La politica della Commissione Europea in materia di Exit Tax
1. Introduzione – La necessità di coordinamento delle politiche fiscali degli Stati Membri
La fiscalità è al centro della sovranità nazionale. Essa è uno strumento importante a disposizione dei governi per finanziare le spese pubbliche e dare vita alle politiche che essi considerano importanti. Tuttavia, è chiaro che ci sono ancora degli aspetti dei singoli sistemi fiscali nazionali che impediscono l’integrazione economica dell’UE. Ciò comporta che gli operatori economici continuano a relazionarsi con ostacoli fiscali che non consentono loro di godere a pieno dei benefici del Mercato Interno. Inoltre, per gli Stati Membri è sempre più difficile proteggere le basi imponibili in maniera compatibile con il rispetto delle libertà fondamentali del Trattato. Sempre più spesso, misure adottate per proteggere le basi imponibili nazionali sono considerate contrarie al diritto comunitario dalla Corte di Giustizia, e ciò può avere conseguenze finanziarie considerevoli per gli Stati Membri interessati. Spesso poi tali misure non sono coordinate con le norme fiscali degli altri Stati Membri, e ciò può causare fenomeni di doppia imposizione o doppia non imposizione involontaria, e rendere i sistemi fiscali sempre più vulnerabili in termini di evasione o elusione fiscale.
L’attuale quadro istituzionale, che prevede l’unanimità per le decisioni in materia di fiscalità, non è verosimilmente destinato a cambiare nel breve periodo. Quindi è importante esplorare approcci nuovi e creativi, vale a dire trovare soluzioni nuove ai principali problemi fiscali sia degli Stati Membri che degli operatori del mercato. Animata da questa sfida la Commissione nel 2006 ha lanciato un’iniziativa per un nuovo approccio sistematico basato sul coordinamento delle politiche fiscali [2]. La Commissione crede che il coordinamento delle politiche fiscali nazionali al livello comunitario possa avere un ruolo fondamentale per aiutare gli Stati Membri nel rendere i loro sistemi fiscali compatibili con il diritto comunitario e, allo stesso tempo, proteggere le loro basi imponibili da ulteriori erosioni. Potrebbe inoltre migliorare in maniera significativa le performance dei sistemi fiscali i quali possono contribuire a mantener e all’interno dell’UE le attività economiche e i patrimoni “mobili”.
Bisogna esser consapevoli del fatto che non c’è un’unica formula per l’approccio coordinato. Problemi differenti possono richiedere soluzioni differenti. Il coordinamento delle politiche fiscali può essere raggiunto attraverso una serie di misure, tra cui iniziative legislative e strumenti non vincolanti giuridicamente. In ogni caso, diversamente dalla armonizzazione, che è caratterizzata dal fatto che le normative nazionali sono sostituite da un corpo legislativo comune di livello europeo, il coordinamento lascia le legislazioni intatte al livello nazionale (a condizione che siano compatibili con il diritto comunitario) ma è funzionale a rendere tali normative compatibili tra di loro. Piuttosto che concentrarsi sulle competenze degli Stati Membri in materia fiscale, il coordinamento rinforza la loro capacità di preservare la sovranità attraverso uno sforzo collettivo.
Nel dicembre 2006 la Commissione ha pubblicato una Comunicazione sulle exit taxes [3] nella quale ha espresso la propria opinione in merito ad un approccio coordinato che potrebbe risultare utile in questo campo. La Comunicazione è stata redatta per fornire una guida sui principi desumibili dalla giurisprudenza in materia di exit taxes e preparare il dibattito sulle modalità con cui gli Stati Membri possono adempiere ai propri obblighi. Dal momento che gli Stati Membri sono obbligati a prendere provvedimenti, l’idea è di facilitare e coordinare tali provvedimenti. Ma la Comunicazione suggerisce anche che c’è la necessità di affrontare le asimmetrie tra le diverse regole nazionali, per assicurare che esse interagiscano coerentemente tra di loro. Nel prosieguo del lavoro richiamerò brevemente i risultati principali della Comunicazione, ma tenterò anche di spiegare ulteriormente come la Commissione vorrebbe che le asimmetrie vengano rimosse attraverso una politica di coordinamento.
Le pagine seguenti vanno tuttavia lette alla luce della adozione da parte del Consiglio, della Risoluzione sugli accordi di collaborazione in materia di exit tax del 2 Dicembre 2008 [4]. La Risoluzione è strumento non vincolante, che non crea diritti od obblighi giuridici per gli Stati Membri o per i contribuenti (come espressamente riaffermato nelle premesse).
L’adozione della Risoluzione è tuttavia un importante ed auspicato passo in avanti, nella rimozione di ostacoli di natura fiscale al corretto funzionamento del mercato interno, attraverso l’eliminazione dei fenomeni di doppia imposizione sulle operazioni di trasferimento dei beni di impresa da un Stato Membro ad un altro. Sebbene allo stato attuale la realizzazione di tale obiettivo dipenda da un’azione concreta di modifica delle politiche interne da parte dei singoli Stati Membri, alcuni risultati tangibili testimoniano che ci può essere un miglioramento nell’area della tassazione diretta tramite misure di coordinamento. È altresì vero che la Risoluzione non fornisce indicazioni su una questione fondamentale ai fini della coerenza con il Trattato CE delle normative fiscali previste dai singoli Stati Membri, ossia in quale momento è possibile riscuotere le exit taxes. La Commissione è stata molto chiara nell’esprimere la propria opinione in materia: l’applicazione delle exit taxes non può avvenire in un momento precedente a quello in cui si sarebbe verificata la tassazione nel caso in cui i beni fossero rimasti all’interno del territorio dello Stato di partenza, e di regola questo momento coincide con l’effettiva alienazione dei beni oggetto del trasferimento. In questo senso si sottolinea inoltre che la Risoluzione, nei principi guida, espressamente invita gli Stati Membri di destinazione a prevedere misure di assistenza amministrative allo Stato di partenza, in particolare al fine di individuare l’esatta data di alienazione del bene.
2. Exit Tax – Un esempio eccellente in cui il coordinamento può rivelarsi utile
2. 1. La “raison d’être” (ratio) dell’ exit tax?
Gli Stati Membri hanno diverse ragioni per introdurre le exit taxes. Alcuni le introducono per contrastare specifici tipi di elusione fiscale, ed emigrazioni (temporanee) per motivi fiscali. Per altri le exit taxes sono un mezzo per assicurare la tassazione di ogni reddito maturato nel periodo in cui il contribuente è residente nel territorio dello Stato. Spesso le exit taxes nazionali sono basate su una combinazione di tali ragioni.
La maggior parte dei Paesi cerca di tassare i propri residenti (individui e/o società) sulle plusvalenze che essi realizzano sui loro beni. In situazioni interne, le plusvalenze vengono usualmente tassate allorquando esse sono realizzate, ossia quando i beni sono venduti o altrimenti alienati. Tuttavia, se un contribuente persona fisica si sposta in un altro stato prima di alienare i propri beni, lo Stato di uscita rischia di perdere la potestà impositiva sulle plusvalenze maturate sui beni, in quanto generalmente tale potestà passa al nuovo Stato di residenza. Allo stesso modo, se una società trasferisce la propria residenza da uno Stato Membro in un altro Stato Membro, lo Stato originario di residenza rischia di perdere (parzialmente) la potestà impositiva sui profitti che sono maturati nel periodo in cui la società era residente nel territorio [5]. Lo stesso rischio potrebbe presentarsi qualora una società trasferisca singoli cespiti ad una sua sede (stabile organizzazione) situata in un altro Stato Membro. Molti Stati Membri hanno cercato di affrontare questi problemi tassando i plusvalori maturati, ma non ancora realizzati, al momento del trasferimento di residenza da parte del contribuente o del singolo bene.
2.2. Principi generali desumibili dalla giurisprudenza rilevante – le Exit Taxes sono compatibili con il Trattato?
Nel caso De Lasteyrie du Saillant [6], un caso riguardante la legislazione francese sulla tassazione degli incrementi di valore non realizzati di titoli, legata all’emigrazione del singolo contribuente, la questione dinanzi alla Corte di giustizia era se un meccanismo di tassazione immediata del plusvalore latente al trasferimento di residenza è compatibile con il principio della libertà di stabilimento (Articolo 43 del Trattato). La Corte ha ritenuto che la normativa francese restringeva l’esercizio della libertà di stabilimento, in quanto aveva un forte effetto dissuasivo sui contribuenti che volessero stabilirsi in un altro Stato Membro, in quanto essi erano soggetti in Francia, per il solo fatto del trasferimento della loro residenza fuori dal territorio francese, ad un’imposta su una forma di reddito non ancora realizzato, e cioè ad un trattamento svantaggioso rispetto alle persone che mantenevano la loro residenza in Francia (i quali non erano tassati su tali plusvalori latenti).
Ancorché la sentenza si riferisca, ovviamente, ai fatti e alle circostanze del singolo caso, sembra che si possano trarre delle conclusioni di natura generale: tassare i residenti in base al momento del realizzo, e coloro che spostano la residenza in base al maturato, costituisce una differenza di trattamento che è di ostacolo ostacolo alla libertà di movimento.
Laddove uno Stato Membro dell’UE decida di tassare i plusvalori maturati nel periodo di residenza del contribuente nello Stato, non può prevedere misure che costituiscano un ostacolo sproporzionato alla libertà di movimento. La Corte di giustizia ha confermato che un obbligo di fornire una garanzia è sproporzionato in quanto vi sono altri metodi meno restrittivi, quali le misure di assistenza amministrativa previste dalla Direttiva sulla Mutua Assistenza (77/799/EEC) e dalla Direttiva sulla Riscossione delle Imposte (76/308/EEC). Ciò chiaramente esclude la possibilità di una riscossione immediata delle imposte dovute nel momento del trasferimento di residenza e implica che gli Stati Membri devono significativamente far conto sulla cooperazione con gli altri Stati Membri al fine di assicurare l’effettivo esercizio delle loro potestà impositive. In generale, ogni mezzo di conservazione della pretesa fiscale deve essere strettamente proporzionato a tale scopo, e non deve implicare costi sproporzionati per il contribuente. La Commissione incoraggia gli Stati Membri a fare un miglior uso dei mezzi già a loro disposizione, ed è pronta ad assisterli nell’esaminare i margini di miglioramento in questa area.
Nel caso N [7], che riguardava un diritto di uscita sugli azionisti che emigravano, la Corte di giustizia ha confermato che preservare la ripartizione del potere impositivo tra Stati Membri è un obiettivo legittimo, e che il principio di territorialità può esser la base per tale ripartizione. Nello stesso tempo, la Corte ha sottolineato che la ripartizione della potestà impositiva tra gli Stati Membri è strettamente legata al proposito di eliminare la doppia imposizione all’interno della Comunità. Cioè, uno Stato Membro può tassare il reddito prodotto nel periodo in cui il contribuente era residente di un altro Stato Membro, ma deve anche assicurare che ogni decremento di valore successivo al trasferimento di residenza nell’altro Stato Membro sia preso in considerazione.
La Commissione è dell’opinione che per raggiungere l’obiettivo di ripartire correttamente il potere impositivo, uno Stato Membro possa esigere una dichiarazione fiscale al momento del trasferimento di residenza per stabilire l’ammontare del reddito maturato nel periodo in cui il contribuente è stato residente in uno Stato Membro, a condizione che ciò non determini una tassazione immediata e che non vi siano ulteriori condizioni per il differimento della tassazione. Alcuni commentatori hanno suggerito che uno Stato Membro dovrebbe anche astenersi dall’accertare le imposte dovute al momento della dichiarazione, in quanto una misura maggiormente proporzionata sarebbe quella di differire tale accertamento fino al momento della effettiva alienazione. Ciò eviterebbe una differenza temporale con situazioni interne comparabili e permetterebbe allo Stato di uscita di tenere pienamente in conto le circostanze personali del contribuente e le aliquote di imposta applicabili al momento dell’alienazione.
2.3. Exit Taxes sulle società
Fino ad oggi la Corte di giustizia si è pronunciata solo sulle exit taxes con riferimento ai contribuenti persone fisiche. La Commissione, tuttavia, ritiene che ci siano pochi dubbi che la giurisprudenza abbia anche implicazioni dirette per le normative nazionali in materia di exit taxes sulle società [8]. E ciò con riferimento non solo alle exit taxes che si riferiscono al trasferimento della sede in un altro Stato Membro, ma anche ad ogni tipo di imposizione all’uscita sul trasferimento del singolo cespite o passività dalla sede centrale ad una stabile organizzazi one in un altro Stato membro (o viceversa) della società. La sentenza De Lasteyrie insegna che tali trasferimenti transfrontalieri non devono essere trattati meno favorevolmente dei trasferimenti domestici. Se uno Stato membro consente il differimento fi scale per il trasferimento di beni tra diverse localizzazioni di una stessa società residente nello Stato, allora ogni tassazione immediata nei confronti di trasferimenti di cespiti comparabili in un altro Stato Membro è probabilmente contraria alle libertà garantite dal Trattato.
Sebbene garantire un differimento incondizionato possa risolvere la immediata differenza di trattamento tra le situazioni domestiche e transfrontaliere, e cioè rendere le regole nazionali coerenti con il Trattato, di per sé questo non garantisce che l’exit tax sia idonea a riscuotere le imposte dovute al momento dell’effettivo realizzo del provento. Ciò può richiedere degli obblighi ragionevoli di registrazione per il contribuente e/o scambi di informazioni adeguati e, qualora necessario, assistenza nella riscossione delle imposte tra autorità fiscali. Lo Stato di uscita sarà in grado di esercitare la propria potestà impositiva al momento dell’alienazione solo se è al corrente che tale alienazione è avvenuta. Ugualmente, se un contribuente che ha trasferito la propria residenza rifiuta di pagare le imposte, lo Stato di uscita può contare solo sul nuovo Stato di residenza per riscuotere le imposte in sua vece.
2.4. Asimmetrie
Le misure di differimento della tassazione da sole non offrono necessariamente una soluzione per le asimmetrie esistenti tra sistemi fiscali nazionali. Peraltro con riferimento al contribuente-società le asimmetrie derivano da differenze nei metodi di valutazione in riferimento ai beni interessati. Una parte degli Stati Membri consente che i beni siano trasferiti ad una stabile organizzazione in altro Stato Membro al valore di libro. Questi Stati Membri scelgono di non esercitare la loro potestà impositiva sulla differenza tra il valore di libro ed il valore di mercato al momento del trasferimento. In genere, questi Stati Membri valutano i beni trasferiti ad una stabile organizzazione nel loro Paese al valore di libro. Altri Stati Membri cercano di esercitare la propria potestà impositiva sulla differenza tra il valore di libro e il valore di mercato del bene al momento del trasferimento. In pratica, queste differenze possono condurre ad una doppia imposizione o ad una non imposizione delle plusvalenze. Asimmetrie si verificano anche quando due Stati Membri applicano lo stesso approccio di base, ma in pratica prevedono valutazioni differenti dello specifico bene coinvolto.
Tali asimmetrie danneggiano il corretto funzionamento del Mercato Interno in quanto possono dissuadere le società dall’investire in altri Stati Membri, dal momento che esse potrebbero trovarsi a dover subire una doppia imposizione. L’obiettivo di una doppia non imposizione può, d’altra parte, incoraggiare gli operatori ad organizzare le loro attività transnazionali in modo da sfruttare le asimmetrie tra differenti sistemi fiscali, piuttosto che prendere le loro decisioni sulla base di corrette ragioni economiche. La Commissione è dell’opinione che tali ipotesi di doppia imposizione o di doppia non imposizione sono ugualmente indesiderabili, e pertanto incoraggia gli Stati Membri ad esaminare le ipotesi di soluzioni coordinate. Tali soluzioni coordinate potrebbero ad esempio consistere nel mutuo riconoscimento del metodo di valutazione applicato dallo Stato del trasferimento, oppure in un procedimento vincolante per la risoluzione delle controversie nel quale si stabilisca un unico valore condiviso al momento del trasferimento.
Un differimento fino al momento di effettiva alienazione dei beni inoltre non è il solo approccio possibile, e alcuni tipi di cespiti possono richiedere un trattamento differente. Come riconosciuto nella Comunicazione [9] sulle exit taxes, alcuni tipi di cespiti (intangibili, cespiti in perdita) usati o creati da alcune società sono fruibili solo dalle stesse e nel tempo perdono il proprio valore e quindi, di regola, non vengono alienati. In pratica gli Stati Membri spesso, nella tassazione interna, usano presupposti di imposta diversi dalla alienazione per assicurare una corretta tassazione di tali cespiti.
La Commissione crede che gli Stati Membri dovrebbero esser in grado di applicare soluzioni economicamente equivalenti nelle situazioni transnazionali, a condizione che ciò non implichi un trattamento peggiore rispetto alle situazioni interne, e che non dia luogo a doppia imposizione. Tali soluzioni equivalenti dovrebbero essere pragmatiche e minimizzare i costi amministrativi per le amministrazioni fiscali e per i contribuenti. Dovrebbero inoltre limitare al minimo la necessità di ricorrere alla cooperazione amministrativa tra Stati Membri.
3. Possibili soluzioni coordinate
Le soluzioni coordinate consentirebbero ai diversi sistemi nazionali di operare insieme senza problemi. La Commissione considera diverse opzioni, di tipo generale e speciale, per risolvere le asimmetrie.
3.1. Approcci generali
Attualmente un buon numero di Stati sia attraverso il metodo per cui si considera realizzata l’alienazione di un bene prima dell’emigrazione, sia applicando un sistema di “extended tax liability” già prevede meccanismi che riconoscono le imposte pagate dal nuovo Stato di residenza sullo stesso provento. Tali pratiche possono o meno essere confermate dai trattati bilaterali tra i Paesi interessati. La Commissione è dell’opinione che laddove due Stati Membri consapevolmente scelgono di esercitare la loro potestà impositiva sullo stesso reddito, allora essi devono assicurare che ciò non conduca ad una doppia imposizione.
Un’altra possibilità per risolvere le asimmetrie esistenti per gli Stati Membri sarebbe quella di accordarsi per ripartir e la potestà impositiva sui plusvalori, ad esempio dividendo la potestà impositiva in ragione del periodo in cui l’azionista è stato residente nei rispettivi Stati Membri. Ciò può richiedere dei cambiamenti ai trattati bilaterali esistenti per dare conto d i tale ripartizione. Ogni soluzione implica la necessità di tenere in considerazione un possibile decremento di valore tra il momento dell’uscita/entrata e l’effettiva alienazione. Il fatto che un contribuente abbia esercitato il suo diritto di stabilimento non può condurre ad una tassazione di un ammontare maggiore del plusvalore rispetto a quello che sarebbe stato tassabile se non avesse cambiato residenza.
3.2. La determinazione del plusvalore latente al momento del trasferimento del bene
Idealmente, lo Stato di uscita dovrebbe prevedere unicamente la determinazione del plusvalore latente del bene trasferito al momento in cui rischia di perdere la potestà impositiva sul bene, e differire la tassazione dei plusvalori così come previsto dalla Direttiva Fusioni (90/434/EC [10]). Quindi, il plusvalore latente sarebbe determinato unicamente con riferimento ai beni che, a seguito di trasferimento o di operazioni di ristrutturazione transfrontaliere, “non rimangono effettivamente connessi ad una Stabile Organizzazione” nello Stato e non svolgono alcun ruolo “nella generazione di profitti o perdite da considerarsi ai fini fiscali“.
3.3. Il differimento fiscale in caso di beni materiali ed immateriali attraverso la creazione di un fondo per il plusvalore
Il plusvalore determinato al momento del trasferimento dei beni materiali e immateriali non sarebbe tassato immediatamente dallo Stato di uscita, ma gradualmente nel periodo di tempo in cui tali plusvalori sarebbero tassati, se il bene non fosse trasferito. A tal fine, può essere previsto l’accantonamento in un fondo in sospensione di imposta da iscriversi all’interno o all’esterno del bilancio civilistico, o della contabilità fiscale. Il valore di tale fondo sarebbe poi diminuito, e quindi tassato, gradualmente in un determinato periodo. Per assicurare il maggior grado possibile di equivalenza economica questo periodo dovrebbe idealmente essere basato sul periodo di utilizzo residuo del singolo cespite al momento del trasferimento. Tuttavia, per ragioni di semplificazione amministrativa sia per le amministrazioni fiscali sia per i contribuenti, si potrebbe considerare un approccio basato su periodi fissi di tassazione in ragione del periodo di utilizzo medio delle diverse categorie di beni.
3.4. Diminuzione prorata dell’accantonamento per beni materiali in un periodo di tempo determinato
In caso di beni materiali, se si considerasse un approccio basato su un periodo fisso di tassazione, sembra ragionevole fissare un periodo che va dai 5 ai 10 anni (considerato il periodo medio di ammortamento di tali beni nelle situazioni interne). Un periodo inferiore ai 5 anni non costituirebbe un trattamento equivalente alle situazioni puramente interne.
3.5. Tassazione pro rata dell’accantonamento per beni immateriali (incluso l’avviamento trasferito con (parte del)la azienda) in un periodo determinato
Anche gli accantonamenti relativi ai beni immateriali, incluso l’avviamento (generato internamente o acquisito), potrebbero essere tassati in un arco temporale determinato. Ed anche questo periodo potrebbe essere parametrato al periodo di utilizzo residuo previsto per il singolo bene al momento del trasferimento e/o, per ragioni pratiche, sul normale ammortamento per i beni immateriali nello Stato di uscita. In quest’ultimo caso si potrebbe considerare un periodo normativamente fissato tra i 10 e i 15 anni. Un periodo più breve non garantirebbe un trattamento equivalente alle situazioni puramente interne, e pertanto dovrebbe essere considerato solo in condizioni eccezionali. Anche se uno Stato Membro nelle situazioni interne non consente l’iscrizione dell’avviamento, può tuttavia risultare appropriato per ragioni puramente pragmatiche accettare una tassazione graduale del fondo cui è iscritto l’avviamento in un periodo di tempo predeterminato. Dal punto di vista delle imprese le spese sostenute nello Stato ospite dopo il trasferimento rimpiazzeranno nel tempo gli elementi che contribuirono alla creazione dell’avviamento nello Stato di uscita. E perciò, è ragionevole consentire la tassazione dell’avviamento trasferito in un periodo fisso di tempo, in modo da non mantenere questo fondo all’infinito.
3.6. Tassazione immediata dell’accantonamento nel caso di alienazione del bene o del trasferimento del bene in uno Stato terzo
Se un bene è alienato nel periodo di cui sopra, ad una stabile organizzazione localizzata in uno Stato Terzo o venduto ad un’altra società o altrimenti alienato (cioè in ogni caso in cui in base alla normativa nazionale scatterebbe la tassazione), il fondo in cui è stato iscritto il plusvalore latente dei cespiti rilevanti sarebbe immediatamente e totalmente azzerato e quindi tassato.
Nel caso N la Corte di Giustizia ha ritenuto, rispetto ad una exit tax applicata alle persone fisiche, che affinché essa risulti proporzionata è necessario che il sistema fiscale prenda in piena considerazione ogni svalutazione del bene dopo il trasferimento di residenza.
Con riferimento al trasferimento dei cespiti da parte delle società, i beni che sono utilizzati nel processo produttivo o per la fornitura di servizi o che tendono a perdere valore nel tempo (immateriali) generalmente subiscono una svalutazione. Conseguentemente, il valore di mercato del bene al momento dell’alienazione sarà generalmente inferiore al valore di mercato al momento del trasferimento. Siccome le svalutazioni sono dovute all’utilizzo dei beni nello Stato ospite, esse dovrebbero essere considerate in questo Stato. Al più si potrebbe ammettere un obbligo residuo per lo Stato di uscita di riconoscere tali riduzioni, ad esempio quando c’è contraddittorio sulla valutazione al momento del trasferimento (es. sopravvalutazione dei cespiti trasferiti).
3.7. Opzione per la tassazione immediata del plusvalore latente in riferimento ai beni trasferiti
Per evitare inutili costi amministrativi e minimizzare il peso degli oneri fiscali, alle società dovrebbe essere consentito rinunciare al pagamento differito delle imposte, ed optare per la tassazione immediata del plusvalore al momento del trasferimento dei beni. L’opzione per la tassazione immediata sarebbe particolarmente utile in quelle situazioni in cui l’ammontare del plusvalore latente è minimo o in cui i cespiti devono essere venduti appena dopo il trasferimento. Questa opzione non importa un’entrata finanziaria per la società e semplifica l’applicazione del metodo dell’accantonamento, e pertanto sarebbe improbabile la creazione di rischi di abuso.
Un punto dibatutto è se l’opzione debba essere del tipo “tutto o niente”. Se, ad esempio il 10% del cespite trasferito in caso di ristrutturazioni transnazionali rappresenta il 90% del plusvalore latente trasferito, può essere interesse sia del contribuente che dell’amministrazione finanziaria limitare il differimento e ogni altro obbligo di registrazione contabile relativo allo specifico bene, ed optare per la tassazione immediata del 90% del cespite che rappresenta da solo il 10% del plusvalore latente. Questa soluzione sembrerebbe più proporzionata e pragmatica rispetto a quella di offrire al contribuente una scelta tra imposizione immediata o differimento dell’intero plusvalore latente. D’altra parte, un approccio di tipo “tutto o niente” ha il vantaggio della semplicità.
3.8. Tassazione immediata delle attività correnti
Poiché le attività correnti normalmente sono usate o vendute nell’arco di un periodo molto breve, sembra ragionevole – solo per ragioni pratiche – accettare, come regola generale, la tassazione immediata al momento del trasferimento per tali attività. In tali circostanze, tuttavia il contribuente dovrebbe avere la possibilità di dimostrare quali attività non sono state eliminate al giorno dell’annotazione contabile, e creare un accantonamento per le attività rimanenti.
3.9. Trattamento uguale delle plusvalenze e delle minusvalenze latenti
Se le attività e le passività trasferite includono plusvalenze latenti, ma anche minusvalenze latenti, al fine di garantire l’effetto neutrale sulle basi imponibili degli Stati Membri del metodo dell’accantonamento, sarebbe corretto e necessario trattare ai fini fi scali le minusvalenze e plusvalenze in maniera simmetrica. Non sarebbe corretto tassare le plusvalenze negli anni successivi al trasferimento in ragione della diminuzione del fondo, e al contempo trasferire le minusvalenze all’altro Stato senza alcun riconoscimento nello Stato di uscita. In pratica, le minusvalenze latenti possono rilevare solo in caso di accantonamenti pensionistici o altre ipotesi simili.
Le regole e le pratiche per il riconoscimento e la valutazione dei beni di impresa e delle passività ad essi connesse e, in particolare con riferimento allo stabilimento e alla valutazione dell’accantonamento, possono variare considerevolmente tra gli Stati Membri. Nel caso di trasferimento della sede legale di una Societas Europaea [11], di una Societas Cooperativa Europaea [12] o – nel futuro – di una Societas Privata Europaea [13] da uno Stato Membro che offra possibilità piuttosto restrittive per la determinazione dell’accantonamento in uno Stato Membro che riconosce maggior credito al principio prudenziale (e, conseguentemente, consente un riconoscimento più rapido e/o una maggiore valutazione di tali accantonamenti ai fini fiscali), può risultare difficile accordarsi sul valore per le previsioni di trasferimento. Dovrebbe essere possibile, tuttavia, mitigare questi differenti approcci attraverso la correzione dei valori assegnati correggendo l’avviamento trasferito (la differenza di valore dell’intera società meno il valore di mercato di tutti i beni riconosciuti e le passività).
3.10. Obblighi di registrazione per i contribuenti e ambito della cooperazione amministrativa tra Stati Membri
In principio, la stessa società deve registrare, in quanto parte dei suoi obblighi fiscali per la stabile organizzazione o comunque per l’autotassazione, la diminuzione del fondo nel tempo o, in caso di realizzo all’interno del periodo di rilascio, l’ammontare della plusvalenza da tassare immediatamente. L’assistenza amministrativa dovrebbe essere necessaria solo in quei casi in cui il contribuente non rispetti gli obblighi di registrazione (che potrebbero in via sanzionatoria portare all’azzeramento diretto e degli accantonamenti) o quando lo Stato di uscita nutre dubbi sull’accuratezza delle informazioni. Questo tipo di assistenza può in molti casi già essere prevista dagli accordi esistenti e, data la sua natura eccezionale, non dovrebbe creare un peso eccessivo per le amministrazioni finanziarie degli Stati Membri.
3.11. Differenze nelle valutazioni, definizione delle controversie e meccanismi di risoluzione delle controversie
Poiché il valore dei beni trasferiti dallo Stato di uscita al momento del trasferimento costituirà la base della futura tassazione del plusvalore latente, i diversi approcci degli Stati Membri alla valutazione dei beni potrebbero importare una doppia imposizione o una doppia non imposizione involontaria. Come suggerito nella Comunicazione [14] sulle exit taxes, un metodo per superare questo problema sarebbe quello di imporre allo Stato Membro in cui il bene è trasferito di accettare, come valore fiscale di partenza, il valore stabilito dallo Stato di uscita al momento del trasferimento. Tale approccio, che è basato sul mutuo riconoscimento, sarebbe semplice da gestire per le amministrazioni fiscali e per i contribuenti. Può tuttavia offrire spazio agli arbitraggi fiscali in quanto il contribuente può cercare di sfruttare le differenze nelle pratiche valutative tra Stati Membri al fine di massimizzare l’ammontare della plusvalenza tassata nello Stato Membro con l’aliquota fiscale minore.
4. Conclusioni
La tassazione all’uscita è un’area in cui gli Stati Membri potrebbero beneficiare del coordinamento al livello comunitario. Il successo di soluzioni coordinate in quest’area proverebbe che possono essere raggiunti progressi anche senza misure di armonizzazione o senza far ricorso a controversie giuridiche. Fornirebbe inoltre un ottimo riferimento per sforzi simili in altri settori dell’imposizione diretta. A prescindere dal metodo che gli Stati Membri sceglieranno per risolvere le asimmetrie tra i loro sistemi fiscali, è di significativa importanza che questi metodi siano tanto semplici ed efficaci quanto fruibili, in modo da consentire ai contribuenti di beneficiare pienamente dei vantaggi del Mercato Interno senza creare spazi per abusi. Il successo di questa iniziativa dipende dalla volontà degli Stati Membri di recepire nella legislazione interna e nella prassi amministrativa la politica adottata nella Risoluzione del Consiglio.
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- Commissario per la Fiscalità e l’unione doganale. Traduzione a cura di Giangiacomo D’Angelo, Dottore di Ricerca in Diritto Tributario Europeo presso l’Università di Bologna.↵
- Comunicazione della Commissione al Consiglio, al Parlamento Europeo e al Comitato Economico e Sociale Europeo, “Tassazione in uscita e necessità di coordinamento delle politiche fiscali degli Stati Membri“, 19 dicembre 2006, COM (2006) 825 definitivo.↵
- Comunicazione della Commissione al Consiglio, al Parlamento Europeo e al Comitato Economico e Sociale Europeo, “Tassazione in uscita e necessità di coordinamento delle politiche fiscali degli Stati Membri“, 19 dicembre 2006, COM (2006) 825 definitivo.↵
- Risoluzione del Consiglio del 2 dicembre 2008 sul coordinamento in materia di tassazione in uscita ( 2008/C 323/01).↵
- Ciò perché in tali situazioni le convenzioni contro la doppia imposizione concluse tra Stati Membri generalmente non attribuiscono la potestà impositiva sulle alienazioni future dei beni trasferiti allo Stato di uscita.↵
- Corte di giustizia C-9/02 dell’11 marzo 2004 Hughes de Lasteyrie du Saillant.↵
- Corte di giustizia C-470/04 N. v. Inspecteur van de Belastingdienst Oost del 7.09.2006↵
- Può essere notato che la Corte di giustizia stessa cita il caso De Lasteyrie nella sentenza C-411/03 Sevic Systems AG relativa alla fusione di società stabilite in differenti Stati Membri.↵
- Comunicazione della Commissione al Consiglio, al Parlamento Europeo e al Comitato economico e sociale Europeo – Tassazi one in uscita e necessità di coordinamento delle politiche fiscali degli Stati membri, 19 dicembre 2006, COM/2006/825 definitivo.↵
- Direttiva del Consiglio 2005/19/CE del 17 Febbraio 2005 che modifica la Direttiva 90/434/EEC del 23 Luglio 1990 sul sistema di tassazione uniforme applicabile a fusioni, divisioni, trasferimento di beni e scambio di partecipazioni relative a società di differenti Stati Membri; Gazz. Uff . 04.03.2005, L 58/19.↵
- Societas Europea (SE); Regolamento del Consiglio N° 2157/2001 dell’8.10.2001.↵
- Societas Cooperativa Europea (SCE); Regolamento del Consiglio N° 1435/2003 del 22.07.2003.↵
- Societas Privata Europea (SPE). I servizi della Commissione stanno attualmente lavorando ad una proposta per lo Statuto di una Società Privata Europea (SPE), che tra l’altro dovrebbe consentire il trasferimento della sede legale di una SPE da uno Stato Membro ad un altro senza liquidazione. La relazione di verifica sulle differenti opzioni per una futura SPE è stata presentata al Impact Assessment Quality Board in primavera. Per ulteriori informazioni: http://ec.europa.eu/internal_market/company/epc/index_en.htm.↵
- Comunicazione della Commissione al Consiglio, al Parlamento Europeo e al Comitato economico e sociale Europeo – Tassazione in uscita e necessità di coordinamento delle politiche fiscali degli Stati membri, 19 dicembre 2006, COM/2006/825 definitivo .↵