1 Introduzione
Con la sentenza pronunciata nel caso Aquila Part, la Corte di Giustizia torna ad affrontare il delicato tema dell’indetraibilità dell’Iva pagata a monte da un soggetto passivo coinvolto in una delle c.d. frodi carosello, intervenendo così su uno dei meccanismi principali del funzionamento del sistema delle imposte indirette armonizzate, oltre che su un delicato equilibrio tra le esigenze del mercato interno, quelle dell’Erario e i diritti del contribuente.
La sentenza brevemente annotata è piuttosto articolata e riguarda una serie di fattispecie che possono, a seconda delle circostanze, essere utilizzate come elementi rilevanti ai fini della ricostruzione della distribuzione dell’onere probatorio e degli elementi probatori utilizzabili in merito all’esistenza di uno schema fraudolento.
2 Fatti
La Aquila Part Prod Com SA (di seguito anche “Aquila” o “Società”) è una società rumena registrata ai fini IVA in Ungheria che svolge l’attività di intermediazione per il commercio all’ingrosso di prodotti alimentari, bevande e prodotti del tabacco. In data 1 aprile 2011 Aquila stipula un contratto di mandato con un’altra società, a cui affida lo svolgimento dell’attività di acquisto e di vendita di beni in suo nome.
Dal 2012 al 2017, l’Amministrazione tributaria ungherese, nell’ambito di una verifica relativa all’IVA relativamente al periodo agosto-novembre 2012, adotta quattro provvedimenti con cui accerta che, nell’intervallo di tempo esaminato, la Società aveva partecipato a una frode carosello prendendo parte a una catena di fatturazione diretta a realizzare un vantaggio fiscale illecito.
Tali determinazioni vengono successivamente confermate anche da una decisione dell’ufficio sovraordinato a quello che aveva emesso le suddette quattro decisioni, avverso cui la Società presenta ricorso alla Corte di Budapest-Capitale. Quest’ultima sospende il procedimento e sottopone alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea cinque questioni pregiudiziali. Segnatamente chiede:
se la prassi dell’amministrazione tributaria di desumere automaticamente e senza nessuna verifica la colpevolezza del rappresentante legale di una società con cui il soggetto passivo aveva concluso un contratto di mandato per l’esercizio della sua attività, sia compatibile con gli articoli 9, paragrafo 1 e 10 della Direttiva 2006/112/CE (di seguito anche “Direttiva IVA”) e con il principio di neutralità fiscale;
se per negare il diritto alla detrazione di cui gli articoli 167, 168, lettera a) e 178, lettera a) della Direttiva IVA, l’amministrazione tributaria possa accertare la frode fiscale provando l’esistenza di una catena di fatturazione circolare o se, invece, sia necessario individuare i partecipanti alla catena che abbiano commesso la frode fiscale alla luce del loro comportamento individuale;
con riferimento ai sopra citati articoli della Direttiva IVA e alla luce dei principi di proporzionalità e razionalità, quale diligenza possa essere richiesta al soggetto passivo per evitare di prendere parte a una frode e, nell’ambito specifico di una frode carosello, quali circostanze possano essere valutate al fine di dimostrare che tale soggetto passivo avrebbe potuto essere a conoscenza della frode perpetrata;
se per accertare la partecipazione consapevole del soggetto passivo a una frode fiscale sia sufficiente che le prove acquisite dall’amministrazione finanziaria dimostrino che tale soggetto passivo, utilizzando la dovuta diligenza, avrebbe potuto sapere di essere parte appunto della frode. A tal riguardo, il Giudice del rinvio chiedeva se fosse necessario provare l’azione fraudolenta del soggetto passivo, che si è concretizzata nell’accordo con i membri che lo precedono nella catena, oppure se bastasse basarsi su prove oggettive della conoscenza reciproca dei membri della catena;
se la prassi amministrativa di accertare una violazione tributaria basandosi sulla violazione di norme in materia di sicurezza della catena alimentare, e quindi non-tributarie, fosse compatibile con la normativa IVA, con il diritto a un equo processo e con il principio di certezza del diritto.
3 Decisione CGUE
La Corte di Giustizia dell’Unione Europea risponde in primis alla seconda delle domande pregiudiziali appena riassunte, stabilendo che al fine di provare una frode carosello, l’amministrazione finanziaria non possa limitarsi ad affermare che un’operazione fa parte di una catena di fatturazione circolare.
Infatti, l’onere probatorio in capo all’autorità tributaria è ben più gravoso e consiste, oltre che nell’individuare gli elementi costitutivi della frode e le condotte fraudolente, anche nel dimostrare che il soggetto ha partecipato attivamente alla frode sapeva, o avrebbe dovuto sapere, che l’operazione invocata a fondamento del diritto di detrazione si iscriveva in uno schema fraudolento. Nonostante questa conclusione, l’amministrazione finanziaria non è tenuta a identificare tutti i soggetti che hanno partecipato alla frode e i relativi comportamenti individuali.
A fondamento di tale conclusione è posto il diritto alla detrazione dell’IVA pagata a monte che costituisce un principio cardine del meccanismo di funzionamento del sistema d’imposta, mentre il diniego un’eccezione che necessita di adeguata giustificazione.
Per quanto riguarda la quarta questione, il Giudice europeo precisa che il diritto alla detrazione può essere negato non solo in caso di partecipazione attiva del soggetto passivo a una frode, ma anche quando si riesca a dimostrare che tale soggetto avrebbe potuto sapere, utilizzando la diligenza richiesta, di partecipare a uno schema fraudolento.
Inoltre, il semplice fatto che i soggetti passivi membri della catena di cessioni si conoscessero tra loro non è, di per sé, un elemento sufficiente a dimostrare la partecipazione di uno di loro alla frode.
Con riferimento alla terza questione, la Corte di Giustizia chiarisce che qualora sussistano indizi che consentano di sospettare l’esistenza di irregolarità o di una frode, il soggetto passivo deve dare prova di avere adottato una maggiore diligenza per assicurarsi che l’operazione a cui ha partecipato non si iscrivesse in un contesto fraudolento. In particolare, il soggetto passivo che invoca il diritto alla detrazione è tenuto ad assumere informazioni sul suo fornitore al fine di verificarne l’affidabilità. Per altro verso, non gli si può richiedere di svolgere verifiche approfondite e complesse come quelle che possono essere effettuate dall’amministrazione pubblica in forza dei suoi poteri autoritativi.
Ad ogni modo, è compito del Giudice del rinvio valutare se, considerate le circostanze del caso di specie, il soggetto passivo abbia dato prova di sufficiente diligenza e abbia adottato tutte le misure opportune a non cadere in errore.
In relazione alle altre questioni, la Corte sottolinea come il diniego del diritto di detrarre l’imposta pagata a monte non si possa fondare esclusivamente sul mancato rispetto di disposizioni relative alla sicurezza della catena alimentare. Al limite, l’accertamento di una tale violazione può essere uno degli elementi che permettono all’amministrazione finanziaria di ipotizzare l’esistenza di una frode fiscale e la partecipazione di un determinato soggetto passivo alla stessa.
Da ultimo, la Corte di Giustizia decide la prima delle questioni elencate supra affermando che l’esistenza di un contratto di mandato non esonera il mandante da responsabilità nel caso in cui il mandatario sia venuto a conoscenza dei fatti costitutivi di una frode dell’IVA.
4 Orientamenti giurisprudenziali
La sentenza in commento si pone in continuità con l’orientamento consolidato della Corte di Giustizia in tema di frodi carosello.
Innanzitutto, la Corte ha già ribadito in molteplici pronunce come il diritto alla detrazione dell’IVA pagata a monte sia un principio fondamentale del diritto dell’Unione e, quindi, la negazione di tale diritto costituisce un’eccezione che deve essere corroborata da elementi adeguati e oggettivi.
Ciò richiamato, i Giudici europei in numerose sentenze (si vedano ex multis, sentenze del 6 luglio 2006, Kittel e Recolta Recycling, C-439/04 e C-440/04, sentenze del 21 giugno 2012, Mahagében e Dávid, C-80/11 e C-142/11 e sentenza dell’11 novembre 2021, Ferimet, C-281/20), hanno precisato che il diritto alla detrazione può essere negato non solo nel caso in cui sia dimostrata la partecipazione attiva del soggetto passivo alla frode, ma anche quando si riesca a provare che quest’ultimo sapeva o avrebbe dovuto sapere che il proprio acquisto si iscriveva in uno schema fraudolento.
Nello specifico, ove l’amministrazione finanziaria riesca a soddisfare l’onere della prova di cui sopra, spetta comunque al giudice nazionale negare il beneficio della detrazione. Pertanto, la negazione di tale diritto non può basarsi su una responsabilità oggettiva codificata in sede sovranazionale, ma deve essere supportata da materiale probatorio idoneo raccolto sulla base delle norme in materia di prove previste dal diritto nazionale. A tal riguardo, si deve ricordare che la Corte ha più volte stabilito che non è contrario al diritto dell’Unione esigere che il fornitore si comporti con una certa diligenza, ossia che il fornitore adotti tutte le misure che gli si possono ragionevolmente richiedere, sulla base delle circostanze del caso di specie, al fine di assicurarsi che l’operazione effettuata non lo conduca a partecipare a una frode (v., in tal senso, sentenze del 21 giugno 2012, Mahagében e Dávid, C-80/11 e C-142/11, sentenza del 19 ottobre 2017, Paper Consult, C-101/16 e ordinanza del 14 aprile 2021, Finanzamt Wilmersdorf, C-108/20).
La Corte richiede poi che in presenza di indizi che consentono di sospettare dell’esistenza di irregolarità un operatore accorto dovrebbe, secondo le circostanze fattuali, spingersi sino ad assumere informazioni su un altro operatore, presso il quale intende acquistare beni o servizi, al fine di sincerarsi della sua affidabilità (Sentenza del 21 giugno 2012, Mahagében e Dávid, C-80/11 e C-142/11 e ordinanza del 14 aprile 2021, Finanzamt Wilmersdorf, C-108/20).
Questo orientamento è attualmente ripreso, non senza qualche cambiamento rispetto al passato, anche dalla giurisprudenza di legittimità nazionale. Con le sue pronunce in materia, tra le quali si può citare ad esempio la n. 20587/2019, anche la Corte di Cassazione ha ritenuto che l’amministrazione finanziaria debba provare la circostanza che il cessionario sapeva o avrebbe dovuto sapere che l’operazione si inseriva in uno schema fraudolento dell’IVA. Nello stesso senso si pone l’ordinanza n. 2483/2020, ove si legge che “nel caso di operazioni soggettivamente inesistenti, è onere dell’Amministrazione finanziaria, che contesti il diritto del contribuente a portare in deduzione il costo ovvero in detrazione l’Iva pagata su fatture emesse da un concedente diverso dall’effettivo cedente del bene o servizio, dare la prova che il contribuente, al momento in cui acquistò il bene o il servizio, sapesse o potesse sapere, con l’uso della diligenza media, che l’operazione invocata a fondamento del diritto a detrazione era relativa a un’evasione o a una frode”.
La Cassazione, di poi, con le ordinanze n. 14876/2020 e n. 18878/2020, oltre che con la sentenza n. 25106/2020, prevede che nel caso in cui l’amministrazione finanziaria ritenga che esiste una frode carosello, sia quest’ultima a dover provare, oltre che l’elemento oggettivo di inesistenza del fornitore, anche la consapevolezza dell’acquirente che l’operazione si inseriva in uno schema evasivo dell’imposta, dimostrando, ove ammesso anche in via presuntiva, in base a elementi oggettivi e specifici (tra i quali l’entità dei beni trasferiti, le dichiarazioni dei terzi, il prolungato rapporto tra gli operatori commerciali), che il contribuente era a conoscenza, o avrebbe dovuto essere a conoscenza, usando l’ordinaria diligenza, del comportamento fraudolento del fornitore.
In conclusione, dall’esame della giurisprudenza della Corte di Giustizia dell’UE e di quella più recente della Corte di Cassazione risulta un orientamento teorico comune in base al quale se l’amministrazione finanziaria intende contestare il diritto alla detrazione deve dimostrare, sulla base di elementi oggettivi, che il soggetto passivo ha partecipato attivamente alla frode, o in alternativa, che sapeva o avrebbe dovuto sapere che l’operazione a cui ha preso parte si inseriva in un contesto fraudolento. A tal riguardo, al contribuente è richiesto un livello di diligenza parametrato alle circostanze del caso di specie, senza comunque mai arrivare al punto di chiedergli di svolgere attività investigative paragonabili a quelle svolte dall’amministrazione finanziaria in virtù dei poteri attribuitigli dal diritto pubblico.
5 Riflessioni conclusive
Sebbene si tratti di un risvolto positivo, l’allineamento tra la giurisprudenza della Corte UE e quella di legittimità italiana in tema di frodi carosello non è di per sé sufficiente a sradicare il grave problema delle frodi carosello dal sistema d’imposta sul valore aggiunto.
L’ormai ultraventennale filone giurisprudenziale, sia nazionale che sovranazionale, che riguarda questa tipologia di frode dimostra come il meccanismo di funzionamento dell’IVA sia particolarmente esposto e a oggi non si siano elaborati rimedi in alcun modo definitivi. A ciò si aggiunga poi anche il fatto che lo stesso sistema d’imposta è spesso oggetto di riforme e modifiche, come quella che dovrebbe portare, nel termine di qualche anno, alla revisione del meccanismo dell’inversione contabile, rendendo ogni volta più che leciti i dubbi degli studiosi sulle possibili conseguenze in termini di sostenibilità dell’imposizione indiretta.
Il contrasto alle frodi carosello, infatti, come già accennato implica il perseguimento di un delicato equilibrio tra varie esigenze. Tra queste vi sono in particolare quelle del mercato, sia inteso come mercato unico europeo, per il corretto funzionamento del quale è necessario che le amministrazioni finanziarie degli Stati membri abbiano tutti gli strumenti idonei al fine di contrastare le condotte fraudolente, che nel senso generale di libero mercato, che impone di non gravare gli operatori economici in maniera sproporzionata e delegare loro funzioni di contrasto alle frodi che sono in ultima istanza di competenza delle preposte autorità pubbliche.