevare, la questione principale è quella del riconoscimento dei valori fiscali dei beni che, in questo modo, vengono immessi nel regime fiscale di impresa. [81]

Il Testo Unico non contiene alcuna norma che disciplini la fattispecie, conseguentemente occorre riferirsi ai criteri generali che reggono la tassazione del reddito di impresa. In dottrina è stato affermato che i beni “in entrata” dovrebbero essere valutati in base al valore normale, determinato ai sensi dell'art. 9, commi 3 e 4, Tuir [82]. In questo modo l'imposizione potrebbe avvenire sui plusvalori maturati nel corso del periodo di residenza in Italia, essendo tale collegamento tra “reddito maturato” e sovranità impositiva in grado di giustificare la tassazione nel nostro Paese. [83]

Tale principio sarebbe peraltro sotteso alla stessa previsione dell'art. 166 Tuir e, più in generale, alla tassazione collegata alla destinazione a finalità estranea dei beni d'impresa, da cui deriverebbe una elementare esigenza di simmetria. Come recentemente notato da un autorevole studio [84] , “non si vede perché lo Stato che pretende di tassare i plusvalori maturati da un imprenditore nel periodo di residenza sul territorio italiano, sebbene realizzati solo successivamente al trasferimento (in applicazione della exit tax ), dovrebbe poter ritenere tassabili le plusvalenze maturate altrove, ma realizzate solo successivamente”.

Occorre però segnalare che l'orientamento dell'Agenzia delle Entrate, espresso nelle risoluzioni n. 67/E del 30/3/2007 e n. 345/E del 5/8/2008, è parzialmente difforme dalla soluzione indicata. Secondo l'Agenzia, entrambi i criteri, del costo storico e del valore corrente, possono in linea teorica essere adottati per fissare il valore fiscale dei beni immessi nel nostro ordinamento, a seguito di trasferimento della residenza. Il secondo risulta preferibile nelle ipotesi in cui lo Stato estero prevede una exit tax , mentre quando il trasferimento si realizza senza alcuna imposizione sulle plusvalenze latenti, i valori fiscali debbono coincidere con quelli “basati sul criterio del costo d'acquisto sostenuto dall'impresa”.

Nella recente risoluzione n. 345/2008, l'Agenzia ha basato questa interpretazione sul principio di continuità, ritenendo che il criterio dei valori correnti sarebbe idoneo a rappresentare le sole situazioni di discontinuità giuridico-tributaria.

Simile orientamento risulta, a nostro avviso, fortemente criticabile, soprattutto perché finisce per confondere due differenti piani: quello della continuità giuridica del soggetto e quello della realizzazione in senso tributario.

La continuità giuridica della società che trasferisce la propria sede [85] (ed, evidentemente, della impresa individuale che faccia altrettanto) comporta, sul piano civilistico, che la società non debba estinguersi per poi ricostituirsi, che non si dia luogo ad un procedimento di liquidazione ed estinzione. Sul piano fiscale, comporta che l'evento di per sé non è in grado di avere effetti realizzativi sui beni societari e che si deve apprezzare il collegamento soggettivo tra periodo di residenza all'estero e periodo di residenza in Italia, a diversi fini. [86]

La continuità giuridica non impedisce però, come si è in precedenza notato, che si verifichi un effetto realizzativo sui beni di impresa, il che può avvenire qualora l'ordinamento di provenienza contenga una norma simile a quella dell'art. 166 Tuir. In tali circostanze, il trasferimento della società avverrà con effetti di continuità giuridica , ma integrando una fattispecie impositiva .

Inoltre, non sembra corretto determinare la valutazione fiscale dei beni “in entrata” in base al trattamento fiscale che i beni hanno subito nel Paese di provenienza, perché in questo modo si farebbero dipendere i criteri nazionali di tassazione dalle scelte impositive di un altro Stato.

La soluzione proposta dall'Agenzia delle Entrate appare ispirata ad una, certamente apprezzabile, esigenza di pragmatismo e forse anche di “equità” nella valutazione complessiva della tassazione in capo al soggetto, perché tesa ad evitare una duplicazione di imposta (optando per valori correnti in caso di tassazione in uscita nel Paese di provenienza) ma anche un salto di imposta (scegliendo i valori storici quando non vi è tassazione in uscita).

Quello che manca, però, è la base normativa che giustifichi l'interpretazione dell'Agenzia.

Perché le indicazioni che provengono dal sistema del Tuir (e dal “sottosistema” del reddito di impresa) sono nel senso, come già notato, di legittimare l'imposizione solo sui plusvalori prodotti in costanza della sovranità impositiva italiana.

Perché alterare tale criterio nazionale di ripartizione della sovranità impositiva in base al regime tributario del Paese di origine del soggetto che si trasferisce equivale, in buona sostanza, a trattare diversamente il soggetto di provenienza estera con, allora, forti rischi in termini di discriminazione e di lesione della libertà fondamentale di stabilimento. In definitiva, l'eventuale scelta di non tassare le plusvalenze in uscita da parte dello Stato estero configura una opzione meramente interna (che può essere, peraltro, di carattere agevolativo oppure sistematico).

3.10. Le presunzioni di residenza in Italia di società ed enti e il trasferimento “elusivo” della residenza delle società all'estero

Negli ultimi anni, sono state introdotte nell'ordinamento tributario italiano una serie di disposizioni che mirano a contrastare la collocazione fittizia e/o elusiva della residenza al di fuori dei confini dello Stato.

In primo luogo, occorre considerare le “presunzioni” di residenza in Italia previste, per i soggetti Ires, dall'art. 73 Tuir.

Il D.l. 223/2006 (convertito dalla legge 248/2006) ha aggiunto due commi, il 5-bis ed il 5-ter, alla disposizione da ultimo citata, che si riferiscono alle società ed agli enti che controllano (ai sensi dell'art. 2359, comma 1, c.c.) società ed enti commerciali residenti in Italia. Per tali soggetti, la sede dell'amministrazione si “considera esistente nel territorio dello Stato”, salvo prova contraria, qualora si realizzino due condizioni, in via alternativa. Le società e gli enti devono essere, a propria volta, controllati, anche in modo indiretto, da soggetti residenti nel territorio italiano oppure devono essere amministrati da un consiglio di amministrazione (o organo equivalente) composto in prevalenza da consiglieri residenti nel territorio dello Stato. [87]

Recentemente, il D.l. 25/6/2008, n. 112 (convertito in legge in data 5/8/2008) ha introdotto un ulteriore comma, il 5-quater, all'art. 73, Tuir che presume la residenza in Italia delle società o enti il cui patrimonio sia “investito in misura prevalente in quote di fondi di investimento immobiliare chiusi” (ex art. 37, Dlgs. 58/98) e “siano controllati, direttamente o indirettamente, per il tramite di società fiduciarie o per interposta persona, da soggetti residenti in Italia”.

Non è questa la sede per esaminare nel dettaglio la portata delle disposizioni che, pur nella parziale difformità del campo di applicazione (si consideri solo che la prima è presunzione in Italia della “sede di amministrazione”, la seconda della “residenza”), hanno una ispirazione comune. Quella di attribuire maggiori poteri di accertamento all'Amministrazione finanziaria, attraverso lo spostamento dell'onere probatorio in capo al contribuente, in tutti quei casi in cui emergano situazioni in grado di evidenziare un collegamento stabile di soggetti “formalmente” stranieri con il territorio italiano.

In tale prospettiva, le norme mirano all'effettiva dimostrazione dei criteri di collegamento per gli enti collettivi, previsti dall'art. 73, terzo comma, Tuir (sede legale, sede dell'amministrazione, oggetto principale dell'attività) e, richiamando in parte le osservazioni in precedenza svolte [88], non sembrano porre problemi dal punto di vista della compatibilità con la libertà comunitaria di stabilimento. [89]

Il problema della compatibilità sul piano comunitario si pone in modo marcato per un'altra disposizione, l'art. 1, Dlgs n. 199 del 6/11/2007 che ha modificato il testo della norma “generale” [90] anti-elusiva di cui all'art. 37- bis, lett. e), Dpr 600/73.

A partire dal 1/1/2008, data di efficacia della novella, l'Amministrazione finanziaria può considerare come elusive, agli effetti dell'articolo citato, anche le operazioni di “trasferimento della residenza fiscale all'estero da parte di una società”.

Autorevole dottrina [91] ha delimitato l'ambito applicativo della previsione legislativa, sottolineando come non possano essere compresi i casi di “costituzione” ex novo all'estero di una società, quelli di collocazione “fittizia” della residenza all'estero (già regolati dall'art. 73, Tuir), quelli di “aggiramento” della tassazione sui plusvalori aziendali (se si considera il disposto dell'art. 166 Tuir).

Sembrerebbero, in particolare, venire in rilievo le ipotesi in cui la società trasferisce all'estero la propria sede, senza che vi sia contestuale spostamento dell'attività produttiva [92] o di altri elementi “sostanziali” di collegamento con il territorio italiano (come, per esempio, beni immobili o partecipazioni societarie, la residenza dei soci di controllo, ecc.).

Elementi sostanziali che assolverebbero, ai sensi del novellato art. 37-bis, Dpr 600/73, alla funzione di rendere inopponibile il trasferimento effettivo della residenza, quando accompagnati da ragioni di vantaggio fiscale.

Anche se occorrerà attendere le prime pronunce giurisprudenziali, per valutare il concreto impatto della innovazione, è però opportuno sottolineare il possibile contrasto di una simile scelta normativa con la libertà di stabilimento.

Si deve considerare che la Corte di Giustizia ha in diverse occasioni affermato che la libertà di stabilimento implica il diritto, da parte delle società, di scegliere il Paese di localizzazione avente la legislazione, anche tributaria, più conveniente [93]. Gli Stati membri possono introdurre le disposizioni necessarie per evitare situazioni di abuso, dovendo però, queste, essere limitate a casi di “fraudolenza e di inconsistenza della struttura societaria”. [94]

In tutte quelle ipotesi in cui la società trasferisca effettivamente la propria residenza in un altro Pese membro, per esempio collocando all'estero la sede dell'amministrazione, non si versa però in una ipotesi di fittizietà o di fraudolenza, vista la reale consistenza [95] sia della struttura societaria sia della residenza estera. L'eventuale conseguenza della inopponibilità di simile trasferimento non appare quindi, in simili fattispecie, giustificabile a livello comunitario. [96]

4. Conclusioni

La piena realizzazione della libertà di stabilimento e, con essa, la rimozione degli ostacoli di ordine fiscale al trasferimento di residenza costituiscono obiettivi complessi, la cui realizzazione dipende da una molteplicità di elementi, strettamente connessi tra loro.

Non vengono solo in considerazione le questioni attinenti alla previsione, negli ordinamenti nazionali, di una tassazione in uscita (exit tax) su redditi solo maturati e non ancora conseguiti, in grado di far derivare la tassazione dalla scelta del trasferimento della residenza.

Anche nella logica di garantire la neutralità a livello fiscale alle opzioni economiche, il profilo della tassazione/non tassazione in uscita deve essere collegato a quello dei criteri di riconoscimento, da parte dell'ordinamento “di arrivo”, dei beni che in questo modo vengono immessi. Ed entrambi questi aspetti debbono essere tenuti in considerazione, per elementari esigenze di simmetria, nel momento in cui si valuta l'impatto delle disposizioni di un singolo ordinamento nazionale sulla libertà di stabilimento.

Dal punto di vista delle esigenze del sistema e di quelle degli ordinamenti nazionali, è necessario garantire una equilibrata ripartizione delle singole competenze impositive per il soddisfacimento degli interessi finanziari nazionali, ma anche evitare conseguenze di doppia imposizione o di salti di imposta e, quindi, rischi in termini di tutela effettiva della libertà comunitaria o di abuso della medesima.

Nella prospettiva della costruzione di un “ideale” sistema impositivo, questi elementi possono combinarsi in diverso modo. Sono, infatti, prospettabili differenti soluzioni che tengano in considerazione la varietà dei profili coinvolti. I suggerimenti avanzati dalla Commissione Europea nella Comunicazione del 2006 ne sono un esempio.

Tuttavia, il diritto comunitario non è attualmente in grado di costituire un “sistema” per quanto attiene la fiscalità del trasferimento della residenza in ambito europeo. Gli strumenti che il diritto comunitario offre (la affermazione delle libertà di stabilimento e di circolazione nel Trattato, le previsioni della Direttiva 90/434, le specifiche disposizioni in materia di trasferimento della sede delle SE e SCE), consentono approcci solo parziali.

Non si tratta soltanto di apprezzare, una volta di più, la mancata armonizzazione nel settore delle imposte dirette o la frammentarietà degli interventi di legislazione secondaria, quanto piuttosto di delineare in modo preciso in che modo il diritto comunitario condizioni e limiti i legislatori nazionali, in una logica che, non essendo definibile di sistema, non può non lasciare insoddisfatte buona parte delle esigenze che, come si è visto, sottostanno alla tematica in esame.

In questo senso, l'analisi dell'ordinamento tributario italiano è risultata effettivamente paradigmatica.

In primo luogo, perché ha messo in luce che l'art. 43 del Trattato non può essere, di per sé, strumento sufficiente a garantire la piena realizzazione della libertà di stabilimento. L'affermazione cessa di apparire paradossale se solo si considera che la valutazione della compatibilità/incompatibilità dei sistemi fiscali nazionali, compiuta attraverso la lente dell'art. 43, non è in grado di apprezzare le connessioni esistenti tra i diversi ordinamenti, di “entrata” e di “uscita”. In base alle considerazioni che si sono svolte, l'ordinamento italiano risulta compatibile con l'art. 43 del Trattato, anche per quanto attiene le norme di carattere procedimentale che introducono presunzioni rispetto alla residenza in Italia. Un solo, ma certamente rilevante, problema di compatibilità comunitaria è posto dalla recente previsione della possibile “elusività” del trasferimento di residenza delle società, anche se dipende, in buona parte, dalle future scelte interpretative di giurisprudenza e prassi.

Se si hanno come riferimento i principi affermati dalla Corte di Giustizia, in particolare nelle sentenze de Lasteyrie du Saillant N., si può notare che il sistema italiano non prevede exit tax per le persone fisiche (neppure per le partecipazioni detenute da persone fisiche che trasferiscono la residenza) e che la tassazione in uscita disposta dall'art. 166 Tuir per società ed imprenditori (ed, anche, quella “di sistema” per i professionisti) si presenta come non restrittiva/discriminatoria e, in ogni caso, giustificata per esigenze di “coerenza del sistema fiscale”.

Ciò nonostante, dalle variabili connessioni con gli altri ordinamenti nazionali (sia quando l'Italia sia lo Stato di “arrivo”, sia quando sia quello di ”partenza”), possono derivare, lo si è messo in luce, effetti di doppia imposizione o di “doppio” salto di imposta, estremamente dannosi per la effettività della libertà di stabilimento.

Conseguenze che, da solo, l'art. 43 del Trattato non può evitare, richiedendosi invece un intervento del diritto comunitario secondario. E risulta allora particolarmente grave, nella prospettiva della [anche parziale] armonizzazione, che lo stesso legislatore comunitario non abbia predisposto adeguati rimedi, neppure quando il trasferimento di residenza riguardi una società europea o una società cooperativa europea (Direttiva 2005/19).

In assenza di un approccio di sistema, in ambito comunitario , l'evoluzione normativa ed interpretativa dell'ordinamento italiano ha però mostrato la esigenza di un simile approccio, se non anche l'autonoma ricerca di soluzioni nazionali.

In questa direzione si è mosso il Dlgs 199/2007, superando le laconiche previsioni della Direttiva 2005/19 ed estendendo il notional tax credit alle ipotesi di trasferimento (in ambito comunitario) della residenza delle società, strumento in grado di evitare la doppia imposizione relativamente alle stabili organizzazioni situate all'estero.

L'idea di un approccio globale, che consenta di apprezzare il complessivo trattamento riservato al soggetto che si trasferisce nello Stato di partenza ed in quello di arrivo, è anche alla base della interpretazione amministrativa in tema di valutazione dei beni d'impresa “immessi” nell'ordinamento italiano a seguito di trasferimento della residenza. Interpretazione a nostro avviso criticabile, perché mancante di un adeguato sostegno normativo, ma che ben rappresenta la necessità, anche per le finalità di competitività e di coerenza di un ordinamento nazionale, che vengano realizzati quelli che sono, in definitiva, i valori che sono alla base di un mercato e, prima ancora, di un sistema comune.

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[[83]]Nota LUPI, Trasferimento della residenza, exit tax e valorizzazione dei beni nell'ordinamento di arrivo, in Dialoghi dir.trib.2007, 582 che “il criterio del valore normale “in entrata” è la logica implicazione dell'adozione del criterio del “valore normale in uscita”, per determinare plusvalenze imponibili (sia concettualmente sia normativamente, ai sensi dell'art. 166 TUIR). Se così non fosse l'ingresso e l'immediata uscita dall'Italia di una determinata società darebbe luogo, senza che fosse successo nulla di economicamente apprezzabile, alla tassazione della differenza tra valori contabili (utilizzati per la valorizzazione dei beni “in entrata”) ed i valori reali, utilizzati per la contestuale valorizzazione dei beni “in uscita”). Il riferimento alle scritture contabili estere è quindi inconciliabile coi principi dell'immissione e dell'estromissione nel regime dei “beni d'impresa”. Nello stesso senso anche FURLIAN, Il trasferimento della sede (e della residenza fiscale) in Italia di società di diritto comunitario: profili civilistici, contabili e fiscali, in Il fisco2007, 3264 ss.; CANCELLIERE, La valorizzazione fiscale dei beni esteri immessi nel territorio nazionale, in Fiscalità internazionale2007, 399.[83]]

Footnotes    (↵ returns to text)
  1. L'Autore è Professore Aggregato di Diritto Tributario presso la Facoltà di Economia dell'Università degli Studi di Urbino “Carlo BO”.
  2. Si rinvia al paragrafo 2.3. per la possibilità di ricostruire una exit tax “ di sistema” anche per i lavoratori autonomi.
  3. Corte di Giustizia CE, sentenza del 27/9/1988, C-81/87Daily Mail, in Racc., 1988, 5483. Simile conclusione deve essere precisata con riferimento alla individuazione, nell'ambito del diritto internazionale privato, della legge regolatrice delle societàLa Corte di Giustizia ha infatti affermato che la libertà di stabilimento comporta il diritto della società costituita in uno Stato ad operare in Stati diversi, applicando la legge dello Stato di “incorporazione”, che coincide con lo Stato in cui è fissata la sede statutaria. Lo Stato diverso da quello di costituzione, in cui è situata o trasferita la sede effettiva della società (intesa quale sede dell'amministrazione), non solo è tenuto a riconoscere la società costituita nel diverso Stato, ma non può applicare una disciplina più restrittiva rispetto a quella posta dalla legislazione dello Stato di costituzione (Corte di Giustizia CE, sentenza del 9/3/1999, C-212/97, Centros, in Raccolta, 1999, 1459; ID., sentenza del 5/11/2002, C-208/00, Überseering, in Raccolta, 2002, I; ID., sentenza del 30/11/2003, C-167/01, Inspire Art, in Raccolta, 2003, 10155). Sul tema, si rinvia a BALLARINO, Sulla mobilità delle società nella comunità europea, in Riv.soc.2003, 669 ss.; LOMBARDO, La libertà comunitaria di stabilimento delle società dopo il “caso Überseering” tra armonizzazione e concorrenza fra ordinamenti, in Banca, borsa, tit.cred.2003, 457 ss.;WYMEERSCH, Il trasferimento della sede della società nel diritto societario europeo, in Riv.soc.2003, 723 ss.; CONTALDI, Il diritto comunitario delle società tra evoluzioni giurisprudenziali e legge di riforma della materia, in Dir.un.eur.2003, 711 ss.; BENEDETTELLI, “Mercato” comunitario delle regole e riforma del diritto societario italiano, in Riv.soc.2003, 699 ss.
  4. Corte di Giustizia CE, sentenza del 11/3/2004, C-9/02, Hughes de Lasteyrie du Saillant.
  5. Corte di Giustizia CE, sentenza del 7/9/2006, C-470/04, N.
  6. In questo senso, LUPI, Coerenza del sistema fiscale tra dividendi esteri ed exit tax, in Dialoghi dir. trib.2004, 1365.
  7. DE PIETRO, Compatibilità comunitaria di exit tax su partecipazioni rilevanti, in Rass.trib.2006, 1377 ss.; KOTANIDIS, Case Hughes de Lasteyrie du Saillant: French Exit Tax Incompatible with the Freedom of Establishment; RICCI, Exit taxes tra diritto di cittadinanza e libertà di stabilimento: il caso Hughes De Lasteyrie Du Saillant, in Riv.dir.fin.sc.fin., 2004, II, 95 ss.
  8. Differenze sussistono, rispetto al momento giuridico di rilevanza della plusvalenza, tra i sistemi del “risparmio gestito” e del “risparmio amministrato”. Si rinvia a MARCHETTI, Il risparmio nel sistema delle imposte sui redditi, Milano, 1997, 71 ss.; LUPI,Diritto tributario, Parte Speciale, Milano, 2007, 185 ss.; MIGNARRI, Profili inerenti alla tassazione delle plusvalenze finanziarie per i soggetti residenti, in Il fisco2008, 4469 ss.
  9. Nel sistema dei redditi diversi, non sussiste infatti alcuna norma (come invece è l'art. 166 Tuir) in grado di esprimere una esigenza “strutturale” di collegare l'imposizione alla sola plusvalenza maturata durante l'applicazione del regime tributario italiano. In questo senso anche lo Studio del Consiglio Nazionale del Notariato, Profili fiscali ai fini dell'imposizione diretta del trasferimento in Italia della sede di una società estera, est. PURI, del 18/7/2008, in corso di pubblicazione in Studi e Materiali,2008, nota n. 7. E' peraltro possibile che siano applicabili specifiche norme di diritto internazionale tributario che pongano differenti criteri di valutazione delle partecipazioni, al fine della tassazione della plusvalenza, per evitare la doppia imposizione, come nel caso dell'art. 13 della Convenzione contro le doppie imposizioni tra l'Italia e la Germania , oggetto della RIS. AG. ENTRATE n. 67/E del 30/3/2007.
  10. Nota LUPI, Coerenza del sistema fiscale, cit., 1365, che “sarebbe possibile eliminare la latenza di imposta, su partecipazioni sociali possedute da persone fisiche, semplicemente trasferendosi all'estero, cedendo la partecipazione e poi rientrando in Italia”.
  11. Ad esclusione delle fattispecie considerate nell'art. 23, comma primo, lett.f), nn.1,2,3.
  12. Sul criterio della fonte, si rinvia a FRANSONI, La territorialità nel diritto tributario, Milano, 2004, 369 ss., anche per ulteriori riferimenti bibliografici.
  13. Convertito, con modificazioni, dalla legge n. 248 del 4/8/2006.
  14. Legge 27/12/2006, n. 296.
  15. Per effetto della modifica introdotta dalla legge n. 296/2006. Per un approfondimento, si rinvia agli Autori citati nella nota successiva.
  16. Esclusi gli oggetti d'arte, di antiquariato o da collezione.
  17. Artt. 57, 58, 85, 86, Tuir.
  18. Sul tema, Studio del Consiglio Nazionale del Notariato, Redditi di lavoro autonomo: novità relative ai criteri di determinazione introdotte dalla “manovra finanziaria 2007″, est. FORTE, approvato dalla Commissione Studi Tributari il 2/3/2007, in www.notariato.it; Circ. Consiglio Nazionale Dottori Commercialisti e degli esperti contabili, n. 1/IR del 12/5/2008, Il nuovo regime fiscali degli immobili strumentali per l'esercizio di arti e professioni, in Il fisco2008, 3887 ss. In generale, sul reddito di lavoro autonomo, SACCHETTO, I redditi di lavoro autonomo: nozione e disciplina tributaria, Milano, 1984, passim.
  19. Il riferimento alla white list è stato introdotto dalla legge n. 244 del 24/12/2007 (Finanziaria 2008), in vigore dal 1/1/2008, che ha altresì previsto che fino al periodo di imposta precedente continuano ad applicarsi le disposizioni vigenti al 31/12/2007, che facevano riferimento ai Paesi e territori aventi un regime fiscale privilegiato elencati nella black list di cui al D.m. 4/5/1999. Sul questi aspetti, si veda MARINI, I nuovi confini dei paradisi fiscali, in Rass.trib.2008, 637 ss. Sul tema, in generale, si rinvia anche a MELIS, Riflessioni intorno alla presunzione di residenza fiscale di cui all'art. 10 della l. 23 dicembre 1998, n. 448, in Rass.trib.,1999, 1077 ss.; MAISTO, La residenza fiscale delle persone fisiche emigrate in Stati o territori aventi regime fiscale privilegiato, in Riv.dir.trib.1999, IV, 51 ss.
  20. In questo senso, si esprime MARINI, op.cit..
  21. Così come è per la black list attualmente in vigore, applicabile a Paesi comunitari come Cipro e Malta. Sui vincoli che derivano ai singoli Paesi nei rapporti con gli Stati che hanno firmato l'Accordo sullo spazio economico europeo, si vedano le sentenze della Corte di Giustizia del 26 ottobre 2006, C-345/05, Commissione/Portogallo, e del 18 gennaio 2007, C-104/06, Commissione/Svezia.
  22. La Corte di Giustizia distingue i concetti di discriminazione diretta (Corte di Giustizia CE, sentenza del 27/1/1986, C-270/83, Avoir fiscal, in Raccolta, 1986, 302; ID., sentenza del 12/4/1994, C-1/93, Halliburton, in Raccolta, 1994, 1156.), discriminazione indiretta (Corte di Giustizia CE, sent. del 13/7/1993, C-330/91, Commerzbank, in Dir.prat.trib., 1994, II, 439 ss.) e restrizione (Corte di Giustizia CE, sentenza del 12/2/1974, C-152/73, Sotgiu). Su questi aspetti, si rinvia a AMATUCCI, Il principio di non discriminazione fiscale, Padova, 1998, 117 ss.; ADONNINO, Il principio di non discriminazione nei rapporti tributari fra Paesi membri secondo le norme della CEE e la giurisprudenza della Corte di Giustizia delle Comunità, in Riv.dir.fin.sc.fin.1993, I, 63 ss.; DI PIETRO (a cura di), Libertà economiche e divieto di discriminazione nell'imposizione diretta, Padova, 2004, passim. ; SACCHETTO, Armonizzazione fiscale nella Comunità Europea, inEnc.giur.it., Roma, 1988, II; PISTONE, La non discriminazione anche nel settore dell'imposizione diretta: intervento della Corte di Giustizia, in Dir.prat.trib.1995, I, 1471 ss.
  23. Corte di Giustizia CE, sent. del 29/4/2004, causa C-224/02, Pusa; ID., sent. del 20/9/2001, causa C-184/99, Grzelczyk. Si veda inoltre l'ampia ricostruzione operata dall'Avv.Gen.KOKOTT, conclusioni del 30/3/2006, causa C-470/04.
  24. L'esercizio di una attività economica è alla base dell'art. 43 del Trattato. Per quanto riguarda la possibilità di qualificare in questi termini la situazione di colui che possiede partecipazioni in società, la Corte ha in diverse occasioni affermato il principio secondo cui “può avvalersi della libertà di stabilimento il cittadino comunitario che risieda in uno Stato membro e che detenga nel capitale di una società stabilita in un altro Stato membro una partecipazione tale da conferirgli una sicura influenza sulle decisioni della società e da consentirgli di indirizzarne le attività: ciò è sempre il caso di chi detenga il 100 per cento delle quote” (così Corte di Giustizia, sent. del 7/9/2006, C-470/04, N.) Si vedano le sentenze della Corte di Giustizia del 13 aprile 2000, causa C-251/98, Baars, punto 22; del 21 novembre 2002, causa C-436/00, X e Y, punto 37 ; del 12/9/2006, causa C-196/04, Cadbury Schweppes, punto 31.
  25. La libertà di stabilimento tutelata dal Trattato è sia quella primaria sia quella secondaria. Sul punto, MELIS, Libertà di circolazione dei lavoratori, libertà di stabilimento e principio di non discriminazione nell'imposizione diretta: note sistematiche sulla giurisprudenza della Corte di Giustizia delle Comunità Europee, in Rass.trib.2000, 1151 ss.
  26. Sul tema, anche per riferimenti giurisprudenziali, MONDINI, La nuova responsabilità solidale del cessionario Iva e la sua compatibilità con il diritto comunitario, in Rass.trib.2005, 755; RODRÍGUEZ IGLESIAS, Sui limiti dell'autonomia procedimentale e processuale degli Stati membri nell'applicazione del diritto comunitario, in Riv.it.dir.pubbl.com.2001, 5 ss.
  27. Corte di Giustizia CE, sent. del 12/5/1998, causa C-367/96, Kefalas; ID., sent. del 16/7/1998, causa C-264/96, ICI.
  28. Corte di Giustizia CE, sent. del 13 dicembre 2005, C-446/03, Marks & Spencer.
  29. Sul tema, GALETTA, Il principio di proporzionalità nella giurisprudenza comunitaria, in Riv.it.dir.pubbl.com.1993, 837 ss.; MELONCELLI, Il controllo di proporzionalità e la giurisprudenza comunitaria in materia fiscale, in Riv.dir.trib.,2005, I, 806 ss. Per l'applicazione del principio alle cause di giustificazione, si vedano le sentenze della Corte di Giustizia CE, sent. 31 marzo 1993, causa C-19/92, Kraus/Land Baden-Wuttemberg, in “Racc.”,1993, pag I-1663; sentenza. 30 novembre 1995, causa C-55/94, Gebhard/Consiglio dell'Ordine degli Avvocati e Procuratori di Milano, in “Racc.”, 1995, pag. I-4165; sent. 15 dicembre 1995, causa C-415/93, Bosman e altri, in “Racc.”, 1995, pag I-4921; sentenza. 15 maggio 1997, causa C-250/95, Futura Participations e Singer, in “Racc.”, 1997, pag. I-2471.
  30. Anche gli enti commerciali possono produrre solo reddito di impresa. Per gli enti, tuttavia, la commercialità è legata all'oggetto , esclusivo o principale, e non, come è invece per le società, alla tipologia. Con questa precisazione, le osservazioni relative alle società commerciali debbono ritenersi estese anche agli enti commerciali. Gli enti non commerciali, al pari delle persone fisiche, possono invece produrre diverse tipologie reddituali. Sul punto, sia consentito rinviare a TASSANI, Autonomia statutaria delle società di capitali e imposizione sul reddito, Milano, 2007, 63 ss., anche per ulteriori riferimenti bibliografici.
  31. TASSANI, op.ult.cit., 55 ss.
  32. Può anche verificarsi l'ipotesi in cui, cessata la società, gli ex soci continuino ad esercitare l'attività imprenditoriale in forma collettiva oppure individuale. La eventuale continuità di tipo economico non potrà però apprezzarsi quale continuità giuridica, a meno che non sia configurabile una ipotesi di trasformazione (in senso giuridico) della società. Dal punto di vista fiscale, si assisterà, dunque, alla cessazione di una impresa seguita dall'inizio di una nuova impresa. Per questi aspetti e per le conseguenze della invalidità/inefficacia del contratto societario rispetto alla applicazione della disciplina fiscale di impresa, TASSANI, op.ult.cit., 97 ss.
  33. Che il codice civile riconosce come ipotesi che fa sorgere il diritto del socio al recesso nelle S.p.a. (art. 2437 c.c.) e nelle S.r.l. (art. 2473 c.c.).
  34. FIMMANO', Trasferimento della sede sociale all'estero e principio di incorporazione, in Le società, 1997, I, 574; SANTUS, In tema di trasferimento della sede all'estero ed omologazione parziale, in Nuova giur. civ. comm., 1996, I, 857; BALLARINO, La società per azioni nella disciplina internazionalprivatistica, in AA.VV., Trattato delle società per azionidiretto da Colombo e Portale, Torino, IX, 1994, pag. 66 ss.; SANTA MARIA, Spunti di riflessione sulla nuova norma di diritto internazionale privato in materia di società ed altri enti in Riv. Soc., 1996, pag. 1102.
  35. Il trasferimento di residenza si realizza normalmente attraverso il trasferimento della sede societaria all'estero. Tuttavia, se, nonostante la modifica statutaria, non sono collocati all'estero anche la sede dell'amministrazione e l'oggetto principale, la società continuerà ad essere considerata residente in Italia ai sensi dell'art. 73, terzo comma, Tuir. Altro profilo è quello della possibile “doppia o tripla residenza” delle società e dei metodi convenzionali e nazionali per evitare la doppia (o tripla) imposizione. Sul tema, FANTOZZI-VOGEL, voce Doppia imposizione-internazionale, in Digesto disc. priv. sez. comm., Torino, 1990, V, 181; MARINO, La residenza, cit., 209 ss.; VAN RAAD, Dual Residence and the 1977 Model Treaty Artiche 4(1), in Eu.Tax., 1990, 27 ss.; VAN GENNEP, Dual Resident Companies, in Eu.Tax., 1991, 141 ss.
  36. Anche nei casi delle altre modifiche statutarie “straordinarie” la continuità di ordine soggettivo può accompagnarsi alla tassazione per effetto della espulsione dei beni dal regime fiscale di impresa, come accade per la trasformazione eterogenea. Per un approfondimento, si veda TASSANI, op.ult.cit., 129 ss. Come nota MELIS, Il trasferimento della residenza fiscale nella imposizione sui redditi, Roma , 2008, 486, il legislatore fiscale italiano “si colloca nella scia di quegli Stati che prescindono dalle vicende operanti sul piano internazional-privatistico e situano la fattispecie del trasferimento di residenza fiscale sul piano strettamente tributario“.
  37. Sulla stabile organizzazione quale elemento di localizzazione oppure di qualificazione del reddito di impresa, si rinvia a FANTOZZI-MANGANELLI, Qualificazione e determinazione dei redditi prodotti da imprese estere in Italia, in Studi in onore di V. UckmarPadova, 1997, 413; GARBARINO, Forza di attrazione della stabile organizzazione e trattamento isolato dei redditi, in Rass.trib.1990, I, 427; PERRONE, La stabile organizzazione, in Rass.trib.2004, 794 ss. In generale sul tema e sul ruolo della stessa in ambito internazionale, DELLA VALLE, La nozione di stabile organizzazione nel nuovo Tuir, in Rass.trib.2004, 1597 ss.; FRANSONI, La determinazione del reddito delle stabili organizzazioni, in Rass.trib.2005, 73 ss.; LOVISOLO, La stabile organizzazione nel nuovo modello OCSE, in Corr.trib.2006, 109 ss..
  38. Artt. 85, secondo comma, 86, primo comma, lett. c), Tuir.
  39. FALSITTA, La tassazione delle plusvalenze e sopravvenienze nelle imposte sui redditi, Padova, 1978, 95; MICCINESI, Le plusvalenze d'impresa, Inquadramento teorico e profili ricostruttivi, Milano, 1993, 158. Per una diversa ricostruzione della fattispecie di destinazione a finalità estranee, NUSSI, Trasferimento della sede e mutamento della residenza “fiscale”: spunti in tema di stabile organizzazione e regime dei beni d'impresa, in Rass.trib.1996, 1351 ss. Sia consentito rinviare, anche per ulteriori riferimenti bibliografici, a TASSANI, op.ult.cit., 216 ss.
  40. Come si è notato in precedenza, la fattispecie della destinazione a finalità estranee è inoltre applicabile, vista l'attuale formulazione dell'art. 53- bis Tuir, anche ai lavoratori autonomi, con riferimento ai beni strumentali all'arte e professione.
  41. La disposizione è stata, in origine, introdotta dall'art. 3°, d.l. 23/2/1995, n. 41, convertito, con modificazioni, dalla legge 22/3/1995, n. 85. Come nota MELIS, Il trasferimento della residenza, cit., 516, la norma era inserita nella sezione IV, rubricata alle “norme antielusive”. Lo stesso Autore nota per altro come “da un lato il legislatore volle chiaramente chiudere una lacuna dell'ordinamento, dall'altro riconobbe trattarsi di un intervento con un'importante valenza sistematica“. Si rinvia anche a ZIZZO, Il trasferimento della sede all'estero, in AA.VV., Materiali di diritto tributario internazionale, a cura di Sacchetto e Alemanno, Milano, 2002, 210 ss.
  42. Nutre invece qualche dubbio rispetto alla possibilità di fare coincidere la “destinazione a finalità estrenee all'esercizio dell'impresa” con la “estraneità alla territorialità dell'imposizione”, MELIS, Il trasferimento della residenza, cit., 509.
  43. Sui profili applicativi specifici della disposizione, si rinvia a MELIS, Il trasferimento della residenza, cit., 530 ss.
  44. Di attuazione della Direttiva 2005/19/CE.
  45. E' disposto (art. 166, comma 2- bis ) che le perdite generatesi fino al periodo d'imposta anteriore a quello da cui ha effetto il trasferimento all'estero della residenza fiscale, non compensate con i redditi prodotti fino a tale periodo, sono computabili in diminuzione del reddito della stabile organizzazione ai sensi dell'art. 84, Tuir, ed alle condizioni e nei limiti stabiliti dall'art. 181, Tuir.
  46. Per quanto riguarda le previsioni in materia di trasferimento della sede all'estero, il Dlgs 199/2007 non si è limitato alla attuazione della Direttiva, estendendo a tutti i casi di trasferimento le disposizioni specificamente previste, dalla fonte comunitaria, per il trasferimento di sede delle società europee (SE) e delle società cooperative europee (SCE).
  47. Simile ruolo sistematico è messo in luce, anche con riferimento alla ipotesi della perdita di residenza derivante dalla fusione transnazionale, da MICCINESI, Le plusvalenze d'impresa, cit., 240; LUPI, Profili tributari della fusione di società, Padova, 1988, 60 ss.; ZIZZO, Le riorganizzazioni societarie nelle imposte sui redditi, Milano, 1996, 343 ss.; SILVESTRI, Il regime tributario delle operazioni di riorganizzazione transnazionale in ambito Cee, in Riv.dir.fin.sc.fin.192, 456; PORCARO, Trasferimento di sede all'estero in AA.VV., La fiscalità delle operazioni straordinarie d'impresa, a cura di Lupi e Stevanato, Milano, 2002, 732; MARINO, Profili fiscali delle riorganizzazioni di imprese con elementi di ultraterritorialità, in Dir.prat.trib.1993, 2110; MARINI, Trasferimento di sede all'estero e rilevanza della “stabile organizzazione” ai fini della titolarità di reddito d'impresa, in Dialoghi dir.trib.2005, 89 ss. In termini generali sul punto, MELIS, Il trasferimento della residenza, cit., 494 ss.
  48. MICCINESI, op.ult.cit., 196. Sono cessioni onerose quelle per le quali sia previsto un corrispettivo in denaro o in natura, le permute, i conferimenti, i risarcimenti. E, ad avviso di chi scrive, sono qualificabili come cessioni a titolo oneroso anche le assegnazioni ai soci (TASSANI, op.ult.cit., 221). Sul tema, FANTOZZI, Contributo allo studio della realizzazione dell'avviamento quale presupposto dell'imposta di ricchezza mobile, in Riv.dir.fin.sc.fin.1964, I, 33 ss.; ID., Ancora in tema di realizzazione delle plusvalenze, in Riv.dir.fin.sc.fin.1965, I, 457 ss..
  49. FALSITTA, op.ult.cit., 46.
  50. Come nota la Corte nella sentenza N, “analogamente a quanto la Corte ha affermato a proposito di un sistema simile, il contribuente desideroso di trasferire la propria residenza fuori dal territorio olandese, nell'ambito dell'esercizio del diritto ad esso garantito dall'art. 43 CE, era soggetto all'epoca dei fatti di cui alla causa principale ad un trattamento sfavorevole rispetto ad una persona che conserva la sua residenza dei Paesi Bassi. Tale contribuente, per il solo fatto di un trasferimento di questo tipo, diventava debitore di un'imposta su un reddito non ancora realizzato e di cui egli quindi non disponeva, mentre, se egli avesse continuato a risiedere nei Paesi Bassi, le plusvalenze sarebbero divenute imponibili solo se e nella misura in cui fossero effettivamente realizzate. Tale disparità di trattamento era tale da scoraggiare l'interessato che intendeva trasferire la propria residenza al di fuori dei Paesi Bassi.
  51. Differente è la ricostruzione operata da ROMANO, Sull'illegittimità delle imposizioni fiscali connesse al trasferimento di residenza all'interno dell'Unione Europea, in Rass.trib., 2004, 1291, secondo il quale “l e previsioni dell' art. 166 del Tuir sono intese a evitare l'utilizzo in chiave elusiva del trasferimento di residenza in Paesi esteri, considerando tale trasferimento alla stregua del realizzo al valore normale dei componenti dell'azienda o del complesso aziendale”. Anche FICARI, Trasferimento della sede all'estero, continuità della destinazione imprenditoriale e contrarietà al trattato CE dell'”exit tax” sulle plusvalenze latenti, in Rass.trib.2004, 2146 ss. afferma la portata anti-elusiva della disposizione, ritenendo altresì che l'art. 166 Tuir non possaintegrare una ipotesi di “destinazione a finalità estranee”, in quanto non si realizzerebbe il passaggio tra diversi patrimoni. In base a tali premesse, tali Autori affermano la incompatibilità della norma sul piano comunitario, per contrasto con la libertà di stabilimento.
  52. Comunicazione n. 825 del 19/12/2006.
  53. Una recente ricostruzione del principio di non discriminazione, e del concetto di restrizione, alla luce della giurisprudenza comunitaria, è compiuta da ROSSI-MACCANICO, Principi comunitari di fiscalità diretta delle imprese. Il principio di non discriminazione, in Fiscalità internazionale2008, 226 ss. Sul tema, NUZZO, Libertà di stabilimento e perdite fiscali: il caso Imperial Chemical Industries (ICI) plc, in Rass.trib.1999, 1814 ss.
  54. Sul rapporto tra restrizione e discriminazione, con riferimento al tema in esame, e per una visione in parte differente a quella in questa sede proposta, si veda (anche per ulteriori riferimenti bibliografici) MELIS, Il trasferimento della residenza, cit., 613 ss.
  55. Conclusioni, punto 28, Causa C-446/03.
  56. Sentenze della Corte di Giustizia CE, sentenza del 11/3/2004, causa C-9/02, Hughes de Lasteyrie du Saillant.; Corte di Giustizia CE, sentenza del 7/9/2006, causa C-470/04, N.
  57. LUPI, Coerenza del sistema, cit., 1366. Alla medesima conclusione giunge MARINI, Trasferimento di sede all'estero e rilevanza della “stabile organizzazione” ai fini della titolarità di reddito di impresa, in Dialoghi dir.trib.2005, 95.
  58. In questo senso si apprezza la esigenza di coerenza quale “legame diretto tra un vantaggio fiscale concesso in un certo momento ed un successivo onere fiscale imposto in un momento diverso” (così PIZZONI, La compatibilità delle exit tax con il diritto comunitario, in Riv.dir.trib.2004, III, 51). Come nota MICCINESI, op.ult.cit., 158, la tassazione si giustifica per la necessità di “recuperare fra le componenti positive (sotto forma di ricavo o di plusvalenza) il valore del bene, in assenza di un corrispettivo finale determinato dalla sua cessione, avendo il medesimo già concorso alla formazione del reddito sul versante delle passività originate in via diretta o indiretta“.
  59. Corte di Giustizia CE, sentenza del 18/7/2007, C-231/05, Esab Oy; Corte di Giustizia CE, sentenza del 7/9/2006, C-470/04, NSul tema, MELIS, Perdite intracomunitarie, potestà impositiva e principio di territorialità: unicuique suum?, in Rass.trib.II, 2008; DE PIETRO, op.ult.cit..
  60. Per questo motivo, la Corte ha ritenuto non proporzionali le misure nazionali, anche quelle volte a garantire la ripartizione delle competenze territoriali in base al principio della territorialità, nelle sentenze de Lasteyrie du Saillant N. In quest'ultima, si è affermata la possibile “proporzionalità” della previsione del solo obbligo di dichiarazione, al momento del trasferimento (si veda DE PIETRO, op.cit.). Simile conclusione, lo si ripete, è corretta con riferimento ai redditi derivanti da cessioni di partecipazioni detenute da persone fisiche, rispetto ai quali la regola generale è quella della imposizione collegata all'effettivo conseguimento. In relazione ai redditi di impresa, per i quali è invece costruita una fattispecie generale di imposizione che prescinde dall'effettivo conseguimento in ogni ipotesi in cui i beni fuoriescono dal regime fiscale imprenditoriale, la stessa tassazione all'atto del trasferimento risulta del tutto proporzionale, perché in applicazione del principio, rispetto alle esigenze di coerenza del sistema.
  61. Di cui è stata data attuazione con legge n. 225 del 20/8/1990.
  62. Di cui è stata data attuazione con Dlgs. n. 119 del 6/11/2007.
  63. In questo senso, cercando un equilibrio tra neutralità impositiva e tutela degli interessi fiscali nazionali, come mette luce CARINCI, Le riorganizzazioni societarie e le imposte sui redditi, in AA.VV., Lo stato della fiscalità dell'Unione Europea, coordinato da DI PIETRO, Roma, 2003, II, 510 ss.. Sul tema, in generale, anche SILVESTRI, Il regime tributario delle operazioni di riorganizzazione transnazionale in ambito CEE, in Riv.dir.trib.1996, I, 428 ss..
  64. Considerazioni analoghe possono formularsi con riferimento alla scissione. Sulle analogie, nella logica della Direttiva 90/434, tra fusioni e scissioni, si rinvia a SILVESTRI, op.ult.cit., 641 ss.
  65. SILVESTRI, op.ult.cit., 476. Sul punto, anche ZIZZO, Le riorganizzazioni societarie nelle imposte sui redditi, cit., 342 ss..
  66. Ovviamente è anche immaginabile il caso della società, che abbia già la propria sede legale all'estero, ma che risulti residente in Italia perché nel nostro territorio ha la sede dell'amministrazione e/o l'oggetto principale. In questo caso, il trasferimento della residenza deriverà non dal mutamento della sede statutaria ma dalla scelta di collocare all'estero il luogo in cui si svolge la preminente attività direttiva ed amministrativa della società. E' evidente che, dalla doppia o tripla residenza, possono sorgere dei problemi di imposizione plurima.
  67. CARINCI, op.ult.cit, 511. Per la Direttiva, infatti, assumono importanza, per garantire la neutralità, anche altri elementi, tra cui quello della continuità dei valori fiscali e la previsione dello strumento del notional tax credit. Non è questa la sede per più approfondite riflessioni sulla Direttiva in esame. Si segnala però che entrambi questi aspetti verranno ripresi in seguito nel presente studio, con specifico riferimento al trasferimento all'estero della residenza.
  68. L'aspetto è messo in luce anche da MELIS, Profili sistematici, cit., 59; FICARI, Reddito di impresa e programma imprenditoriale, Padova, 2004, 157-8.
  69. Dlgs. n. 199 del 6/11/2007.
  70. Evidenzia il possibile conflitto tra l'affermazione della incompatibilità, alla luce della libertà di stabilimento, dell'art. 166 Tuir, ed il sistema della Direttiva n. 90/434, anche ROMANO, op.ult.cit., rilevando che “il problema della legittimità o meno delle exit tax sulle persone giuridiche con il diritto comunitario primario, anche alla luce della sentenza Hugues de Lasteyrie du Saillant, farebbe emergere il conflitto, che potrebbe essere ravvisato almeno sul piano logico, tra norme contenute nel Trattato Ce e le disposizioni della Direttiva comunitaria n. 434/90“.
  71. Sul principio generale della uniforme applicazione del diritto comunitario, Corte di Giustizia CE, sentenza del 27/11/2003, causa C-497/01; ID., sentenza del 27/2/2003, causa C-373/00; ID., sentenza del 9/11/2000, causa C-357/98; ID., sentenza del 19/9/2000, causa C- 287/98.
  72. Il problema è sottolineato anche dalla COMM.EUROPEA, nella Comunicazione n. 825 del 19/12/2006. Inoltre, la Commissione nota che “disparità si producono anche nel caso in cui i due Stati membri abbiano la stessa impostazione teorica, ma giungano, praticamente, a conclusioni differenti per quanto attiene al valore degli attivi in oggetto“.
  73. Come nota la COMM. EUROPEA, nella Comunicazione n. 825 del 19/12/2006. Sul tema, MELIS, Profili sistematici, cit., 40 ss.
  74. Sul tema SACCHETTO, Armonizzazione fiscale nella Comunità Europea, cit..
  75. Comunicazione n. 825 del 19/12/2006.
  76. Si veda, sul punto, la proposta di Direttiva del 17/10/2003, COM (2003)613, che prevedeva l'adozione di un credito d'imposta per le plusvalenze relative alle stabili organizzazioni situate in altri Stati membri. Proposta che però non avuto seguito dal punto di vista normativo, come nota anche MIELE, In via di recepimento la direttiva su operazioni straordinarie transfrontaliere, in Corr. trib.,2007, 2751.
  77. Si rinvia a SILVESTRI, op.ult.cit., 488-9. Si vedano anche le critiche di LUPI, Primi appunti in tema di fusioni, scissioni e conferimenti “transnazionali”, in Boll.trib.1992, 1302, rispetto alla funzione del notional tax credit.
  78. Si veda anche MELIS, Il trasferimento della residenza, cit., 584.
  79. In questo senso, infatti, era la proposta di Direttiva del 17/10/2003, COM (2003)613. Come già si è avuto modo di notare, l'estensione della disciplina del notional tax credit non è invece imposta dalla attuale formulazione della Direttiva 90/434/CE.
  80. Sulle finalità della modifica normativa, anche MIELE, op.ult.cit.,2751 ss.
  81. La questione non sembra invece porsi nella ipotesi di società straniera con stabile organizzazione in Italia che trasferisca nel nostro Paese la residenza fiscale, almeno relativamente ai beni che già facevano parte della stabile organizzazione. Tali beni continuano ad essere assoggettati al regime fiscale italiano e, di conseguenza, continuano ad essere assunti al valore “storico”. Qualora la società avesse altri beni all'estero, si porrebbe il problema di come valutare questi ultimi ai fini del regime fiscale italiano.
  82. GALLIO-FURLAN-STEVANATO-LUPI, Trasferimento della residenza, exit tax e valorizzazione dei beni nell'ordinamento di arrivo, in Dialoghi dir.trib.2007, 575 ss.; DE CAPITANI DI VIMERCATAE, Brevi note in tema di trasferimento della residenza ed entrata di beni nella sfera impositiva italiana, in Dir.prat.trib.,2008, II, 36 ss.; CANCELLIERE, La valorizzazione fiscale dei beni esteri immessi nel territorio nazionale, in Fiscalità internazionale2007, 392 ss. Sul tema, diffusamente, MELIS, Il trasferimento della residenza, cit., 589 ss.
  83. Studio del Consiglio Nazionale del Notariato, Profili fiscali ai fini dell'imposizione diretta del trasferimento in Italia della sede di una società estera, est. PURI, del 18/7/2008, in corso di pubblicazione in Studi e Materiali, 2008.
  84. Come correttamente nota l'Agenzia delle Entrate nella RIS., n. 9/E del 17/1/2007, ai sensi dell'art. 25, legge n. 218 del 31/1/1995, è necessario che il trasferimento della sede sia posto in essere conformemente agli ordinamenti dello Stato di provenienza e dello Stato di destinazione. Per questo motivo, la continuità giuridica, riconosciuta dall'ordinamento italiano, può affermarsi solo quando il trasferimento della sede all'estero, senza la conseguenza della liquidazione/estinzione, sia riconosciuto anche dall'ordinamento di provenienza. Si veda MELIS, Profili sistematici, cit., 27. Sul tema di diritto internazionale privato, si rinvia a SANTA MARIA, Società (dir. internaz.), in Enc. DirittoXLII, Milano, 1990, 898; ID., Le società nel diritto internazionale privato, Milano, 1970, 106; CAPOTORTI, Il trasferimento di sede di una società da uno Stato all'altro, in Foro it., 1958, IV, 209 ss.
  85. La RIS. AG.ENTRATE, n. 9/E del 17/1/2007 fa derivare dalla continuità giuridica della società trasferita in Italia la continuità del “periodo di imposta”, affermando che l'ente risulterà residente in Italia per l'intero esercizio se il trasferimento di sede di è perfezionato prima che sia decorso un numero di giorni inferiore alla metà del periodo di imposta. In caso contrario, di società che si trasferisce e si costituisce “ex novo” secondo l'ordinamento italiano, inizierebbe un nuovo periodo di imposta e la stessa dovrebbe essere considerata, da subito, residente in Italia, alla stessa stregua delle società neo-costituite. La RIS. dell'Agenzia delle Entrate n. 345/E del 5/8/2008, sempre in base al principio della continuità giuridica, afferma che il requisito soggettivo del periodo di possesso per l'applicazione della PEX (art. 87, Tuir) va verificato tenendo conto anche al possesso relativo al periodo in cui la società, poi trasferita in Italia, era residente all'estero. Commentano la posizione dell'Agenzia, GALLIO, Il trasferimento della residenza fiscale in Italia secondo l'Agenzia delle Entrate: alcuni dubbi, in Il fisco2006, 1022 ss.; RIGHINI, Trasferimento della sede e mutamento della residenza fiscale in corso d'anno: l'interpretazione dell'Agenzia delle Entrate, in Il fisco2006, 1950 ss.
  86. Sul tema, MELIS, La residenza fiscale dei soggetti Ires e l'inversione dell'onere probatorio di cui all'art. 73, commi 5-bis e 5-ter, Tuir, in Dir.prat.trib.int.n.3, 2007.
  87. Paragrafo 2.4.
  88. In questo senso, risulta però necessario che, anche dal punto di vista dell'applicazione amministrativa e giurisprudenziale, non siano poste limitazioni alle prove contrarie che il contribuente può addurre, così come non sia spostato l'oggetto della prova. Nel caso dei commi 5-bis e 5-ter, il contribuente può vincere la presunzione dimostrando che la sede dell'amministrazione è all'estero, nonostante altri elementi di tipo sostanziale collochino l'attività Italia. Le disposizioni citate, infatti, non alterano i criteri normativi per attribuire la residenza in Italia, per esempio introducendo nuovi criteri in una logica anti-elusiva e con effetti sostanziali, ma si limitano a distribuire diversamente l'onere probatorio tra i soggetti nella fase dell'accertamento tributario. Ogni diversa lettura potrebbe valutarsi in quanto irrazionale, sul piano costituzionale, nonché non proporzionale a livello comunitario (su questi aspetti, DE MITA, Principi di diritti tributario, Milano, 2007, 89 ss.; TOSI, Le predeterminazioni normative nell'imposizione reddituale, Milano, 1999, 93 ss.; CIPOLLA, La prova tra procedimento e processo tributario, Padova, 2005, 657 ss.; TOSI, Le predeterminazioni normative nell'imposizione reddituale, Milano, 1999, 93 ss). Sul tema, MARINO, MARZANO, LUPI, La residenza delle società e controllo tra schemi OCSE ed episodi giurisprudenziali interni, in Dialoghi dir.trib.2008, 91 ss.; SERINO-PARPIGLIA, La sede dell'amministrazione nell'attribuzione di residenza fiscale delle persone giuridiche: criticità operative, in Il fisco2008, 4297 ss.
  89. “Generale” nel senso che “comprende quasi tutte le ipotesi di elusione attualmente conosciute” (FANTOZZI, Il diritto tributario, Torino, 2003, 164). Come è noto, la norma ha un ambito oggettivo segnato dal compimento di specifiche operazioni societarie.
  90. MICCINESI, Elusione e trasferimento all'estero della sede della società: la montagna ha partorito il topolino, in Giur. trib., 2008, 97.
  91. Nota MICCINESI, op.ult.cit., 98, che “la norma concerne il trasferimento della sede e non anche dell'attività all'estero, poiché quando non solo la direzione dell'organismo ma l'intera attività economica e la relativa organizzazione siano allocati in altro Paese la scomparsa dal nostro ordinamento è totale: in questi casi non è consentito ragionare in termini di benefici d'imposta legati alla scelta di ubicare la società all'estero, poiché si andrebbe ad investire in termini costituzionalmente inammissibili il diritto di impiantare in altro Paese l'attività economica“.
  92. Corte di Giustizia CE, sent. del 9/3/1999, C-212/97, Centros, in Raccolta, 1999, 1459; ID., sent. del 5/11/2002, C-208/00, Überseering, in Raccolta, 2002, I; ID., sent. del 30/11/2003, C-167/01, Inspire Art, in Raccolta, 2003, 10155. La sentenza della Corte di Giustizia CE, Grande Sezione, del 12/9/2006, causa C-196/04, Cadbury Schweppes, applicando la libertà di stabilimento nel settore dell'imposizione sui redditi ha recentemente affermato che un cittadini di uno Stato membro, persona fisica o giuridica, salvo le ipotesi di abuso, “non può essere privato della possibilità di avvalersi delle disposizioni del Trattato solo perché ha inteso approfittare dei vantaggi fiscali offerti dalle norme in vigore in uno Stato membro diverso da quello in cui risiede”. Analogamente, la sentenza della Corte del 11 dicembre 2003, causa C-364/01, Barbier, punto 71. Sul tema, BEGHIN, La sentenza Cadbury-Schweppes e il “malleabile” principio della libertà di stabilimento, in Rass.trib.2007, 983 ss.
  93. Così MICCINESI, op.ult.cit., 98.
  94. Come affermato dalla Corte di Giustizia CE, Grande Sezione, sentenza del 12/9/2006, C-196/04, Cadbury Schweppes, “una misura nazionale che restringe la libertà di stabilimento è ammessa solo se concerne specificamente le costruzioni di puro artificio finalizzate a sottrarre l'impresa alla legislazione dello Stato membro interessato”. “Ne consegue che, perché sia giustificata da motivi di lotta a pratiche abusive, una restrizione alla libertà di stabilimento deve avere lo scopo specifico di ostacolare comportamenti consistenti nel creare costruzioni puramente artificiose, prive di effettività economica e finalizzate ad eludere la normale imposta sugli utili generati da attività svolte sul territorio nazionale.” Tra le altre, si vedano anche le sentenze del 12 dicembre 2002, causa C-324/00, Lankhorst-Hohorst, punto 37 ; del 13 dicembre 2005, C-446/03, Marks & Spencer punto 57.
  95. Afferma la incompatibilità con il principio di libertà di stabilimento della disposizione, MICCINESI, op.ult.cit., 98, il quale nota come, di conseguenza, ne deriva un notevole restringimento del campo applicativo della norma.