1 La decisione della Corte
Con la sentenza in commento la Corte di Giustizia ha affrontato il problema dell’estensione e della portata della definizione di “debitore” dell’accisa, di cui all’art. 33, par. 3 della direttiva 2008/118/CE del 16 dicembre 2008 (relativa al regime generale delle accise; di seguito, breviter, la direttiva).
Per meglio analizzare il contenuto (ed i corollari) della decisione, è opportuna una breve disamina del caso di specie, con la preliminare avvertenza che quelli narrati sono i fatti per come ricavati dalla narrativa della sentenza.
Un camion che trasportava pallet di birra dalla Germania al Regno Unito veniva assoggettato ad un controllo da parte delle Autorità inglesi.
Il conducente esibiva la lettera di vettura, dalla quale risultava che i pallet circolavano in regime di sospensione da accisa. Tuttavia, all’esito del controllo emergeva che il codice risultante dalla lettera di vettura era già stato utilizzato per altri beni e, di conseguenza, i funzionari ritenevano che i beni trasportati fossero effettivamente soggetti ad accisa e non circolassero in regime di sospensione.
Ne conseguiva, pertanto, l’accertamento fiscale a carico del conducente che si difendeva, nel giudizio di merito, sostenendo di non essere mai stato in grado di conoscere il regime fiscale dei prodotti in questione, non avendo alcuna possibilità di verificarne le movimentazioni o la genuinità del codice risultante dalla lettera.
I giudici inglesi, in primo grado, condividevano in effetti la prospettazione del conducente, ritenendolo un “agente incolpevole”, in mancanza di conoscenza che i prodotti fossero di contrabbando. Dal canto loro, i giudici della Court of Appeal nutrivano dubbi circa l’interpretazione delle disposizioni della direttiva 2008/118/CE (di seguito, la direttiva) ritenute applicabili nella specie e, segnatamente, dell’art. 33, par. 3.
La questione veniva sollevata dinanzi alla Corte di Giustizia ed è stata risolta nei seguenti termini: deve ritenersi “debitore” dell’accisa il soggetto che trasporta, per conto di terzi, prodotti sottoposti a tale imposta in altro Stato membro e che è in possesso materiale di tali prodotti nel momento in cui l’accisa è divenuta esigibile, ancorché tale soggetto non abbia alcun diritto od interesse su tali prodotti e non sia a conoscenza del fatto che questi siano sottoposti ad accisa o, comunque, non è consapevole dell’esigibilità dell’accisa.
1.1 La (presumibile) rilevanza degli elementi caratterizzanti il caso di specie ai fini della decisione.
La sentenza in commento si segnala principalmente per il modo tranchant in cui risolve il problema della soggettività passiva delle accise, ponendola a carico di un soggetto per il solo fatto che si trovi in una relazione materiale con i prodotti soggetti ad imposizione.
Trattasi di una soluzione resa in termini particolarmente netti e non è da escludersi che, nel decidere nei termini anzidetti, il giudice europeo sia stato condizionato dal caso di specie.
Va infatti sottolineato che, come anticipato, la narrativa dei fatti operata retro corrisponde a quella svolta in sentenza.
È però da rilevare che, quantomeno da quanto risulta dalle Conclusioni dell’Avvocato generale Evgeni Tanchev1, la vicenda appare per vero molto più complessa.
Nel corso del giudizio di merito i giudici inglesi avevano infatti accertato, esaminando la posizione del conducente, l’esistenza di un comparto di anomalie, quali:
il fatto che le modalità di pagamento per i servizi resi dal conducente – lavoratore autonomo e non dipendente dell’impresa – per mezzo di somme di denaro immesse nei camion che di volta in volta il soggetto utilizzava per il trasporto dei prodotti;
l’assenza di documentazione a sostegno degli accordi tra il conducente e l’impresa che forniva i prodotti da trasportare.
Tali elementi, pur non disvelando, necessariamente, un coinvolgimento del conducente nel meccanismo fraudolento, apparivano comunque idonei ad ingenerare qualche dubbio circa la regolarità delle forniture.
Pur essendo verissimo che né l’Avvocato generale, né tantomeno la Corte, abbiano valorizzato tali elementi “sospetti”, rimane quindi il dubbio che, sul piano concettuale, l’approccio dei giudici, pur apparentemente neutro, potesse essere condizionato da una vicenda che non appariva così “lineare”2.
A prescindere però da eventuali condizionamenti derivanti dalla vicenda di merito, occorre in ogni caso chiedersi se, in definitiva, possa ritenersi corretta la prospettazione del giudice europeo che, in forza della semplice detenzione dei prodotti, estendono – non già la responsabilità del soggetto in un’eventuale operazione fraudolenta ma – la soggettività passiva in capo a tale soggetto.
Un quesito, questo, che diviene ancor più pressante se si considera che, dalle conclusioni dell’Avvocato generale, emerge qualche “forzatura” nella proposta di soluzione.
2 Il quadro normativo di riferimento e l’approccio ermeneutico della Corte di Giustizia.
Dispone – come noto – l’art. 33, par. 3 della direttiva che “Il debitore dell’accisa divenuta esigibile è, a seconda dei casi menzionati nel paragrafo 1, la persona che effettua la fornitura o che detiene i prodotti destinati ad essere forniti o alla quale i prodotti sono forniti nell’altro Stato membro”.
La norma disciplina la soggettività passiva dei prodotti sottoposti ad accisa fuori dal regime di sospensione e si ricollega in tal modo all’art. 8, par. 1, lett. b) della direttiva3 per contrapporsi, invece, alla disciplina della soggettività passiva dei prodotti che circolano in regime di sospensione dell’accisa4.
Nell’interpretare tale disposizione ben si può concordare con quanto sottolineato dalla Corte di Giustizia nella sentenza in commento, e cioè che la normativa di riferimento non fornisce in effetti alcun chiarimento circa la nozione di “detenzione”.
Per cui, sul piano interpretativo, l’alternativa è duplice: o si ritiene che il detentore è colui che sia in qualche modo coinvolto nella circolazione dei beni (sia, cioè, o consapevole che i prodotti sono sottoposti ad accisa, o dell’esigibilità della stessa, od abbia comunque un interesse su tali prodotti) oppure si conclude che qualsiasi soggetto, per il solo fatto di essere “possessore materiale” si intenda come detentore ai sensi delle disposizioni in esame.
La seconda soluzione è – come anticipato – quella adottata dalla Corte di Giustizia e gli argomenti a sostegno sono sostanzialmente due, completati da un terzo.
Il primo argomento è quello, per così dire, testuale: ad avviso della Corte, non sussistendo nella disciplina alcuna specificazione circa l’eventuale consapevolezza o, comunque, coinvolgimento del debitore nella circolazione dei beni, “detentore” deve ritenersi chiunque disponga di una relazione materiale con i prodotti.
Il secondo argomento è quello sistematico: secondo il giudice europeo, è significativo al riguardo il riferimento all’art. 8, par. 1, lett. a), punto ii) della direttiva che, con riferimento alle irregolarità insorte durante la circolazione di prodotti sottoposti ad accisa in regime di sospensione di imposta, prevede che sia considerato debitore, tra gli altri, il soggetto che “era a conoscenza o avrebbe dovuto ragionevolmente essere a conoscenza della natura irregolare dello svincolo”.
Poiché – prosegue la Corte – tale fattispecie è “ben diversa” da quella esaminata nella sentenza, è giocoforza concludere che nel silenzio della normativa, in quest’ultimo caso, qualsiasi soggetto, purché detenga i beni, sia considerato debitore.
Tali argomenti trovano un ulteriore avallo nella necessità di perseguire, nei termini più efficaci possibili, la lotta alla frode. Se – afferma sempre la Corte – si sostenesse che gli unici responsabili sono coloro che risultino consapevoli della destinazione dei prodotti sottoposti ad accisa, la lotta alla frode od all’elusione sarebbero eccessivamente difficoltose, come, di conseguenza, sarebbe difficoltosa la riscossione dell’imposta.
3 Osservazioni sugli argomenti spesi dalla Corte e sulla possibilità di ricercare una diversa soluzione al problema.
L’analisi della sentenza a questo punto potrebbe chiudersi con la considerazione che la Corte ha aggiunto un ulteriore “tassello” nell’interpretare la disciplina generale delle accise recata dalla direttiva 2008/118.
Come anticipato, è però opportuno ampliare la prospettiva di riferimento, verificando se effettivamente dalla lettura della direttiva sia ricavabile quale sola ed unica regula juris quella secondo cui un soggetto, per il sol fatto di detenere (in qualità di trasportatore, conducente, etc.) un prodotto soggetto ad accisa, possa essere ritenuto soggetto passivo del tributo e ciò indipendentemente dal fatto che risulti, o meno, consapevole che quel prodotto è soggetto ad accisa o che comunque l’accisa è divenuta esigibile5.
La ragione della necessità di compiere tale analisi, pur alla luce delle chiare ed inequivocabili conclusioni assunte dalla Corte, è duplice.
Su un livello primario, quella di cui trattasi nella sentenza rientra (ovviamente) a pieno titolo nel novero delle accise armonizzate6 e, di conseguenza, la disciplina è soggetta alla operatività dei principi fondamentali dell’Unione, a cominciare dal principio di proporzionalità. È infatti evidente che, qualsiasi “precipitato” possa discendere dalla sentenza in commento, sarà comunque sempre necessario vagliarlo alla luce di tale principio, se non altro perché, prima ancora degli Stati membri, sono le istituzioni europee a doverne garantire il rispetto7.
Su un ulteriore livello va tenuto presente che le accise non rientrano nel quadro delle risorse proprie dell’Unione8. La loro natura armonizzata implica quindi che i corollari delle conclusioni assunte dalla Corte si intersecano, inevitabilmente ed in forza del ben noto principio dell’autonomia procedurale9 sui procedimenti nazionali10 che sono retti sia – ed ovviamente – dai principi europei11 ma anche dai principi del diritto nazionale, primo tra tutti il principio di capacità contributiva12.
Il riferimento a quest’ultimo principio non è affatto peregrino.
Si consideri infatti che, nella sentenza in commento, la Corte constata come, in definitiva, le possibili (e, si aggiunge, indubbiamente pesanti) ricadute della sentenza in capo al detentore inconsapevole ben possono essere neutralizzate in virtù del riconoscimento, in capo a questi, del diritto di regresso nei confronti degli altri detentori.
Questa considerazione tranchant, a prescindere, per il momento, dalla sua rilevanza13, si riconduce chiaramente alla necessità di tutelare l’integrità patrimoniale – se si vuole, invocando la nozione di ability to pay14 – di un soggetto che è (o, comunque, ben può essere) coinvolto solo casualmente nel riparto dell’obbligo impositivo in capo ai veri e propri soggetti passivi.
3.1 Sul primo argomento: l’interpretazione letterale.
Come anticipato, la soluzione della Corte muove, preliminarmente, dalla premessa che l’art. 33, par. 3, della direttiva non prevederebbe un esplicito riferimento alla necessità che il detentore sia consapevole del regime fiscale (assoggettamento ad accisa od esigibilità) applicabile ai prodotti di cui è in possesso.
La portata dell’argomento, indubbiamente rilevante, induce però a chiedersi se il requisito della consapevolezza non possa essere comunque ricavato per implicito.
In effetti, il par. 3 rinvia al paragrafo 1 dell’art. 33 che, a sua volta, nel delineare l’assoggettamento dei prodotti ad accisa, si riferisce ai “prodotti sottoposti ad accisa già immessi in consumo in uno Stato membro sono detenuti per scopi commerciali in un altro Stato membro per esservi forniti o utilizzati, essi sono sottoposti ad accisa e l’accisa diventa esigibile in quest’ultimo Stato membro”.
Il tenore di questa disposizione è inequivocabile: sono soggetti ad accisa i prodotti “detenuti per scopi commerciali”, cui è stato, cioè, impresso uno specifico vincolo di destinazione15.
Assumendo quindi come punto di partenza che l’esigibilità dell’imposta16 – se non proprio lo stesso presupposto17 – è data dall’immissione in consumo18, è chiaro che solo la destinazione al commercio di tali prodotti può rappresentare il requisito che ne consolida l’imponibilità.
In sostanza, almeno dal coordinamento tra le due disposizioni non sembra si possa scorporare il regime dell’esigibilità dell’accisa dalla detenzione, nei termini chiariti dalla norma; o, il che è lo stesso, non si può elaborare una nozione di “detentore” più ampia di quella di “detenzione”, per come definita dalla norma.
Se la detenzione si ricollega al vincolo di destinazione dei beni, detentore è – deve essere – colui che conosce tale destinazione: che è, cioè, consapevole che i prodotti sono soggetti ad accisa, ovvero che l’accisa è divenuta esigibile.
La descritta conclusione trova conferma nel disposto dell’art. 8, par. 1, lett. b) della direttiva, secondo cui debitore dell’accisa, sempre con specifico riferimento ai prodotti che non circolano in regime di sospensione, è il “detentore” o “qualsiasi altra persona che ha partecipato” alla detenzione dei “prodotti sottoposti ad accisa di cui all’articolo 7, paragrafo 2, lettera b”.
Quest’ultima disposizione, a sua volta, nel fornire la definizione di “immissione in consumo” per i prodotti sottoposti ad accisa, dispone che deve intendersi la “detenzione dei prodotti sottoposti ad accisa fuori da un regime di sospensione dell’accisa qualora non sia stata applicata un’accisa conformemente alle pertinenti disposizioni della normativa comunitaria e della legislazione nazionale”.
Si evince quindi da tali disposizioni che la nozione di “detenzione” non si esaurisce nella mera relazione materiale tra il soggetto ed i prodotti ma esige che tale soggetto “detenga” prodotti:
il cui scopo è quello della destinazione commerciale;
che non siano stati già assoggettati ad accisa.
Questi due requisiti sono evidentemente intesi dalla Corte in chiave oggettiva, cioè a prescindere dalla consapevolezza di colui che detiene i prodotti.
Tuttavia, la formulazione letterale della disposizione, proprio muovendo dalle diverse versioni linguistiche, lascia intendere come in questi requisiti debba anche concorrere un elemento di natura soggettiva: il riferimento agli scopi19 commerciali sembra appunto evocare l’ipotesi di un soggetto che di tale scopo è a conoscenza e che intende, quindi, utilizzare quei prodotti con una ben specifica finalità.
3.1.3. – Inoltre, se si volesse davvero ed in ogni caso prescindere dal requisito della consapevolezza, si rischierebbe di rendere di fatto inapplicabile una fondamentale disposizione della direttiva, qual è l’art. 7, par. 4, che disciplina le ipotesi in cui l’accisa non è esigibile per essere il prodotto totalmente distrutto od andato incontro ad una perdita irrimediabile per caso fortuito o forza maggiore.
Nel definire la perdita irrimediabile, la norma fa riferimento ai prodotti danneggiati in quanto “inutilizzabili come prodotti sottoposti ad accisa”.
Torna quindi anche in tal caso il vincolo di scopo: il prodotto danneggiato di per sé non è assoggettabile ad accisa perché non è più destinato all’immissione in consumo o, ancora una volta, al commercio.
Seguendo fino in fondo i corollari espressi nella sentenza in commento, è quindi chiaro che questa disposizione non sarebbe applicabile tutte le volte in cui si configuri, quale debitore dell’accisa, il (mero) detentore, in quanto tale non consapevole che i prodotti hanno una data destinazione.
In tal caso, infatti – ed è ovviamente un caso limite, ma pur sempre un’ipotesi concreta – l’eventuale indisponibilità di tali prodotti alla destinazione commerciale sfuggirebbe alla cognizione del soggetto, con la logica conseguenza che l’accisa risulterebbe esigibile pur in presenza di uno dei casi in cui, normativamente, essa non sia dovuta.
Un simile effetto collaterale è, almeno sul piano concettuale, inevitabile; resta da chiedersi se sia proporzionato allo scopo dell’interpretazione adottata dalla Corte.
3.2 Sul secondo argomento: l’interpretazione sistematica.
Alla base del secondo argomento speso dalla Corte si annida la constatazione che, in una fattispecie “ben diversa” da quella in analisi, la direttiva esplicitamente prevede, quale condizione per il riconoscimento della qualifica di debitore, il requisito che questi fosse a conoscenza, o avrebbe dovuto ragionevolmente essere a conoscenza, della natura irregolare dello svincolo.
Il riferimento è all’art. 8, par. 1, lett. a), punto ii), che disciplina l’ipotesi delle irregolarità emergenti nella circolazione di prodotti che circolano in regime di sospensione.
Secondo la Corte, poiché in tal caso il requisito della consapevolezza è previsto espressamente e poiché tra questa e l’ipotesi oggetto della sentenza vi è una sostanziale diversità, ne consegue che il requisito della consapevolezza, nel silenzio dell’art. 33, par. 3 della direttiva, non sussista in quest’ultimo caso.
L’argomento è indubbiamente importante ma è possibile comunque spendere alcune precisazioni.
Come rilevato dall’Avvocato generale, la disciplina prevista dall’art. 8, par. 1, lett. a) punto ii) si giustifica in ragione del fatto che per la circolazione dei prodotti in regime di sospensione da accisa è, di norma (ex art. 18 della direttiva), prevista una garanzia.
In sostanza, la sussistenza della garanzia sarebbe il punto di equilibrio che consentirebbe di “limitare” la responsabilità ai soli soggetti consapevoli della natura irregolare dello svincolo.
Tale lettura sarebbe assolutamente condivisibile se la disposizione in analisi disciplinasse, in termini generali, la nozione di debitore con riferimento ai prodotti che circolano in regime di sospensione. Ma così non è.
La fattispecie oggetto dell’art. 8, par. 1, lett. a) punto ii) riguarda l’ipotesi in cui insorgano delle irregolarità nella circolazione dei beni, cioè un’ipotesi che attiene alla patologia del rapporto: ben si può ipotizzare, quindi, che proprio per la sua specificità sia stato previsto espressamente ciò che è una regola generale implicita, qual è quella della necessità di chiamare a rispondere dell’obbligazione i soli soggetti consapevoli.
Diversamente, nel disciplinare l’art. 33, par. 3 della direttiva, la sola ipotesi fisiologica della soggettività con riferimento ai prodotti soggetti ad accisa, il mancato riferimento espresso alla consapevolezza non è, di per sé, un elemento dirimente per escluderla, non essendo affatto peregrino ipotizzare che quello della consapevolezza sia un principio generale.
Come banco di prova della tenuta di questa ipotesi è possibile richiamare l’interpretazione che la Corte fornisce dei requisiti che legittimano il diniego del diritto a detrazione in materia di IVA in presenza di una frode: nessuna disposizione della direttiva 2006/112/CE prevede, quale requisito, la consapevolezza (effettiva o potenziale) della sussistenza di una frode in capo al soggetto passivo, eppure sul punto la giurisprudenza europea è assolutamente consolidata20.
Anche a voler prescindere da questa ricostruzione, le due fattispecie (art. 8 ed art. 33) non sono comparabili, rispondendo a due rationes ben diverse: nell’una, individuare il responsabile cui imputare le conseguenze dell’irregolarità; nell’altra, individuare il soggetto passivo, scilicet, il debitore.
Volendo ampliare la prospettiva di riferimento, se proprio un confronto tra disposizioni vuol compiersi, il parametro, rispetto all’ipotesi disciplinata per i prodotti in sospensione dall’art. 8, par. 1, lett. a) punto ii) della direttiva, non è l’art. 33, par. 3 ma, per i prodotti sottoposti ad accisa, l’art. 38, par. 3 che si riferisce all’ipotesi patologica in cui emergano delle irregolarità nella circolazione dei prodotti non sottoposti al regime di sospensione.
In effetti nella sentenza la Corte di Giustizia a supporto delle proprie conclusioni, richiama, non a caso, la sentenza Cormida paralela21 in cui è stata valorizzata la circostanza che, diversamente dall’art. 8, par. i, lett. a), punto ii), l’art. 38, par. 3, della direttiva, nel definire i confini della responsabilità del soggetto nelle ipotesi di irregolarità, si riferisce, oltre che al debitore, anche “qualsiasi altra persona che abbia partecipato alla irregolarità”.
Si noti però che, per far quadrare il cerchio, la Corte stessa deve riconoscere che la fattispecie prevista dall’art. 38 sia analoga a quella prevista dall’art. 33, in modo da poterne trasmigrare il descritto orientamento giurisprudenziale.
Tuttavia, l’art. 38, par. 3 della direttiva disciplina un’ipotesi specifica rispetto a quella, generale, recata dall’art. 33, par. 3 ed ancora una volta le due ipotesi non appaiono comparabili, poiché l’una attiene alla patologia delle irregolarità, l’altra, invece, alla fisiologia della soggettività.
In sostanza, le conclusioni della Corte sarebbero state (almeno in linea di principio) quantomeno condivisibili se la norma di riferimento, nella sentenza che si commenta, fosse stata l’art. 38, mentre invece la questione pregiudiziale concerneva l’art. 33, par. 3.
D’altro canto ed in via puramente incidentale si badi bene che l’art. 38, par. 3 non sembra prescindere, del tutto, dalla consapevolezza, chiamando in causa non già coloro che abbiano partecipato alla circolazione dei prodotti ma coloro che abbiano “partecipato all’irregolarità”. Quel riferimento alla partecipazione non appare automaticamente scindibile da un apporto soggettivo circa l’esistenza dell’irregolarità cui partecipare.
In apertura della presente analisi è stato evidenziato come, nelle conclusioni dell’Avvocato generale, fossero ravvisabili delle forzature nella elaborazione della proposta di soluzione.
In effetti, dispone l’art. 34, par. 2, lett. a) della direttiva che con riferimento alle ipotesi previste dall’art. 33, par. 1 della stessa (cui si ricollega l’art. 33, par. 3) il debitore dell’accisa è tenuto, prima che le merci siano spedite, a fornire una garanzia per il pagamento dell’accisa.
Dunque anche in questo, come nell’ipotesi dei prodotti che circolano in sospensione d’accisa, è prevista la garanzia obbligatoria, sicché non si comprende a questo punto perché la “limitazione” di responsabilità debba valere solo per quest’ultimo caso e non già per il primo.
Non si vede, cioè, quale possa essere la ragione di un trattamento differenziato tra le ipotesi dei prodotti che circolano in regime di sospensione rispetto a quelli – di cui si tratta in questa sede – che invece non sono sottoposti a tale regime.
D’altro canto, al punto 57 delle conclusioni è proprio l’Avvocato generale a riconoscere che nelle due descritte ipotesi “la situazione è la stessa”.
Per cui, se è vero che le due fattispecie sono accomunate dalla medesima ratio, a questo punto diviene inspiegabile comprendere perché nell’un caso la consapevolezza sia prevista e nell’altro caso no.
3.3 Sul terzo argomento: la necessità di presidiare la lotta alle frodi e l’integrità della riscossione dell’imposta.
La “lotta contro le frodi, l’evasione fiscale e gli eventuali abusi” rappresenta quell’esigenza che, nell’argomentazione della Corte, dovrebbe coronare la propria conclusione.
Sostiene sul punto il giudice europeo che la necessità dell’indagine circa la consapevolezza del soggetto detentore significherebbe rendere difficile nella pratica la riscossione dell’accisa.
Tale argomento non è nuovo nella giurisprudenza della Corte e non esistono certo dubbi sulla sua importanza; è vero pure, però, che lo stesso giudice europeo ha chiarito, a più riprese e come del resto ben noto, come la descritta esigenza debba pur sempre essere esercitata nel rispetto del principio di proporzionalità22.
A ben vedere, peraltro, è proprio la Corte di Giustizia, nella sentenza, a (tentare di) “bilanciare” gli effetti della decisione nei confronti del detentore inconsapevole, precisando che, in ogni caso, a questi è rimessa la facoltà di esercitare l’azione di regresso nei confronti degli altri debitori.
Tuttavia, valutando questa soluzione alla luce del principio di proporzionalità e, segnatamente, nelle maglie dei tre livelli di giudizio in cui tradizionalmente si articola23, è proprio il requisito della proporzionalità in senso stretto24 – da intendersi, cioè, come minor sacrificio possibile degli altri interessi coinvolti25 – a venir in un certo qual modo adombrato.
Invero, come pure la stessa Corte ha avuto modo di riconoscere26, il riconoscimento del diritto di regresso è, nei singoli ordinamenti, puramente eventuale.
In definitiva, la soluzione elaborata nella sentenza non appare particolarmente bilanciata, specie se si considera che al soggetto detentore dei prodotti non è rimessa la facoltà di fornire nessuna prova contraria: nella prospettiva della Corte la soggettività passiva va infatti a questi imputata in modo automatico.
4 Conclusioni.
Dalle suesposte considerazioni è possibile pervenire ad un punto fermo: la conclusione cui la Corte è pervenuta nella sentenza in commento presenta diverse aporie e rischia di produrre effetti controproducenti se applicata tel quel nelle fattispecie in cui l’inconsapevolezza o l’assenza di interesse sui prodotti, in capo al detentore, sia innegabile.
A prescindere dalle particolarità del caso di specie, l’ipotesi che viene in mente è quella del conducente che effettivamente si limita a trasportare i prodotti da un deposito all’altro e che detenga una lettera di vettura dalla quale risulti che tali prodotti non sono – per qualsivoglia ragione – soggetti ad accisa: costui si ritroverebbe a rispondere non in quanto responsabile di un’eventuale frode ma addirittura come debitore, come soggetto passivo dell’accisa.
D’altro canto, in base alla lettura sistematica delle disposizioni della direttiva, sarebbe stato possibile rinvenire una soluzione molto più equilibrata configurando in capo al detentore la soggettività passiva sulla base di una “presunzione relativa”, riconoscendo quindi in capo a quest’ultimo la possibilità di dimostrare la propria estraneità alle vicende che interessano i prodotti soggetti ad accisa o, comunque, l’assenza di consapevolezza dell’esigibilità del tributo.
Una simile soluzione sarebbe stata peraltro più coerente con la linea tracciata negli ultimi anni dal diritto unionale e dalla stessa giurisprudenza della Corte27 verso una valorizzazione sempre più marcata dei fondamentali principi in materia tributaria, a presidio dell’integrità patrimoniale del contribuente28.
Sul principio di proporzionalità nell’ordinamento tributario cfr. inoltre Fornieles Gil, Il principio di proporzionalità, in Di Pietro/Tassani (a cura di), I principi europei del diritto tributario, Padova, 2014, pp. 159, ss..
Conclusioni presentate il 21 giugno 2021.↩︎
Del resto è ben noto che la formazione della giurisprudenza della Corte, in ragione della “particolarità” del ruolo stesso del giudice europeo, sia solitamente riconnessa alla trattazione specifica delle peculiarità delle fattispecie concrete che via via si presentano. Sulle ragioni di questo approccio si vedano Bizioli, Potestà tributaria statuale, competenza tributaria della Comunità Europea e… competenza tributaria della Corte di Giustizia: il caso Saint-Gobain, Riv. Dir. Trib., 2000, pp. 192, ss., nonché Boria, Diritto tributario europeo, Milano, 2017, pp. 136, ss.↩︎
Secondo cui è debitore dell’accisa “la persona che detiene i prodotti sottoposti ad accisa e qualsiasi altra persona che ha partecipato alla loro detenzione”.↩︎
Come si avrà modo di meglio illustrare infra, per i prodotti che circolano in sospensione da accisa il regime della soggettività è previsto dall’art. 8, par. 1, lett. a), punto ii) della direttiva.↩︎
Per semplicità, nel corso della trattazione si assumerà che questa sia la prospettiva di riferimento, senza richiamare, di volta in volta, pure l’ipotesi del soggetto che abbia un interesse od un diritto sui prodotti soggetti ad accisa. Poiché tale seconda situazione presuppone, in un certo senso, quella di cui al testo, si precisa sin d’ora che quanto si dirà sul problema della consapevolezza si può estendere all’ipotesi dell’interesse o diritto, in capo al detentore, sui prodotti.↩︎
Sulla evoluzione del processo di armonizzazione delle accise si vedano Fichera, L’armonizzazione delle accise, Riv. Dir. Fin. Sc. Fin., 1997, pp. 216, ss.; Cipolla, Accise (voce) in Cassese (a cura di) Dizionario di diritto pubblico, vol. I, Milano, 2006, pp. 73-74; Schiavolin, Le accise (imposte di fabbricazione e consumo) in Falsitta, Manuale di diritto tributario, Parte Speciale, Padova, 2016, pp. 1048, ss.; Logozzo, Le accise: inquadramento sistematico e questioni aperte, Riv. Dir. Trib., 2018, pp. 129, ss. ed ora in Temi di diritto tributario, Bari, 2019, pp. 195, ss.↩︎
Ai sensi dell’art. 5, par. 1, TUE, “L'esercizio delle competenze dell'Unione si fonda sui principi di sussidiarietà e proporzionalità”. Può dirsi anzi che quello della proporzionalità è un principio che ha informato significativamente la giurisprudenza europea sin dalle origini (come si evince, ad esempio, da Corte Giust. 29 novembre 1956, Féderation Charbonnière de Belgique, C-8/55). Sulla evoluzione di tale principio nelle sentenze della Corte di Giustizia si veda Galetta, Principio di proporzionalità e giudice amministrativo nazionale, Foro Amm. (TAR), 2/2007, pp. 603, ss.↩︎
Si veda in materia l’art. 2 della decisione del Consiglio 2020/2053/UE del 14 dicembre 2020, che abroga la decisione 2014/335/UE.↩︎
In base al principio di autonomia procedurale “è l’ordinamento giuridico interno di ciascuno Stato membro che designa il giudice competente e stabilisce le modalità procedurali delle azioni giudiziali intese a garantire la tutela dei diritti spettanti ai singoli in forza delle norme comunitarie" (Corte Giust. 16 dicembre 1976, Rewe, C-33/76. Originariamente sviluppatosi a livello di autonomia”processuale“, la portata di tale principio è stata successivamente estesa pure al livello dell’autonomia”procedimentale" (cfr. p. es. Corte Giust. 21 settembre 1983, Deutsche Milchkontor GmbH e altri, cause riunite da C-205/82 a C-215/82).
Sulla evoluzione di tale principio e sul suo rapporto con il principio di attribuzione scolpito ad oggi dagli artt. 5, par. 1, TUE e 4, par. 1 TFUE si veda Schwarze, Droit administratif européenne, Bruxelles, 2009, pp. 69, ss., nonché, per una interessante ricognizione degli effetti di tale principio negli ordinamenti, Del Federico, Tutela del contribuente ed integrazione giuridica europea. Contributo allo studio della prospettiva italiana, Milano, 2010, spec. pp. 267-268.↩︎
Sul rapporto tra il complesso di poteri riservati agli Stati membri ed il processo di armonizzazione europeo in materia fiscale si veda, da ultimo, Boria, Il potere tributario. Politica e tributi nel corso dei secoli, Bologna, 2021, pp. 455, ss.↩︎
Sull’argomento si veda Greco, A proposito dell’autonomia procedurale degli Stati membri, Riv. It. Dir. Pub. Com., 2014, pp. 1, ss.↩︎
Sulle principali problematiche poste da tale principio con riferimento alle accise cfr. Verrigni, La capacità contributiva nelle accise, in Salvini/Melis (a cura di), L’evoluzione del sistema fiscale ed il principio di capacità contributiva, Padova, 2014, pp. 553, ss.
Per di più, proprio muovendo da un approccio riferito non alla normativa “sostanziale” ma a quella procedimentale, nell’ordinamento italiano le Sezioni Unite hanno da tempo riconosciuto che nella fase procedimentale l’Amministrazione finanziaria è tenuta, tra l’altro, al rispetto del principio di capacità contributiva ex art. 53, comma 1, Cost. (ex plurimis, SS.UU. 18 dicembre 2009, n. 26635).↩︎
Si vedrà tuttavia infra come il semplice riconoscimento del diritto di regresso non appare una idonea “valvola di sfogo” a fronte dei problematici precipitati della sentenza.↩︎
Il concetto di ability to pay è stato elaborato dalla Corte di Giustizia nelle ben note sentenze Schumacker (Corte Giust. 14 febbraio 1995, C-279/93) e de Groot (Corte Giust. 12 dicembre 2002, C-385/00). Sulle consonanze di tale principio con quello della capacità contributiva si rinvia a Falsitta, I principi di capacità contributiva e di eguaglianza tributaria nel diritto comunitario e nel diritto italiano tra “ragioni del fisco” e diritti fondamentali della persona, Riv. Dir. Trib., 5/2011, pp. 519, ss. e spec. pp. 525, ss.↩︎
Si noti in effetti quanto deciso dalla Corte di Giustizia nella causa Gross (Corte Giust. 3 luglio 2014, C-165/13) nell’interpretare l’art. 7 della direttiva 92/12, “predecessore” (come sostiene pure l’Avvocato generale) dell’art. 33, par. 3 della direttiva 2008/118. In quella fattispecie la Corte ritenne certamente che “qualsiasi persona detenga i prodotti in parola è tenuta al pagamento dell’accisa” ma – a differenza del caso di specie – in quella sede risultava incontroverso che i prodotti (tabacchi lavorati) erano stati immessi nel territorio per scopi commerciali (punto 19).↩︎
Che, secondo parte della dottrina (italiana), concorre con il presupposto, costituito dalla fabbricazione, nella costituzione di una fattispecie complessa a formazione progressiva: cfr. Cerrato, Spunti intorno alla struttura e ai soggetti passivi delle accise, Riv. Dir. Trib., 1996, pp. 215, ss.; Schiavolin, Accise (voce), Enc. Dir. Agg., vol. IV, Milano, 2000, pp. 22, ss.↩︎
Secondo altra prospettazione, sempre nel quadro dell’ordinamento italiano ed alla luce delle disposizioni italiane recate dal d.lgs. 26 ottobre 1995, n. 504, il presupposto si risolverebbe tout court nell’immissione in consumo: cfr. Cipolla, Accise, cit., p. 74, nonché Id., Le accise in Scuffi/Albenzio/Miccinesi (a cura di) Diritto doganale, delle accise e dei tributi ambientali, Milanofiori Assago, 2014, pp. 641, ss.; Randazzo, Le rivalse tributarie, Milano, 2012, p. 35.↩︎
Nei termini chiariti dall’art. 7, par. 1 della direttiva, riferito sia ai prodotti che circolano in regime di sospensione (lett. a)) sia agli altri, inclusi quelli oggetto della sentenza in commento (lett. b)).↩︎
Il termine italiano è analogo a quello utilizzato dalle altre formulazioni linguistiche, quali quella inglese (purposes), francese (fins), spagnola (fines), tedesca (Zwecken), etc.↩︎
Come rileva, peraltro in senso critico, Moschetti G., “Diniego di detrazione per consapevolezza” nel contrasto alle frodi IVA, Padova, 2013, pp. 28, ss.↩︎
Corte Giust. 17 ottobre 2019, C-579/18.↩︎
Quanto al sindacato delle misure nazionali adottate per il contrasto alle frodi, la giurisprudenza della Corte è del tutto consolidata: tra le più recenti pronunzie, cfr. Corte Giust., 18 marzo 2021, UAB «P», C-48/20; 15 ottobre 2020, E. sp. C-335/19; 13 luglio 2017, «Vakarų Baltijos laivų statykla» UAB, C-151/16.↩︎
Vale a dire l’idoneità, la necessità e la proporzionalità in senso stretto, sulla base di quello che viene definito ‘modello tedesco’ del giudizio di proporzionalità. Sulla struttura del giudizio di proporzionalità e sui suoi diversi modelli, elaborati negli ordinamenti nazionali, si veda, in particolare, Mondini, Contributo allo studio del principio di proporzionalità nel sistema dell’IVA europea, Bari, 2012, pp. 35, ss. Specificamente sull’articolazione del modello tripartito tedesco, cfr. Moschetti G., Il principio di proporzionalità come “giusta misura” del potere nell’evoluzione del diritto tributario, Padova, 2017, pp. 107, ss.↩︎
In termini generali su tale tipologia di giudizio si veda Luther, Ragionevolezza (delle leggi), Dig. disc. pub., Torino, 1997 [Agg. 2011].↩︎
Sul punto, nello specifico, si vedano Mondini, Il principio, cit., p. 42; Cerri, I modi argomentativi del Giudizio di ragionevolezza delle leggi: cenni di diritto comparato, in Principio di ragionevolezza nella giurisprudenza della Corte Costituzionale. Riferimenti comparatistici. Atti del Seminario (Roma, 13-14 ottobre 1992), Milano, 1994, pp. 131, ss.↩︎
Si veda la già citata sentenza Comida paralela, C-579/18, punto 44.↩︎
Un vero e proprio acquis europeo che pure a livello di diritto formale ha contribuito a valorizzare il ruolo del contribuente: Di Pietro, Presentazione: la tutela del contribuente nel nuovo acquis europeo del diritto tributario formale, in Id. (a cura di) La tutela europea ed internazionale del contribuente nell’accertamento tributario, Padova, 2009, spec. p. X. In argomento cfr. anche, più di recente, Comelli, I diritti della difesa, in materia tributaria, alla stregua del diritto dell’Unione Europea e, segnatamente, il “droit d’être entendu” e il diritto ad un processo equo, Dir. Prat. Trib., 2020, pp. 1315, ss.↩︎
Si consideri per esempio Corte Giust. 4 giugno 2020, SC C.F. SRL, C-430/19 ove si afferma definitivamente che le modalità di assunzione delle prove della sussistenza della frode, ancorché rimesse all’autonomia degli ordinamenti nazionali, “non devono pregiudicare l’efficacia del diritto dell’Unione e devono rispettare i diritti garantiti da tale ordinamento, in particolare dalla Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea”.↩︎