Studi Tributari Europei. Vol.14 (2024), III.33 – III.39
ISSN 2036-3583

Note introduttive allo studio monografico di Luca Costanzo “Interessi finanziari e potestà impositiva nell’Unione europea. Profili ricostruttivi e dinamiche evolutive”

Luca CostanzoPresidenza Consiglio dei Ministri (Italia)

Pubblicato: 2025-04-10

Introductory Notes to the Monographic Study by Luca Costanzo “Interessi finanziari e potestà impositiva nell’Unione europea. Profili ricostruttivi e dinamiche evolutive”

Keywords: Unione Europea; Interesse finanziario; Potestà impositiva; Armonizzazione positiva; Dinamiche evolutive.

1 Premesse metodologiche e finalità dello studio.

Nel presentare la monografia “Interessi finanziari e potestà impositiva nell’Unione europea. Profili ricostruttivi e dinamiche evolutive”, ci si soffermerà in particolare sulla struttura espositiva dello studio e sui risultati della ricerca.

1.1. Il volume, edito nel 2024 dalla casa editrice Cedam – Wolters Kluwer Italia per la collana “Il diritto tributario d’Europa”, s’interroga principalmente sulla possibile instaurazione di un’autonoma potestà impositiva dell’Unione europea, sia pur condizionatamente a una modifica dei Trattati istitutivi dell’Ue, come momento culminante del processo, per molti aspetti già in atto, di realizzazione di un sistema finanziario e fiscale comune agli Stati membri.

In tal senso, infatti, l’analisi di istituti e problematiche inerenti all’armonizzazione fiscale e finanziaria europea ha preliminarmente consentito la messa a fuoco di una dinamica dell’ordinamento sovranazionale complessivamente coerente.

La definizione di un’identità fiscale europea si profila, peraltro, come un percorso multiforme, in cui diverse componenti partecipano a conferirvi forma e avanzamento comune.

Il processo di configurazione di una fiscalità unionale risulta, d’altro canto, collegato alle più generali dinamiche evolutive che interessano l’ordinamento europeo, tra cui rilevano qui la trasformazione dell’Unione da soggetto regolatore del mercato ad attore propulsivo delle politiche pubbliche (un esempio ne è il programma di rilancio dell’economia europea NextgenerationEu) e l’armonizzazione del patrimonio costituzionale afferente alle garanzie tributarie degli Stati membri; nonché, sullo sfondo, il conseguimento di una fisionomia politica federale.

1.2. In chiave diacronica e prospettica, lo studio dell’evoluzione dell’assetto finanziario e tributario dell’Ue si salda con l’analisi delle vicende trasformative che concernono il rapporto tra la riserva e l’esercizio di spazi di sovranità tributaria degli Stati e le prerogative fiscali rivendicate (o rivendicabili) da parte di un’entità giuridica sovranazionale in costante mutamento, assistita dai caratteri di primazia e, in alcuni casi, di diretta efficacia del diritto da essa promanante.

È in questo panorama che si innesta uno dei leit motiv che attraversano il lavoro monografico, ovverosia l’osservazione del tentativo di emersione di un interesse finanziario unionale come elemento propulsivo del recente sviluppo di istituti giuridici eurotributari ed europenali.

Un interesse finanziario sovranazionale che, a sua volta, non è mai dato come acquisito definitivamente, dovendosi costantemente confrontare con gli onnipresenti interessi fiscali degli Stati membri e l’aspirazione espansiva dei principi economicistici del mercato unico.

A tale quadro si accompagna l’affermazione in ambito sovra- e inter- nazionale di uno standard minimo di tutela dei diritti del contribuente, che trova voce nel dialogo tra le Corti e le interpretazioni dalle stesse apportate alle Carte fondamentali dell’ordinamento multilivello.

L’analisi intende quindi soffermarsi sul complesso sommovimento giurisprudenziale e normativo che è sotteso alle dinamiche accennate, per ricondurlo a sistema, intravedendo, nel suo svolgersi, una coerenza complessiva, idonea a comporre un sostrato valoriale e giuridico euritmico alla prospettiva teorica della devoluzione alle istituzioni unionali di una potestà impositiva originaria, e non meramente armonizzatrice delle prerogative tributarie nazionali.

Su queste premesse, lo studio si articola in quattro capitoli principali, perimetrati dai paragrafi dedicati all’introduzione e alle riflessioni conclusive della ricerca e di cui si propone ora un excursus per cenni essenziali.

2 Emersione e forme di tutela dell’interesse finanziario unionale.

Nel primo capitolo si intende dare conto del percorso che ha condotto all’enucleazione di un primo nucleo di risorse finanziarie, non risolvibili nei contributi apportati dai singoli Stati membri, in capo all’Ue, corrispondentemente all’emersione di un interesse finanziario sovranazionale.

Tale evoluzione, progressivamente arricchitasi di istituti di tutela dello stesso interesse finanziario unionale, viene quindi esaminata anche alla luce delle frizioni, non solo potenziali, che essa ha determinato rispetto alle prerogative degli Stati nazionali, in particolare con riguardo alla gestione e protezione delle finanze pubbliche e all’individuazione di un punto di bilanciamento con la tutela dei diritti fondamentali dei contribuenti.

Vengono, in sintesi, analizzati gli sviluppi del “potere di entrata” dell’Ue, che, sia pure senza acquisire una natura univocamente tributaria, ha nel tempo indotto alla configurazione di una più compiuta disciplina del bilancio unionale, oggi articolata negli atti deliberativi del bilancio annuale e del Quadro pluriennale, funzionali a rendere possibile il finanziamento e la realizzazione delle politiche europee.

Si osserva quindi come l’implicazione reciproca delle nozioni di bilancio, interesse finanziario e politiche dell’Unione europea sembri trovare conforto anche negli sviluppi normativi più recenti, che hanno dato conto di un ampliamento delle risorse proprie unionali e dell’apprestamento, sul piano giuridico e istituzionale, di una serie di istituti e organi a garanzia delle risorse finanziarie (da ultimo la Procura europea).

Ciò che ha ingenerato, in qualche frangente, delle tensioni con il patrimonio giuridico degli Stati membri, particolarmente sotto il profilo del rispetto delle tutele dell’individuo sottoposto all’esercizio del potere fiscale: in quest’ottica viene proposta una disamina anche del c.d. caso Taricco, che ha, come noto, interessato il rapporto tra i principi inviolabili del nostro ordinamento e le esuberanze regolative del diritto unionale.

3 “Integrazione negativa” tributaria ed evoluzione finanziaria dell’Unione europea.

Con il secondo capitolo si propone un tentativo di “scomposizione concettuale” dell’interesse finanziario dell’Ue, sulla base degli istituti che ne delimitano la fisionomia, rinvenibili in seno ai trattati e avuto riguardo alle rispettive modulazioni intervenute ad opera della giurisprudenza della Corte di giustizia.

3.1. Uno dei nuclei centrali della trattazione concerne la c.d. “integrazione fiscale negativa”, ossia le vicende giurisprudenziali attraverso le quali le normative impositive nazionali vengono, in sostanza, vagliate alla luce delle libertà fondamentali del mercato unico e, da ultimo, anche per assicurare il rispetto dei diritti del contribuente, quale soggetto salvaguardato dai principi generali dell’Unione, confluiti tra l’altro nella Carta di Nizza, nell’ottica più generale di attuare il meta-principio complessivo dell’“imposizione giusta”.

La definizione di un interesse finanziario dell’Ue risente così della dinamica interazione tra libertà del mercato europeo e potestà fiscale degli Stati membri, che si presenta, a sua volta, conformata dagli sviluppi attinti dal sistema giuridico unionale nell’ambito della tutela multilivello dei diritti fondamentali.

In altri termini, la “dialettica giurisprudenziale” fiscale tra Corte di giustizia e giurisdizioni nazionali, che informa la fisionomia dell’interesse finanziario sovranazionale, risulta essere composta non soltanto dalle tradizionali libertà mercatistiche, ma sempre più anche dai diritti del contribuente, rinvenuti ora nella Carta dei diritti fondamentali dell’Ue, ora nelle tradizioni costituzionali comuni agli Stati membri, ora nella parallela giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo. Tale rilievo si salda con la disamina delle stesse tecniche decisorie adottate dal giudice di Lussemburgo, le quali appaiono avvicinarsi, quasi mutuandoli, agli iter argomentativi delle Corti costituzionali, conferendo alla Corte di giustizia sempre più le fattezze di un giudice dei diritti delle legislazioni tributarie.

3.2. Sulla base di queste prime conclusioni, si rileva l’opportunità, se non necessità, che il processo di sviluppo di un interesse finanziario sovranazionale si coniughi con un parallelo sviluppo dei diritti fondamentali, tanto a livello di singola giurisdizione statale, quanto nel più ampio panorama giuridico dell’Unione.

L’idea è infatti che l’integrazione fiscale, protesa a rendere possibile l’integrazione europea, risponda a canoni di coerenza complessiva che tengano insieme, armoniosamente, le sfere giuridico-concettuali della tutela delle risorse, dell’espansione delle politiche pubbliche e della protezione delle garanzie del cittadino dell’Unione europea.

Si tratta, peraltro, di prime conclusioni, proposte tenendo problematicamente conto dell’insufficienza della matrice pretoria dell’“integrazione negativa”, per la compiuta definizione dei caratteri di un interesse finanziario e fiscale unionale. D’altro canto, il prosieguo dell’analisi rileva come la direttrice giurisprudenziale risulti difettare dei requisiti tradizionali di legittimazione democratica delle politiche fiscali, oltre a scontare la circostanza di essere fattore derivativo di un’attività di natura reattiva e limitatamente creativa delle Corti.

Di qui la constatazione che la completa esplicazione di tutte le potenzialità di un clima giuridico fiscale e finanziario comune agli Stati membri deve essere rinvenuta altrove, e particolarmente nelle innovazioni normative direttamente promananti dagli stessi Stati, per il tramite delle istituzioni unionali.

4 Profili di sintesi sul processo di “armonizzazione positiva” tributaria.

È nei predetti termini che si articola il terzo capitolo della ricerca, in cui vengono esaminate le forme di integrazione fiscale c.d. “positiva”, caratterizzata dalla genesi per accordi intergovernativi e per il fatto di atteggiarsi secondo le linee procedurali indicate agli artt. 113 e 115 del Tfue; ed in grado di investire tutte le opzioni impositive degli Stati membri, rivolgendosi sia ai tributi diretti sia a quelli indiretti, alla sola condizione che l’intervento proposto esprima un effetto sinergico al buon funzionamento del mercato unico.

4.1. La trattazione si sofferma, innanzitutto, sulla rimodulazione da parte dell’Unione, dell’uso, per così dire, “improprio” di istituti fiscali nazionali, contrastando, dal punto di vista del principio di equa concorrenza tributaria, le distorsioni nel mercato unico, che sarebbero rintracciabili in alcune prassi amministrative degli Stati membri.

Ci si riferisce, nello specifico, ai c.d. ruling fiscali adottati a favore di imprese multinazionali, spesso appartenenti all’economia digitale, da parte dei Paesi europei già peraltro caratterizzati da imposizioni tributarie lievi. Con il conseguente configurarsi di meccanismi di alleggerimento del peso della contribuzione tributaria guardati con sospetto e sovente contestati dalla Commissione europea, attraverso la lotta agli aiuti di Stato, da sempre connaturata agli obiettivi di concorrenza del mercato unico.

Anche siffatta tecnica, i cui esiti si sono atteggiati in maniera ambivalente, risulta pertanto compartecipare dell’insieme di procedure e azioni attuate dalle istituzioni europee, al fine di conferire omogeneità al panorama fiscale dell’Unione europea.

4.2. Tuttavia, anche di una simile condotta tesa all’armonizzazione fiscale positiva, si rileva, nel prosieguo, l’insufficienza, di per sé sola, a garantire il raggiungimento dell’obiettivo della definizione di un sistema tributario comune in ambito unionale, tale da costituire il terreno per lo sviluppo di una potestà impositiva originaria dell’Ue che consolidi e vivifichi il processo di emersione dell’interesse finanziario sovranazionale.

Per un verso, infatti, i limiti intrinseci al metodo intergovernativo di cui agli artt. 113 e 115 Tfue, che devolvono il buon esito di ogni procedura al raggiungimento dell’unanimità tra gli Stati membri, unitamente alla necessità di un ancoraggio giustificativo degli interventi alla finalità repressiva degli ostacoli alla realizzazione del mercato europeo, rischiano infatti di rendere eccessivamente ristretti gli spazi operativi dell’armonizzazione positiva.

Lo stesso contrasto agli aiuti di Stato ha, d’altro canto, mostrato una particolare cedevolezza al momento del vaglio giurisprudenziale da parte della Corte di giustizia, probabilmente dovuta al fatto di costituire una modalità contestativa di carattere esogeno rispetto al panorama fiscale e, forse per questo, scarsamente persuasiva del carattere improprio, molto spesso asseritamente selettivo, della misura tributaria statale contestata.

Al fine di individuare un modello normativo per la configurazione di una potestà impositiva europea, è parso allora più proficuo muoversi lungo il versante delle risorse proprie di natura tributaria, affiancando ad esso la ricerca dei progetti di armonizzazione più avanzati e recenti dell’Ue; ovverosia, agendo su forme di intervento eurotributario più originali o direttamente connesse con il reperimento di risorse pecuniarie per il sostegno, anche attraverso la configurazione di garanzie rispetto all’emissioni di titoli finanziari, allo sviluppo di politiche pubbliche europee.

5 Nuove prospettive della fiscalità europea.

Il quarto capitolo è quindi dedicato all’esame dei profili di legislazione fiscale che, anche de iure condendo, sono parsi più prossimi alla realizzazione di una reale potestà impositiva unionale, per trarre, in ultimo, da tali elementi conferme e nuovi approdi dell’analisi in tema di prospettive e limiti dello sviluppo di uno spazio giuridico tributario europeo.

5.1. La trattazione si rivolge dapprima all’area delle risorse proprie a carattere tributario, e particolarmente al settore dell’imposta sul valore aggiunto, che sembra identificare il settore, anche in chiave storica, di maggiore avanzamento dell’azione armonizzatrice fiscale europea, ovvero il complesso di istituti in cui la legislazione unionale si è più sospinta verso una forma di prelievo a stampo europeo.

L’esame dell’Iva, tuttavia, intende evidenziare anche le criticità attuali del mancato raggiungimento di una effettiva uniformazione di tutti gli aspetti, soprattutto esecutivo-attuativi, della predetta imposta nell’Unione europea, con la conseguente necessità di approntare meccanismi di coordinamento tra gli Stati membri (ad esempio, il sistema MOSS o la tecnica del reverse charge), nei cui interstizi possono insinuarsi rischi per l’interesse finanziario tanto dell’Ue quanto delle singole giurisdizioni fiscali nazionali (lo si è visto in precedenza, nel capitolo I, con il caso Taricco). Al contempo, anche la stessa concezione di imposta eurotributaria dell’Iva viene sottoposta ad analisi seguendo la trama dell’articolata giurisprudenza della Corte di giustizia.

Sotto altro profilo, il percorso di ricerca perviene ad evidenziare le proposte di riforma dell’imposta sul valore aggiunto in procinto di essere attuate, o comunque già prospettate, dall’Unione, al fine di conseguire la realizzazione di una forma di prelievo più funzionale alla trasformazione della giurisdizione europea da istituzione a carattere regolatorio, orientata alla definizione di un mercato unico e integrato, ad entità ultra-statuale, centro di imputazione di politiche pubbliche a raggio sovranazionale.

5.2. Segue la disamina di un istituto che, fino a tempi recenti, sembrava costituire l’avanguardia della disciplina fiscale europea e internazionale, non senza riflessi anche negli ordinamenti interni statali. Ci si riferisce all’imposizione nel mercato dei dati, il quale, talvolta in maniera del tutto tacita, si instaura tra utenti e fornitori di servizi digitali, con connessa configurazione di specifiche e inedite forme di ricchezza, e dunque di capacità contributiva, in capo a questi ultimi.

Detto ambito di ricerca, notoriamente inerente alle c.d. web o digital tax, ha attraversato più livelli di elaborazione a partire dai progetti di regolazione internazionale dell’Ocse, adottati e incoraggiati dai consessi G20 (progetto BEPS del 2013) che intendevano porre un argine allo sfruttamento della pianificazione fiscale aggressiva da parte delle entità imprenditoriali multinazionali, soprattutto a seguito delle crisi economiche dell’inizio del secolo XXI.

In seguito, detto ambito, traendo linfa da talune esperienze nazionali, tra cui quella italiana (l. di bilancio 2019, munita, peraltro della c.d. sunset clause), ha trovato il suo culmine nella proposta di digital tax europea, la quale, pur costituendo il modello di disciplina sul tema per gli Stati membri dell’Ue, a motivo dell’ambito ottimale di regolazione rappresentato dallo spazio giuridico unionale, non ha poi trovato definitiva attuazione, per il mutamento del contesto internazionale, che ha visto prevalere esigenze di armonizzazione fiscale di stampo diverso e non necessariamente improntate alla tassazione della patrimonializzazione dei dati degli utenti di servizi digitali.

È su queste premesse che la ricerca appronta un esame dei caratteri principali della proposta di web tax europea, mirando a inquadrarne la genesi e lo sviluppo nel contesto internazionale che ne ha segnato l’ascesa ed il suo, almeno momentaneo, accantonamento (in favore dell’ipotesi di convenzione multilaterale MLT), e comunque individuando in tale esperienza un avanzamento del percorso di definizione di un sistema fiscale unitario europeo, se non altro per la natura necessariamente sovranazionale di un disegno di imposizione di una capacità contributiva digitale, sia in quanto il “valore aggiunto” apportato dall’acquisizione di dati appare per sua natura inafferrabile dai tradizionali criteri che assistono il nexus impositivo, sia perché l’assenza di regolamentazione in tale settore è suscettibile di aggravare le prassi di dumping fiscale nel mercato unico.

5.3. Un altro versante dell’armonizzazione eurotributaria è costituito dalle proposte di un’imposta societaria di tenore europeo, rivolta, in prima battuta, alle imprese che si attestino su importanti soglie di fatturato, intervenute negli ultimi anni, ancorché non del tutto inedite in ambito unionale.

Il progetto di una regolazione omogenea delle basi imponibili dell’imposta sulle società, unitamente alla definizione di uno schema di rispettiva ripartizione tra gli Stati di residenza delle subsidiaries, risulta, peraltro, risalente già alla proposta di direttiva sulla Common Consolidated Corporate Tax Base (CCCTB) del 2011.

Quest’ultima, ai fini di agevolare il recepimento da parte degli Stati membri della riforma dell’imposizione societaria e con l’intento di adeguarne l’implementazione a un metodo progressivo, è stata poi aggiornata e, per così dire, “sdoppiata” nelle proposte del 2016 relative, per un verso, alla definizione di una legislazione comune sulle basi imponibili dei gruppi, oggetto del progetto di direttiva Common Corporate Tax Base (CCTB), e, per altro verso, alla precisazione normativa del metodo allocativo delle stesse nell’ambito delle società figlie, riguardata dalla proposta di direttiva Common Consolidated Corporate Tax Base (CCCTB).

Su questa linea, viene dato conto anche dei progetti modificativi della corporate tax europea, insiti, tra l’altro, nelle proposte emendative delle menzionate direttive e nella prossima rimodulazione del progetto di imposta societaria nell’ambito del “nuovo quadro della tassazione sul reddito dei gruppi di imprese” (Business in Europe: Framework for Income Taxation – BEFIT),1 al fine di amalgamarne gli effetti con la necessità di intercettare anche l’imposizione di variabili smaterializzate di ricchezza e conferire così a tale strumento una fisionomia moderna ed efficiente.

5.4. Lo studio perviene, quindi, a contemplare, tra le sopravvenienze normative, attuali o potenziali, dell’ordinamento fiscale unionale, anche le novità di derivazione internazionale da ultimo inscrittesi nel quadro eurounitario, particolarmente con l’introduzione della nuova imposta minima globale (Global Minimum Tax – GMT), la cui recente adozione da parte dell’Unione europea2 fa da contraltare al già accennato rallentamento del cammino ideativo di una imposizione specifica sui servizi digitali.

In effetti, come si puntualizza nella trattazione, l’afferenza sia della global minimum tax sia delle web tax al medesimo “pacchetto di riforme” elaborate in ambito Ocse nel settore della digitalizzazione dell’economia (Action One del progetto Beps) ha consentito, a livello internazionale, di trovare un accordo circa l’immediata implementazione della GMT da parte dei principali Stati e organizzazioni del G20, sottoponendo contestualmente le proposte in tema di tassazione del digitale a una radicale revisione, con conseguente rinvio della concretizzazione normativa di tale ultimo versante.

L’excursus in tema di global minimum tax intende dare conto del carattere sostanzialmente aderente della medesima al suo modello, concepito in seno al c.d. Pillar Two dell’Action One del Beps, e delle relative sinergie, o comunque interazioni, rispetto alla prefigurata corporate tax unionale e agli interventi riformatori nel campo della tassazione dei plusvalori digitali.

5.5. Si osserva, da ultimo, come le più recenti innovazioni nel settore dell’armonizzazione fiscale europea non sembrino agire semplicemente sul terreno dell’instaurazione di regole e strumenti efficaci di coordinamento tra Stati membri, ma appaiano anche consentanee all’obiettivo di rendere interconnesso l’esercizio della potestà impositiva di ciascuno Stato dell’UE; sino a delineare un livello di ravvicinamento normativo tra le giurisdizioni fiscali unionali contraddistinto da una “maggiore consapevolezza” della dimensione sovranazionale delle attività economiche, rispetto alla più tradizionale legislazione in tema di armonizzazione positiva; dando così conto della necessità di un’evoluzione fiscale che attenga a un livello normativo sovranazionale, in quanto sussidiariamente più adeguato a definire un quadro efficace di regolazione.

Tanto che dal combinato disposto costituito dall’imposta societaria e dall’imposizione minima europea sembra potersi individuare un nuovo e rilevante approdo nel cammino verso il conseguimento di una solida coesione fiscale unionale, nella prospettiva di traguardare la configurazione di una competenza impositiva devoluta direttamente dagli Stati membri alle istituzioni dell’Unione e tale da affrancare il sistema delle risorse proprie dalle contribuzioni dirette statali nel sostegno alla progressiva espansione dell’intervento pubblico europeo nell’economia.

6 Riflessioni conclusive sul percorso di ricerca.

Nelle riflessioni conclusive, il lavoro si sofferma sulla praticabilità, in prospettiva, di una potestà impositiva dell’Unione europea, capace di conferire nuove qualità e consistenza all’interesse finanziario unionale, e in grado di costituire, al contempo, un punto di convergenza di matrice sovranazionale degli interessi fiscali nazionali e delle garanzie del contribuente europeo.

Sul piano più specificamente riferito all’“armonizzazione positiva” fiscale europea, si è osservato come i risultati raggiunti negli ultimi anni abbiano senz’altro dato conto di un rinnovato sforzo dell’Ue nel contrasto alla pianificazione fiscale aggressiva e alle principali difformità giuridiche tra Stati membri che la consentono, soprattutto in tema di imposizione diretta: constatando, però, come non sia prossima la definizione di un reale potere tributario europeo, militandovi contro il principio di unanimità degli Stati e le ritrosie nazionali nel cedere potestà (e quindi sovranità) tributaria all’Unione.

Sia pure con queste premesse, lo studio ha tuttavia dato conto di come il sommovimento legislativo degli ultimi anni non abbia mancato di segnare, anche sull’onda delle riforme concordate a livello internazionale, nuove frontiere nel ravvicinamento tra gli ordinamenti tributari europei, fino a definire forme impositive, per così dire, “coordinate” all’interno dello stesso spazio giuridico unionale.

Un quadro, pertanto, in cui l’esercizio del potere impositivo se non è ancora attribuito al livello sovranazionale risulta comunque in tale ambito armonizzato e coordinato; e, in secondo luogo, venendo in rilievo nello studio delle vicende evolutive del diritto eurotributario, in maniera sempre più evidente, anche una trasformazione della stessa forma giuridico-teleologica dell’organizzazione unionale, che vede accrescere i propri spazi di autonomia dagli Stati membri, sia sul piano della programmazione economica, sia sul versante dell’intervento finanziario, sia nella dimensione della politica del diritto.

Si assiste così al delinearsi di un complesso, ma sostanzialmente coerente, processo di avanzamento della fiscalità europea, corrispondentemente allo sviluppo consapevole di una dimensione finanziaria unionale; il cui consolidamento, per evitare eccessive “fughe in avanti” nel campo delle risorse proprie o il ricorso a strumenti giuridici impropri, che si rivelerebbero in definitiva inefficaci, richiede di non prescindere dalle persistenti prerogative e dal consenso degli ordinamenti tributari nazionali; potendo invece trovare compiuta giustificazione e ultimo compimento nell’adesione corale di tutte le giurisdizioni fiscali interessate alla devoluzione di un’autonoma potestà impositiva all’Unione europea, suggellata dall’ineludibile rimodulazione, in senso tributario-costitutivo, dei Trattati istitutivi europei.


  1. La cui predisposizione è stata annunciata dalla Comunicazione della Commissione europea Business Taxation for the 21st Century del 18 maggio 2021.↩︎

  2. Con la direttiva 2022/2523/UE, pubblicata nella Gazzetta ufficiale dell’Unione europea il 22 dicembre 2022, che ha previsto il recepimento da parte degli Stati membri entro il 31 dicembre 2023. Il recepimento dell’Italia è intervenuto con il d.lgs. 27 dicembre 2023, n. 209.↩︎