Studi Tributari Europei. Vol.14 (2024), II.61 – II.70
ISSN 2036-3583

La Corte Europea dei diritti dell’uomo pone il limite del reddito medio annuo pro capite alle spese di giustizia

La difficile sussunzione dell’imposta di registro sugli atti giudiziari tra le court fees di carattere remuneratorio prese in considerazione della Corte (nota a Corte EDU: caso Mandev e altri v. Bulgaria del 21 maggio 2024)

Filippo Alessandro CiminoUniversità Kore di Enna (IT)
ORCID https://orcid.org/0000-0003-1197-6124

Pubblicato: 2025-04-10

El Tribunal Europeo de Derechos Humanos impone el límite de la renta media anual per cápita a las tasas judiciales

Abstract

On 21 May 2024, the European Court of Human Rights rendered a groundbreaking judgment which is liable to constitute a milestone in human rights tax law. By a majority of five votes to two, the Court ruled that court fees of a “reciprocal” nature should not exceed a maximum threshold, which is based on the per capita average annual income of the State concerned.

This is the first time an international human rights court, dealing with the confiscatory level of taxation, rather than establishing a limit in relative terms (such as a specified maximum percentage rate of income tax), has set a limit in absolute terms, establishing a maximum quantitative monetary outlay.

This decision opens interesting scenarios regarding the potential applicability of the newly established principle to Italian taxation, particularly in the context of the registration tax on judicial decisions.

La Corte Europea dei Diritti dell’Uomo ha reso, il 21 maggio 2024, una sentenza assai innovativa e destinata a rappresentare una pietra miliare nell’applicazione dei diritti umani alla materia tributaria. Con una maggioranza di cinque voti contro due, è stato stabilito che le tasse giudiziarie (“court fees”), qualora aventi carattere remuneratorio, non possano in ogni caso superare una soglia massima, parametrata al reddito medio annuo pro-capite dello Stato interessato.

Si tratta della prima volta in cui una corte internazionale dei diritti umani si è occupata del livello confiscatorio di tassazione, fissando un limite non già relativo (quale ad esempio una certa aliquota percentuale massima dell’imposta sul reddito), ma assoluto, stabilendo un esborso monetario massimo in termini quantitativi.

Questa decisione apre interessanti scenari sulla potenziale applicabilità del principio fissato dalla Corte anche alla fiscalità italiana, ed in particolare all’imposta di registro sugli atti giudiziari.

Keywords: court EDU; registration fee; court fees; court fees of a remuneratory nature; admissibility.

Ringraziamenti

Il presente studio costituisce un contributo scientifico al progetto di ricerca di interesse nazionale (PRIN 2022 ’ 2022P23BRW) denominato: “The Common Constitutional Traditions of the European Union and their Impact on the Process of Europeanisation of Tax Law” CUP: D53D23007390006.

1 La controversia e le conclusioni della Corte EDU

La Corte EDU, con la recente sentenza del 21 maggio 2024 resa nel caso Mandev e altri v. Bulgaria, ha rilevato la violazione dell’articolo 1 del Protocollo n. 1 della Convenzione EDU a causa dell’elevato livello delle spese processuali sostenute dai ricorrenti nei giudizi innanzi all’Autorità giudiziaria nazionale.1

La pronuncia appare di particolare interesse in quanto per la prima volta la Corte pone alle spese di giustizia applicate nei giudizi nazionali il limite del reddito medio annuo pro capite (average annual income) proprio dello Stato interessato. In tal modo viene superato il principio, sancito in alcuni precedenti della medesima Corte, secondo cui la misura delle spese processuali stabilita dagli ordinamenti nazionali dovrebbe essere graduata avendo riguardo alle capacità finanziaria del ricorrente ed alle peculiari circostanze della fattispecie.

La sentenza segna anche un’importantissima innovazione sulla tematica della compatibilità con i diritti umani di un’imposta confiscatoria. Fino ad ora la tematica era stata analizzata in termini relativi, guardando esclusivamente al livello dell’aliquota massima di un’imposta sui redditi. La sentenza in commento, invece, sembrerebbe aver fissato un limite massimo in termini assoluti: un limite alla potestà impositiva statale formulato in termini di importo massimo di esborso monetario, quali che siano le condizioni patrimoniali o finanziarie del ricorrente. Ad esempio, la Corte EDU ha già chiarito, nelle famose sentenze sui casi ungheresi relativi alla tassazione del trattamento di fine rapporto,2 che la tutela del diritto al rispetto dei beni esige limiti quantitativi al prelievo tributario per evitare forme di imposizione confiscatoria; in tali occasioni, tuttavia, la Corte EDU ha affrontato il problema sotto la prospettiva di un’applicazione retroattiva dell’imposta sul reddito personale con un’aliquota confiscatoria pari al 98%, censurando la legislazione ungherese alla luce degli standard impositivi massimi (oscillanti tra il 50% ed il 75%) tollerati dalle Corti costituzionali di vari stati europei.

La sentenza in commento è stata pronunciata su distinti ricorsi, successivamente riuniti, aventi ad oggetto sia la confisca dei beni dei ricorrenti ai sensi della legislazione bulgara sui proventi di reato, sia l’importo delle spese giudiziarie sostenute nei relativi processi.

Segnatamente l’Autorità bulgara competente, a seguito della condanna dei ricorrenti per gravi fattispecie di reato (estorsione, sfruttamento della prostituzione, spaccio di banconote false, traffico di droga, contrabbando), aveva chiesto al Giudice di prime cure, ed ottenuto, la confisca dei beni a danno degli stessi.

I ricorrenti avevano appellato le sentenze di primo grado, con esito negativo, nonché proposto ricorsi per cassazione, dichiarati inammissibili.

Divenute definitive le sentenze che disponevano la confisca dei loro beni, i ricorrenti hanno adito la Corte EDU lamentando che la confisca dei loro beni era ingiustificata3 e di avere dovuto pagare spese giudiziarie eccessive nei relativi procedimenti giudiziari.4

Con particolare riguardo al profilo della confisca dei beni, la Corte EDU5 ha rilevato alcune criticità nella legge bulgara che disciplina il relativo procedimento.

Segnatamente la Corte, rilevata l’ampia portata applicativa della normativa bulgara in tema di confisca, ha criticato l’estrema difficoltà per gli imputati di provare la provenienza lecita dei propri redditi nell’ampio periodo di tempo preso in considerazione dalla legge, nonché la presunzione legale secondo cui qualunque bene di cui non venga acclarata la provenienza lecita sia automaticamente considerato come provento di reato.6

La Corte ha ritenuto che tali criticità comportano un onere particolarmente gravoso per i convenuti nei procedimenti di confisca. Pertanto a giudizio della Corte appare fondamentale, nell’ottica di un corretto bilanciamento degli interessi contrapposti tra parte pubblica e privata, che i Giudici nazionali individuino un nesso causale tra i beni per i quali è stata richiesta la confisca e la condotta criminosa.7

Applicando tali principi, la Corte ha riscontrato la violazione dell’articolo 1 del Protocollo n. 1 nelle fattispecie in cui i Tribunali nazionali non avevano giustificato l’esistenza del nesso causale sopra definito e avevano disposto la confisca semplicemente sulla base della presunzione legale secondo cui qualsiasi bene di cui non si dimostri l’origine lecita è considerato provento di un reato.8 Invece la Corte non ha riscontrato alcuna violazione dell’articolo 1 del Protocollo n. 1 nei casi in cui i Tribunali nazionali avevano ragionevolmente dimostrato l’esistenza di un nesso causale tra i beni oggetto di confisca e la condotta criminale dei ricorrenti.9

Con specifico riguardo al profilo delle spese giudiziarie applicate nel procedimento di confisca e considerate irragionevolmente eccessive (segnatamente, l’importo delle spese nelle fattispecie è pari al 4% del valore della lite per i giudizi in prime cure ed al 2% del valore della causa per l’appello e la cassazione), la Corte EDU dichiara di esaminare la questione unicamente ai sensi del secondo paragrafo dell’articolo 1 del Protocollo n. 1, in quanto tali spese devono essere considerate come “contributi” ai sensi di tale disposizione.10

La Corte ha invece respinto l’eccezione di violazione dell’art. 6 § 1, stante che nelle fattispecie in esame non è stato riscontrato il mancato accesso alla tutela giudiziaria a causa di spese giudiziarie molto elevate.11

La Corte EDU, ribadito che le court fees previste dai vari ordinamenti perseguono i legittimi obiettivi di finanziare il sistema giudiziario, di aumentare le entrate pubbliche e di scoraggiare le istanze giudiziali pretestuose,12 rileva che la questione principale oggetto del giudizio è stabilire se nelle fattispecie sia stato rispettato il giusto contemperamento tra l’interesse generale della comunità e la tutela dei diritti individuali.13

Equilibrio che, a giudizio della Corte, permea la struttura dell’articolo 1 del Protocollo n. 1, dal momento che deve sempre sussistere un ragionevole rapporto di proporzionalità tra mezzi impiegati e scopo perseguito.

Secondo la Corte EDU, in particolare, il giusto contemperamento tra interessi non è rispettato dal legislatore nazionale ove il ricorrente sia costretto a sopportare un onere eccessivo per le spese processuali.14

La Corte, quindi, opera una comparazione tra le spese processuali sostenute dai ricorrenti nei giudizi nazionali ed il reddito medio annuo pro capite in Bulgaria negli anni considerati e rileva che le prime superano in modo significativo il secondo, raggiungendo in alcuni casi livelli di molte volte superiori.15

In proposito la Corte, pur consapevole che il reddito medio annuo nazionale rappresenta una misura approssimativa per quantificare il valore del carico di lavoro necessario per decidere un determinato caso, e che la complessità delle problematiche trattate può certamente variare anche in modo significativo avuto riguardo alle diverse fattispecie, rileva che dagli atti di causa non emerge che le spese giudiziarie contestate siano giustificate da un lavoro di volume o complessità eccezionali e che, pertanto, il reddito medio annuo pro capite può essere considerato come un parametro utile per valutare la proporzionalità delle spese processuali.16

Con particolare riguardo a quest’ultima argomentazione, la Corte EDU rileva che secondo la Corte costituzionale bulgara le spese processuali rivestono certamente il carattere della reciprocità e della corrispettività, in quanto corrisposte per remunerare un determinato servizio fornito dal sistema giudiziario.17

La Corte, ancora, pur ribadendo che Stati godono di un ampio margine di discrezionalità nella definizione del loro sistema di spese processuali, critica la rigidità del sistema delle spese giudiziarie previsto dalla legge bulgara e ribadisce la necessità che le norme in materia siano flessibili in presenza di determinate condizioni (capacità finanziaria della parte processuale, peculiarità delle fattispecie).18

La Corte EDU, infine, rileva che nelle fattispecie il procedimento giudiziario è stato avviato da una Autorità pubblica e che i ricorrenti, avendo come controparte un organo dello Stato dotato di ampi poteri di indagine, si trovavano in una posizione processuale certamente difficile ed erano, per di più, costretti a pagare ingenti somme di denaro per le spese processuali.19

Per tutte queste argomentazioni, la Corte dichiara la violazione dell’articolo 1 del Protocollo n. 1 a causa dell’elevato livello delle spese processuali pagate dai ricorrenti.

2 Possibili profili di criticità della normativa italiana in tema di imposta di registro sugli atti giudiziari con riguardo alla giurisprudenza della Corte EDU

Sotto un profilo più generale e sistematico, deve essere evidenziato l’impatto, potenzialmente dirompente, della Convezione EDU e della giurisprudenza della Corte EDU in tema di violazioni di diritti umani con riguardo alla normativa italiana in tema di imposta di registro sugli atti giudiziari.

In particolare, secondo l’ordinamento italiano20 sono soggetti ad imposta di registro, anche se al momento della registrazione siano stati impugnati o siano ancora impugnabili,21 gli atti dell’autorità giudiziaria in materia di controversie civili che definiscono anche parzialmente il giudizio, i decreti ingiuntivi esecutivi, i provvedimenti che dichiarano esecutivi i lodi arbitrali e le sentenze che dichiarano efficaci nello Stato sentenze straniere.

Si tratta di provvedimenti che, di regola, vengono adottati nel giudizio civile, ma che possono anche inerire ad un procedimento penale o amministrativo.

Quando si conclude un procedimento giudiziario, il fascicolo di causa viene trasmesso al competente Ufficio dell’Agenzia delle Entrate, il quale liquida l’imposta dovuta sull’atto giudiziario che ha definito il giudizio e su altri atti presenti nel fascicolo stesso, avvalendosi, se del caso, delle regole stabilite per la registrazione per enunciazione.22

Secondo l’ordinamento italiano l’imposta di registro sugli atti giudiziari viene calcolata proporzionalmente al valore del bene o del diritto controverso, e tutte le parti in causa sono obbligate in solido per il pagamento del tributo, a prescindere dalla soccombenza e da eventuali peculiarità della fattispecie.

Ciò premesso, possono essere evidenziate a titolo meramente esemplificativo le seguenti potenziali criticità della normativa italiana in tema imposta di registro sugli atti giudiziari con riguardo ai principi ritraibili dalla Convenzione EDI evidenziati dalla giurisprudenza della Corte. In particolare:

  • l’imposta di registro grava anche sulla parte vittoriosa,23 la quale per tale onere non di rado è costretta a subire,24 proprio per aver fatto legittimamente valere in giudizio i propri diritti, una situazione deteriore rispetto allo status anteriore al processo;25

  • l’imposta di registro viene applicata in misura rigidamente proporzionale rispetto al valore della controversia, senza che la normativa nazionale preveda alcuna forma di flessibilità o di discrezionalità giudiziaria che tenga conto delle particolari circostanze della fattispecie o della posizione finanziaria dell’interessato;26

  • l’importo dell’imposta di registro supera frequentemente il reddito medio annuo pro capite dello Stato.27

La sentenza della Corte EDU in commento appare di particolare interesse proprio in relazione al profilo da ultimo segnalato.

Ed invero la peculiare struttura, la base imponibile e l’aliquota delle spese giudiziarie applicate nell’ordinamento bulgaro (nella fattispecie, 4% del valore della causa per i giudizi di primo grado e 2% del valore della controversia per le impugnazioni)28 insinuano nell’interprete italiano il dubbio sulla possibile sussunzione dell’imposta di registro sugli atti giudiziari disciplinata dal D.P.R. n. 131 del 26 aprile 1986 nel perimetro delle court fees di carattere remuneratorio prese in considerazione dalla sentenza della Corte EDU.

Tale dubbio potrebbe essere corroborato dal fatto che, in almeno quattro occasioni,29 la Corte ha qualificato come court fees spese processuali esigibili dopo la conclusione del processo, in modo analogo all’imposta di registro italiana.

Ove il dubbio fosse risolto in senso positivo, ed in presenza di importi dell’imposta di registro che superano anche in misura significativa il reddito medio annuo pro capite,30 lo Stato italiano potrebbe, potenzialmente, essere condannato dalla Corte EDU all’equa riparazione a favore dei contribuenti che lamentino la violazione dell’articolo 1 del Protocollo n. 1 della Convenzione EDU, che tutela la proprietà, e/o dell’art. 6 § 1 della medesima Convenzione, che sancisce il diritto ad un equo processo.

3 Argomenti pro e contra la sussunzione dell’imposta di registro sugli atti giudiziari tra le court fees di carattere remuneratorio

Un flebile argomento a favore della riconduzione dell’imposta di registro sugli atti giudiziari tra le spese processuali a carattere remuneratorio si può rinvenire in un parere fornito dal Consiglio di Stato, chiamato a dirimere un conflitto interpretativo tra il Ministero della Giustizia e quello dell’Economia e delle Finanze relativo alla individuazione dell’Amministrazione competente al recupero dell’imposta di registro prenotata a debito (provvedimento n. 4900/03 dell’11 dicembre 2003)31.

Secondo il citato parere la competenza per il recupero dell’imposta di registro prenotata a debito dovrebbe essere attribuita agli Uffici giudiziari, e quindi alle cancellerie giudiziarie, e non all’Amministrazione finanziaria.

Il Consiglio di Stato sostiene al riguardo che le disposizioni della Parte VII (intitolata “Riscossione”) del Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di spese di giustizia, D.P.R. n. 115 del 30 maggio 2002 (TUSG), porterebbero alla conclusione che le riscossioni in parola non si riferiscono soltanto alle ipotesi di recupero delle spese processuali in senso stretto,32 ma, altresì, alle spese “in qualche modo connesse al processo”.

E tra queste ultime, secondo il Supremo Consesso amministrativo, rientrerebbero non soltanto le spese relative alle pene pecuniarie, alle sanzioni amministrative e, per quanto riguarda il processo penale, le spese di mantenimento dei detenuti, ma anche l’imposta di registro prenotata a debito.

L’interpretazione del Consiglio di Stato è fondata su alcune disposizioni del D.P.R. n. 115 del 30 maggio 2002, e segnatamente:

  • sull’art. 208, che individua l’Ufficio giudiziario come “l’ufficio incaricato della gestione delle attività connesse alla riscossione”;33

  • sull’art. 213, che attribuendo a tale Ufficio la competenza in ordine alla “iscrizione a ruolo”, lega tale potere alla scadenza del “termine computato dall’avvenuta notifica dell’invito al pagamento”.34

L’impostazione adottata dal Consiglio di Stato assume come presupposto logico la riconduzione dell’imposta di registro sugli atti giudiziari tra le spese processuali a carattere remuneratorio.

Invero, a sommesso parere di chi scrive, tale sussunzione contrasta nettamente sia con considerazioni di carattere sistematico, sia con il dettato normativo.

Sotto il profilo sistematico è fin troppo facile rilevare che l’attuale assetto del tributo del registro è il risultato di una secolare e complessa evoluzione.35

Tale tributo fa parte di quel gruppo di imposte indirette che si connette, per l’origine storica, con taluni istituti che realizzano la conservazione e la pubblicità degli atti.

Ed invero, originariamente, la prestazione imposta al privato si configurava, nella prospettiva del principio del beneficio, come mero corrispettivo del servizio a lui reso; corrispettivo, coerentemente, stabilito in misura fissa.

Successivamente l’evoluzione giuridica e le esigenze del fisco, nella diversa considerazione del principio del sacrificio, hanno indotto a commisurare l’entità del tributo alla natura ed al contenuto dell’atto cui viene assicurata conservazione e pubblicità; ed in questa prospettiva il tributo è diventato proporzionale.

Nella formulazione odierna, pertanto, il tributo del registro risponde al principio della capacità contributiva, non a quello della corrispettività: esso si configura come imposta d’atto, che ha riguardo agli aspetti patrimoniali scaturenti dal provvedimento.

Sotto un profilo più prettamente normativo, numerose disposizioni del D.P.R. n. 115 del 30 maggio 2002 e del D.P.R. n. 131 del 26 aprile 1986 contrastano con l’interpretazione del Consiglio di Stato.

In particolare la formulazione letterale del Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di spese di giustizia esclude in capo agli Uffici giudiziari la competenza con riguardo all’imposta di registro sugli atti giudiziari.

Ed invero dal dato normativo emerge che le Cancellerie giudiziarie hanno la competenza a recuperare:

  • nel processo penale, ai sensi dell’art. 200 del T.U.S.G., le spese processuali, le sanzioni amministrative pecuniarie, le spese di mantenimento dei detenuti, e le spese nei casi di ammissione al patrocinio a spese dello Stato;36

  • nel processo civile, tributario ed amministrativo, ai sensi dell’art. 201 del medesimo Testo unico, le spese processuali nei casi di ammissione al patrocinio a spese dello Stato;37

  • le sanzioni pecuniarie processuali penali e civili ai sensi del successivo art. 202.38

Appare evidente che l’imposta di registro sugli atti processuali non è richiamata nelle norme sopra richiamate.

Ancora, numerose disposizioni del D.P.R. n. 131 del 26 aprile 1986 attribuiscono la competenza per il recupero dell’imposta di registro in capo all’Ufficio finanziario.

L’art. 15 del T.U.R. precisa che in mancanza della richiesta di registrazione da parte dei cancellieri e dei segretari per le sentenze, i decreti e gli altri atti degli organi giurisdizionali alla cui formazione hanno partecipato nell’esercizio delle loro funzioni, la registrazione è eseguita d’ufficio, previa riscossione dell’imposta dovuta.

Ai sensi del successivo art. 16, la registrazione è eseguita, previo pagamento dell’imposta liquidata dall’ufficio, con la data del giorno in cui è stata richiesta.

L’art. 54, co. 5, del T.U.R. sancisce che quando la registrazione deve essere eseguita d’ufficio a norma dell’art. 15, l’ufficio del registro notifica apposito avviso di liquidazione al soggetto o ad uno dei soggetti obbligati al pagamento dell’imposta.

Pertanto sia sotto il profilo sistematico che sotto quello normativo si rinvengono solidi argomenti che escludono la sussunzione dell’imposta di registro sugli atti giudiziari tra le court fees a carattere remuneratorio prese in considerazione dalla Corte EDU.

La mera analogia del meccanismo applicativo tra le spese processuali bulgare e l’imposta di registro italiana non può, almeno a sommesso avviso di chi scrive, far retrocedere l’imposta di registro a spesa processuale a carattere remuneratorio.

4 La dissenting opinion dei Giudici Pastor Vilanova e Roosma. Considerazioni conclusive

Si rileva infine che la sentenza in commento non è stata emessa all’unanimità. Due Giudici della Corte EDU, tra cui il presidente Pastor Vilanova, hanno espresso una dissenting opinion ritenendo di non riscontrare alcuna una violazione dell’articolo 1 del Protocollo n. 1 della Convenzione a causa dell’elevato livello delle spese processuali pagate dai ricorrenti.

I due Giudici dissenzienti hanno articolato il loro parere negativo per una pluralità di ragioni.

Essi rilevano che la maggioranza, nel ritenere che i ricorrenti abbiano sostenuto un onere eccessivo, si è basata su un confronto tra le spese processuali pagate dai ricorrenti e il reddito medio annuo pro capite in Bulgaria all’epoca dei fatti, evidenziando che le spese pagate avevano superato in modo significativo tale reddito annuo medio.39 I Giudici dissenzienti non concordano con tale argomentazione, rilevando che in Bulgaria, come in tutto il mondo, esistono disparità di reddito tra gli individui e che appare inconcepibile che le proprietà in questione, di rilevante valore, possano essere state ottenute risparmiando sui redditi medi: non è pertanto condivisibile, secondo i Giudici dissenzienti, l’assunto secondo cui i ricorrenti siano stati costretti a sostenere un onere eccessivo perché le spese processuali potevano sembrare elevate rispetto al reddito medio del Paese.40

Anche i Giudici dissenzienti, tuttavia, concedono che l’assenza di un tetto massimo alle spese processuali, con riguardo a liti di valore significativo, potrebbe essere problematico in alcune circostanze.41

Ancora, secondo i Giudici dissenzienti, la problematica, avanzata in sentenza, della flessibilità nella determinazione delle spese giudiziarie riguarda l’accesso alla tutela giudiziaria ai sensi dell’art. 6 § 1 della Convenzione, piuttosto che un onere individuale eccessivo ai sensi dell’articolo 1 del Protocollo n. 1. Ed, al riguardo, rilevano che la flessibilità e la discrezionalità giudiziaria in questo campo possono facilmente entrare in conflitto con l’esigenza di certezza del diritto, ritenendo che l’osservanza di regole formalizzate di procedura civile è certamente importante in quanto limita la discrezionalità e garantisce la parità delle armi.

Con riguardo al carattere remuneratorio delle spese giudiziarie, in quanto corrisposte per ottenere un determinato servizio dallo Stato, i Giudici dissenzienti rilevano che il costo del servizio giudiziario deve comunque essere coperto, almeno in parte, dalla fiscalità generale e che sembra equo che le spese processuali pagate per le cause di importo elevato compensino i costi dell’amministrazione della giustizia per le cause di importo minore o minimo.42

Al riguardo i Giudici dissenzienti, criticando l’impostazione della sentenza in commento che enfatizza il carattere remuneratorio delle spese di giustizia, rilevano che le spese processuali sono solitamente versate al bilancio dello Stato e non trattenute dai tribunali, in modo simile ai tributi e che la tassazione è un settore in cui gli Stati godono di un ampio margine di discrezionalità.43

Quest’ultima argomentazione appare preziosa per l’interprete italiano.

Si è già evidenziata sopra la difficile sussunzione dell’imposta di registro sugli atti giudiziari tra le court fees di carattere remuneratorio individuate nella sentenza in commento, sia per ragioni sistematiche, sia per argomentazioni di interpretazione letterale della norma.

Tuttavia è innegabile che l’imposta di registro sugli atti giudiziari sia un tributo che, ontologicamente, trova il proprio presupposto (imposta d’atto) sugli atti dell’Autorità giudiziaria che definiscono il processo.

Se così è, tale imposta, in un’ottica orientata al rispetto della Convenzione europea dei diritti dell’uomo, potrebbe essere considerata come una court fee in senso lato, prescindendo dal presunto, e a sommesso avviso di chi scrive, insostenibile carattere remuneratorio di essa.

Se così è, e sempre in una visione prospettica volta al rispetto ed all’attuazione della Convenzione come interpretata dalla Corte EDU, ben potrebbero essere sollevate le criticità della normativa italiana sotto due profili già sopra evidenziati:

  • quello per cui l’imposta di registro grava anche sulla parte vittoriosa, la quale, pertanto, potrebbe essere costretta a subire una situazione deteriore rispetto allo status quo ante: si ipotizzi una fattispecie in cui la parte attrice ottiene il risarcimento del danno nei confronti di una società fallita nelle more del processo;

  • quello per cui l’imposta viene applicata in misura rigidamente proporzionale rispetto al valore della controversia, senza che sia prevista alcuna forma di discrezionalità giudiziaria che tenga conto delle particolari circostanze della fattispecie: si ipotizzi che la parte attrice vittoriosa sia un soggetto che abbia come unico reddito una pensione sociale, e che abbia dovuto sostenere per anni le spese di più gradi di giudizio.


  1. L’articolo 1 del Protocollo n. 1 della Convenzione stabilisce quanto segue: “Ogni persona fisica o giuridica ha diritto al rispetto dei suoi beni. Nessuno può essere privato della sua proprietà se non per causa di pubblica utilità e nelle condizioni previste dalla legge e dai principi generali del diritto internazionale. Le disposizioni precedenti non portano pregiudizio al diritto degli Stati di porre in vigore le leggi da essi ritenute necessarie per disciplinare l’uso dei beni in modo conforme all’interesse generale o per assicurare il pagamento delle imposte o di altri contributi o delle ammende”.↩︎

  2. Cfr., ad esempio, la sentenza resa nel caso Gàll c. Ungheria del 25 giugno 2013.↩︎

  3. Cfr. pt. 77 della sentenza in commento.↩︎

  4. Cfr. pt. 111 della sentenza in commento.↩︎

  5. Che richiama sul punto come precedente la sentenza resa nel caso Todorov e altri v. Bulgaria del 13 luglio 2021; cfr. pt. 93 della sentenza in commento.↩︎

  6. Cfr. pt. 94 della sentenza in commento.↩︎

  7. Cfr. pt. 95 della sentenza in commento.↩︎

  8. Cfr. pt. 96 della sentenza in commento.↩︎

  9. Cfr. pt. 97 della sentenza in commento.↩︎

  10. Cfr. pt. 126 della sentenza in commento.↩︎

  11. Cfr. pt. 114-115 della sentenza in commento. L’art. 6 § 1 della Convenzione sancisce al comma 1 che “Ogni persona ha diritto a che la sua causa sia esaminata equamente, pubblicamente ed entro un termine ragionevole da un tribunale indipendente e imparziale, costituito per legge, il quale sia chiamato a pronunciarsi sulle controversie sui suoi diritti e doveri di carattere civile o sulla fondatezza di ogni accusa penale formulata nei suoi confronti. La sentenza deve essere resa pubblicamente, ma l’accesso alla sala d’udienza può essere vietato alla stampa e al pubblico durante tutto o parte del processo nell’interesse della morale, dell’ordine pubblico o della sicurezza nazionale in una società democratica, quando lo esigono gli interessi dei minori o la protezione della vita privata delle parti in causa, o, nella misura giudicata strettamente necessaria dal tribunale, quando in circostanze speciali la pubblicità possa portare pregiudizio agli interessi della giustizia.↩︎

  12. Cfr. pt. 128 della sentenza in commento: si veda la sentenza resa nel caso Perdigão c. Portogallo del 16 novembre 2010 e quella resa del caso Chorbadzhiyski e Krasteva c. Bulgaria del 2 aprile 2020.↩︎

  13. Cfr. pt. 129 della sentenza in commento.↩︎

  14. Cfr. pt. 130 della sentenza in commento.↩︎

  15. Cfr. pt. 132-133 della sentenza in commento.↩︎

  16. Cfr. pt. 133 della sentenza in commento.↩︎

  17. Cfr. pt. 63 e 135 della sentenza in commento.↩︎

  18. Cfr. pt. 134 della sentenza in commento. In argomento, cfr. il secondo paragrafo del presente scritto.↩︎

  19. Cfr. pt. 136 della sentenza in commento.↩︎

  20. Art. 37 del D.P.R. n. 131 del 26 aprile 1986.↩︎

  21. Con il temperamento che sono fatti salvi il conguaglio, da un lato, o il rimborso, dall’altro a seguito di successiva sentenza passata in giudicato. Secondo la giurisprudenza, la riforma totale o parziale, nel successivo corso del giudizio e fino alla formazione del giudicato, della sentenza non si riflette sul tributo liquidato sulla sentenza riformata, ma fa sorgere un autonomo diritto al rimborso, che deve essere azionato in modo autonomo (Cass. 29 maggio 2006, n. 12757).↩︎

  22. Se la sentenza enuncia un atto non registrato, deve essere tassato anche l’atto enunciato perché, attraverso l’enunciazione, quell’atto riceve indirettamente i benefici della registrazione.↩︎

  23. Cfr. la sentenza resa nel caso Černius e Rinkevičius c. Lithuania del 18 giugno 2020↩︎

  24. Si pensi alla frequente ipotesi di incapienza della parte soccombente.↩︎

  25. Cfr. la sentenza resa nel caso Perdigão c. Portogallo del 16 novembre 2010.↩︎

  26. Cfr. la sentenza resa nei casi Stankov c. Bulgaria del 12 luglio 2007, Agromodel OOD e Mironov v. Bulgaria del 24 settembre 2009, Chorbadzhiyski e Krasteva c. Bulgaria del 2 aprile 2020, Laçi c. Albania, del 19 ottobre 2021, Nalbant e altri c. Turchia del 3 maggio 2022.↩︎

  27. Cfr. la sentenza in commento, ed in particolare il punto 133: “During that period the average annual per capita income in Bulgaria was between BGN 3,748 (EUR 1,917) and BGN 4,541 (EUR 2,322) (see paragraph 67 above). In all cases the court fees paid by the applicants therefore significantly exceeded the country’s annual per capita income, in some cases reaching levels many times higher. The Court is aware that the average annual income is a measure only remotely indicative of the value of the work necessary for deciding any particular case, as the volume and complexity of a case could vary significantly. Still, as the parties have not argued that the appeals for which the disputed court fees were charged required work of exceptional volume or complexity, the average annual income could help in assessing the proportionality of those court fees”.↩︎

  28. Cfr. pt da 55 a 63 della sentenza in commento, ove viene delineato il sistema bulgaro delle spese di giudizio nei procedimenti civili, ed in particolare il punto 59: “Court fees are set at 4% of the value of the claim for proceedings before a first-instance court and 2% of the value of the claim for examination on appeal or in cassation proceedings. There is no upper limit, and the national courts have no discretion in the matter”.↩︎

  29. Cfr. le sentenze rese nei precitati casi Černius e Rinkevičius c. Lithuania del 18 giugno 2020 e Stankov c. Bulgaria del 12 luglio 2007, nonché nei casi Klauz c. Croazia del 18 luglio 2013 e Jakutavičius c. Lituania del 13 febbraio 2024.↩︎

  30. Rilevato tramite analisi statistiche.↩︎

  31. Cfr. il provvedimento n. 4900/03 dell’11 dicembre 2003 del C.d.S.: “Non appare, infatti, fondata l’obiezione sollevata dal Ministero della Giustizia in ordine alla circostanza che le disposizioni del predetto articolo 208 del Testo Unico sarebbero preordinate a disciplinare esclusivamente la competenza degli uffici giudiziari per ciò che concerne il recupero delle spese processuali. Proprio le disposizioni della Parte VII del Testo Unico, riguardanti le”riscossioni”, e in ispecie quelle contenute nel titolo I, recante le disposizioni generali, portano a concludere che, in realtà, le riscossioni di cui si tratta non si riferiscono soltanto alle ipotesi di recupero delle spese processuali in senso stretto, tra cui quelle relative all’ammissione al patrocinio a spese dello Stato, ma si riferiscono pure al complesso delle spese in qualche modo “connesse” al processo, come quelle relative alle pene pecuniarie, alle sanzioni amministrative ed anche, per quanto riguarda il processo penale, alle spese di mantenimento dei detenuti. In quest’ottica, il mancato esplicito riferimento ad un caso particolare dell’imposta di registro prenotata a debito non sembra possa assumere valore determinante, ai fini di escludere la competenza degli uffici giudiziari, soccorrendo in proposito l’attribuzione a tali uffici del compito della riscossione in base al già ricordato articolo 208 del Testo Unico, che si pone come norma di chiusura, essendo sempre applicabile “se non diversamente stabilito in modo espresso”.↩︎

  32. Per spese processuali si intendono le spese necessarie al funzionamento del processo: tra esse rientrano certamente il contributo unificato, il diritto di copia, il diritto di notifica, le anticipazioni forfettarie.↩︎

  33. L’art. 208 citato, rubricato “Ufficio competente”, dispone al primo comma quanto segue: “Se non diversamente stabilito in modo espresso, ai fini delle norme che seguono e di quelle cui si rinvia, l’ufficio incaricato della gestione delle attività connesse alla riscossione è così individuato: a) per il processo civile, amministrativo e tributario è quello presso il magistrato, diverso dalla Corte di cassazione, il cui provvedimento è passato in giudicato o presso il magistrato il cui provvedimento è divenuto definitivo; b) per il processo penale è quello presso il giudice dell’esecuzione; (b-bis) in tutte le altre ipotesi è quello presso la corte d’appello di Roma.↩︎

  34. L’art. 213 citato, rubricato “Iscrizione a ruolo”, dispone che “L’ufficio procede all’iscrizione a ruolo scaduto inutilmente il termine per l’adempimento, computato dall’avvenuta notifica dell’invito al pagamento e decorsi i dieci giorni per il deposito della ricevuta di versamento”.↩︎

  35. Cfr. G. A. Micheli, Corso di diritto tributario, 1991, p. 488 ss.↩︎

  36. L’art. 200 citato, rubricato “Applicabilità della procedura nel processo penale”, dispone che “Secondo le disposizioni di questa parte sono recuperate le spese processuali penali, le sanzioni amministrative pecuniarie e le spese di mantenimento dei detenuti, nonché le spese nei casi di ammissione al patrocinio a spese dello Stato”.↩︎

  37. L’art. 201 citato, rubricato “Applicabilità della procedura nel processo civile, amministrativo, contabile e tributario”, sancisce che “Secondo le disposizioni di questa parte sono recuperate le spese processuali nei casi di ammissione al patrocinio a spese dello Stato”.↩︎

  38. L’art. 202 citato, rubricato “Applicabilità della procedura alle sanzioni pecuniarie processuali”, sancisce quanto segue: “Secondo le disposizioni di questa parte sono recuperate le somme dovute, in base alle norme del codice di procedura civile e del codice di procedura penale, per sanzioni pecuniarie o per condanna alla perdita della cauzione o in conseguenza della dichiarazione di inammissibilità o di rigetto di una richiesta sulla base di provvedimenti non più revocabili”.↩︎

  39. Cfr. pt. 6 della dissenting opinion.↩︎

  40. Cfr. pt. 7 della dissenting opinion.↩︎

  41. We admit that a lack of a cap on the court fees in respect of very large claims may be problematic in some circumstances, but in our view the present case did not come close to that: cfr. pt. 9 della dissenting opinion.↩︎

  42. Cfr. pt. 10 della dissenting opinion.↩︎

  43. Also, court fees are usually payable to the State budget, not retained by the courts. In this sense court fees, as any fees payable to the State budget, are very similar to taxes. Taxation is an area where the States enjoy a wide margin of appreciation.: cfr. pt. 10 della dissenting opinion.↩︎