1 L’esigenza di certezza fiscale nei rapporti economici transnazionali tra i criteri internazionali e una futura fonte europea.
Ai fini fiscali, l’esigenza di certezza riscatta i prezzi di trasferimento dall’irrisolta combinazione di pratiche commerciali. Là, dove la soluzione è affidata all’applicazione, più che all’interpretazione, dei regimi fiscali nazionali. Infatti, per i prezzi di trasferimento, l’efficacia solitaria delle norme interne assicura la certezza relativa solo all’ordinamento tributario di appartenenza di una delle due società. Non garantisce, invece, una certezza fiscale più efficace, come esito di una valutazione univoca del prezzo di scambio tra soggetti societari di gruppi transnazionali. Quelli regolati da distinti ordinamenti giuridici in relazione alla relativa residenza delle società partecipanti.
All’aspirazione di certezza contribuiscono apporti internazionali e, in futuro, ci sarebbero stati anche quelli europei. Il loro sarebbe stato un contributo naturalmente differenziato, considerata la diversa efficacia attribuita da un lato alle linee guida e ai modelli di convenzione dell’OCSE e, dall’altro, all’originale proposta di Direttiva sulla quale il Parlamento europeo aveva formulato una serie di osservazioni.
Le linee guida dell’OCSE non possono essere considerate fonti nel tradizionale senso nazionale, cioè, come origine e fondamento di diritti. La loro efficacia si fonda, infatti, sulla loro autorevolezza. Quella attribuita all’organismo internazionale che le ha elaborate, senza offrire, però, un effetto normativo diretto sui contribuenti nazionali.1
Solo in un futuro prossimo, la disciplina dei prezzi di trasferimento avrebbe dovuto diventare di efficacia europea, una volta che fosse stata approvata la proposta Direttiva del 2023/529, sulla quale il Parlamento europeo aveva formulato numerosi rilievi nel parere di competenza.
Invece, nonostante il coinvolgimento delle Istituzioni europee, la Direttiva sui prezzi di trasferimento è stata abbandonata. Lo ha confermato l’Ecofin nella relazione semestrale al Consiglio europeo sulle questioni fiscali, approvata nella riunione del 10 dicembre 2024. In quell’occasione la maggior parte dei Paesi dell’UE non ha ritenuto possibile un’ulteriore progressione della proposta di Direttiva in tema di prezzi di trasferimento, presentata dalla Commissione europea nel settembre 2023. Dopo questo rifiuto degli Stati membri, nonostante la Direttiva offrisse un ampio margine di scelta, rimarrebbe, il condizionale è d’obbligo, un’opzione alternativa: quella di istituire una nuova piattaforma UE sui prezzi di trasferimento, al di fuori del quadro di una Direttiva del Consiglio. Il relativo obiettivo sarebbe pur sempre quello di ridurre la complessità, i costi e gli oneri amministrativi per contribuenti e per autorità fiscali. Un esito programmato certo meno ambizioso degli obiettivi della Direttiva programmata. Quelli che avrebbero voluto cambiare rapporti accertativi, livelli di decisione normativa nazionale ed effetti transnazionali. Allora, la fonte europea avrebbe saputo affermare il proprio primato sugli ordinamenti nazionali. Questi, a loro volta, avrebbero mantenuto la tradizionale responsabilità di attuazione delle fonti europee, sempre nel rispetto degli spazi di autonomia normativa che la Direttiva loro avrebbe consentito. Come tali sarebbero stati impegni normativi diversi che avrebbero riguardato la qualificazione e la quantificazione dei prezzi negli scambi transazionali. Soluzioni europee che sarebbero state accomunate dalla comune aspirazione alla certezza dei rapporti transnazionali negli ordinamenti nazionali, con un’efficacia sia per le regole transnazionali e sia per i principi europei. Tali, appunto, la condivisa qualificazione dei soggetti cui si sarebbe applicato il regime fiscale coordinato; i criteri fiscali di relativa territorialità; quelli di partecipazione e quelli di valutazione della congruità dei prezzi negli scambi nell’ambito di gruppi societari transnazionali. Sulla quantificazione dei prezzi significativi dello scambio intersocietario internazionale si sarebbero concentrati sia la tradizionale attenzione delle Amministrazioni finanziarie e sia l’interesse dei soggetti entificati che operassero in un gruppo societario, a sua volta definito sulla base di un controllo reciproco di diritto ma anche di fatto.
2 Rimane quindi l’autorevolezza dell’OCSE ad offrire la certezza condivisa dei prezzi di trasferimento.
Una soluzione internazionale, e quindi anche europea, continuerà ad essere alimentata dalle linee guida dell’OCSE. Infatti, il tempo, l’integrazione economica internazionale, la creazione del mercato europeo hanno contribuito a far riconoscere, progressivamente, una sempre maggiore importanza, negli ordinamenti tributari nazionali, di tali linee guida. Con queste, l’organismo internazionale ha voluto offrire criteri autorevoli che potessero essere sempre più condivisi nei rapporti tributari internazionali intersocietari. A tale impegno dell’OCSE continuerà a corrispondere, poi, un riconoscimento da parte degli Stati nazionali della crescente efficacia delle linee guida nei propri ordinamenti tributari. Infatti, pur senza il formale riconoscimento di fonti del diritto, tali linee guida hanno contribuito non solo ad aumentare la certezza nell’applicazione nazionale dei regimi dei prezzi di trasferimento, ma anche ad assicurare una corrispondenza dei risultati interpretativi dei rapporti fiscali in gruppi societari transnazionali. Un esito utile ad evitare che gli scambi transnazionali potessero essere considerati, sempre, occasioni di perniciosa elusione, grazie all’utilizzazione dei differenziali dei prezzi di trasferimento. Una certezza necessaria per far guadagnare credibilità fiscale alla variabile economicità degli scambi di beni o servizi a mano o a mano che l’integrazione economica transnazionale dei gruppi di società diventava la naturale dimensione della nuova economia. Ciò, in particolare, in quell’ambito europeo dove la creazione di un mercato unico ha posto le migliori condizioni di uno sviluppo libero dei gruppi economici transnazionali.
3 La certezza sarebbe stata affidata ad un prioritario impegno europeo per i prezzi di trasferimento.
3.1 La certezza come corollario dell’efficacia giuridica direttamente europea dei prezzi di trasferimento.
Il 2023 aveva affermato un impegno fiscale europeo dei prezzi di trasferimento del tutto nuovo ed originale. Una volta approvata la nuova Direttiva, sarebbe terminato il monopolio di autorità applicativa, anche se non normativa, dell’OCSE. Con gli effetti vincolanti per gli ordinamenti europei, la Direttiva avrebbe affermata una scelta giuridicamente efficace anche nell’ordinamento tributario nazionale, ben oltre la semplice, anche se autorevole, rilevanza di politica fiscale che le linee guida dell’OCSE hanno nel tempo acquisito. Una scelta che sarebbe stata, anche politicamente, responsabile, per riuscire a meritare il consenso del Consiglio europeo, chiamato a deliberare all’unanimità, come richiesto per le Direttive di carattere fiscale. Una scelta, invece, che si è presentata come politicamente coinvolgente, se si considerano i rilievi effettuati dal Parlamento europeo in occasione della necessaria consultazione sulla proposta di Direttiva. Rilievi così critici da arrivare a mettere in discussione lo stesso principio di libera concorrenza che ispira la futura Direttiva2 e, di conseguenza, giustificare il definitivo abbandono del vincolo europeo.
3.2 La certezza per i prezzi di trasferimento sarebbe stata affidata alla condivisa applicazione della libera concorrenza.
La Direttiva, così, sarebbe stata destinata ad arricchire, per la prima volta, il quadro normativo europeo, introducendo criteri condivisi per alleviare il pericolo di una doppia imposizione per le entità multinazionali operanti nello scambio di beni o servizi. La nuova fonte europea avrebbe definito metodi e criteri destinati ad essere comuni tra gli Stati membri e tra loro vincolanti. Nella determinazione condivisa dei prezzi di trasferimento si sarebbe garantito, prima di tutto, il principio europeo di libera concorrenza. Quello secondo il quale le transazioni tra entità correlate di un gruppo multinazionale devono essere fissate in base al prezzo stabilito sulla stessa base delle transazioni tra terzi in circostanze comparabili.3 Una garanzia applicativa, questa, che, in nome della certezza, sarebbe stata condivisa dagli Stati membri con fonti e soluzioni normative nazionali, ma pur sempre con il limite che non contrastassero con i principi di quella che appariva come una futura fonte europea. Un risultato, questo, che sarebbe stato ottenuto grazie sia all’efficacia dell’interpretazione della Direttiva, garantita dalla Corte di Giustizia e sia alla verifica delle scelte di attuazione della fonte europea negli ordinamenti nazionali, sempre nel rispetto dei criteri adottati per assicurare la comparabilità dei prezzi di trasferimento.
4 Con l’abbandono della Direttiva, l’Unione europea ha rinunciato anche ai suoi molteplici effetti: migliorare la resilienza delle imprese nell’Unione, ridurre distorsioni e contribuire a garantire condizioni di parità nel mercato unico.
4.1 La Direttiva avrebbe dovuto apportare vantaggi alle imprese nel mercato interno.
L’inattuata Direttiva sarebbe stata destinata a riversare sugli ordinamenti tributari nazionali i significativi vantaggi ottenuti dalla varietà dei criteri scelti, in sede europea, per armonizzare i prezzi di trasferimento. Tale, quello di uno standard comune per gestire le transazioni infragruppo, l’altro di ridurre le situazioni in cui le peculiarità della legislazione degli Stati membri avrebbero potuto essere dannose per il funzionamento del mercato interno, portando anche a situazioni di doppia imposizione. Infine, l’ulteriore criterio di poter fornire certezza su alcune importanti fonti di disaccordo tra l’Unione europea e gli Stati membri.
4.2 L’intento semplificativo della Direttiva come garanzia della certezza.
Con il dichiarato intento di semplificazione delle norme fiscali in materia di prezzi di trasferimento, e delle loro applicazioni, la Direttiva avrebbe potuto ridurre il rischio di controversie e di doppia imposizione. Ne avrebbero beneficiato i costi di conformità delle imprese multinazionali, con relativo miglioramento delle loro competitività ed efficienza. Un esito, questo, che, in nome della certezza, avrebbe attribuito, poi, agli Stati la responsabilità di garantire l’applicazione del risultato semplificativo che la Direttiva intendeva perseguire. Infatti, questa non adottava modelli impositivi ma si riferiva a formule consapevolmente generali più che a categorie giuridiche specifiche, lasciando, così, agli ordinamenti tributari nazionali una più ampia libertà di attuazione normativa.
Un intento ambizioso, quello dell’abbandonata Direttiva, nel conciliare il rispetto di un obiettivo europeo con scelte nazionali di attuazione che potevano essere normativamente diverse anche se, pur sempre, funzionali all’obiettivo sopranazionale. Comprensibile, così, che l’attuazione del vincolo normativo europeo avrebbe dovuto trovare un equilibrio tra l’obiettivo dei vincoli armonizzatori e l’esigenza nazionale a supporto delle singole situazioni che coinvolgono le Amministrazioni fiscali europee. Solo con tale equilibrio, si sarebbe potuta assicurare certezza nei rapporti che, pur transnazionali, coinvolgono, poi, gli effetti finanziari pubblici dei singoli Stati nei quali operano le imprese multinazionali.
5 L’originale novità della certezza europea. Caratteri ed efficacia potenziali della Direttiva abbandonata.
5.1 La certezza sarebbe stata garantita dal grado d’integrazione societaria dei soggetti transnazionali.
Sarebbe stata significativa, per la certezza del regime fiscale da applicare ai prezzi di trasferimento, l’ampia scelta dei criteri di armonizzazione che la Direttiva proponeva. Lo dimostravano le sue specifiche articolazioni: un corollario della varietà dei rapporti societari che la pratica commerciale offre. Questa connota, infatti, l’esercizio di un’attività anche oltre la specifica identificazione dei soggetti fiscalmente coinvolti.
La definizione di controllo societario, prevista ai fini della determinazione condivisa dei prezzi di trasferimento, appariva più ampia rispetto a quella contenuta nell’art. 2359 del Codice civile italiano. Infatti, oltre alla maggioranza dei voti esercitabili in assemblea e all’influenza dominante, includeva, come criteri, anche quello della maggioranza della partecipazione nel capitale e nei diritti agli utili. Una definizione europea che sarebbe stata anche più ampia di quella prevista ai fini delle controlled foreign companies che, pur contemplando la maggioranza degli utili, non comprende anche il criterio della partecipazione nel capitale.
In funzione del ruolo di armonizzazione, la Direttiva avrebbe definito il proprio ambito di applicazione in maniera coerente. Avrebbe, però, mantenuto un’area di efficacia, che appariva notevolmente dilatata, per definire il vincolo associativo delle società appartenenti allo stesso gruppo. Così, la Direttiva avrebbe finito per assicurare la certezza di applicazione di criteri armonizzati ad un ampio novero di futuri destinatari delle norme nazionali di attuazione. La certezza applicativa sarebbe stata, sostanzialmente, affidata ad un collegamento tra società che, secondo la Direttiva, sarebbe stato tale da garantire un’influenza significativa. Un collegamento affidato ad una comune percentuale, quella del 25 %, che veniva, poi, variamente ed ampiamente collegata per giustificare il controllo societario. Un intento comune, assicurato con tutti parametri che la Direttiva riconosceva come utili per stabilire un’influenza dominante. Così, la certezza della partecipazione significativa per il controllo sarebbe stata affidata, dalla Direttiva, ad una visione o solo statica, commisurata ai diritti di voto, o al capitale di un’altra società, o anche dinamica, con riferimento agli utili.
5.2 La prevista equiparazione della stabile organizzazione.
La certezza applicativa sarebbe stata, poi, affidata, in una logica di parità di trattamento della varietà dei rapporti societari, alla scelta della Direttiva di estendere anche ad una stabile organizzazione lo stesso regime europeo per quantificare i prezzi di trasferimento. Un’esigenza che, secondo la Direttiva, avrebbe dovuto essere riaffermata in un ambito soggettivamente più ampio di quello che, tradizionalmente, investe soggetti societari. Una scelta che sarebbe stata giustificata, quindi, dall’attività in altro Paese di una struttura operativa, come la stabile organizzazione, anche senza la presenza di un’autonoma qualificazione giuridica come quella che individua, pur sempre, i soggetti societari. Era importante che si trattasse di una localizzazione transnazionale che, come tale, venisse, poi, definita come “fissa”, come “sede di attività”, sulla base dei rispettivi Trattati fiscali. Un utile supporto interpretativo, anche se la previsione della Direttiva proposta sarebbe apparsa più restrittiva rispetto alla definizione contenuta nella maggior parte dei Trattati contro le doppie imposizioni. Tali quelli che disciplinano anche, ad esempio, le stabili organizzazioni degli agenti indipendenti.
La Direttiva era destinata a confermare, così, un’ulteriore affermazione del rigore europeo delle relative previsioni. Ciò, sempre a garanzia della certezza del relativo ambito di applicazione, per poi assicurare una conforme attuazione normativa nazionale. Quella che, adottando, secondo la Direttiva, la stabile organizzazione come un referente originalmente soggettivo, le avrebbe attribuito la responsabilità della congruità delle operazioni effettuate.
In definitiva, anche i relativi scambi della stabile organizzazione con la società di riferimento sarebbero stati determinati secondo il principio di libera concorrenza.
6 La difficile garanzia della certezza: il futuro esame delle operazioni effettivamente svolte.
La certezza sarebbe stata, prima di tutto, debitrice del fatto. La precisa ed articolata presentazione dello scambio da giudicare in termini di prezzi di trasferimento sarebbe stata la prima responsabilità di Amministrazione finanziaria e contribuenti, entrambi chiamati a trovare l’equilibrio economico del rapporto transnazionale. Un impegno difficile per coniugare la relativa effettività con la varietà degli aspetti che la stessa Direttiva avrebbe richiesto ad Amministrazioni e contribuenti nazionali. Entrambi coinvolti nell’operazione compiuta e negli scambi dei gruppi transnazionali e poi, impegnati nella relativa ricostruzione. Tale quella, ai sensi dell’art.8 della Direttiva proposta, che intendeva definire le operazioni intrasocietarie, analizzandone le caratteristiche economicamente rilevanti. Quelle che si riflettessero non solo nei contratti tra le parti, ma anche nella relativa condotta e in qualsiasi altro fatto pertinente.
Sarebbero stati, infatti, i termini contrattuali ad essere considerati come punto di partenza dell’analisi necessaria per assicurare la certezza del regime fiscale applicabile. La condotta delle parti, poi, piuttosto che i termini del contratto scritto, non solo sarebbe stata la migliore prova della o delle operazioni effettivamente intraprese, ma anche avrebbe apportato un’efficace utilità se e, nella misura, in cui la condotta o altri fatti si fossero rivelati in contrasto con il contratto scritto
7 La difficile garanzia della certezza. La varietà dei criteri di controllo della libera concorrenza: prevista ma non attuata.
La necessaria condivisione del principio ispiratore del controllo della congruità dei prezzi di scambio di beni o servizi transfrontalieri si sarebbe offerta ad un destino, con la Direttiva, non facile da realizzare. Questo avrebbe richiesto, nelle attuazioni nazionali, un esito eterogeneo in termini di certezza. Quello che rappresenta, ora, oramai abbandonata la Direttiva, una prioritaria e solitaria affermazione dell’OCSE. Quella affidata a semplici linee guida che, però, hanno progressivamente acquisito una fiducia crescente negli ordinamenti tributari nazionali, tanto da diventarne parte integrante.
D’altra parte, l’intento ispiratore della Direttiva era, pur sempre, quello di limitare gli effetti dell’incertezza diffusa sulla varietà dei criteri identificativi dei prezzi di trasferimento.4 L’effetto, coerente con l’efficacia normativa sovranazionale, avrebbe contribuito ad armonizzare le soluzioni nazionali con i criteri e i modelli proposti dalla Direttiva. La relativa varietà, però, avrebbe offerto agli Stati un’ampia possibilità di attuazione, consentendo loro di adottarne uno o più, ciascuno con punti di forza e di debolezza.
Da parte sua, la Direttiva non voleva privilegiare nessuno dei metodi richiamati. Il relativo articolo 10 sanciva la “regola del metodo più appropriato”: quello che gli Stati membri avrebbero adottato affinché il prezzo di libera concorrenza fosse stabilito con il metodo più adeguato alla determinazione dei prezzi di trasferimento.
8 La certezza sarebbe stata relativa: sarebbe dipesa dalla varietà e dall’eterogeneità dei criteri offerti in maniera coerente con finalità ed interessi della Direttiva abbandonata.
8.1 Le differenze a seconda delle scelte di collegamento o di controllo per applicare il metodo ritenuto più appropriato.
In coerenza con le finalità della Direttiva, il processo di selezione normativa nazionale avrebbe dovuto corrispondere ad una responsabilità di scelta dei criteri di collegamento o di controllo tanto efficace quanto articolata. Infatti, avrebbe dovuto tenere conto: sia dei rispettivi punti di forza e di debolezza dei metodi di determinazione dei prezzi di trasferimento; sia dell’adeguatezza del metodo considerato, alla luce della natura dell’operazione controllata, determinata, in particolare, con un’analisi funzionale; sia della disponibilità di informazioni affidabili (in particolare su elementi comparabili non controllati) necessarie per applicare il metodo scelto e/o altri metodi; sia del grado di comparabilità tra operazioni controllate e non controllate. In questo ultimo caso, tenendo conto dell’affidabilità delle eventuali rettifiche di comparabilità che potevano essere necessarie per eliminare le differenze tra di loro.
8.2 La varietà e l’eterogeneità dei criteri riconosciuti dalla Direttiva abbandonata.
La varietà e l’eterogeneità erano i caratteri che contraddistinguevano i criteri offerti dalla Direttiva abbandonata agli Stati per adottare la soluzione normativa nazionale. Un’eterogeneità che avrebbe offerto loro una tale libertà di scelta che avrebbe finito con il limitare l’efficacia stessa di armonizzazione che avrebbe accompagnato la fonte europea. Era prevedibile, quindi, che le scelte nazionali di relativa attuazione sarebbero state fortemente differenziate, con un futuro effetto sull’ efficienza dell’Amministrazione finanziaria. Il rischio sarebbe stato quelle dell’indebolimento di quella comunanza di ispirazioni normative alle quali, per tradizione, l’ordinamento europeo affida il primato della Direttive sugli ordinamenti tributari nazionali.
Così, quello che la Direttiva definiva come metodo del prezzo non controllato comparabile, sarebbe stato appropriato per stabilire un prezzo di libera concorrenza per specifiche topologie di operazioni. Tali, le vendite di merci scambiate su un mercato, soggette a operazioni controllate e non, che si svolgono in circostanze comparabili, anche allo stesso livello della catena commerciale (ad es. vendita a un produttore secondario, a un distributore, a un dettagliante, ecc.). Inoltre, il metodo avrebbe potuto essere applicato anche ad alcune operazioni finanziarie comuni, come il prestito di denaro.
Comunque, l’efficacia sarebbe stata affidata a prezzi di mercato (come quelli delle materie prime o i tassi di interesse) che avrebbero potuto essere accessibili ai contribuenti coinvolti negli scambi transnazionali.5
D’altra parte, quello che la Direttiva indicava come metodo del prezzo di rivendita sarebbe stato più utile quando applicato a operazioni di vendita e di commercializzazione, come quelle normalmente svolte da un distributore. In alcune circostanze, il margine del prezzo del rivenditore nell’operazione controllata avrebbe potuto essere determinato con riferimento a quello che lo stesso ottiene su beni acquistati e venduti in operazioni non controllate comparabili (elemento comparabile interno). In altre circostanze, il margine del prezzo avrebbe potuto essere determinato con riferimento a quello di rivendita, ottenuto da imprese indipendenti in operazioni non controllate comparabili (elementi comparabili esterni).
A sua volta, il metodo del costo maggiorato sarebbe stato più utile per definire la congruità di prezzi di trasferimento in alcune specifiche operazioni. Tali quelle con le quali i beni fossero stati venduti da un produttore che non avesse apportato beni immateriali unici di valore o assunto rischi insoliti nell’operazione controllata, come nel caso di un contratto o di un accordo in conto lavorazione. Il metodo avrebbe potuto essere applicato anche quando l’operazione controllata fosse consistita nella prestazione di servizi per i quali il fornitore non avesse apportato alcun bene immateriale unico di valore o assunto rischi insoliti.6
Infine, il metodo del margine netto delle operazioni avrebbe operato in modo simile, rispettivamente, al metodo del costo maggiorato e a quello del prezzo di rivendita. Si caratterizzava, comunque, perché confrontava i margini di profitto netti e era utile quando non fossero pubblicamente disponibili, o fossero limitate, le informazioni affidabili sul margine lordo di terzi. Di conseguenza, tale metodo avrebbe svolto una funzione supplente, con un utilizzo giustificato dalla difficoltà di applicare i metodi tradizionali basati sulle operazioni.7
9 Efficacia differenziata degli indicatori e difficile ricerca della certezza europea con l’applicazione della Direttiva abbandonata.
Così, la varietà e l’eterogeneità degli indicatori previsti nella Direttiva avrebbero potuto offrire agli Stati membri un’ampia possibilità di scelta normativa. Il tutto, in coerenza con la varietà delle esigenze che i criteri per razionalizzare i prezzi di trasferimento sarebbero stati destinati a soddisfare. Proprio questa eterogeneità sarebbe stata la garanzia della più ampia efficacia del precetto europeo, con la relativa definizione dei limiti, se pur ampi, delle scelte nazionali ammissibili in conformità alla Direttiva, poi abbandonata. Una tale eterogeneità sarebbe valsa anche come piena affermazione della debolezza dell’effetto armonizzatore, che pur avrebbe dovuto costituire una delle caratteristiche originali della fonte europea.
La stessa certezza, come garanzia della piena efficacia dell’applicazione nazionale della Direttiva, sarebbe stata destinata a dibattersi tra la specifica applicazione nazionale di uno o più dei quattro criteri adottati dalla Direttiva e la difformità attuativa che questo avrebbe comportato negli ordinamenti tributari nazionali. Il rischio, in questi casi, non avrebbe riguardato tanto l’attuazione differenziata della Direttiva, che la stessa avrebbe ammesso, quanto, invece, la sua diversa efficacia. In questo caso, con riferimento a società o a stabili organizzazioni stabilitesi, nell’ambito dello stesso gruppo europeo, in Paesi che avessero adottato criteri dissimili, pur sempre rientranti nell’ampia previsione della Direttiva. Da tale evidente, e sempre ammissibile, eterogeneità avrebbe potuto, così, derivare una non coerente applicazione della Direttiva. Quella che avrebbe potuto mettere in discussione quella stessa certezza che pur appariva un sicuro obiettivo dell’intento di armonizzazione europea.
Al tempo stesso, la pluralità dei criteri ammissibili dalla Direttiva sarebbe stata destinata anche a porre un limite alla significatività nazionale degli obiettivi di conformità europea delle scelte d’imposizione transnazionale. Così, gl’ indicatori del margine di profitto netto, basati sui costi, avrebbero potuto essere utilizzati per le attività manifatturiere e di servizi; invece, quelli sulle vendite sarebbero stati destinati alle relative scelte di cessione. Infine, quelli fondati sulle risorse avrebbero potuto essere utili per le attività ad alta intensità di risorse economiche.
In ogni caso, sarebbe stato importante che l’indicatore finanziario selezionato potesse riflettere il valore delle funzioni svolte dalla parte sottoposta a test (ossia la parte dell’operazione controllata per la quale è testato un indicatore finanziario), tenendo conto delle sue attività e dei suoi rischi. Per questo sarebbe stato, ragionevolmente, indipendente dalla formulazione del prezzo di trasferimento. Più specificatamente, avrebbe dovuto basarsi su dati oggettivi (quali le vendite a parti indipendenti) e non su quelli relativi alla remunerazione di operazioni controllate (quali le vendite a imprese associate). Infine, avrebbe dovuto essere misurato in modo ragionevolmente affidabile e coerente al livello dell’operazione controllata e delle operazioni non controllate comparabili.
D’altra parte, i metodi unilaterali, quali quello del prezzo di rivendita, del costo maggiorato o del margine netto dell’operazione, non sarebbero stati considerati affidabili se ciascuna delle parti di un’operazione avesse apportato contributi unici e di valore in relazione all’operazione controllata o se le parti avessero svolte attività altamente integrate. In tal caso, il metodo di ripartizione degli utili sarebbe stato quello più appropriato.
Invece, sarebbe stato preferibile quello bilaterale se le parti avessero voluto determinare, effettivamente, il prezzo dell’operazione in proporzione ai rispettivi contributi.
10 La difficile certezza dell’attuazione della Direttiva a causa della mancanza di informazioni affidabili.
10.1 Efficacia e appropriatezza dei metodi unilaterali.
Un’offerta così ampia e articolata, come quella che la Direttiva abbandonata, avrebbe voluto rendere funzionale alla migliore realizzazione della libera concorrenza, non avrebbe potuto beneficiare, però, di informazioni affidabili sugli elementi comparabili. Quelli che avrebbero potuto essere utilizzati per determinare il prezzo dell’operazione in modo più attendibile, applicando un altro dei metodi offerti dalla Direttiva.
L’operazione sottoposta a test sarebbe stata quella alla quale avrebbe potuto essere applicato un metodo di determinazione dei prezzi di trasferimento nel modo più affidabile e con elementi comparabili più coerenti. L’ordinamento tributario di riferimento sarebbe stato, nella maggior parte dei casi, quello al quale potesse essere applicato, con la massima attendibilità, un metodo unilaterale di determinazione dei prezzi di trasferimento.
10.2 La difficile ricerca della certezza: dalla previsione all’attuazione della varietà dei criteri adottati dalla Direttiva abbandonata
I passaggi per l’efficace attuazione nazionale della Direttiva, poi abbandonata, sarebbero stati facilmente comprensibili e necessariamente efficaci. La loro applicazione differenziata però, avrebbe potuto produrre risultati non sempre in grado di assicurare quella certezza che si poneva come necessaria garanzia dell’efficace attuazione della fonte europea. Così, la comparazione sarebbe diventata la base per un confronto effettivo, utile per valutare se un’operazione fosse stata conforme al principio di libera concorrenza. Per questo, secondo la Commissione europea, sarebbe stato necessario, una volta selezionato un metodo di determinazione dei prezzi di trasferimento, compararlo, poi, con una potenziale operazione, con società non controllata, a sua volta confrontabile.
D’altra parte, le operazioni tra soggetti controllati e non, sarebbero state comparabili se le caratteristiche economicamente rilevanti di entrambe, e le circostanze che le accompagnavano, fossero sufficientemente simili da fornire una misura attendibile dei prezzi di trasferimento, anche se non necessariamente identiche. Ciò avrebbe aggravata la difficoltà, già ben presente nella selezione dei criteri per effettuare la comparazione, di utilizzare metodi oggettivamente fruibili. Tali quelli che si affidano o alle condizioni contrattuali delle operazioni; o alle funzioni svolte da ogni impresa in relazione alle operazioni, anche tenendo conto dei beni utilizzati e dei rischi assunti; o alle caratteristiche dei beni ceduti e dei servizi prestati.
10.3 La comparabilità delle operazioni affidata all’applicazione nazionale ben più che all’interpretazione
La previsione attuale del Testo unico delle imposte sui redditi si affida alla comparabilità delle operazioni, con la considerazione sia degli elementi economicamente rilevanti delle stesse e sia a fattori di comparabilità, quali le circostanze economiche delle parti, le condizioni di mercato in cui esse operano, le strategie aziendali da loro perseguite. Tutti criteri che, evidentemente graduati alle caratteristiche soggettive ed oggettive in considerazione delle quali operano i prezzi di trasferimento, non trovano sempre condivisione tra le imprese operanti. Così, la loro applicazione avrebbe richiesto l’intervento dell’Agenzia fiscale per garantire ai criteri applicabili la migliore efficacia nell’attività di controllo.
Non sarebbe stato facile, quindi, adottare una prospettiva oggettiva che consentisse di affidare alla certezza l’esito di questo confronto comparato. Infatti, questo è un primo e necessario passaggio che offre non poche incertezze, dal momento che, proprio la Direttiva, non prevede criteri che giustifichino o fondino la comparabilità. Senza questi, l’applicazione del principio di libera concorrenza non potrebbe assicurare sempre la certezza nell’applicazione di prezzi di trasferimento. La conseguenza prevedibile sarebbe quella di un aumento di costi di conformità se non, addirittura, la sollecitazione per controversie tributarie sulla conformità e sul consenso dell’operazione comparabile.
10.4 Il difficile destino della certezza di fronte ad una difficolta applicativa ben più che interpretativa per effettuare la comparazione
Sono difficoltà applicative e non tanto interpretative quelle che rendono attualmente difficile la certezza dei prezzi di trasferimento, quando, d’altra parte, la fonte europea non avrebbe potuto risolverla d’autorità. Tutto sarebbe dipeso dall’ efficienza delle Amministrazioni finanziarie nazionali e dalle capacità dialettiche dei contribuenti. Un confronto che, per essere efficace, avrebbe dovuto, però, essere paritario. Un risultato che, non senza difficoltà, la prassi amministrativa nazionale ha sempre cercato, anche senza il futuro apporto della Direttiva poi abbandonata, di assicurare. L’esperienza di ricondurre l’appropriatezza del metodo alle circostanze del caso sarebbe valsa anche per l’attuazione nazionale della Direttiva europea. Avrebbe pesato, pur sempre, nella non facile ricerca della certezza dei prezzi di trasferimento, l’efficacia del confronto delle operazioni infragruppo con quelle del libero mercato.
Anche nella futura attuazione della Direttiva, poi abbandonata, si sarebbero potuti utilizzare criteri che valorizzassero i punti di forza e di debolezza di ciascun metodo, a seconda delle circostanze del caso. Così, si sarebbe potuta verificare l’adeguatezza del metodo da utilizzare, in considerazione della natura e delle caratteristiche dell’operazione controllata. Quelle avrebbero potuto essere desunte dall’analisi delle funzioni svolte da ciascuna impresa nell’operazione controllata, tenendo conto dei beni utilizzati e dei rischi assunti. Inoltre, ci si sarebbe potuto avvalere della disponibilità di informazioni affidabili, in particolare, in relazione a operazioni non controllate comparabili. Infine, si sarebbe potuto verificare il grado di comparabilità tra l’operazione controllata e quella non controllata, considerando anche l’affidabilità di eventuali rettifiche di comparabilità per eliminare gli effetti delle differenze tra le predette operazioni.
10.5 La giustificata e consolidata preferenza giurisprudenziale nazionale per i criteri interni di comparabilità.
L’efficacia della comparabilità, nel modello definito dalla Direttiva abbandonata, avrebbe continuato a dipendere proprio dall’equilibrio dei due parametri, quello interno e quello esterno, cui si sarebbe affidata la verifica dell’affidabilità dei risultati e, con essi, anche della certezza degli esiti applicativi. Un’efficacia che, già ampiamente maturata nell’applicazione nazionale dei prezzi di trasferimento ispirata ai criteri OCSE, ben avrebbe potuto offrire i propri frutti anche nella futura applicazione nazionale della Direttiva futura, poi abbandonata. In particolare, avrebbe potuto confermare il miglior esito del parametro interno, riconosciuto anche dall’autorevolezza dell’interpretazione della Cassazione, (n. 11625 del 04.05.2023), che affida poi, ai parametri esterni un ruolo meramente supplente. Come tale, volto a rimediare all’assenza di informazioni fondamentali all’interno del gruppo societario. Una predilezione giurisprudenziale per i criteri interni, a maggior ragione giustificata quando l’Agenzia tributaria possa avere accesso ad una maggiore quantità di informazioni e quindi possa prendere coscienza delle ragioni che si celano dietro ad una determinata transazione. In tal modo l’Agenzia potrà analizzare bisogni e disponibilità propri delle imprese che fanno parte di quel determinato gruppo multinazionale, procedendo, consapevolmente, al controllo del rispetto del principio di libera concorrenza.
La preferenza ai criteri comparabili interni è giustificata anche per la loro chiarezza e specificità. Come tali, utili sia a valorizzare la realtà del gruppo al cui interno le transazioni si sono verificate, sia a ridurre le differenze esistenti tra le caratteristiche e le disponibilità delle varie società che sono integrate nei gruppi multinazionali. Infatti, la realtà degli scambi di beni e servizi infragruppo potrebbe essere notevolmente differente rispetto a quella praticata nell’“open market”
In definitiva, il dissidio con i contribuenti transnazionali sul risultato applicativo dei prezzi trasferimento vale come non accettazione. Di conseguenza, l’Agenzia tributaria è legittimata ad un controllo rettificativo delle scelte applicative dei contribuenti, destinato, poi, a trovare soluzione processuale davanti alle Corti tributarie.
11 Onere della prova e contraddittorio per la certezza degli importi degli scambi transnazionali.
Con l’abbandono della Direttiva, il confronto, tra Agenzia tributaria e contribuenti transnazionali, per la condivisa applicazione dei prezzi di trasferimento, si svolgerà nel rispetto dei criteri maturati dall’interpretazione giurisprudenziale delle norme nazionali. Prima di tutto, quella del confronto di interpretazioni che solo un effettivo contraddittorio può offrire. Con questo, anche la responsabilità dell’onere della prova dell’Agenzia nella fase di accertamento e di emanazione dell’avviso con il quale effettua una rettifica (Cass. n. 22539/2021) dei prezzi di scambio transnazionale, ritenuti non corretti (Cass. 13.10.2006 n. 22023; Cass. 16.5.2007 n. 11226). Più specificatamente, spetta pur sempre all’Agenzia dimostrare che le transazioni, poste in essere dal contribuente, avrebbero generato un maggior reddito imponibile se fossero state condotte tra soggetti terzi e indipendenti. Dimostrare cioè, che il valore delle operazioni effettuate fosse inferiore a quello “normale”, di cui all’art. 9, co. 3, del TUIR. Un onere, questo, che sarà pur sempre limitato alla dimostrazione sia della mera esistenza delle operazioni infragruppo realizzate e sia della pattuizione di un corrispettivo inferiore a quello indicato come valore normale e che, dal 2018, è stato superato dal principio di libera concorrenza.
Non spetta, invece, all’Agenzia fornire ulteriore prova che l’operazione sia priva di una valida ragione economica e abbia comportato un concreto risparmio di imposta (tra tutte, si vedano Cass. 15.12.2017, n. 30149, Cass. 15.9.2017, n. 21410, Cass. 30.6.2016, n. 13387 e Cass. 15.4.2016, n. 7493).
Spetta, pur sempre, al contribuente provare, invece, l’esistenza e l’inerenza della componente negativa di reddito. Dovrà, in questo caso, dimostrare che le transazioni siano avvenute per valori di mercato corrispondenti a quelli che sarebbero stati applicati tra imprese indipendenti (Cass. 26.1.2007 n. 1709; cfr. da ultimo anche Cass. 31.1.2018 n. 2240).
12 L’utilità o la necessità della motivazione del disconoscimento dell’Amministrazione finanziaria.
L’efficacia di applicazione dei criteri di determinazione dei prezzi di trasferimento continuerà a dipendere, con l’abbandono della proposta di Direttiva, dalla responsabilità dell’Agenzia di rendere manifesti i criteri utilizzati e coerenti le ragioni per fondare il risultato di accertamento. Una motivazione che sarà pur sempre funzionale ai caratteri della procedura dei prezzi di trasferimento, concentrati su criteri di fatto e parametri di valore molto più che su argomentazioni giuridiche. Una motivazione che, tra l’altro, valorizzerà la responsabilità dei soggetti coinvolti, con i relativi criteri d’identificazione; la qualificazione dei criteri adottati tra i diversi offerti; la praticabilità corretta e coerente con i caratteri del rapporto di partecipazione da un lato e di scambio dall’altro. Comprensibile, quindi, che, proprio sulla completa presenza di tutti questi elementi e sulla loro coerenza con il risultato finale dell’accertamento tributario, si fondino, poi, la legittimità e la fondatezza dell’atto di accertamento i cui vizi, in questo caso, potranno essere fatti valere davanti ai giudici tributari.
13 Un futuro ma difficile contributo alla certezza: quello della Corte di Giustizia.
Cade, invece, con l’abbandono della proposta di Direttiva, il ruolo della Corte di Giustizia. Senza tale pur futura fonte, alla Corte non spetterà il compito di assicurare, preliminarmente, l’uniforme interpretazione della fonte europea fino ad assicurarne la coerente applicazione. Un compito che sarebbe stato responsabile solo in presenza di una fonte europea. Come tale avrebbe investito, come per tradizione, gli elementi qualificanti della Direttiva rilevanti per la sua coerente applicazione in campo nazionale. Elementi che, nel caso specifico, sarebbero stati più utili, certo, a definire l’ambito di applicazione che a qualificare positivamente i caratteri dell’imposizione armonizzata, come avviene per le Direttive.
Viene meno anche, senza la presenza della Direttiva, ora abbandonata, la difficoltà, per la Corte di definire un’utile linea di demarcazione dell’efficacia europea di quella avrebbe potuto costituire una futura Direttiva. Quella alimentata dall’equilibrio tra la naturale interpretazione della fonte europea da parte della Corte e la responsabile applicazione nell’ordinamento interno affidata ai giudici nazionali. Un esito che avrebbe investito, in particolare, l’efficacia della comparazione con imprese non integrate in un gruppo: quella da cui sarebbe dipesa l’affidabilità del criterio adottato nel caso specifico.
14 Conclusioni.
Con l’abbandono della proposta di Direttiva, l’Unione europea ha “dimenticato” un’originaria responsabilità normativa. Quella che nasceva dalla consapevolezza che i soli criteri nazionali per affrontare i prezzi di trasferimento avrebbero potuto continuare ad assicurare una certezza applicativa solo parziale, in coerenza con una visione esclusivamente interna. Infatti, quella transnazionale, con la piena integrazione del mercato economico europeo, è diventata sempre più un’esigenza economica. Utile per consentire un fluido e sicuro svolgimento degli scambi transnazionali nel libero mercato europeo.
Del pari, la certezza, quella giuridica, garantita da una fonte vincolante, non sarebbe stata assicurata con l’applicazione delle linee guida elaborate, con continuità, dall’Ocse. La loro efficacia era, infatti, affidata alla fiducia degli Stati ed alla loro convinzione. Il tutto, con una forza più politica che giuridica, affidata all’efficienza che l’Ocse dimostrava nel presentare, con continuità, i criteri che avesse ritenuti più adatti all’evoluzione degli scambi commerciali tra imprese transnazionali.
La certezza era sempre affidata alle responsabilità applicative nazionali: quelle che i singoli Stati assumevano in un rapporto o unilaterale, con l’esercizio delle funzioni impositive nei confronti di impese o società residenti nel proprio territorio e operanti in un quadro, di gruppo transnazionale o bilaterale, con l’applicazione di convenzioni contro le doppie imposizioni. Esiti che erano o avrebbero potuto essere, diversi a seconda della forza di convinzione e di decisione che i diversi Governi nazionali potevano manifestare, in ragione del peso e dell’importanza economica dei gruppi internazionali.
In questo quadro, ben utile sarebbe stata la piena attuazione, con la Direttiva europea, di una responsabilità normativa condivisa fra gli Stati membri. Avrebbe offerto, secondo le scelte della Commissione europea, una comune area di applicazione nazionale sui prezzi di trasferimento con relativi caratteri soggettivi ed oggettivi. Una soluzione utile per qualificare l’ambito dei soggetti transnazionali beneficiari della nuova fonte europea e per selezionare criteri di definizione degli scambi transnazionali cui si riferiscono i prezzi di trasferimento. Una soluzione europea per assicurare sempre e comunque la certezza della quantificazione condivisa degli scambi tra imprese o società appartenenti a gruppi transnazionali. L’esito sarebbe stato pur sempre relativo. Un effetto di quella varietà dei parametri che la Direttiva abbandonata annoverava come gli unici criteri ritenuti compatibili con la pienezza del risultato dell’armonizzazione in campo europeo. Infatti, i criteri proposti dalla Direttiva avrebbero rappresentato il vincolo di compatibilità europea. Questo si sarebbe presentato come necessariamente esteso per comprendere, con la varietà dei criteri, anche le situazioni di scambio transnazionale. Una visione che una fonte europea avrebbe dovuto pur sempre tenere in opportuna considerazione per giustificare, a sua volta, il fondamento sufficientemente sicuro della sua efficacia. In definitiva, la Direttiva avrebbe costituito una scelta importante nella progressiva affermazione di un grado di affidabilità accettato dagli Stati membri dell’Unione, utile per assicurare agli scambi transnazionali nell’ambito di gruppi societari, importi condivisi, applicabili e riconoscibili dalle diverse Amministrazioni finanziarie coinvolte. Quelli che avrebbero potuto ricondurre i prezzi di trasferimento a parametri europei. Un’affidabilità che avrebbe costituito il miglior fondamento della certezza ma, nello stesso tempo, ne avrebbe rappresentato anche un limite, divisa come sarebbe stata tra quattro distinti criteri. Quelli che trovano, non sembri paradossale, nella loro distinzione, un limite oggettivo alla loro efficacia comune negli ordinamenti tributari nazionali. Quella, impegnata nel trovare un efficace equilibrio con le transazioni offerte dal mercato libero senza i vincoli dei rapporti transnazionali di gruppo.
Invece, sul quadro definito dalla Direttiva oggi abbandonata, ha pesato la consistenza dei rilievi che il Parlamento europeo aveva fatto al testo presentato dalla Commissione. Rilievi che, pur con varietà ed incidenza, rinnovavano la fiducia sia nell’utilità della proposta di Direttiva e sia, anche nella relativa efficacia. In sostanza ben avrebbero potuto essere considerati come un contributo alla migliore realizzazione della futura fonte europea. Invece. la Commissione ha ritenuto troppo articolato e complesso l’impegno normativo che i rilievi del Parlamento avrebbero richiesto. Un esito che poi avrebbe potuto essere esposto ad una successiva revisione per l’ulteriore confronto con lo stesso Parlamento cui spettava un ulteriore e, auspicabilmente, definitivo riscontro.
Anche senza il fondamentale supporto della fonte armonizzatrice, la certezza è destinata invece a rimanere un merito, una qualità europea. Utile a garantire gli effetti naturali del mercato europeo, quello che alimenta la libertà degli scambi, a maggior ragione quando coinvolgono forme di aggregazione societaria funzionali alla dimensione transazionale della nuova realtà economica. Il tutto, con l’autorità delle scelte normative che la sola fonte europea è in grado di offrire a tutti gli Stati membri con la loro responsabilità di adeguarvisi.
La debolezza giuridica delle linee guida dell’OCSE deriva dal fatto che, come si legge negli atti parlamentari in funzione dell’approvazione della Direttiva, nonostante quasi tutti gli Stati membri UE (ad eccezione di Malta, Cipro, Bulgaria e Romania) sono anche membri OCSE e si sono pertanto impegnati a seguire i principi e le raccomandazioni dell’OCSE, lo status e il ruolo delle linee guida dell’OCSE sui prezzi di trasferimento variano da uno Stato membro all’altro. Inoltre, a livello dell’Unione le norme in materia di prezzi di trasferimento non sono armonizzate mediante atti legislativi. Ciò, nonostante tutti gli Stati membri dispongano di una legislazione interna che prevede un approccio comune ai principi fondamentali. Tali disposizioni non sono però completamente allineate. Il fatto che ogni Stato membro goda di ampia discrezionalità nell’interpretazione e nell’applicazione delle linee guida OCSE sui prezzi di trasferimento crea complessità e disparità di condizioni per le imprese↩︎
In sede di discussione nel Parlamento europeo si sono sottolineati i rischi connessi all’attuale situazione dei prezzi di trasferimento nell’UE, riguardanti la doppia non imposizione, gli aiuti di Stato illegali, la pianificazione fiscale aggressiva e le perdite significative di gettito fiscale. Così il Parlamento ha ritenuto che tali aspetti fossero stati affrontati in misura insufficiente nella proposta di Direttiva. Nel contempo ha confermato la fiducia negli obiettivi sanciti dagli articoli 6 e 7, vale a dire ridurre le controversie fiscali ed evitare la doppia non imposizione mediante rettifiche al ribasso unilaterali. Di qui un auspicato ruolo più incisivo per il Parlamento europeo, che potrebbe fungere da osservatore nei futuri negoziati sui prezzi di trasferimento a livello dell’UE e dell’OCSE. Infine, e soprattutto, si riconoscono i limiti significativi del principio di libera concorrenza e delle linee guida dell’OCSE sui prezzi di trasferimento. Secondo il Parlamento bisognerebbe eliminare gradualmente l’applicazione del principio di libera concorrenza e introdurre, poi, il consolidamento a livello di gruppo con l’utilizzo di una formula di ripartizione per dividere equamente gli utili tra i Paesi e poi, riconoscere la realtà operativa delle imprese multinazionali. Il Parlamento accoglie con favore gli importanti sviluppi in questa direzione attraverso la proposta relativa al primo pilastro dell’OCSE, nota anche come convenzione multilaterale, e quella di Direttiva BEFIT della Commissione europea, pur riconoscendo che, nel frattempo, sarebbe necessaria un’applicazione corretta e coerente del principio di libera concorrenza nell’UE. A tal fine, si propone di inserire nella proposta di Direttiva una clausola di decadenza. Così, la Direttiva dovrebbe cessare di applicarsi innanzi tutto nei confronti delle società che rientrino nell’ambito di applicazione della Direttiva BEFIT, note come gruppi BEFIT, a partire dal 2035. Successivamente, la Direttiva dovrebbe cessare di esistere per tutti i gruppi multinazionali che operano nell’UE a partire dal 2040, fatta eccezione per le loro operazioni con Paesi terzi.↩︎
Infatti, vale il principio di libera concorrenza, denominato, nell’articolo 3 della bozza di Direttiva come “la norma internazionale che prescrive che le imprese associate debbano negoziare tra loro come se fossero terzi indipendenti. In altri termini, le operazioni tra due imprese associate dovrebbero riflettere il risultato che si sarebbe ottenuto se le parti non fossero collegate, ossia se le parti fossero indipendenti l’una dall’altra e l’esito (prezzo o margini) fosse determinato da forze di mercato (libero)”↩︎
Introduce il principio di libera concorrenza nel diritto dell’UE: quello che, secondo la definizione dell’art. 3 della proposta, è formulato dalla norma internazionale che prescrive che le imprese associate debbano negoziare tra loro come se fossero terzi indipendenti. In altri termini, le operazioni tra due imprese associate dovrebbero riflettere il risultato che si sarebbe ottenuto se le parti non fossero collegate, ossia se le parti fossero indipendenti l’una dall’altra e l’esito (prezzo o margini) fosse determinato da forze di mercato (libero). Così si armonizzano le norme in materia di prezzi di trasferimento: in particolare, vengono introdotte definizioni comuni di libera concorrenza e di imprese associate, e vengono stabilite disposizioni in materia di metodi di determinazione dei prezzi di trasferimento, di scelta del metodo di determinazione più appropriato, di analisi di comparabilità, di determinazione dell’intervallo di libera concorrenza e di requisiti della documentazione.
Così si chiariscono il ruolo e lo status delle linee guida dell’OCSE sui prezzi di trasferimento: quelle modificate nel 2022 e incluse nell’allegato I della proposta Direttiva , nonché ogni loro ulteriore futura modifica approvata dall’Unione.
Inoltre, si crea la possibilità di stabilire, all’interno dell’UE, norme comuni vincolanti su temi specifici in materia di prezzi di trasferimento nel quadro delle linee guida dell’OCSE.↩︎
Nota la Commissione europea che benché tale metodo sia potenzialmente disponibile per tutti i tipi di operazioni, il requisito della comparabilità dei prodotti è particolarmente difficile da applicare in modo ragionevolmente affidabile. Infatti, qualsiasi differenza di prodotto può incidere sostanzialmente sul prezzo dell’operazione. Invece, spesso non è possibile determinare rettifiche di comparabilità ragionevolmente accurate per tali differenze di prodotto.↩︎
La Commissione specifica che tale margine di libera concorrenza può essere determinato con riferimento a quello che lo stesso fornitore ottiene in operazioni non controllate comparabili (elemento comparabile interno) o con riferimento al margine che sarebbe stato ottenuto in operazioni comparabili da un’impresa indipendente (elemento comparabile esterno). In generale, il metodo del costo maggiorato utilizzerà margini calcolati al netto di costi diretti e indiretti di produzione o fornitura, ma al lordo delle spese operative dell’impresa (ad esempio spese generali).↩︎
La Commissione specifica che il margine netto di libera concorrenza del contribuente derivante da operazioni controllate può essere determinato con riferimento al margine netto che lo stesso fornitore ottiene in operazioni non controllate comparabili (elementi comparabili interni) o con riferimento al margine netto ottenuto in operazioni comparabili da un’impresa indipendente (elementi comparabili esterni). Nei casi in cui il margine di profitto netto è ponderato a fronte di costi o vendite, il relativo metodo opera in maniera analoga rispettivamente al metodo del costo maggiorato e a quello del prezzo di rivendita, salvo per il fatto che confronta i margini di profitto netti derivanti da operazioni controllate e non controllate (previa deduzione delle spese operative pertinenti) invece di confrontare un margine lordo sulla rivendita o una maggiorazione lorda sui costi. La comparabilità funzionale in genere riveste maggiore importanza rispetto alla comparabilità dei prodotti nell’applicare il metodo del margine netto delle operazioni.↩︎