Studi Tributari Europei. Vol.13 (2023)
ISSN 2036-3583

Nullità del negozio giuridico e diritto alla detrazione IVA

La Corte di Giustizia precisa la questione

Rossella MiceliUniversità di Roma la Sapienza (IT)

Professoressa Ordinaria di diritto tributario

Lorenzo PennesiUniversità di Roma la Sapienza (IT)

Dottore di ricerca in diritto tributario

Pubblicato: 2024-07-31

Nullity of the legal transaction and right to VAT deduction. The Court of Justice clarifies the question

Abstract

The ruling of the European Court of Justice, 25th May 2023, C-114/22 establishes that the prohibition on the deduction of VAT as a consequence of the declared nullity of a legal transaction pursuant to domestic legislation is incompatible with European law (for example by simulation in the expression of will connected to the sale of an asset). The principle of effectiveness that permeates the EU legal system admits that the neutrality of VAT can only be limited where the right to deduction has been exercised fraudulently or abusively by the taxpayer.

La sentenza della Corte di Giustizia dell’Unione Europea, 25 maggio 2023, C-114/22 stabilisce che è incompatibile con il diritto europeo il divieto alla detrazione dell’IVA quale conseguenza della dichiarata nullità di un negozio giuridico ai sensi della normativa domestica (ad esempio per simulazione nella manifestazione di volontà collegata alla cessione di un bene). Il principio di effettività che permea l’ordinamento unionale ammette che la neutralità del tributo possa retrocedere solo ove il diritto alla detrazione sia stato esercitato in modo fraudolento ovvero abusivo da parte del soggetto passivo.

Keywords: VAT; right of deduction; national prohibition; nullity of agreement; incompatibility european law.

1 Premessa1

L’esercizio del diritto alla detrazione - così come regolato dalla ormai risalente direttiva 77/388/CEE, oggi confluita nella direttiva 2006/112/CE - costituisce pietra angolare del sistema impositivo in materia di IVA2, tanto da aver condotto la Corte di Giustizia dell’Unione Europea, nel corso degli anni, ad approfondirne con frequenza le modalità di funzionamento ed i correlati limiti applicativi3.

La Corte, come noto, ha contribuito ad enucleare in maniera sistematica e puntuale i tratti essenziali dell’IVA, ritraendo dai Trattati e dalle direttive gli strumenti interpretativi per assicurare una funzionale ed uniforme fase di attuazione del tributo nei Paesi Membri4.

La recente pronuncia della Sez. X della Corte, del 25 maggio 2023, C-114/22 si inserisce in questo contesto e, mediante solide argomentazioni, fissa alcuni fondamentali principi in ordine agli effetti delle invalidità negoziali sul diritto alla detrazione IVA.

Il tema è correlato in via diretta al compimento di atti di autonomia privata, rilevanti ai sensi degli artt. 41 e 53 Cost., in quanto finalizzati alla circolazione della ricchezza5.

Invero, atteso che il diritto alla detrazione IVA può essere pacificamente disconosciuto dall’Amministrazione finanziaria nazionale se l’operazione economica cui afferisce non esiste ovvero se esso viene invocato in maniera fraudolenta ed abusiva, è legittimo interrogarsi se tale facoltà sussista anche nel caso in cui l’operazione negoziale da cui il diritto scaturisce sia affetta da invalidità (in specie, nullità) per ragioni non fiscali, ma afferenti alla violazione della normativa domestica di diritto civile6.

Nella sentenza citata, sulla scorta della questione oggetto del rinvio pregiudiziale, la Corte di Giustizia mette a fuoco con grande lucidità la funzione del diritto alla detrazione nel sistema impositivo IVA , riepilogando le cause che possono giustificare un arretramento del principio di neutralità che regge il tributo e, quindi, la negazione del diritto alla detrazione, chiarisce che esse, almeno in via generale, non ricomprendono anche eventuali patologie che affliggono il negozio privato.

Nella prospettiva interpretativa adottata dalla Corte, la nullità di un contratto di cessione di marchi, pur riconosciuta la simulazione dello stesso ai sensi del codice civile polacco, non implica l’inesistenza materiale dell’operazione né, tantomeno, che essa fosse parte di un più ampio disegno evasivo del contribuente; ne consegue l’incompatibilità della norma tributaria nazionale che nega il diritto alla detrazione sulla base della mera inefficacia civilistica del negozio giuridico7.

La pronuncia in esame, pur connotandosi per un’attitudine tipicamente ricognitiva rispetto al vigente acquis comunitario in materia di IVA, giacché procede alla puntuale disamina delle norme europee esistenti (in specie degli artt. 63, 167, 168 e 273 della direttiva 2006/112/CE) e dei propri precedenti giurisprudenziali, perviene a conclusioni nuove ed apprezzabili, in quanto introduce una precisa linea di demarcazione tra le invalidità negoziali ed il comparto IVA, ridimensionando le interferenze tra i due ambiti secondo una prospettiva di tipo funzionale, che salvaguarda l’effettività e la neutralità dell’imposta8.

Una riflessione sulla sentenza in epigrafe permette così di comprendere la disciplina della detrazione IVA nel caso di nullità del contratto su cui trova fondamento l’operazione economica.

Seguendo il medesimo iter argomentativo proposto dalla Corte di Giustizia, l’analisi verrà effettuata illustrando dapprima la funzione ed il contenuto del diritto alla detrazione IVA, per poi esaminare i limiti all’esercizio di tale diritto nell’ordinamento europeo in presenza di operazioni fraudolente od abusive e pervenire, infine, all’esame degli effetti prodotti da un negozio nullo sul meccanismo applicativo IVA.

Alla luce di questa ricostruzione, accogliendo le condivisibili argomentazioni espresse dalla pronuncia annotata, si comprenderà come l’invalidità del negozio giuridico non possa - di per sé - costituire una autonoma causa di diniego del diritto di detrazione, dovendo sempre essere dimostrata l’afferenza della rilevata invalidità ad una più ampia pratica abusiva o fraudolenta, di cui è parte consapevole il soggetto passivo IVA.

2 Il diritto alla detrazione nel sistema impositivo dell’IVA: profili generali

La neutralità dell’imposizione fiscale sulla circolazione di beni e servizi è elemento fondamentale per assicurare il corretto funzionamento del mercato unico europeo che, evidentemente, risentirebbe della adozione di differenti imposte indirette sulle operazioni economiche all’interno di ogni Stato Membro9.

La suddetta neutralità è stata perseguita attraverso l’introduzione dell’IVA che si connota per un peculiare meccanismo applicativo nella attuazione del prelievo fiscale, in grado di non incidere le attività economiche nelle fasi antecedenti a quella di destinazione al consumo.

Il diritto alla detrazione costituisce, pertanto, l’elemento cardine del sistema IVA giacché consente di qualificare tale tributo quale imposta plurifase non cumulativa, neutrale in tutte le fasi di produzione e scambio nel ciclo economico10.

Invero, a mezzo dell’esercizio della detrazione, i soggetti passivi IVA (operatori economici) non sono onerati dal peso del tributo, in quanto tenuti a corrispondere all’Erario soltanto un importo pari alla differenza tra l’IVA dovuta e quella già stata assolta o addebitata (come statuito dall’art. 3, par. 1, della direttiva 2006/112/CE)11.

Il diritto alla detrazione sorge, ai sensi dell’art. 167 della direttiva 2006/112/CE, nel momento di effettuazione della operazione e rimane acquisito dal soggetto passivo anche ove quest’ultimo non possa avvalersi dei beni o servizi acquistati per circostanze estranee alla sua sfera volitiva12.

In sostanza, lo strumento della detrazione, unitamente al correlato meccanismo giuridico della rivalsa, evita che il tributo possa gravare sui singoli operatori economici, a prescindere dai risultati delle rispettive attività, purché le operazioni poste in essere siano soggette ad IVA e non rappresentino autonomi atti di consumo13.

Le possibilità di negare l’esercizio di questo diritto, ove ricorrano i presupposti di legge per l’imposizione ai fini IVA, sono quindi estremamente contingentate, sia per il legislatore domestico che per l’Amministrazione finanziaria, in quanto alla mancata detrazione corrisponde una tassazione definitiva in capo al singolo operatore economico che prescinde dal consumo, così alterando il meccanismo di funzionamento dell’IVA e conseguentemente la neutralità dell’imposizione sulle attività economiche14.

3 I limiti alla detrazione IVA nell’ordinamento europeo e domestico

Appurato che il diritto alla detrazione svolge una funzione irrinunciabile nel sistema impositivo dell’IVA, è necessario verificare in quali casi esso possa essere negato al soggetto passivo senza violare il principio di neutralità dell’imposizione.

Sul punto, come si desume dalla sentenza della Corte di Giustizia in commento, non sussistono norme di diritto positivo che identifichino, in via generale ed astratta, una serie di fattispecie in cui l’operatore economico possa essere legittimamente privato di questo diritto.

Al contrario, tali circostanze, frutto di una ricostruzione esegetica della disciplina IVA, possono essere evinte (i) dall’esame dei requisiti formali e sostanziali dell’IVA, come fissati dalla direttiva 2006/112/CE, (ii) nonché dai principi generali fissati dalla giurisprudenza della stessa Corte di Giustizia per evitare un utilizzo fraudolento o abusivo delle norme dell’Unione Europea.

Procediamo per gradi.

3.1 La mancata realizzazione effettiva dell’operazione imponibile

L’esercizio del diritto alla detrazione soggiace alla esistenza di una serie di requisiti indicati dagli artt. 63, 167 e 168 della direttiva 2006/112/CE.

Invero, come posto in debita evidenza dalla sentenza qui annotata, la detrazione presuppone la realizzazione di una operazione imponibile a fini IVA, che implica, a propria volta, la contestuale sussistenza di tre elementi: il soggetto interessato deve avere la natura di soggetto passivo IVA, i beni e/o servizi acquistati devono essere impiegati nella successiva fase del ciclo economico e, infine, tali beni e/o servizi acquistati devono pervenire da un altro soggetto passivo15.

La presenza dei requisiti citati realizza la neutralità dell’imposizione fiscale per le attività economiche coinvolte16.

In specie, quanto alla soggettività passiva richiesta per coloro che operano ai due estremi della singola operazione economica, l’art. 9 della direttiva 2006/112/CE dispone che è soggetto IVA chiunque svolga una attività economica in modo indipendente, rilevando a tal fine anche il compimento di atti meramente preparatori17. Questi ultimi risultano infatti teleologicamente collegati, attraverso un preciso nesso funzionale, all’effettivo svolgimento di una attività volta alla produzione e allo scambio di beni e/o servizi sul mercato e pertanto, pur non configurando una attività economica in senso stretto, permettono di rilevare la soggettività passiva IVA dell’operatore economico sin dal momento del loro compimento18.

Quanto al requisito dell’impiego, l’art. 168 della direttiva 2006/112/CE subordina la detrazione alla sussistenza di un nesso immediato e diretto tra le operazioni di acquisto passive e le operazioni imponibili attive situate a valle del ciclo economico19. L’esistenza di un siffatto rapporto, anche se solo indiretto, tra le operazioni imponibili site a monte del ciclo economico con quelle site a valle appare irrinunciabile giacché una indebita interruzione del rapporto di reciproca afferenza determinerebbe una alterazione del meccanismo IVA ed un’illegittima incisione di una fase economica diversa da quella del consumo20.

Al ricorrere di tutti gli elementi suindicati, l’IVA è detraibile, ai sensi dell’art. 63 della direttiva 2006/112/CE, nel momento in cui l’operazione imponibile è effettuata sul piano materiale atteso che in questo momento sorge anche il diritto di credito per l’Erario (c.d. immediatezza del diritto alla detrazione IVA)21.

L’effettiva attuazione dell’operazione rilevante ai fini del tributo, che deve emergere sul piano giuridico e fenomenico, è infatti circostanza essenziale per poter procedere alla detrazione giacché l’IVA assolta a monte non inciderà sulle attività del soggetto passivo solo se quest’ultimo ha possibilità di procedere alla detrazione nel momento in cui realizza l’operazione imponibile22.

Come correttamente rileva la Corte di Giustizia nella sentenza qui annotata, la mancata esecuzione di una operazione reputata imponibile ai sensi della normativa IVA, per assenza dei presupposti sostanziali ovvero per apparente realizzazione della cessione di beni o prestazione di servizi, osta pertanto al sorgere del diritto alla detrazione23.

In questa circostanza, il diritto non può essere evidentemente riconosciuto perché non risulta integrato il presupposto dell’imposta, non potendosi (né dovendosi) rendere neutrali passaggi intermedi del ciclo di produzione che non risultano realizzati e che quindi sono sprovvisti di qualsivoglia collegamento con le operazioni tassate a valle, per carenza di effettività24.

Sul punto, la giurisprudenza europea ha costantemente chiarito che la sussistenza dei presupposti utili alla detrazione e, quindi, l’effettiva esistenza dell’operazione imponibile, deve essere dimostrata dal soggetto passivo, secondo le regole domestiche in tema di onere della prova25.

Ne consegue, in definitiva, che il diniego alla detrazione trova un primo ed insuperabile limite nella mancata esecuzione, sul piano materiale, dell’operazione imponibile che è invocata a fondamento del diritto esercitato.

3.2 L’utilizzo del diritto alla detrazione nell’ambito di operazioni fraudolente o abusive

Nell’ipotesi in cui il soggetto passivo abbia effettivamente realizzato una operazione rilevante ai fini IVA, nei termini dinanzi illustrati, il diritto alla detrazione dovrebbe risultare – almeno in via generale – acquisito e non più contestabile.

La giurisprudenza della Corte di Giustizia, come emerge anche dalla pronuncia in esame, ha tuttavia posto un ulteriore e rilevante limite all’esercizio del diritto sopra citato, che trova fondamento nella più ampia esigenza di tutelare gli interessi finanziari dei Paesi Membri e della stessa Unione Europea, in ossequio all’art. 325 TFUE ed al principio di sussidiarietà di cui all’art. 5 TUE26.

Invero, il diritto alla detrazione può essere negato dall’Amministrazione finanziaria nazionale ovvero dall’Autorità giudiziale, anche in assenza di una specifica norma di diritto positivo, qualora esso sia invocato dal contribuente in costanza di un disegno fraudolento o abusivo, tale da arrecare un danno al comune interesse fiscale, nazionale ed europeo27.

La sussistenza dei presupposti sostanziali e formali non costituisce, infatti, condizione sufficiente per la detrazione dell’IVA assolta sulle operazioni passive in quanto il diritto va ascritto in un più ampio contesto giuridico, nel quale è necessario valorizzare – secondo un apprezzamento casistico e di ordine soggettivo - tanto la condotta posta in essere dal contribuente, quanto la legittimità degli intenti che si intendono perseguire mediante l’esercizio del diritto28.

In specie, la distinzione tra evasione per operazioni fraudolente ovvero abuso del diritto, compiuta anche dalla sentenza in commento, assume massima importanza sia al fine di distinguere gli elementi costitutivi delle condotte illecite che giustificano il diniego della detrazione che, soprattutto, comprendere in quali fattispecie il contribuente perde il diritto alla neutralità garantito dall’imposta.

La prima tipologia di condotta illecita attiene al compimento di operazioni fraudolente, aventi la sola finalità di procedere all’evasione dell’IVA.

Si ascrivono in questa categoria quelle operazioni economiche, generalmente strutturate su più livelli e con coinvolgimento di più soggetti, che hanno l’intento esclusivo di determinare il passaggio del bene al consumo senza che esso subisca imposizione ovvero, in alternativa, di generare una imposizione solo apparente (i.d. l’operazione è assoggettata ad IVA nell’ultimo passaggio ma è assente un anello precedente della catena di operazioni imponibili)29.

Le c.d. “frodi carosello” ne costituiscono l’esempio più eclatante, tanto che la Corte di Giustizia dell’Unione Europea, preso atto dell’assenza di una specifica disciplina di contrasto in seno alla direttiva 2006/112/CE, è intervenuta con una copiosa elaborazione giurisprudenziale per coprire la lacuna, sanzionando con il diniego alla detrazione tanto gli operatori economici che ne sono parte attiva, quanto coloro che “sapevano o avrebbero dovuto sapere” che l’operazione effettuata si iscriveva in una frode ai fini IVA30.

La seconda categoria di condotte illecita presenta invece margini più ampi e indefiniti giacché attiene a tutte quelle operazioni che configurano un abuso del diritto in quanto effettuate dal contribuente in assenza di ragioni economicamente apprezzabili, al solo fine di conseguire un risparmio d’imposta che non sarebbe stato altrimenti ottenuto con l’impiego di ordinari strumenti giuridici31.

In altri termini, qualora il soggetto passivo ponga in essere una operazione che rappresenti una deviazione artificiale rispetto agli standard di mercato e che quindi, sebbene formalmente conforme alla legge, risulti solo finalizzata ad abbattere l’IVA da versare, il diritto alla detrazione può essere disconosciuto32.

Invero, sebbene sia del tutto legittimo per il contribuente dare esecuzione, tra varie opzioni possibili, all’operazione che determini un minor pagamento di IVA, tale scelta deve comunque essere razionale e coerente con le dinamiche di mercato, non potendosi piegare il diritto alla detrazione a finalità non previste dalla direttiva 2006/112/CE33.

Emerge pertanto che il disconoscimento del succitato diritto, sia nell’ambito delle fattispecie evasive che di quelle abusive, può (e deve) ricorrere ogni qual volta esso sia invocato dall’operatore economico per perseguire un intento contrario allo spirito dei principi europei e della direttiva 2006/112/CE, risultando idoneo ad interferire con la realizzazione di una fiscalità neutrale nell’imposizione sugli scambi nello spazio economico dell’Unione34.

4 La nullità negoziale e l’IVA

Dalla ricostruzione che precede si evince che la giurisprudenza europea non ha esaminato - almeno in via diretta - il rapporto tra le invalidità negoziali e l’IVA, così da chiarire se i criteri di nullità stabiliti dal diritto civile possano costituire causa legittima di diniego del diritto alla detrazione.

Prima di esaminare le argomentazioni sul tema spese dalla sentenza annotata, appare opportuna qualche riflessione di sistema circa l’impatto che le invalidità negoziali (in particolare la nullità) hanno nella dinamica applicativa dell’IVA.

In via generale preme evidenziare che il paradigma delle invalidità negoziali è comune a tutti gli ordinamenti giuridici dell’Unione Europea di stampo continentale (in specie, italiano, tedesco, francese e spagnolo), essendo frutto della comune matrice romanistica del diritto35.

Le nullità rappresentano il più elevato livello di inefficacia del negozio, causato da un difetto strutturale ed irrecuperabile della fattispecie giuridica, che ne impedisce la produzione di effetti rilevanti per le parti contraenti e per l’ordinamento stesso, reagendo a programmazioni negoziali incompatibili con i valori espressi dalla legge (ad esempio, per contrarietà a norma imperativa o al buon costume)36.

Come rilevato in dottrina, il giudizio di invalidità del negozio risulta pertanto destinato ad incidere innanzitutto sul piano degli effetti giuridici atteso che esso viene totalmente privato della tutela che sarebbe stata altrimenti accordata ove l’atto di autonomia privata avesse mostrato di essere rispondente ai crismi dettati dal modello legale37.

Sennonché, ed è questo l’aspetto rilevante ai fini delle interrelazioni con l’IVA, il negozio nullo può comunque essere eseguito dalle parti sul piano materiale, con l’effetto che – a fini fiscali – l’operazione potrebbe essere comunque imponibile poiché idonea ad integrare i presupposti fissati dalla norma tributaria, determinando uno spostamento di ricchezza rilevante ai sensi dell’art. 53 Cost.38.

La direttiva 2006/112/CE affronta la questione da un’unica prospettiva, prevedendo all’art. 90, par. 1, che, in caso di invalidità dell’accordo negoziale su cui si fonda l’operazione imponibile, “la base imponibile è debitamente ridotta alle condizioni stabilite dagli Stati Membri”.

La norma stabilisce dunque che l’invalidità del negozio giuridico può giustificare un abbattimento della base imponibile - e quindi del tributo da versare all’Erario - ma ciò a condizione che il credito IVA sia irrecuperabile per il soggetto passivo in ragione della invalidità dell’accordo negoziale, sulla scorta del principio che “l’Amministrazione fiscale non può riscuotere a titolo dell’IVA un importo superiore a quello percepito dal soggetto passivo”39.

La reazione dell’ordinamento europeo alla invalidità del negozio è quindi collegata, sostanzialmente, alla possibilità di variare in diminuzione la base imponibile, sino a coprire l’intero importo da versare ai fini IVA, quale conseguenza della diminuzione del prezzo pattuito nell’atto dichiarato invalido. In altri termini, al fine di conservare la neutralità del tributo, è concessa la facoltà di diminuire l’importo dell’IVA dovuta qualora, dopo il compimento di una operazione invalida (ad esempio dichiarata nulla), il corrispettivo non venga – totalmente o parzialmente – percepito dal soggetto passivo40.

La direttiva 2006/112/CE, in questa prospettiva, interviene sulla sola determinazione dell’imposta in presenza di un corrispettivo non pagato ma non prevede alcuna conseguenza circa il diritto alla detrazione esercitabile dal soggetto passivo, che soggiace alle regole ordinarie fissate dagli artt. 63, 167 e 168.

In altri termini, ove il corrispettivo sia stato pagato anche in costanza di un contratto dichiarato invalido, il diritto alla detrazione spettante al soggetto passivo non ne risulterebbe caducato.

Le considerazioni che precedono non mutano ove, spostando il piano di analisi sul solo ordinamento domestico, si voglia verificare come il legislatore e l’Amministrazione finanziaria gestiscano l’analoga fattispecie.

Invero, ai sensi dell’art. 26, comma 2, del d.p.r. n. 633/1972, se un’operazione per la quale sia stata emessa fattura viene caducata per invalidità, il soggetto passivo è chiamato ad operare una variazione, da registrarsi ai sensi dell’art. 25, provvedendo comunque alla detrazione corrispondente41.

La prassi dell’Amministrazione finanziaria, sul punto, ha precisato che la nota di variazione può essere emessa a partire dal momento in cui si verifica la risoluzione di diritto del rapporto negoziale senza che rilevi, in alcun modo, un formale atto di accertamento, negoziale o giudiziale, dell’evento42.

Prescindendo dalle problematiche temporali che la caducazione di un contratto per nullità comporterebbe circa il decorso dei termini per la presentazione della nota di variazione IVA, che esulano dallo scopo del presente approfondimento, si rileva che, anche nell’ordinamento italiano, il diritto alla detrazione non subisce interferenze dirette dalla patologia civilistica che attiene all’operazione negoziale.

Ciò è reso particolarmente evidente da una circostanza nota: il compimento di operazioni economiche illecite e nulle sul piano del diritto civile poiché contrarie a norma imperativa, si pensi alla cessione onerosa di una automobile oggetto di furto, integrano comunque il presupposto IVA, che dovrà essere regolarmente versata all’Erario43.

Invero, in relazione a tale profilo ed in ragione dei chiarimenti offerti dalla Corte di Giustizia dell’Unione Europea, è oggi consolidata nella giurisprudenza di legittimità la tesi per la quale, in presenza di operazioni che avvengono in un contesto concorrenziale, pur se afferenti ad attività illecite, l’IVA è dovuta, con il riconoscimento del diritto alla detrazione44.

L’effettività dell’operazione economica e la capacità contributiva espressa assumono un primario rilievo ai fini fiscali e trascendono pertanto la reazione di disvalore espressa dal diritto civile.

Ne consegue, in sostanza, che l’eventuale nullità del contratto non sembra intaccare l’ordinario meccanismo applicativo dell’IVA, conservando il diritto alla detrazione ove il soggetto passivo ponga in essere un’operazione imponibile nel mercato concorrenziale.

5 La posizione espressa dalla Corte di Giustizia dell’Unione Europea

La sentenza in commento affronta in maniera lineare la problematica posta dal rapporto tra patologia negoziale e diritto alla detrazione IVA, valorizzando le argomentazioni che si sono dinanzi illustrate. In specie, la Corte di Giustizia, facendo leva sui propri precedenti giurisprudenziali, sviluppa un ragionamento che appare solido e condivisibile sia nelle premesse che negli esiti.

La premessa è nota: la non genuina manifestazione della volontà di concludere un affare determina, nell’ordinamento polacco, l’irrimediabile nullità del negozio giuridico e, sul piano fiscale, ciò si traduce nella conseguente impossibilità di detrarre l’IVA per una espressa previsione normativa tributaria45. Il giudice polacco del rinvio ha palesato, tuttavia, seri dubbi circa la compatibilità di questa previsione con la disciplina europea dell’IVA atteso che l’automatismo tra la nullità negoziale e il diniego della detrazione non pare trovare espresso fondamento né nel sistema applicativo strutturato dalla direttiva 2006/112/CE né nella giurisprudenza della Corte di Giustizia.

La prima analisi da effettuare, come si è visto, attiene all’effettiva realizzazione dell’operazione imponibile invocata a fondamento del diritto alla detrazione in quanto dalla simulazione del rapporto potrebbe discendere la non genuina esecuzione della cessione di beni immateriali e quindi l’inesistenza della operazione economica presupposta dal tributo. L’onere della prova spetta al soggetto passivo IVA, il quale deve dimostrare, ove voglia esercitare il succitato diritto, che i beni e servizi gli siano stati effettivamente ceduti nell’operazione a monte e che l’IVA ivi assolta abbia contribuito alla realizzazione di ulteriori operazioni imponibili a valle46.

In secondo luogo, quale alternativa, il diritto alla detrazione può essere comunque negato se il soggetto passivo ha inteso porre in essere un disegno evasivo ovvero abusivo, così da arrecare un pregiudizio al comune interesse fiscale del Paese Membro e dell’Unione.

Anche su questo punto, è stato debitamente evidenziato come le distinte nozioni di evasione fiscale e abuso del diritto si caratterizzino, nella prospettiva della Corte di Giustizia, per la sussistenza di specifici elementi strutturali, che esprimono un diverso atteggiarsi della condotta illecita del contribuente a fronte del medesimo obiettivo di risparmio fiscale e che devono ricorrere nella fattispecie concreta. L’intento fraudolento nel caso di una operazione volta all’evasione dell’IVA, ovvero il compimento di atti sprovvisti di ragioni economiche diverse dal mero risparmio fiscale nel caso dell’abuso del diritto, costituiscono elementi irrinunciabili per giustificare una deroga alla neutralità del tributo47.

Ne consegue, quale immediato corollario, che la Corte di Giustizia non ammette un rapporto di conseguenzialità tra invalidità negoziale e indetraibilità dell’IVA – secondo un paradigma di immediato automatismo negli effetti - poiché l’eventuale nullità del negozio (per simulazione nel caso che qui interessa) esprime un giudizio di disvalore secondo crismi propri del diritto civile che non presentano lo stesso rilievo sul piano fiscale48.

La centralità espressa dal diritto alla detrazione nel meccanismo applicativo dell’IVA ammette deroghe solo ove sia necessario ripristinare la neutralità dell’imposta e tutelare gli interessi erariali49 e non già ove sia necessario reagire ad un vulnus attinente all’assetto di interessi relativo alla sfera negoziale dello ius privatorum50.

Pertanto, la norma polacca che prevede l’indetraibilità dell’IVA assolta sull’operazione nulla in quanto simulata risulta incompatibile con i principi espressi dalla direttiva 2006/112/CE nonché con i principi di neutralità fiscale e proporzionalità.

6 Considerazioni di sistema sulla detrazione IVA e l’invalidità del negozio giuridico

Le argomentazioni sviluppate dalla Corte di Giustizia assumono un importante valore di sistema poiché declinano nel settore impositivo dell’IVA un tema noto alla dottrina: comprendere in che misura il diritto civile condizioni ed influenzi l’obbligazione tributaria51.

Invero, la materia tributaria ricorre con frequenza agli istituti e alle regole di diritto civile atteso che quest’ultimo costituisce un c.d. “diritto comune”, che funge da sostrato giuridico per lo sviluppo di altri ordinamenti paralleli ed equi-ordinati, che da esso traggono le proprie categorie concettuali per poi rielaborarle in autonomia e secondo le proprie esigenze52.

Con espresso riferimento al dialogo tra le regole del comparto civilistico e quelle del diritto tributario appare oggi pacifico che esso non possa essere ricondotto, in maniera univoca, ad un rapporto di piena sinergia ovvero di totale antagonismo giacché i due ambiti si muovono all’interno di un perimetro a geometria variabile, nel quale le regole di diritto civile risultano talvolta essenziali per l’attuazione della disciplina fiscale (si pensi, ad esempio, alle regole in tema di solidarietà tributaria) mentre, in altri casi, il legislatore tributario reclama una propria autonomia (si pensi, invece, alla soggettività tributaria).

Traslando il tema sul piano del diritto dell’Unione Europea e, in specie, dei tributi armonizzati, emerge che le regole del diritto civile non solo non sono qui connotate da alcuna superiorità gerarchica ma, addirittura, esse devono retrocedere dinanzi alla sostanza economica dell’operazione negoziale e alla tutela del mercato concorrenziale, che costituiscono l’unico filtro utile per selezionare le regole effettivamente mutuabili dal comparto civile53.

In tale prospettiva diviene chiaro che la complessità applicativa del sistema IVA, come plasmato dalle fonti legislative dell’Unione Europea (direttiva 2006/112/CE in specie) e dalle numerose pronunce della Corte di Giustizia, osta ad una automatica applicazione, quasi in chiave osmotica, di consolidate categorie civilistiche (nullità, inefficacia, annullabilità).

In altri termini, le patologie civilistiche emergenti dalla contrarietà a norma imperativa - rappresentate nel caso specifico dalla nullità del negozio per simulazione della cessione del marchio - non coincidono con le patologie che consentono una preclusione al diritto alla detrazione IVA, le quali si configurano nell’inesistenza dell’operazione imponibile, nella frode ovvero nell’abuso del diritto54.

Il diniego del diritto alla detrazione poggia infatti sul principio di effettività, in forza del quale ogni disposizione in materia di IVA deve essere interpretata ed applicata in misura tale da assicurare la neutralità degli scambi economici; per l’effetto, la patologia del rapporto di imposta sorge non già in costanza di ogni illecito, ma solo quando la condotta del soggetto passivo possa compromettere la neutralità del tributo e quindi la regolare riscossione dell’imposta55.

Atteso che solo l’inesistenza materiale dell’operazione imponibile ovvero condotte evasive od elusive hanno la capacità di inficiare la legittimità del diritto alla detrazione dell’IVA, poiché si genererebbe un vantaggio indebito in capo al soggetto passivo, contrario ai principi ispiratori del sistema IVA e alle regole fissate dalla direttiva 2006/112/CE, la nullità civilistica non può essere con essi confusa, poggiando su di un fondamento logico-giuridico del tutto diverso56.

Invero, la invalidità del negozio privato (e la nullità in particolar modo) rappresenta la principale sanzione comminata dall’ordinamento civile nei confronti di un assetto contrattuale reputato non meritevole di tutela, alla luce dei diversi interessi fissati dalla legge, e persegue una finalità specifica: reprimere le manifestazioni di volontà privata che contrastano con i principi ispiratori del patto sociale57.

Si comprende così come il diniego alla detrazione IVA possegga una natura giuridica estranea a questa funzione, essendo sprovvisto di un analogo connotato punitivo.

Come rilevato dalla giurisprudenza europea, tale diniego non ha infatti il carattere di una pena o di una sanzione, come intesa ai sensi dell’art. 7 della CEDU o dell’art. 49 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, giacché costituisce una conseguenza giuridica – rilevante sul piano prettamente fiscale – dell’assenza dei presupposti fissati dalla direttiva 2006/112/CE, in ossequio al principio di effettività, per poter beneficiare della neutralità del tributo58.

Ne consegue che l’invalidità del negozio civile e il disconoscimento del diritto alla detrazione si collocano su due piani distinti dell’ordinamento giuridico, che non risultano tangenti né tantomeno sovrapponibili per definizione poiché il disvalore giuridico dell’operazione negoziale (ad esempio, per contrarietà a norme imperative) non interferisce con la debenza dell’IVA e con il suo meccanismo applicativo.

Si condividono pertanto le conclusioni cui perviene la Corte di Giustizia con la pronuncia in commento: la patologia del negozio di diritto civile può costituire un utile indice di anomalia del rapporto d’imposta e può quindi condurre l’Amministrazione finanziaria nazionale a verificare se l’operazione imponibile sia stata condotta nel rispetto delle regole applicative fissate dalla direttiva 2006/112/CE ma non può mai giustificare, in via automatica, il diniego alla detrazione dell’IVA, dovendosi sempre esigere la prova oggettiva che esso sia stato esercitato in modo fraudolento ovvero abusivo.

7 Conclusioni

La Corte di Giustizia rende un precedente di estremo rilievo per la disciplina IVA, evidenziando la necessità che il diniego all’esercizio della detrazione non si poggi automaticamente sul riscontro di vizi di natura civilistica dei contratti sottostanti alle operazioni imponibili.

L’interpretazione offerta dalla Corte è sostenuta dal principio di effettività.

In tal senso l’esistenza e la realtà economica dell’operazione imponibile richiedono un riconoscimento del diritto alla detrazione; specularmente la limitazione del medesimo diritto deve essere subordinata ad una prova tangibile dell’inesistenza dell’operazione imponibile ovvero alla dimostrazione di un impiego abusivo o fraudolento del diritto invocato.

Si rileva, pertanto, come il diritto alla detrazione ed il suo disconoscimento rispondano in via esclusiva al sistema di valori espresso dall’IVA.

Ne consegue che saranno detraibili le imposte scontate su operazioni effettive - benché realizzate sulla base di contratti nulli da un punto di vista civilistico - e non lo saranno quelle assolte in relazione ad operazioni inesistenti o nell’ambito di piani evasivi o abusivi. In tali ultimi casi si impone una preclusione del diritto alla detrazione in quanto il predetto diritto avrebbe quale unico effetto quello di legittimare il conseguimento di un illegittimo risparmio d’imposta, alterando la neutralità del tributo e l’equilibrio del mercato. Questi ultimi costituiscono, infatti, i valori sottesi alla detrazione IVA, alla cui lesione l’ordinamento deve reagire con il diniego della detrazione stessa.

Con la sentenza in esame si chiarisce, pertanto, un passaggio importante nel sistema IVA.

Le invalidità dell’assetto negoziale alla base dell’operazione imponibile esprimono una reazione ad una violazione civilistica e presidiano ad un assetto di interessi del tutto differente sul piano ontologico rispetto ai valori espressi in seno al sistema IVA59.

Dalla suddetta considerazione deriva una importante conseguenza interpretativa di ordine generale.

Da questo momento ogni norma nazionale che disponga il diniego alla detrazione quale diretta ed immediata conseguenza della invalidità civilistica del negozio confligge con il principio di effettività ed è evidentemente incompatibile con la normativa europea.


  1. Il lavoro di ricerca e le prospettive de jure condendo sono frutto dello studio svolto in maniera congiunta e sinergica da entrambi gli autori. Con riguardo alla redazione del presente contributo, i par.fi 1, 2 e 7 sono stati realizzati da Rossella Miceli e tutti i restanti par.fi da Lorenzo Pennesi.↩︎

  2. Sul punto sia consentito rinviare alle riflessioni operate in R. Miceli, Il recupero dell’IVA detraibile tra principi comunitari e norme interne, in Rass. trib., 2006, p. 1871; Id, L’effettività della disciplina nazionale sull’esercizio del diritto di detrazione IVA in caso di accertamento tributario, in Riv. dir. trib., 2008, II, p. 219.↩︎

  3. Il diritto alla detrazione, come noto, assicura la neutralità dell’imposta atteso che permette al soggetto passivo di recuperare l’IVA assolta sulle operazioni di acquisto effettuate, detraendola dalle successive operazioni attive. In dottrina la natura giuridica del diritto alla detrazione è stato oggetto di differenti ricostruzioni teoriche: per alcuni trattasi di credito d’imposta (così F. Gallo, Profili per una teoria dell’imposta sul valore aggiunto, Torino, 1974, 101; F. Bosello, L’imposta sul valore aggiunto, Bologna, 1979, 96; P. Filippi, Valore aggiunto (imposta), in Enc. dir., XLVI, Milano, 1993, 125; F. Tesauro, Il rimborso d’imposta, 1975, 44; R. Miceli, Il recupero dell’IVA detraibile tra principi comunitari e norme interne, cit., 1871), mentre per altri di istituto satisfattorio del credito d’imposta (in questi termini M. Ingrosso, Il credito d’imposta, Torino, 1975, 44) ovvero di diritto di credito funzionale alla determinazione dell’imposta dovuta (così M. Basilavecchia, Situazioni creditorie del contribuente e attuazione del tributo. Dalla detrazione al rimborso nell’imposta sul valore aggiunto, Pescara, 2000, 32; L. Salvini, Rivalsa, detrazione e capacità contributiva nell’imposta sul valore aggiunto, in Riv. dir. trib., 1993, 1320).↩︎

  4. Il ruolo centrale della Corte di Giustizia nello sviluppo del sistema IVA è reso evidente dall’elevato numero di sentenze che trattano la materia, che hanno ad oggi ampiamente superato il numero di quattrocento, segnando un costante e progressivo sviluppo del sistema IVA secondo una prospettiva di armonizzazione e convergenza delle discipline domestiche nazionali. Tale fenomeno è stato evidenziato da A. Comelli, IVA comunitaria e IVA nazionale, Padova, 2000, passim; R. Miceli – G. Melis, Le sentenze interpretative della Corte di giustizia delle comunità europee nel diritto tributario: spunti dalla giurisprudenza relativa alle direttive sull’imposta sui conferimenti e sull’Iva, in Riv. dir. trib. 2003, 111; L. Perrone, L’armonizzazione dell’Iva: il ruolo della Corte di Giustizia, gli effetti verticali e l’affidamento del contribuente, in Rass. Trib. 2006, 423 ss.↩︎

  5. La dottrina tributaria non ha mancato di rilevare che vi è una interdipendenza inscindibile tra effetti negoziali e fattispecie impositiva atteso che il presupposto del tributo, soprattutto nel comparto dell’imposizione indiretta, dipende essenzialmente dagli effetti dispiegati nell’ordinamento giuridico dalla singola operazione negoziale privata e, quindi, anche dalla sua eventuale patologia. In questi termini si vedano le considerazioni di G. Tremonti, Autonomia contrattuale e normativa tributaria: il problema dell’elusione tributaria, in Riv. dir. fin. sc. fin., 1986, I, 369 ss.; P. Pacitto, Attività negoziale, evasione ed elusione tributaria, in Riv. dir. fin. sc. fin., 1987, I, 727 ss.; S. Cipollina, La legge civile e la legge fiscale. Il problema dell’elusione fiscale, Padova, 1992.↩︎

  6. La possibilità di negare il diritto alla detrazione IVA in presenza di operazioni abusive od elusive costituisce jus recptum della giurisprudenza della Corte di Giustizia dell’Unione Europea, per la quale è indubbio che “i singoli non possono avvalersi fraudolentemente o abusivamente delle norme del diritto dell’Unione e che, pertanto, spetta alle autorità e ai giudici nazionali negare il beneficio del diritto a detrazione se è dimostrato, alla luce di elementi obiettivi, che tale diritto viene invocato in modo fraudolento o abusivo”. In questi termini, tra le tante, CGUE, 6 luglio 2006, Kittel e Recolta Recycling, C-439/04 e C-440/04, punti 54 e 55; CGUE, 11 novembre 2021, Ferimet, C-281/20, punto 45; CGUE, 01 dicembre 2022, Aquila Part Prod Com, C-512/21, punto 26.↩︎

  7. Si legge infatti nella sentenza che l’art. 88, par. terzo, punto 4, lett. c) della Legge relativa all’imposta sui beni e servizi del 11 marzo 2004 (c.d. Legge IVA polacca) dispone l’indetraibilità del tributo per “le fatture, le fatture rettificate o i documenti doganali emessi che comprovino operazioni ai quali si applicano le disposizioni degli articoli 58 e 83 del codice civile”. Invero, l’art. 83 del codice civile polacco sanziona con la nullità “la manifestazione di volontà simulata nei confronti dell’altra parte con il suo consenso”.↩︎

  8. La giurisprudenza europea, nella consapevolezza che la neutralità dell’IVA costituisce aspetto irrinunciabile per l’instaurazione e il funzionamento del mercato interno, propone costantemente una rigida interpretazione dei principi che regolano la materia, così da contrastare ogni possibile restrizione del carattere neutrale del tributo ad opera dei Paesi Membri, non giustificata da superiori esigenze di coerenza ed efficienza dell’ordinamento. Sul punto, tra le più note, si vedano CGCE, 01 aprile 1982, Hong Kong Trade, C-89/81; CGCE, 03 marzo 1988, Bergandi, C-252/86; CGUE, 23 maggio 1996, Commissione c. Grecia, C-331/94; CGCE, 20 giugno 1996, Wellcome trust, causa C-155/94; CGUE, 15 settembre 2022, UAB HA EN, C-227/21.↩︎

  9. Agli albori della Comunità europea, nel secondo dopoguerra, nei vari Paesi Membri vigevano sistemi di imposte cumulative sul consumo che, nella prospettiva del Comitato Fiscale e Finanziario istituito dalla Commissione europea nel 1960, costituivano il principale ostacolo alla realizzazione di un mercato unico. In questi termini, si veda il documento IBFD, Ecc report on Tax Harmonization – The report of the fiscal and financial committee and the reports of the sub – groups A, B and C, 1963. L’introduzione dell’IVA, sulla scorta del modello della TVA francese, è subito parso lo strumento più adatto per assicurare l’obiettivo di un efficiente mercato comune, privo di barriere fiscali. In questi termini, tra i primi commentatori, A. Berliri, In ordine alla proposta di una seconda direttiva in materia di armonizzazione dell’imposta sulla cifra di affari, in Giur. delle imposte, 1966, 136.↩︎

  10. La centralità del diritto alla detrazione nel sistema IVA è stata ampiamente indagata dalla giurisprudenza della Corte di Giustizia. Tra le pronunce più note si vedano CGCE, 14 febbraio 1985, Rompelman, C-268/83 e CGCE, Sez. V, 18 dicembre 1997, Garage Molenheide BVBA, C-286/94. Il tema, stante la sua rilevanza, è stato altresì oggetto di numerosi approfondimenti in dottrina nel corso degli anni. Si vedano, a titolo esemplificativo, le riflessioni di L. Salvini, op. cit., 1287; E. Fazzini, Il diritto alla detrazione nel tributo sul valore aggiunto, Verona, 2000, 10; R. Miceli, Il recupero dell’IVA detraibile tra principi comunitari e norme interne, cit., 1871 ss.; A. Di Pietro, Detrazione e neutralità, in Atti del Convegno ASSONIME – LUISS del 21 e 22 settembre 2009, L’imposta sul valore aggiunto, aspetti economici e giuridici, in Giur. Imp., 2009; A. Mondini, Il principio di neutralità nell’IVA, tra mito e (perfettibile) realtà, ne I principi europei del diritto tributario, Padova, 2013, 271; G. Petrillo, Il principio di proporzionalità e diniego di detrazione per consapevolezza nelle frodi IVA, in Riv. trim. dir. trib., 2017, 431.↩︎

  11. In questo modo si realizza ciò che la Corte di Giustizia dell’Unione Europea ha definito “la perfetta nutralità dell’imposizione fiscale per tutte le attività economiche, indipendentemente dallo scopo o dai risultati di dette attività, purché queste siano di per sé soggette all’IVA”. Così, tra le tante, CGCE, 8 giugno 2000, Midland Bank, C-98/98; CGUE, 22 dicembre 2010, RBS Deutschland Holdings,C- 277/09 e, più di recente, CGUE, 24 novembre 2022, Finanzamt M, C-596/21. Analoghe considerazioni sono presenti anche nella giurisprudenza della Corte di Cassazione. Si vedano, a mero titolo di esempio, Corte Cass., Sez. V, 24 febbraio 2016, n. 3596; Corte Cass., Sez. V, 03 luglio 2023, n. 18642.↩︎

  12. In questi termini CGCE, 8 giugno 2000, Schloβstraβe, C-396/98.↩︎

  13. Preme evidenziare che la natura giuridica dell’IVA, quale imposta sul consumo, è un aspetto che non è stato immediatamente rilevato dalla dottrina, all’unanimità. Invero, a fronte delle tesi di alcuni autorevoli studiosi, per i quali l’IVA manifestava una indubbia matrice economica correlata al consumo (così A. Berliri, L’imposta sul valore aggiunto, Milano, 197, 214; F. Gallo, op. cit., 17; Id., L’IVA verso un’ulteriore revisione, in Riv. dir. fin., 1978, 594), si sono registrate tesi opposte, per le quali il tributo trovava il proprio presupposto nel compimento della singola operazione imponibile (così F. Bosello, Appunti sulla struttura giuridica dell’imposta sul valore aggiunto, in Riv. dir. fin., 1978, 427) ovvero nell’attività economica posta in essere dai soggetti passivi del tributo (in questi termini A. Fantozzi, Presupposto e soggetti passivi nell’imposta sul valore aggiunto, in Dir. prat. trib., 1972, 727). Alla luce delle elaborazioni compiute in seno alla giurisprudenza europea, è oggi ampiamente condiviso che il presupposto dell’IVA sia costituito dal consumo. Si vedano A. Comelli, op. cit., 9; L. Salvini, op. cit., 1320.↩︎

  14. Esula da questo inquadramento l’eventuale impossibilità di detrarre l’IVA in relazione ad operazioni esenti o non imponibili poste in essere dal soggetto passivo, secondo quanto espressamente previsto dalla disciplina europea e domestica, giacché tale indetraibilità attiene – salvo fattispecie patologiche – al regolare funzionamento dell’imposta e non inficia la neutralità del tributo. Per un approfondimento generale sul tema, M. Giorgi, op. cit., 350; S. Natoli, IVA: operazioni imponibili, non imponibili, esenti ed escluse, in Il fisco, 2000, 12509 ss.↩︎

  15. Si veda, in ordine alla necessaria sussistenza di tali requisiti, CGUE, 26 maggio 2005, António Jorge, C‐536/03; CGUE, 29 aprile 2004, Faxworld, C-137/02; CGUE, 27 giugno 2018, SGI e Valèriane, C-459/17 E c-460/17; CGUE, 29 settembre 2022, Raiffeisen Leasing, C-235/21. Preme evidenziare che l’esercizio del diritto presuppone la sussistenza dei requisiti citati in relazione all’intero importo da detrarre, non rilevando la mera indicazione del quantum indicato in fattura ai sensi dell’art. 203 della direttiva 2006/112/CE. Per un approfondimento CGUE, 15 marzo 2007, Reemtsma Cigarettenfabriken, C-35/05. In dottrina si è precisato che l’art. 203 costituisca una norma di salvaguardia dell’interesse fiscale. Così M. Logozzo, L’obbligo di fatturazione nell’IVA, Milano, 2005, 165 ss.↩︎

  16. Così CGUE, 21 giugno 2012, Mahagèben e Dàvid, C-80/11 e C-142/11 e la già citata CGUE, 24 novembre 2022, Finanzamt M, C-596/21.↩︎

  17. Lo ha rilevato, per prima, la nota sentenza CGCE, 14 febbraio 1985, Rompelman, C-268/83.↩︎

  18. La Corte di Giustizia ha rilevato che conta la qualifica di soggetto passivo IVA in relazione agli preparatori all’attività economica è acquisita dall’operatore solo se questo opera in buona fede. La CGCE, 29 febbraio 1996, Inzo, causa C-110/94 ha infatti statuito che “la qualità di soggetto passivo è definitivamente acquisita solo se la dichiarazione dell'intenzione di avviare l'attività economica programmata sia stata effettuata in buona fede dall'interessato. Nelle situazioni fraudolente o abusive in cui ad esempio quest'ultimo ha finto di voler avviare un’attività economica specifica, ma ha cercato in realtà di far entrare nel suo patrimonio privato beni che potevano costituire oggetto di una detrazione, l'amministrazione tributaria può chiedere, con effetto retroattivo, il rimborso delle somme detratte poiché queste detrazioni sono state concesse sulla base di false dichiarazioni”.↩︎

  19. Il tema è stato ripetutamente affrontato dalla Corte di Giustizia. Si vedano, tra le tante CGCE, 08 giugno 2000, Midland Bank, C-98/98 e CGCE., 22 febbraio 2001, Abbey National, C-408/98.↩︎

  20. Di particolare interesse sono le parole della CGCE, 6 aprile 1995, BLP Group, C-4/94, secondo cui “per conferire il diritto a detrazione di cui al n. 2, i beni o servizi acquisiti devono presentare un nesso immediato e diretto con le operazioni a valle che conferiscono un diritto a detrazione, e che, a tale riguardo, è indifferente lo scopo ultimo perseguito dal soggetto passivo” giacché “è detraibile solo l’importo dell’imposta che ha gravato direttamente sul costo dei diversi elementi costitutivi del prezzo di un’operazione soggetta a imposta”. Analogamente anche CGUE, 14 settembre 2017, Iberdrola, C-132/16.↩︎

  21. Evidenziano questo aspetto L. Salvini, La detrazione IVA nella VI direttiva e nell’ordinamento interno: principi generali, in Rass. trib., 1999, 135 e R. Miceli, Le sentenze interpretative della Corte di giustizia delle comunità europee nel diritto tributario: spunti dalla giurisprudenza relativa alle direttive sull’imposta sui conferimenti e sull’Iva, op. cit., 239.↩︎

  22. Come noto, il legislatore europeo ha correttamente previsto che il soggetto passivo potrebbe non impiegare subito nel proprio ciclo produttivo i beni e/o servizi acquistati, che danno luogo al diritto di detrazione, e, per l’effetto, ha previsto all’art. 184 della direttiva 2006/112/CE la possibilità di avvalersi di correttivi (c.d. rettifica della detrazione) nel caso in cui ad una detrazione immediata non consegua un contestuale impiego del bene o servizio per operazioni soggette ad IVA.↩︎

  23. In questi termini CGCE, 16 maggio 2005, Antònio Jorge, C-536/03 per la quale “nel sistema della sesta direttiva, il fatto generatore dell’imposta, la sua esigibilità e la possibilità di deduzione sono collegati alla realizzazione effettiva della cessione o della prestazione di servizi, salvo per il caso di versamento di acconti in cui l’imposta diventa esigibile al momento della riscossione”. Analogamente, CGUE, 27 giugno 2018, SGI e Valèriane, C-459/17 e C-460/17, CGUE, 29 settembre 2022, Raiffeisen Leasing, C-235/21.↩︎

  24. Sul punto sono chiarissime le parole della CGUE, 08 maggio 2019, EN.SA., C‑712/17 secondo cui “è inerente al meccanismo dell’IVA il fatto che un’operazione fittizia non possa dare diritto ad alcuna detrazione di tale imposta”. Rileva a tal proposito L. Carpentieri, Operazioni inesistenti e reverse charge: quale disciplina sanzionatoria?, in Giustizia Insieme, 2022, consultabile all’indirizzo https://www.giustiziainsieme.it/it/diritto-tributario/2284-operazioni-inesistenti-e-reverse-charge-quale-disciplina-sanzionatoria (ultima visita 14-02.2024) che assume importanza, ai fini della detrazione, la reale effettuazione dell’operazione imponibile, essendo irrilevante la mera indicazione della stessa in fattura.↩︎

  25. Specifica la CGUE, 16 febbraio 2023, DGRFP Cluj, C-519/21 che spetta al soggetto passivo esibire “prove oggettive del fatto che i beni e i servizi di cui trattasi nel procedimento principale gli siano stati effettivamente forniti a monte da soggetti passivi, ai fini della realizzazione di sue proprie operazioni soggette all’imposta sul valore aggiunto”.↩︎

  26. Il principio di sussidiarietà costituisce uno dei valori permeanti dell’architettura europea poiché posto a presidio dell’efficienza del progetto di armonizzazione degli ordinamenti nazionali. Per un approfondimento si veda G. Strozzi, Il principio di sussidiarietà nel futuro dell’integrazione europea: un’incognita e molte aspettative, in Rivista italiana di diritto pubblico comparato, 1993, 364 ss.↩︎

  27. Lo afferma in maniera chiara, tra le tante, la recente sentenza CGUE, 01 dicembre 2022, Aquila Part Prod Com, C-512/21, secondo la quale, ove le condizioni sostanziali del diritto a detrazione risultino soddisfatte, il beneficio del diritto a detrazione può essere negato al soggetto passivo soltanto qualora si dimostri, alla luce di elementi oggettivi, che “questi sapeva o avrebbe dovuto sapere che, con l’acquisto dei beni e servizi posti a fondamento del diritto a detrazione, lo stesso partecipava a un’operazione che si iscriveva in una siffatta evasione commessa dal fornitore o da altro operatore intervenuto a monte o a valle nella catena delle cessioni o prestazioni”.↩︎

  28. La Corte di Giustizia, al fine di disconoscere il diritto alla detrazione, ha costantemente valorizzato nella propria giurisprudenza la consapevolezza del soggetto passivo, con dolo o colpa, di essere parte di un illecito fiscale perpetrato ai danni del comune interesse fiscale nazionale ed europeo. In questa prospettiva, la piena cognizione circa il disegno frodatorio a cui tale soggetto contribuisce esprime il rilievo che assume il contesto fattuale e giuridico in cui si inserisce la singola operazione soggetta ad IVA. In questo senso, la nota sentenza CGUE, 13 febbraio 2014, Maks Pen EOOD IVA, C-18/13 con commento di D. Peruzza, L'indetraibilità dell'IVA per il committente che 'sapeva o avrebbe dovuto sapere', in Riv. trim. dir. trib., 2014, 769 nonché CGUE, 19 ottobre 2017, Paper Consult, C-101/16. Il tema è stato oggetto di esame, con ampie riflessioni sulle posizioni assunte nel tempo dalla Corte di Giustizia, da A. Giovanardi, Le frodi Iva. Profili ricostruttivi, Torino, 2013, 68 ss.; G. Moschetti, Diniego di detrazione per consapevolezza nel contrasto alle frodi IVA: alla luce dei principi di certezza del diritto e proporzionalità, Padova, 2012, 79 ss.; S. Dorigo, Frodi carosello e detraibilità dell’Iva da parte del cessionario: il difficile percorso “comunitario” della giurisprudenza della Corte di Cassazione, in Dir. prat. trib., 2009, 1251 ss.↩︎

  29. Tra le pronunce più recenti che hanno trattato questi temi, vi sono CGUE, 9 gennaio 2023, A.T.S., C-289/22.; CGUE, 1° dicembre 2022, Aquila Part, C-512/21; CGUE, 24 novembre 2022, A., causa C-596/21; CGUE, 27 ottobre 2022, Climate Corporation Emissions Trading GmbH, C-641/21; CGUE, 15 settembre 2022, UAB «HA.EN.», C-227/21. Per un commento si veda C. De Ieso, L’evoluzione della giurisprudenza UE sui rimedi sanzionatori contro le frodi IVA, in Corr. trib. 2023, 73 ss.↩︎

  30. Si richiamano le considerazioni espresse da CGUE, 09 gennaio 2023, A.T.S., C-289/22 per cui “il beneficio del diritto a detrazione deve essere negato non solamente quando un’evasione dell’IVA sia commessa dal soggetto passivo stesso, ma anche qualora si dimostri, alla luce di elementi oggettivi, che il soggetto passivo, al quale sono stati ceduti i beni o prestati i servizi posti a fondamento del diritto a detrazione, sapeva o avrebbe dovuto sapere che, con l’acquisto di tali beni e servizi posti a fondamento del diritto a detrazione, partecipava ad un’operazione che si iscriveva in una siffatta evasione commessa dal fornitore o da altro operatore intervenuto a monte o a valle nella catena delle cessioni o prestazioni”. Il rilievo del tema, in tempi recenti, sta conducendo le istituzioni europee a riflettere circa la possibilità di effettuare diretti interventi di carattere legislativo per contenere l’evasione IVA da frode. Al momento, come risulta dalla 32° Relazione annuale al Parlamento europeo (COM (2021) 578 final del 20 settembre 2021), la Commissione ritiene che un efficace contrasto all’evasione IVA implichi un miglioramento nella cooperazione delle Amministrazioni finanziarie nazionali, anche mediante lo stimolo di norme vincolanti di matrice europea. Per un commento si rimanda a N. Galleani D’Agliano, La strategia europea per il contrasto alle frodi IVA, in Fiscalità & commercio internazionale, 2021, 20 ss.↩︎

  31. Il leading case in materia di abuso del diritto è rappresentato dalla nota sentenza CGUE, 21 febbraio 2006, Halifax, C-255/02. La dottrina che si è occupata dell’abuso del diritto nella fiscalità europea e nazionale è vastissima. Si richiamano, tra i principali studi, P. Pistone, Abuso del diritto ed elusione fiscale, Padova, 1995, passim; M. Basilavecchia, Norma antielusione e relatività delle operazioni imponibili IVA, in Corr trib., 2005, 1466 ss.; G. Zizzo, Abuso del diritto, scopo di risparmio d’imposta e collegamento negoziale, in Rass. trib., 2008, 859 ss.; L. Carpentieri, L’ordinamento tributario tra abuso ed incertezza del diritto, in Riv. dir. trib., 2008, 1053 ss.; G. Fransoni, Appunti su abuso del diritto e valide ragioni economiche, in Rass. trib., 2010P. Piantavigna, Abuso del diritto fiscale nell’ordinamento europeo, in Studi di diritto tributario, Torino, 2011, passim; M. Logozzo, L’abuso del diritto nell’IVA, in Abuso del diritto ed elusione fiscale, Torino, 2016, 223 ss.; P. Boria, L’abuso del diritto in materia fiscale come principio generale di derivazione giurisprudenziale, in L'abuso del diritto. Evoluzione del principio e contesto normativo, Torino, 2018, 79 ss.↩︎

  32. Secondo CGUE, 22 dicembre 2010, Weald Leasing, causa C-103/09 proprio la netta “deviazione dagli standard di mercato” costituisce il principale indice oggettivo della costruzione abusiva attuata dal contribuente, che deve essere rilevato dall’Amministrazione finanziaria ovvero dall’Autorità giudiziaria nazionale.↩︎

  33. Per CGUE, 27 ottobre 2011, Tanoarch, C-504/10 il diritto alla detrazione recede dinanzi a “costruzioni di puro artificio, prive di effettività economica, effettuate unicamente al fine di ottenere un vantaggio fiscale”.↩︎

  34. Come rileva anche M. Basilavecchia, L’evoluzione della politica fiscale dell’Unione Europea, in Riv. dir. trib., 2009, 367, la neutralità dell’imposizione fiscale negli scambi economici è da sempre reputata essenziale per garantire il corretto funzionamento del mercato unico.↩︎

  35. Per una disamina storica si rinvia ai contributi di S. Di Paola, Contributi ad una teoria dell'invalidità e della inefficacia nel diritto romano, Milano, 1966; M. Brutti, Invalidità (storia), in Enc. dir., XXII, Milano, 1972, 560 ss., la quale getta luce sui modelli normativi elaborati dalle fonti romane e il moderno concetto di invalidità negoziale; A. Masi, Nullità (storia), in Enc. dir., XXVIII, Milano, 1978, 859 ss. e, più di recente, A. La Spina, Destrutturazione della nullità ed inefficacia adeguata, Milano, 2012, 17 ss.↩︎

  36. In questi termini, S. Pugliatti, Abuso di rappresentanza e conflitto di interessi, in Riv. dir. comm., 1936, I, 17; A. Fedele, L'invalidità del negozio giuridico di diritto privato, Torino, 1943, 27; B. De Giovanni, La nullità nella logica del diritto, Napoli, 1964, 24 ss. A fini di completezza, si specifica tuttavia che il contratto nullo può, in casi eccezionali, comunque produrre effetti giuridici. L’esempio più noto è rappresentato dal contratto di lavoro nullo che, ai sensi dell’art. 2126 del codice civile italiano, fa comunque salvo il diritto del lavoratore alla retribuzione (purché non sia illecita la causa o l’oggetto del contratto). Cfr. A. Albanese, L'invalidità del contratto di lavoro subordinato, in Contr. impr., 2005, 200 ss.↩︎

  37. Vedasi sul punto V. Scalisi, Inefficacia (dir. priv.), in Enc. dir., XXI, Milano, 1971, 331 ss.↩︎

  38. Il tema della esecuzione materiale del negozio inefficace, sebbene con riferimento alla sola materia civilistica, è ampiamente studiato da M. Girolami, Le nullità di protezione nel sistema delle invalidità negoziali. Per una teoria della moderna nullità relativa, Padova, 2008, 201 ss.↩︎

  39. Così CGCE, 3 luglio 1997, Goldsmiths, C-330/95; CGUE, 26 gennaio 2012, Kraft Foods Polska SA, C-588/10; CGUE, 11 giugno 2020, SCT d.d., C-146/19. Per un commento S. Cannizzaro, Fallimento e variazioni IVA; in caso di non pagamento definitivo la rettifica è d’obbligo!, in Riv. tel. dir. trib., 2020, https://www.rivistadirittotributario.it/2020/07/27/fallimento-variazioni-iva-caso-non-pagamento-definitivo-la-rettifica-dobbligo/ (ultima visita 16.02.2024). Il tema delle variazioni IVA è stato oggetto di approfondito esame anche da A. Carinci, Le variazioni IVA: profili sostanziali e formali, in Riv. dir. trib., 2000, 711 ss.↩︎

  40. Lo enuncia espressamente CGCE, 3 luglio 1997, Goldsmiths, C-330/95, punto 16.↩︎

  41. La norma sopra citata recita precisamente che “Se un'operazione per la quale sia stata emessa fattura, successivamente alla registrazione di cui agli articoli 23 e 24, viene meno in tutto o in parte, o se ne riduce l'ammontare imponibile, in conseguenza di dichiarazione di nullità, annullamento, revoca, risoluzione, rescissione e simili o in conseguenza dell'applicazione di abbuoni o sconti previsti contrattualmente, il cedente del bene o prestatore del servizio ha diritto di portare in detrazione ai sensi dell'articolo 19 l'imposta corrispondente alla variazione, registrandola a norma dell'articolo 25”.↩︎

  42. In questi termini Risoluzione dell’Agenzia delle Entrate, 21 novembre 2008, n. 449/E e Risposta ad interpello, 11 agosto 2021, n. 544. Per un commento di ordine tecnico sulla relazione tra emissione di nota di variazione e detrazione si rinvia a F. D’Alfonso, Nota di variazione in diminuzione in caso di mancato pagamento della fattura, in Prat. Fiscale & Prof., 2023, 44 ss.↩︎

  43. Cfr. sul punto, R. Miceli, Attività illecite e norme di esenzione nel sistema IVA, in Riv. dir. trib., 2002, 522; A. Marcheselli, Proventi illeciti e imponibilità IVA, in Dir. prat. trib., 2003, 20389 ss. i quali rilevavano, in un contesto giuridico in cui l’analisi del fenomeno era ridotto a pochissime sentenze di legittimità, a riconoscere la necessaria imponibilità ai fini IVA di una operazione economica illecita e, quindi, nulla.↩︎

  44. La giurisprudenza della Corte di Giustizia ha stabilito che attività illecite possono giustificare la debenza dell’IVA ai sensi della disciplina europea purché esse possano anche essere anche esercitate nel mercato legale. In questa prospettiva, ad esempio, la vendita di anabolizzanti tra privati e senza alcuna autorizzazione da parte delle Autorità sanitarie rappresenta una condotta illecita e il contratto di cessione è da reputarsi nullo, tuttavia l’IVA è comunque dovuta dal soggetto passivo poiché tale attività può avvenire anche sul mercato lecito, secondo precise condizioni dettate dalle norme nazionali. Al contrario, la cessione di denaro falso, che costituisce un grave illecito in tutti i Paesi Membri e non può mai avvenire con modalità conformi a norma di legge, si pone sempre al di fuori dell’ambito applicativo dell’IVA. Il leading case è costituito dalla sentenza CGCE, 06 dicembre 1990, Max Witzemann, C-343/89 ma, si vedano anche, CGCE, 29 giugno 2000, Tullihallitus, C-455/98; CGCE, 29 giugno 1999, Coffeeshop Siberie vof, C-158/98; CGUE, 17 dicembre 2020, Franck, C-801/19. Nella giurisprudenza di legittimità, si veda la nota pronuncia Corte Cass., Sez. V, 17 novembre 2006, n. 24471 per la quale “i proventi provenienti da attività illecita sono assoggettabili ai IVA perchè la L. 24 dicembre 1993, n. 537, art. 14, comma 4, - secondo il quale ‘i proventi derivanti da fatti, atti o attività qualificabili come illecito civile, penale o amministrativo sono ricompresi nelle categorie di reddito di cui al D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, art. 6 (T.U.I.R.)’ - è una norma di principio, e perciò non può dalla stessa inferirsi l'esenzione dall'IVA per i proventi derivanti da attività illecite”. Analoghe considerazioni sono rinvenibili anche nella giurisprudenza di merito, si veda, a titolo di esempio, le recenti sentenze Corte di Giustizia Tributaria di II Grado dell’Umbria, 01 febbraio 2023, n. 64.↩︎

  45. In questi termini il già citato art. 88, par. terzo, punto 4, lett. c) della Legge relativa all’imposta sui beni e servizi del 11 marzo 2004, che dispone l’indetraibilità dell’IVA corrisposta su operazioni colpite da nullità ai sensi degli artt. 58 e 83 del codice civile polacco.↩︎

  46. La distribuzione dell’onere della prova nei termini che si sono dinanzi illustrati è chiarita da copiosa giurisprudenza della Corte di Giustizia. Vedasi, a titolo esemplificativo, CGUE, 21 novembre 2018, Vadan, C-664/16; CGUE, 16 febbraio 2023, DGRFP Cluj, C.519/21. Nella prima pronuncia si legge che “Tuttavia, incombe a colui che chiede la detrazione dell’IVA l’onere di dimostrare di soddisfare le condizioni per fruirne. Il soggetto passivo è quindi tenuto a fornire prove oggettive del fatto che beni e servizi gli siano stati effettivamente forniti a monte da soggetti passivi, ai fini della realizzazione di proprie operazioni soggette ad IVA e con riguardo alle quali l’IVA sia stata effettivamente assolta. Tali prove possono comprendere, in particolare, documenti in possesso di fornitori o prestatori presso i quali il soggetto passivo abbia acquistato beni o servizi per i quali abbia assolto l’IVA. Una stima basata su una perizia giudiziaria disposta dal giudice nazionale può, eventualmente, integrare tali prove o avvalorarne la credibilità, ma non può sostituirvisi”. Tali prove, alla luce della costante giurisprudenza europea, devono dimostrare secondo criteri di oggettività, improntati alla certezza del diritto e alla proporzionalità, l’effettività dell’operazione, non potendosi riconoscere (ovvero disconoscere) il diritto alla detrazione IVA sulla scorta di sospetti o supposizioni generali, non circostanziate o contestualizzate. In questi termini CGUE, 06 settembre 2012, Mecsek-Gabona, C-273/11; CGUE 4 giugno 2020, SC C.F. s.r.l., C-430/19.↩︎

  47. Vedasi, tra le tante, CGUE, 13 febbraio 2014, Maks Pen EOOD, C-18/13.↩︎

  48. Appaiono chiare le parole spese dalla Corte di Giustizia dell’Unione Europea nella sentenza in commento, ove si legge che “non risulta che gli non risulta che gli elementi in base ai quali un atto giuridico, relativo a un’operazione soggetta all’IVA, può essere qualificato come simulato e quindi dichiarato nullo, ai sensi delle norme del diritto civile nazionale, coincidano con gli elementi che, conformemente alle indicazioni contenute ai punti da 33 a 38 della presente sentenza, consentono di qualificare, alla luce del diritto dell’Unione, un’operazione economica soggetta a tale imposta come operazione simulata e quindi di giustificare, conformemente alla giurisprudenza ricordata al punto 32 della presente sentenza, il rifiuto di concedere al soggetto passivo il diritto a detrazione. Una siffatta nullità non può quindi, in linea di principio, giustificare tale rifiuto”.↩︎

  49. Una indicazione in tal senso è peraltro rinvenibile nella comunicazione del 06 dicembre 2012 indirizzata dalla Commissione alle altre istituzioni europee. Così COM(2012) 722 final, “Communication From The Commission To The European Parliament And The Council An Action Plan to strengthen the fight against tax fraud and tax evasion”.↩︎

  50. Si ricorda, a tal proposito, che la nullità esprime un giudizio di disvalore ad ampio spettro, che ricomprende ogni attività negoziale che sia contraria ai valori espressi dall’ordinamento (si pensi, banalmente, a quelli di ordine morale). In questi termini R. Tommasini, Nullità (dir. priv.), in Enc. dir., XXVIII, Milano, 1978, 866; V. Scalisi, Nullità e inefficacia nel sistema europeo dei contratti, in Europa dir. priv., 2001, 489 ss.; Id., Invalidità e inefficacia. Modalità assiologiche della negozialità, in Riv. dir. civ., 2003, I, 211 ss. e, in tempi più recenti, P. Armando, Le patologie del contratto, Torino, 2022, 1 ss.↩︎

  51. Il tema è stato studiato, tra i tanti, da M.C. Fregni, Obbligazione tributaria e codice civile, Torino, 1998; M. Allena, Sull’applicabilità dei principi civilistici al diritto tributario, in Dir. prat. trib., 1999, 1776 ss.; E. De Mita, Interesse fiscale e tutela del contribuente, Milano, 2006, 242 ss. e, in tempi più recenti, da R. Mattera, Diritto civile e diritto tributario. Verso una progressiva autonomia?, in Contratto e impresa, 2019, 847 ss.↩︎

  52. Sul punto si richiamano le parole di E. Del Prato, Le basi del diritto civile, Torino, 2017, 6 per il quale il diritto civile è “destinato a operare per tutti in mancanza di specifiche regole, le quali istituiscono prerogative, immunità, privilegi: termini, questi ultimi, con cui si designano appunto le deroghe al diritto comune”.↩︎

  53. Lo rileva A. M. Perrino, Le relazioni pericolose tra le categorie civilistiche e i presupposti impositivi, nella prospettiva del diritto unionale, in Il diritto tributario nella prospettiva penale e civile, Roma, 2022, 75 ss. per la quale la Corte di giustizia dell’Unione Europea ha più volte dimostrato di elevare la valutazione della realtà economica e commerciale a criterio fondamentale per l’applicazione del sistema comune dell’IVA, destinata a prevalere anche sul testo dei contratti e sulle regole di diritto civile. Ad esempio, la nozione di impresa descritta dall’art. 2082 c.c. appare inconciliabile con la ben più ampia nozione di attività economica rilevante ai fini IVA enucleata dall’art. 9 della direttiva 2006/112/CE, tanto da ricomprendervi anche le prestazioni da lavoro autonomo. Nella giurisprudenza CGUE, 07 ottobre 2010, Baxi Group, C-53/09, 55/09; CGUE, 09 settembre 2015, João Filipe Ferreira da Silva, C-160/14.↩︎

  54. Per la CGCE, 06 luglio 2006, Kittel, C-439/04 e C-440/04 “In tale contesto, come rilevato dal giudice del rinvio, risulta dalla costante giurisprudenza che il principio della neutralità fiscale non consente una distinzione generale fra le operazioni lecite e le operazioni illecite. Ne deriva che la qualificazione di un comportamento come riprovevole non comporta, di per sé, una deroga all'imposizione, ma di una tale deroga si tiene conto solo in situazioni specifiche nelle quali, a causa delle caratteristiche particolari di talune merci o di talune prestazioni, è esclusa qualsiasi concorrenza tra un settore economico lecito e un settore illecito (v., segnatamente, 29 giugno 1999, causa C-158/98, Coffeeshop «Siberië», Racc. pag. I-3971, punti 14 e 21, nonché 29 giugno 2000, causa C-455/98, Salumets e a., Racc. pag. I-4993, punto 19)”.↩︎

  55. Il principio di effettività costituisce un caposaldo dell’ordinamento europeo atteso che esso rappresenta il paradigma giuridico in forza del quale devono trovare soluzione tutte le questioni attinenti alla interpretazione e alla applicazione del diritto dell’Unione, specie con riferimento ai tributi armonizzati. Cfr. R. Miceli, Il principio comunitario di effettività quale fondamento dell’integrazione giuridica europea (pp. 1623 - 1671), in AA. VV., Scritti in onore del prof. Vincenzo Atripaldi, Jovene, 2010, sezione Europa, 35; Id, L’effettività della disciplina nazionale sull’esercizio del diritto di detrazione IVA in caso di accertamento tributario, cit., 235 ss. e in specie note nn. 6, 7 e 8.↩︎

  56. La dottrina civilistica ha approfondito la natura giuridica delle invalidità negoziali e della nullità con una letteratura sterminata. A mero titolo esemplificativo si richiamano G. De Nova, Il contratto contrario a norme imperative, in Riv. crit. dir. priv., 1985, 447 ss.; S. Monticelli, Contratto nullo e fattispecie giuridica, Padova, 1995; A. Albanese, Violazione di norme imperative e nullità del contratto, Napoli, 2003; F. Di Marzio, La nullità del contratto, Padova, 2008; G. Alpa, Le stagioni del contratto, Bologna, 2012; E. Del Prato, Patologia del contratto: rimedi e nuove tendenze, in Riv. dir. comm., 2015, 19 ss. Tutti gli autori citati, seppur nella diversità della propria sensibilità giuridica, pongono in risalto il fatto che la nullità contrattuale costituisca non già un rigido schema dogmatico ma una categoria elastica, il cui contenuto sanzionatorio si adatta alla diversa tipologia di negozi e assetti contrattuali (si pensi ai diversi effetti della nullità tra matrimonio, testamento e contratto).↩︎

  57. Così R. Tommasini, Nullità (dir.priv.), in Enc. Diritto, vol. XXVIII, Milano, 1978, 870.↩︎

  58. In questi termini CGUE, 18 dicembre 2014, Italmoda, C-131/13 per la quale “il diniego del beneficio di un diritto derivante dal sistema comune dell’IVA in caso di coinvolgimento del soggetto passivo in una frode non è altro che la mera conseguenza dell’insussistenza delle condizioni richieste a tale riguardo dalle disposizioni rilevanti della sesta direttiva, tale diniego non ha, come rilevato dall’Avvocato generale al paragrafo 60 delle sue conclusioni, il carattere di una pena o di una sanzione, ai sensi dell’articolo 7 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, firmata a Roma il 4 novembre 1950, o dell’articolo 49 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea (v., in tal senso, sentenze Emsland-Stärke, C‑110/99, EU:C:2000:695, punto 56; Halifax e a., EU:C:2006:121, punto 93, e Döhler Neuenkirchen, C‑262/10, EU:C:2012:559, punto 43)”.↩︎

  59. Quanto rappresentato appare conforme alle considerazioni espresse da G. Gaffuri, La rilevanza della nullità contrattuale in diritto tributario, in Boll. trib., 2006, 455 ss. per il quale nel diritto tributario – quindi sia nel comparto delle imposte dirette che dell’IVA – acquista centralità il mero fatto economico generato dal negozio, che funge da presupposto impositivo ai sensi di legge, e non già l’atto giuridico nella sua dimensione negoziale.↩︎