Studi Tributari Europei. Vol.11 (2021)
ISSN 2036-3583

I Care a Lot – La disciplina IVA dell’indennità degli amministratori di sostegno tra obbligo di cura, rimuneratività e rilievo sociale delle prestazioni

Piera SantinUniversità di Bologna (Italy)

Piera Santin is research fellow at Centro Interdipartimentale Alma Mater Research Institute for Human-Centered Artificial Intelligence - (Alma AI).

Pubblicato: 2022-09-21

Abstract

The article analyses the issue concerning the imposition of value added tax VAT on the supply of services performed by a lawyer under powers of representation for the protection of adults lacking legal capacity entrusted to him in pursuance of the law by the competent judicial authority, according to a recent EU pronunciation. The solution is strictly connected both with the facts at the origin of the procedure and the national legislation. According with the EUCJ case-law such services may be considered as a supply of services closely linked to welfare and social security work and, consequently, exempted ex art. 132 lett. g of the VAT directive.

Il contributo analizza il tema della corretta qualificazione ai fini dell’IVA dell’indennità riconosciuta ad un avvocato che assuma l’incarico di rappresentante legale di maggiorenni incapaci, affrontata in una recente pronuncia della Corte di giustizia dell’Unione. La soluzione non può che prescindere dalla corretta ricostruzione del caso di specie e del contesto legislativo nazionale, fermo restando che la giurisprudenza europea riconosce la possibilità di qualificarle come prestazioni di servizi strettamente connesse con l’assistenza e la previdenza sociale, con la conseguente esenzione ex art. 132 lett. g della direttiva IVA.

Keywords: iva; operazioni esenti; attività assistenziali; organismi a carattere sociale; limiti mobili per l’individuazione.

1 L’attività di cura in assenza di vincoli affettivi o familiari: una questione rilevante ai fini IVA

La pronuncia in commento (CGUE, sentenza del 15 aprile 2021, EQ, C-846/19) affronta il tema della corretta qualificazione ai fini dell’imposta sul valore aggiunto delle prestazioni di servizi effettuate a favore di persone maggiorenni legalmente incapaci e dirette a proteggerle negli atti della vita civile, il cui espletamento sia affidato al prestatore da un’autorità giudiziaria a norma di legge e la cui remunerazione sia stabilita dalla stessa autorità o in modo forfettario o sulla base di una valutazione caso per caso.

All’origine del rinvio pregiudiziale v’è la vicenda di un avvocato in Lussemburgo, il quale svolge anche attività di rappresentanza legale di maggiorenni quale mandatario, curatore e amministratore tutelare. Per questo percepisce delle somme che l’Amministrazione finanziaria lussemburghese ha qualificato come corrispettivi di attività economiche, diversamente da quanto ritenuto dal prestatore, e, in quanto tali, assoggettati all’applicazione dell’imposta sul valore aggiunto. A sua difesa, l’avvocato contro cui è stata mossa la contestazione ha negato la natura economica di tali attività e, in ogni caso, ha sostenuto che esse dovevano essere fatte rientrare nel novero delle operazioni esenti ex art. 132 paragrafo 1, lettera g) della direttiva IVA.

Nella domanda di rinvio pregiudiziale il giudice Lussemburghese ha sollevato molteplici questioni che, tuttavia, possono essere raccolte attorno a due quesititi sostanziali fondamentali: da un lato se la remunerazione riconosciuta al professionista sulla base di un giudizio equitativo del giudice debba essere considerata come un corrispettivo, affinché l’attività possa essere qualificata come economica; dall’altro, e con maggior dettaglio, data la relativa novità del tema, se, in caso di risposta positiva, dette attività debbano essere qualificate come imponibili o esenti ex art. 132, paragrafo 1, lett. g) della direttiva 2006/112, in quanto prestazioni di servizi strettamente connesse con l’assistenza e la previdenza sociale.

2 Il rapporto tra prestazione di servizi e attività economica nel quadro europeo: l’importanza delle circostanze di fatto

Nel risolvere la prima questione, relativa alla natura economica delle prestazioni, la Corte ha inquadrato il rapporto che lega il rappresentante col maggiorenne incapace alla luce della giurisprudenza europea in materia di operazioni imponibili, con particolare riferimento alle prestazioni di servizi.

Dopo aver chiarito che, perché si possa parlare di operazione imponibile, è necessario che le parti siano legate da un vincolo giuridico, il cui valore è misurato dal corrispettivo, la Corte sottolinea come l’eventuale esiguità di quest’ultimo non basti a escludere il carattere economico della prestazione. Ciò poiché la circostanza che una singola operazione economica sia svolta a un prezzo inferiore o superiore al suo prezzo di costo, e dunque ad un prezzo inferiore o superiore al prezzo normale di mercato, è irrilevante rispetto alla qualificazione dell’operazione a titolo oneroso, in quanto siffatta circostanza non è tale da compromettere il nesso diretto esistente tra le prestazioni di servizi effettuate o da effettuare e il corrispettivo ricevuto o da ricevere, il cui importo è stabilito in anticipo e secondo criteri chiaramente individuati (punto 43).

Ciò che è necessario, secondo la giurisprudenza europea, è che sia il complesso delle attività svolte dal soggetto passivo a garantirgli la capacità di sostenere economicamente l’attività, mentre è irrilevante che le singole operazioni siano svolte ad un prezzo superiore o inferiore a quello di mercato. Per poter qualificare la prestazione di servizi come operazione imponibile sarà allora necessario verificare le circostanze in cui questa si realizza e, in particolare, si dovrà verificare che il livello del compenso derivante dall’insieme delle operazioni svolte sia determinato secondo criteri che ne garantiscano l’idoneità a coprire le spese di funzionamento del prestatore, come l’importo degli introiti e l’entità della clientela (punto 49). Sotto questo aspetto, dunque, la CGUE distingue le ipotesi in cui il professionista, e in specie l’avvocato, percepisca delle indennità per l’assunzione del ruolo di rappresentante del maggiorenne incapace in via occasionale, non come parte essenziale della propria attività, da quelle in cui tale compito viene assunto in maniera sistematica, tanto da garantire al soggetto un introito stabile derivante dalla liquidazione di queste indennità.

Al di là delle peculiarità del caso di specie, la CGUE stabilisce che non sia possibile qualificare l’attività come economica in termini assoluti e specifica che ciò dipende dalle circostanze in cui le prestazioni si svolgono, la cui valutazione viene rimessa in capo al giudice di merito. Quest’ultimo sarà tenuto a conoscere e valutare i fatti di causa e a verificare volta per volta quali siano le circostanze in cui agisce il professionista nominato dal Giudice Tutelare come tutore di un soggetto terzo.

3 Il valore sociale delle attività di assistenza e cura: requisiti oggettivi e soggettivi dell’esenzione

Dopo essersi risolta a considerare le indennità percepite dall’avvocato come rappresentante di maggiorenne quale operazione potenzialmente (e concretamente, nel caso di specie) a contenuto economico, la Corte ha affrontato la seconda questione, relativa alla qualificazione di tali operazioni come esenti. La categoria di esenzione sarebbe quella prevista dall’art. 132, paragrafo 1, lett. g, della direttiva IVA, inerente alle prestazioni di servizi connesse con l’assistenza e la previdenza.

Al fine di individuare correttamente le operazioni rientranti in questa categoria, sottolinea la Corte, è necessario verificare che siano contestualmente soddisfatti sia il requisito oggettivo, relativo al tipo di attività svolte, sia quello soggettivo, attinente alla natura del prestatore.

Quanto al primo aspetto, i giudici di Lussemburgo individuano nelle funzioni cui è chiamato il tutore un’attività che può essere fatta rientrare nel concetto di assistenza e cura. Essi sottolineano, infatti, come a costui vengano affidate dal tribunale prestazioni multiple, relative agli atti della vita civile e riguardanti altresì la gestione della vita quotidiana e del patrimonio della persona incapace, nonché altre aventi carattere giuridico (punto 60). La Corte sottolinea come dette prestazioni consentano di proteggere negli atti della vita civile persone che si trovano nella condizione di non potervi provvedere senza rischiare di nuocere ai propri interessi, o di metterne in pericolo la vita dignitosa. Sotto questo profilo, dunque, le considera rientranti nella nozione di prestazioni strettamente connesse con l’assistenza e la previdenza sociale ex art. 132, par. 1 lett. g) della direttiva IVA (punto 65).

Nella pronuncia si sottolinea, inoltre, che – nonostante sia pacifica la necessità di interpretare restrittivamente le disposizioni in materia esenzione, in quanto deroghe alla generalità dell’IVA – questa regola di interpretazione restrittiva non significa che i termini utilizzati per specificare le esenzioni debbano essere letti in un modo che le priverebbe dei loro effetti. La Corte ribadisce così (come già aveva fatto nella sentenza del 12 marzo 2015, «go fair» Zeitarbeit, C-594/13, EU:C:2015:164, punto 17) che la necessità di interpretazione uniforme delle esenzioni non riguarda solo la loro limitazione ma attiene anche alla tutela della loro corretta applicazione. A maggior ragione nei casi in cui, come quello presente, la ragione dell’esenzione vada cercata nella tutela dei diritti e nella protezione delle categorie più deboli, che potrebbe essere limitata dalla traslazione del peso economico dell’imposta.

È con questa prospettiva ermeneutica che la CGUE ha affrontato anche l’analisi del requisito soggettivo. Il dubbio cui ha dato risposta, affermativa, la Corte di giustizia è stato, cioè, quello relativo alla possibilità di far rientrare in quest’ultima categoria l’avvocato che assuma le funzioni di tutore a seguito di una nomina giudiziaria.

Come ricordato anche dalla sentenza in commento, la Corte aveva già avuto modo di affermare che la categoria degli avvocati non può essere considerata, nel complesso, un organismo che svolge attività di interesse pubblico e, di conseguenza, non è possibile ipotizzare l’applicazione dell’esenzione all’intera categoria (sentenza del 28 luglio 2016, Ordre des barreaux francophones et germanophone e a., C-543/14, EU:C:2016:605, punti 61 e 63). Ciò che viene sottolineato in quest’occasione, però, è che, qualora un avvocato svolga prestazioni di servizi a carattere sociale, non possa essergli negata a priori la qualifica soggettiva che determina l’applicazione dell’esenzione per il solo fatto di appartenere a una categoria professionale che, in generale, svolge attività economica imponibile.

La definizione della direttiva, infatti, prevede che l’esenzione venga riconosciuta a enti di diritto pubblico o a organismi riconosciuti dallo Stato membro come aventi carattere sociale. Al riguardo, la sentenza ricorda che per il riconoscimento del carattere sociale i legislatori nazionali possono prendere in considerazione diversi elementi. Essi possono essere, ad esempio, l’esistenza di disposizioni specifiche, il carattere di interesse generale delle attività del contribuente, il fatto che altri contribuenti che svolgono le stesse attività beneficino di un analogo riconoscimento nonché il fatto che i costi di tali prestazioni sono presi in carico da organismi di previdenza sociale. Al contrario, il soggetto passivo potrà invocare direttamente l’esenzione solo al fine di opporsi a una normativa nazionale incompatibile con la disposizione europea, qualora emerga che la disciplina nazionale che lo vieta sia stata emanata superando i limiti del potere discrezionale di cui dispongono gli Stati ex art. 133 della direttiva IVA medesima.

Nel procedimento all’origine della controversia, tuttavia, l’Amministrazione finanziaria lussemburghese aveva negato all’avvocato il riconoscimento di detto status solo in ragione della sua qualifica professionale, asseritamene incompatibile con lo svolgimento di attività di assistenza.

Al riguardo la Corte evidenzia come non sia dirimente il fatto che il prestatore sia una persona fisica e persegua, con la propria attività, uno scopo di lucro, poiché la nozione di «organismi riconosciuti (…) come aventi carattere sociale» è in via di principio sufficientemente ampia per comprendere anche organismi privati che perseguono uno scopo di lucro, ivi comprese le persone fisiche che esercitano un’impresa, nei limiti in cui si tratta di enti individualizzati che compiono una determinata funzione (punto 73), tranne nell’ipotesi in cui lo Stato si sia avvalso della facoltà, prevista all’articolo 133, primo comma, lettera a) della direttiva IVA di rifiutare la concessione dell’esenzione di cui trattasi a tutti gli organismi che hanno come scopo la ricerca sistematica del profitto (cosa che non è avvenuta in Lussemburgo).

La conclusione cui giunge la sentenza in commento è, quindi, che i compensi versati al soggetto che assuma la responsabilità di protezione e di rappresentanza giuridica di un maggiorenne incapace possono, ma non debbono, essere qualificati come controprestazioni rilevanti ai fini dell’IVA. Inoltre, tali prestazioni possono essere altresì considerate come operazioni esenti ex art. 132 lett, g, qualora presentino le caratteristiche previste dalla norma per come interpretata dalla CGE e, al contempo, lo Stato non abbia esercitato espressamente il suo potere di esclusione dal beneficio o, ancora, nell’esercitarlo non abbia superato i limiti previsti a tal fine.

4 Uno scenario incerto: la disciplina italiana tra imponibilità e applicazione (troppo?) restrittiva dell’esenzione

Sotto entrambi gli aspetti presi in considerazione la sentenza presenta un particolare interesse per i potenziali riflessi applicativi sul piano nazionale. La disciplina civilistica di diritto lussemburghese, infatti, sembra affatto simile a quella contenuta nel Codice civile italiano con riferimento alla figura dell’amministratore di sostegno, sia per quel che concerne il tipo di attività devolutegli, sia per la quantificazione e liquidazione dell’indennità.

La Corte di Cassazione, chiamata ad occuparsi del tema dell’imponibilità ai fini IVA delle indennità percepite da tale amministratore (Cassazione civile sez. trib. - 13/07/2020, n. 14846), ha optato per una soluzione aperta. Infatti, ha riconosciuto come condizione naturale all’interno dell’ordinamento italiano quella della non imponibilità, sempre fatta salva la possibilità di verificare caso per caso la gestione economica dell’attività e, quindi, la possibilità di qualificare l’attività come imponibile. I giudici di legittimità, infatti, hanno ribadito, in relazione all’amministrazione di sostegno, il principio della gratuità dell’incarico, già consolidato con riferimento a curatele e interdizioni, la cui disciplina si applica per quel che concerne la liquidazione dell’indennità. La Corte sembra quindi sottendere che, nell’ordinamento italiano, l’ipotesi per cui un avvocato possa trovarsi a rendere oggetto principale del suo sostentamento gli introiti derivanti dall’attività di amministratore di sostegno sarebbe atipica se non, addirittura, distorsiva della natura dell’istituto. In quest’ottica, sicuramente condivisibile, la soluzione per la non imponibilità di siffatte prestazioni è la conseguenza più coerente dal punto di vista sia civilistico, sia tributario.

Una simile interpretazione non confligge in alcun modo con la sentenza in commento, in cui si conclude che una prestazione siffatta, le cui caratteristiche sono analoghe a quelle rese dall’amministratore di sostegno, possa costituire attività economica solo se il prestatore ne tragga redditi a carattere permanente e il livello del compenso sia determinato secondo criteri che ne garantiscano l’idoneità a coprire le spese di funzionamento sostenute da tale prestatore. Infatti, per come viene descritta dal Codice civile e interpretata dalla Corte costituzionale in più occasioni (6 dicembre 1988, n. 1073 e sentenza n. 218 del 10 ottobre 2018) l’indennità devoluta ex art. 379 cc. ha una mera funzione compensativa e mai remunerativa.

La vicenda processuale che ha condotto alla pronuncia della Cassazione nasce da una contestazione dell’Amministrazione Finanziaria italiana nei confronti di un avvocato amministratore di sostegno, il quale aveva, erroneamente a giudizio dell’Agenzia, omesso di dichiarare gli indennizzi liquidatigli dal Giudice Tutelare per detta attività. Diversamente da quanto ritenuto in sede giudiziale, infatti, l’AF interpreta queste operazioni come aventi contenuto economico perché svolte da un professionista nell’esercizio della sua attività e, in quanto tali, imponibili. Nulla, però, viene detto in ordine alla possibilità di esentare le operazioni in parola, ipotesi che, fino all’avvento della pronuncia in commento sembrava del tutto estranea rispetto alla legislazione italiana.

Il quadro italiano delle esenzioni per le attività assistenziali è, come noto, molto frammentario e soffre di non poche incertezze, che però, sino ad oggi, sono state esaminate soprattutto con riferimento all’opportunità di superare il dato letterale dell’art. 10 co. 27 ter a favore dell’inclusione delle operazioni realizzate da enti con scopo di lucro di natura commerciale (MONTANARI, 2018, 387). Nel caso di specie, invece, si dovrebbe verificare la possibilità di esentare le prestazioni rese da un professionista nell’esercizio della sua attività, dunque rilevanti ai fini dell’IVA. Si tratta di capire, in altre parole, se l’interpretazione conforme al diritto europeo possa consentire di “entificare”, ai soli fini della applicazione della disciplina delle esenzioni, il professionista che svolga prestazioni di carattere sociale e, a questi fini, assoggettarlo alla medesima disciplina prevista per gli ETS.

Ci si può infatti chiedere se, nei fatti, quando, nel dPR 633 del 1972, il legislatore italiano prevede che l’esenzione sia riservata agli ETS non commerciali, abbia voluto avvalersi del potere riconosciuto dall’art. 133 della direttiva IVA di limitare l’applicazione dell’art. 132 co. 1 lett. g) ai soli enti non aventi scopo di lucro. Il che rientrerebbe, in linea generale, nel legittimo esercizio di limitazione previsto dalla direttiva stessa e, dunque, non porrebbe alcun dubbio di compatibilità della disciplina nazionale con l’interpretazione europea.

A questo proposito, nella sentenza che si annota, la CGUE ha ribadito come il potere di limitazione riconosciuto agli Stati debba essere esercitato entro i limiti posti a tutela della neutralità, così da evitare che soggetti che erogano i medesimi servizi si trovino assoggettati a regimi IVA differenti per il solo fatto della diversa qualifica formale. Limiti che, sembra emergere dalla motivazione, debbono essere proporzionati all’obiettivo di consentire una verifica dell’effettivo carattere sociale del prestatore. Al riguardo, la lettura della motivazione (e in particolare i punti 83 e 84) mostra come i giudici suggeriscano che la presenza di una nomina giudiziale, di un controllo della medesima autorità sullo svolgimento dell’attività di assistenza e cura, nonché la responsabilità sempre attribuita al giudice di liquidare l’indennità possano essere interpretati come elementi sostanzialmente funzionali al riconoscimento di fatto del prestatore come organismo avente carattere sociale.

Ora, le attività descritte sono del tutto affini a quelle previste dal Codice civile italiano in relazione alla nomina di amministratore di sostegno, il che potrebbe suggerire che, per rispettare l’interpretazione europea della categoria delle esenzioni per prestazioni assistenziali (principio interpretativo consolidato nella giurisprudenza italiana di legittimità) bisognerebbe ricomprendervi le indennità percepite dall’avvocato in qualità di amministratore di sostegno. Una simile soluzione, tuttavia, non sarebbe coerente con la lettera della legge, che come ricordato fa espressamente riferimento ai soli ETS non commerciali.

Dal punto di vista degli effetti interni della pronuncia in commento, quindi, non c’è contraddizione tra la decisione dei giudici di legittimità di classificare le operazioni come non imponibili e la decisione della CGUE, poiché entrambe le Corti considerano le ipotesi astrattamente plausibili e destinate ad essere verificate caso per caso. Al contrario, una potenziale contraddizione potrebbe esserci per la qualificazione dell’operazione come imponibile, secondo l’approccio sinora adottato dall’Agenzia delle Entrate, senza prendere in considerazione in dettaglio la possibilità di esentarle, d’accordo con un’interpretazione del diritto interno che sia quanto più possibile uniforme alle categorie europee.

5 Attività assistenziali tra prevalenza e stabilità: limiti mobili per l’individuazione degli organismi a carattere sociale

Senza dubbio l’innovazione interpretativa di maggior rilievo apportata dalla sentenza in commento è quella relativa alla possibilità di qualificare le prestazioni a contenuto sociale erogate da un professionista come oggettivamente e soggettivamente rispondenti alla categoria di esenzione ex art. 132 paragrafo 1 lett. g). Tuttavia, l’ambiguità della motivazione non consente di capire quale sua la reale portata di detta innovazione: in particolare, non chiarisce che il requisito soggettivo dell’esenzione sia soddisfatto solo quando l’attività principale del professionista sia qualificabile come sociale o se, invece, è sufficiente che una parte delle sue attività svolte stabilmente abbiano questa caratteristica.

Non è, infatti, una novità che l’interpretazione europea della nozione di organismi aventi carattere sociale sia andata ampliandosi nel tempo, con una crescente svalutazione della qualifica soggettiva formale a favore della natura sostanzialmente sociale delle attività svolte dal singolo. Tuttavia, sino ad ora, il discrimen è sempre stato individuato nella centralità dell’attività sociale prestata, per cui è pacifico che anche un ente di natura commerciale o, come ricordato, una persona fisica che svolga attività economica, può godere delle esenzioni ex art. 132 co. 1 lett. g) a condizione che l’oggetto complessivo delle prestazioni erogate abbia una funzione assistenziale.

Su questa stessa linea si pongono anche le conclusioni dell’Avvocato generale, il quale ha sottolineato come l’esclusione radicale del ricorrente dal possibile novero degli organismi a carattere sociale, per il solo fatto di appartenere ad un ordine professionale, lederebbe il principio di neutralità. Lo stesso ha quindi suggerito come criterio che potrebbe guidare l’autorità nazionale nel riconoscimento quello della prevalenza quantitativa dell’attività di carattere sociale sulle altre attività pure legittimamente svolte. In tal modo il riconoscimento della qualifica soggettiva di organismo a carattere sociale all’avvocato incaricato delle funzioni di tutore sarebbe avvenuto nel rispetto di requisiti coerenti con quelli tradizionalmente indicati dalla giurisprudenza europea per ogni altro tipo di soggetto passivo impegnato in attività di natura assistenziale.

Al contrario, l’indicazione ermeneutica relativa alla prevalenza delle attività non è stata colta dalla Corte, la quale si è limitata, sotto questo aspetto, a prevedere che l’attività sociale sia svolta dal soggetto passivo in forma stabile. Requisito, quest’ultimo, che ha però confini più incerti e meno chiaramente misurabili rispetto al criterio proposto dall’AG. Né l’incertezza viene dipanata dalla sentenza in commento, che non offre ulteriori dettagli e, quindi, rimette la soluzione esclusivamente alla valutazione del giudice nazionale. In particolare, non viene chiarito se la stabilità possa dipendere dal fatto che il ruolo assunto, anche nei confronti di un solo assistito, viene mantenuto nel tempo, ovvero se sia necessario che l’avvocato sia sempre impegnato almeno in un numero minimo di incarichi di assistenza o, ancora, se la stabilità debba tradursi in prevalenza.

La lettura della pronuncia, in realtà, farebbe escludere quest’ultima ipotesi ma, al contempo, non offre alcuna indicazione soddisfacente per quel che riguarda la modulazione del grado di impegno perché l’attività possa ritenersi stabile. È proprio in quest’incertezza che si riflettono le difficoltà dell’interprete relative alla reale portata innovativa della pronuncia. Se, come appare, rappresenta un’apertura alla possibilità di qualificare come organismo avente carattere sociale un soggetto passivo che svolge solo in parte, e non necessariamente in modo prevalente, attività qualificabili come assistenziali, allora l’effetto prodotto modifica in modo significativo il precedente quadro ermeneutico.

Par di capire, cioè, che per soddisfare il requisito soggettivo dell’esenzione ex art. 132 co. 1 lett. g, d’ora in poi non sarà più necessario dimostrare una prevalenza delle attività sociali, tali da caratterizzare integralmente il soggetto passivo. Potrebbe invece essere sufficiente dimostrare che almeno una parte dell’attività svolta è stabilmente, cioè non incidentalmente o casualmente, destinata all’erogazione di prestazioni di cura, con la conseguenza, anche sul piano degli adempimenti formali, di una coesistenza di operazioni imponibili ed esenti svolte dal medesimo soggetto nello stesso periodo d’imposta.

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